Adesso discutiamo di diritto, un diritto offeso dalla ( censura) dei giudici e loro inutilità e, di conseguenza, delle leggi.
Ho parlato con molti avvocati, in modo informale, e tutti ammettono che per diventare giudice occorre una fortissima raccomandazione, che i giudici non hanno molta voglia di lavorare, che fanno lavorare i CTU, facendo poi pagare la parcella agli attori in causa, che devono pagare anche gli avvocati. Ma di fronte a tutto questo, avete ancora sentito gli avvocati promuovere una protesta per cambiare? Forse ora Berlusconi chiede che i giudici paghino i loro errori. Ma lui può. Quale comune cittadino ha un capitale in euro da spendere per portare un giudice a processo?
E quali amicizie, interessi, conflitto di interesse ci sarebbe poi?
Ad ogni modo possiamo osservare che in questo gioco al massacro, chiamato giustizia...anche i giudici sono inutili.
FATTO E SVOLGIMENTO di tutta la vicenda sino ad oggi
La signora Lan è stata assunta dalla Fondazione C S L Onlus (allora Ipab) in data 1.8.1979, all’età di 15 anni, in qualità di operaia.
La ricorrente ha prestato la propria attività sempre a tempo pieno ed era inquadrata, nell’ultimo periodo, nel livello economico B5.
Nel corso del lungo periodo di lavoro, la ricorrente ha svolto molteplici mansioni nella casa di riposo. Da ultimo essa era adibita alla lavanderia con mansioni di “stiratrice a rullo”.
Dal 16.05.2006 veniva certificata l’idoneità della Lan alle mansioni svolte in lavanderia ma con limitazioni in ordine alle mansioni che comportano sforzi a carico di braccia e spalle e flessioni del tronco.
Ma solo in seguito all’infortunio, e dopo la visita presso la Medicina del Lavoro, la cui risposta fu aperta e protocollata da C S, fu addetta a stiratrice a rullo, pur sapendo che tale mansione sarebbe stata abolita.
Durante il lungo rapporto di lavoro la ricorrente ha lavorato sia nei reparti della casa di riposo che nei servizi non a contatto con l’utenza.
Il giorno 7.2.2007 la Lan iniziò il proprio turno di lavoro alle ore 6.
La collega P sopraggiunse alle ore 8 mentre la collega B, pur avendo iniziato il turno con la Lan, si assentò dai locali (per incombenze in reparto) per più di un’ora.
Sentendo odore di metano, più intenso del solito, decisero di ispezionare le macchine della lavanderia.
Le stesse si accorsero, quindi, che il tubo di scarico dell’essiccatoio usato per l’asciugatura di lenzuola e biancheria era scollegato dallo scarico esterno e privo della fascetta stringi tubo che avrebbe dovuto impedirne il distacco a causa delle vibrazioni della macchina. E, si evince dal libretto di installazione che sarebbe stato possibile fissarla anche a pavimento. E’ affermato dalla Lan,, ma non è stato appurato, che i tubi emissione scarico fumi non occupano la canna fumaria predisposta secondo il progetto di costruzione, ma quella predisposta per la cappa d’aspirazione che non è mai stata allestita.
Un secondo essiccatoio aveva il tubo di scarico correttamente collegato, ma il tubo di colore giallo di adduzione del metano era solo appoggiato alla macchina perché svitato, con fuoriuscita conseguente di gas. Ed è anche allegato alla documentazione intercorsa tra C S INAIL la sostituzione della guarnizione forno dell’essicatoio.
Subito venne spento l’impianto e vennero avvisati i cuochi Z A e SA che in pochi minuti sistemarono il tubo staccato.
La Lan, nonostante stesse male, ed avesse conati di vomito, continuò il lavoro, non essendosi resa conto della causa.
Dopo poco tempo, però, la ricorrente si accasciò a terra e fu quindi trasportata sul tavolo della lavanderia ove le venne collocata dal direttore della casa di riposo, il medico dott. Sgia, una cannula nasale per l’erogazione di ossigeno e un ossimetro applicato ad un dito della mano. La cannula nasale venne sostituita con maschera facciale quando riprese conoscenza, causa il fastidio che le arrecava.
L’erogazione di ossigeno proseguì per circa di tre ore. Due ore secondo la ricostruzione della Corte d’Appello. Un tempo lunghissimo, comunque. E nessun medico mantiene a scopo precauzionale ossigenoterapia per più ore, controllando la saturazione di O2, quando la stessa risulta normale.
Veniva quindi allertato il compagno della ricorrente, signor AS, che giunto sul posto e resosi conto della gravità della situazione (lavora come infermiere in un ospedale) permetteva a dr. Schggia di continuare con O2 terapia, sapendo che era l’antidoto dell’intossicazione da monossido di carbonio nonostante il desiderio della Lan che voleva recarsi a casa, nonostante la opposizione dr. Scgia. Alle ore 12,30 lo S, visto la difficoltà a deambulare e la persistente cefalea la condusse in auto presso il pronto soccorso dell’ospedale di C, ove giunse alle ore 13,00.
Il dott. Schgia, che aveva assistito la paziente l’interno della casa di riposo ove costei lavorava, omise il referto.
Il referto dell’ospedale S. B di C, invece, riporta la diagnosi di “sospetta intossicazione da ossido di carbonio con concentrazione di Co pari a 3,7 dopo 3 ore di ossigenoterapia”. Per formulare tale diagnosi venne effettuato un prelievo di sangue dal quale emerse che il valore dell’ossido di carbonio (hbco), dopo 4 ore e mezza dal fatto e dopo circa 2-3 ore di ossigenoterapia era pari al 3,7%. Venne fatta segnalazione di intossicazione alla ASL “ permangono segni di intossicazione da monossido, dopo tre ore di O2 terapia”, in seguito ala quale, solo il giorno successivo l’UPG dr. Ani si recò sul luogo dell’infortunio non segnalando l’uscita ne facendo rapporto, violando il D.Lgs 192/2005, e la direttiva Direttiva Procura Milano in materia di tutela della pubblica Incolumità nell 'impiego del gas combustibile.
http://www.procura.milano.giustizia.it/files/procura-milano-direttiva-gas-2011.pdf
Controllo degli apparecchi a gas.
Dopo tale intossicazione la Lan, che prima non aveva mai manifestato alcun disturbo comportamentale, ha subito un “generale rallentamento del funzionamento cognitivo e performance deficitarie in compiti con richieste mnestiche e ottenitive elevate” (dott. Poloni dip. salute mentale Ospedali Riuniti di Bergamo 19.12.2007). In particolare la signora Lan, a causa della intossicazione da monossido di carbonio, è caduta in uno stato di .......grave che dura tutt’ora.
L’Inail, a seguito dell’infortunio sul lavoro, ha attribuito un punteggio del 4% dopo controversia giudiziaria ma tale dato è assolutamente sottostimato. Infatti, dalla relazione medico-legale del dott. Giampiero Cassina emerge che il danno biologico può essere quantificato nel 20% del totale con riduzione della capacità lavorativa specifica nella misura del 45%. La forte differenza tra il dato del C.T. di parte e quello Inail è dato dal fatto che Inail ha ritenuto di dover valutare solo il dato di carbossiemoglobina riscontrato dall’ospedale di C, rilevato però dopo 4 ore e mezza dai fatti e dopo 3 ore di erogazione di ossigeno.
Dopo i fatti di cui sopra la Lan fruì di un periodo di malattia e al suo rientro presso la fondazione fu collocata nello stesso posto di lavoro precedentemente occupato, ma con la specifica mansione di stiratrice al rullo, e le sue condizioni di salute non sono migliorate.
Ed anche il Medico Competente di C S, dr. Giorgio Gatti, scrive sul libretto sanitario della Lanf il 15\05\2007: “ Intossicazione da CO per difetto di scarico essiccatoio e caldaia con esiti di cefalea e saltuarie vertigini.
Il 17.5.2007 il medico competente dott. Gatti, visitata la lavoratrice, concludeva che: “dopo intossicazione da CO presenta prove neurologiche nettamente alterate”. La relazione sanitaria del 13.7.07 così concludeva: “l’anamnesi, l’esame clinico e la documentazione acquisita non evidenziano controindicazioni sanitarie assolute allo svolgimento della mansione di addetta alla macchina stiratrice a rullo, purché vengano rispettate le limitazioni precedentemente espresse e siano consentite pause di recupero seguendo una certa discrezionalità nella scelta delle medesime da parte della paziente”.
http://www.ego-gw.it/public/about/VIR-0558A-09.pdf legge 626
In data 19.2.08 la fondazione richiedeva una ulteriore visita per accertare l’idoneità lavorativa della ricorrente. Con relazione del 23.4.2008 il medico competente, pur senza visitare la Lan, ne comunicarle l’esito, accertava l’idoneità alla mansione. Comunicandola a C S che, il giorno successivo, con lettera 24.4.2008, licenziava la ricorrente per giustificato motivo oggettivo con la seguente motivazione: “ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604/1996 siamo spiacenti doverle comunicare la risoluzione del rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo stante la inutilizzabilità della Sua prestazione per lo svolgimento di qualunque mansione nell’area non sanitaria prevista nella pianta organica della nostra struttura diversa dall’attività di “stiratrice a rullo” (attività che la vede impegnata formalmente a tempo pieno ma con effettiva prestazione lavorativa non superiore a 1-2 ore al giorno ed il cui servizio viene ora soppresso per ragioni inerenti all’attività propria dell’Ente e all’organizzazione del lavoro) a causa della inidoneità fisica espressa dal Medico di Fabbrica con relazione del 23/04/2008. Il rapporto di lavoro è da intendersi cessato in data odierna con esonero dal prestare in servizio il periodo contrattuale di preavviso che andremo a sostituire con la correlata indennità. Nei consueti termini provvederemo a mettere a Sua disposizione le competenze di fine rapporto.”
La Lan con lettera protocollata N.373 del 29\04\2008 comunicava a C S che ai sensi dell’Art. 12 comma 5 del Contratto di Lavoro 2004\2005 e dell’art. 39 del contratto di lavoro 1994\1997 di rifiutare la monetizzazione del periodo di preavviso con le indennità sostitutive, per potere richiedere l’inabilita’ alla mansione.
Il licenziamento è stato impugnato con raccomandata Ar del 28.4.2008.
Il Dirigente Medico della Medicina del Lavoro – Ospedali Riuniti di Bergamo nella sua relazione sanitaria dell’1.8.2008 così concludeva: “Si ritiene la signora Lan idonea allo svolgimento di mansioni caratterizzate da compiti che non richiedano elevato carico attentivo e di responsabilità decisionale. Sono quindi da ritenersi adeguati compiti semplici, anche in brevi sequenze ripetitive, eventualmente sotto la supervisione ed in collaborazione con altri colleghi. Appaiono controindicati invece la conduzione di mezzi, la postura fissa e protratta, i lavori in altezza e più globalmente quelle a più elevato rischio infortunistico”.
Il tentativo obbligatorio di conciliazione non diede esito positivo.
Pertanto, la sig.ra Lanf depositava al Tribunale di Bergamo – Sezione Lavoro un ricorso con il quale si evidenziava:
1. che la mansione svolta dalla lavoratrice non era stata completamente soppressa in quanto una lavoratrice (e saltuariamente una seconda) continuavano con le stesse mansioni della ricorrente;
2. che la lavoratrice poteva essere adibita ad altre mansioni;
3. che il danno subito dalla lavoratrice a seguito dell’infortunio risulta maggiore di quello indicato dall’INAIL e che la responsabilità dell’accaduto va addebitata alla datrice di lavoro, con conseguente obbligo risarcitorio.
Le conclusioni del ricorso di primo grado erano le seguenti:
“Dichiararsi nullo o comunque invalido e/o inefficace il licenziamento per giustificato motivo irrogato dalla convenuta; disporsi la reintegrazione della Lan nel posto di lavoro o, subordinatamente, disporsi la reintegrazione in mansioni di analogo livello.
Condannarsi la convenuta al pagamento di tutte le retribuzioni dovute dalla data del licenziamento alla reintegrazione effettiva. Condannarsi la convenuta al versamento, a favore degli istituti previdenziali e assicurativi, della contribuzione e assicurazione sociale.
Condannarsi la Fondazione convenuta a risarcire alla ricorrente i danni subiti a seguito di infortunio sul lavoro nella misura di € .... o in quella diversa, maggiore o minore, che emergerà in corso di causa o, in subordine, che si rimette alla equità del giudicante.
Spese ed onorari rifusi.
In via istruttoria: disporsi l’interrogatorio formale del legale rappresentante della fondazione convenuta sulle circostanze dal n. 1 al n. 15 di cui alla parte narrativa, da intendersi qui ritrascritte precedute dalla espressione “E’ vero che”.
Si indicano quali testimoni sulle stesse circostanze i signori:
1. B Maria Teresa
2. Zi Gi
3. Ma As
4. Lai L
5. Z A
6. Suor Albina superiora
7. Pei Maria Teresa
8. Pa Bo
9. Po Maa
10. Pe Ma
11. Sli A
12. Scgia S
13. Medici del Pronto Soccorso ospedale S. B di Cl che visitarono la signora Lan giorno 7.2.2007
14. Dr. Gca G
Si chiede che venga disposta C.T.U. sull’ambiente di lavoro nel quale operava la Lan nonché sulle due macchine che provocarono l’infortunio. Disporsi C.T.U. medico legale per la valutazione dei postumi.
Ordinarsi alla convenuta nonché al terzo dott. Schigia di esibire in giudizio il referto in ordine alla assistenza medica prestata alla Lani il giorno stesso dell’infortunio.
Ordinarsi alla convenuta o se del caso alla Asl e all’Inail di esibire in giudizio il verbale contenente le prescrizioni Asl ordinate alla datrice di lavoro dopo l’infortunio nonché la denuncia di infortunio trasmessa all’Inail.
Ordinarsi alla convenuta e/o al medico competente dott. Gatti di esibire in giudizio tutti gli esiti di visite ed accertamenti medici effettuati sulla Lan”.
Si costituiva la convenuta chiedendo la reiezione di entrambe le domande e la chiamata a garanzia della sua compagnia assicuratrice Reale Mutua. La Fondazione C S L onlus sosteneva, in particolare, che il licenziamento fosse legittimo in quanto conseguente ad un piano di riorganizzazione del lavoro effettivo comportante esternalizzazione della stireria, necessario e che non vi fossero possibilità di impiegare diversamente la lavoratrice presso la struttura. In ordine all’infortunio poi la convenuta contestava la ricostruzione dei fatti riferita dalla lavoratrice e sosteneva la mancanza di prova in ordine al nesso eziologico tra il fatto contestato ed i problemi di salute della ricorrente.
Disposta la chiamata e costituitasi la compagnia assicuratrice, che ribadiva le posizioni della Fondazione C S L onlus, il giudice provvedeva ad istruire testimonialmente la causa e successivamente disponeva CTU medica. Al ctu veniva devoluto il seguente quesito: “ (omissis) se l’eventuale inalazione di fumi di scarico possa essere stata causa della sintomatologia lamentata dalla ricorrente e, in caso affermativo, accerti le lesioni subite dalla ricorrente per l’infortunio occorsole, accertandone il nesso di causalità con il fatto per cui è causa, la loro evoluzione, i trattamenti praticati e lo stato attuale delle lesioni stesse….” Si chiedeva inoltre al ctu, in caso di accertamento positivo, di quantificare percentualmente il grado del pregiudizio.
La CTU dr.ssa Ostir Patrizia (medico legale INAIL) in primo grado premesso che: “ Risulta effettivamente documentata un sconnessione del tubo collettore che conduceva i gas di scarico dall’essiccatoio della lavanderia all’esterno della struttura, ma non si è in grado di comprendere da quanto ed in che quantità i fumi di scarico possano essersi riversati nell’ambiente circostante (prima dello spegnimento dell’apparecchio) e l’effettivo grado di areazione dell’ambiente stesso al momento di verificazione del “guasto”, e quando effettivamente questo guasto si sia verificato. “
All’esito delle operazioni peritali il c.t.u. affermava che “non si può escludere l’origine post traumatica del quadro depressivo, malgrado attualmente lo stesso sembra essere accentato da aspetti personologici di tipo nevrotico” sostenendo però che “dai dati clinici in nostro possesso riguardanti l’accesso nosocomiale e gli accertamenti clinici e strumentali in tale sede, non risulta di fatto documentato uno stato di intossicazione acuta da monossido di carbonio. A parere della scrivente non risulta a tutt’oggi dimostrato un rapporto causale esclusivo e diretto con l’evento occorso in data 07.02.2007 o con un supposto stato di intossicazione cronica”.
La sentenza di 1° grado.
All'esito della discussione veniva pronunciata sentenza n. 983/11 con la quale il ricorso è stato rigettato, le spese di causa compensate e le spese di CTU poste a carico della ricorrente Lan.
Detta sentenza si regge sui seguenti assunti:
1. non può ritenersi dimostrato un rapporto causale, esclusivo e diretto, tra l’evento occorso alla Lan il 7.2.2007 e i disturbi da cui la medesima è pacificamente affetta. In particolare il giudice ha ritenuto “pienamente condivisibili le considerazioni cui è pervenuto il ctu che ha ritenuto non documentato uno stato di intossicazione acuta da monossido di carbonio nè uno stato di intossicazione cronica da CO”, sostenendo che “l’unico fatto che l’ampia istruttoria consente di ritenere provato è che quella mattina il tubo di scarico dei fumi dell’essiccatoio fosse un po’ staccato”. “Oltretutto i successivi accertamenti strumentali sono risultati totalmente negativi”. Inoltre il giudice del tribunale riteneva non esistente una fuga di gas metano (in aggiunta al monossido di carbonio” in quanto il gas è fortemente odorizzato e dunque sarebbe stato percepito dalla Lan, dalle colleghe e dagli intervenuti successivamente per i soccorsi.
2. La mansione della lavoratrice è stata soppressa e la medesima, a causa delle rigorose limitazioni fisiche, non poteva essere adibita a diverse mansioni. Il giudice ha infatti sostenuto che “l’istruzione testimoniale ha confermato la riorganizzazione attuata dalla società che ha contemplato, in particolare, la soppressione del posto di lavoro della ricorrente” e che “dalla documentazione allegata non risultavano presenti mansioni vacanti, nè comunque assegnabili alla ricorrente, non in possesso di alcun titolo di studio e con le già evidenziate limitazioni fisiche”.
3. Le argomentazioni dedotte nelle note difensive conclusionali in ordine “alla applicabilità degli esuberi del personale di cui all’art. 33 D. LGS 165/01” sarebbero inammissibili in quanto mai dedotte prima. In sede di note difensive di primo grado la ricorrente aveva affermato che il licenziamento non poteva essere disposto in quanto il contratto applicato dalla Fondazione era quello dei dipendenti degli enti locali (in precedenza la fondazione era un IPAB) e che la legge regionale della Lombardia 13/2001 aveva fatto salvi gli effetti giuridici sul personale nel caso di trasformazione da IPAB a Fondazione. Per tali ragioni la Lan non poteva essere licenziata per giustificato motivo oggettivo avendo, diciamo così, uno status giuridico da dipendente pubblico.
Il giudizio avanti la Corte d’Appello.
Avverso tale sentenza proponeva tempestivo appello la sig.ra Lan rilevando:
1. Riguardo all'infortunio
E’ provato che il tubo di colore giallo adduttore del metano ad uno dei due essiccatoi era svitato e che dunque era sostanzialmente appoggiato al tubo di metallo di ingresso del gas nella caldaia-essiccatoio. Altrettanto è provato che il tubo bianco di scarico dei fumi e dei gas dell'essiccatoio era del tutto staccato, privo della fascetta stringi tubo, dalla sua sede, e cioè che i fumi e gas di scarico non venivano condotti all'esterno, ma si diffondevano all'interno del locale nel quale lavorava la Lan.
È indubbio che la signora Lan il giorno 02/07/2007 ebbe un malore mentre si trovava al lavoro nei pressi dei due essiccatoi, che entrambe le macchine erano in funzione.
Peraltro, la stessa Fondazione inoltrava denuncia all’INAIL per infortunio (in atti) del seguente letterale tenore “descrizione dell’infortunio: la dipendente riferisce di essere stata intossicata per inalazione gas. In particolare dove è avvenuto l’infortunio? In lavanderia. Che tipo di lavorazione stava svolgendo? Controllo lavatrici. Cosa è successo di imprevisto per cui è avvenuto l’infortunio? La dipendente dichiara che il tipo collettore perdeva. In conseguenza di ciò che cosa è avvenuto? La dipendente dichiara di avere inalato gas. In datore di lavoro era presente? No. Se no, ritiene che la descrizione corrisponda a verità? Si.” (doc. acquisito nel corso del primo grado di giudizio).
Altro doc acquisito in primo grado del giudizio: Cs comunica all'INAIL quanto segue: " un anello del tubo collettore che conduce i gas di scarico dell'essiccatoio della lavanderia è stato trovato, subito dopo l'avvenuta segnalazione dell'infortunio, staccato dalla sua sede e quindi l'essiccatoio che poco prima era in funzione ha sicuramente riversato una quantità imprecisata di fumi di scarico nell'ambiente.”
E’ provato che dopo due-tre ore di somministrazione di ossigeno la Lan fu trovata positiva alla carbossiemoglobina presso l’ospedale di C. La positività era bassa ma significativa considerando: che la ricorrente soffre di aritmie e di prolasso mitralico; che era decorso un lungo lasso temporale tra il fatto e la rilevazione; che erano passate le due ore (tre in realtà) di erogazione di ossigeno. L’essiccatoio non aveva l’obbligatorio libretto di manutenzione; non era dotato di cappa d’aspirazione.
Tali circostanze consentono di affermare con certezza che vi fu intossicazione da CO (monossido di carbonio) e che, secondo le curve di dimezzamento, il probabile valore di HbCO nel sangue fosse ascrivibile entro i significativi livelli di 15-20% ovvero di valori che avrebbero richiesto l'immediata somministrazione di ossigeno iperbarico presso apposito centro specializzato.
È provato che la Lan è affetta da un deficit psicofisico compatibile con sindrome post intervallare caratteristica delle intossicazioni da CO e soprattutto di quelle non precocemente e correttamente trattate con ossigeno iperbarico.
L’intossicazione è certificata dal pronto soccorso dell’ospedale di C, che procede direttamente alla segnalazione del fatto all’Inail.
E’ provato che l’Inail ha riconosciuto una invalidità del 4% a seguito dell’evento. Anzi, su tale aspetto si è conclusa una causa, previa C.T.U.. In altre parole lo stesso tribunale (e lo stesso giudice!) ha condannato l’Inail a riconoscere il punteggio per l’infortunio ma ha assolto la Fondazione affermando che l’infortunio non è provato.
Peraltro, solo dopo la sentenza di primo grado, a seguito di approfondite ricerche, la ricorrente appurava che una delle persone intervenute dopo che si sentì male ebbe immediata percezione della fuoriuscita del metano. Trattasi dell’aiuto cuoco A S che prestava servizio a tempo determinato ed era un neo assunto, per cui la Lani non lo conosceva. Il rapporto a termine del S non fu poi seguito da assunzione e dunque il S è l’’unico teste libero da vincoli di sorta. Pertanto, la ricorrente chiedeva alla Corte d’Appello di disporre la testimonianza del sig. S ai sensi dell’art. 437 c.p.c. essendo indispensabile per la decisione della causa.
La ricorrente contestava poi la C.T.U. svolta in primo grado, affidata ad un medico non specialista.
Sul punto la ricorrente evidenziava in particolare che toccava a controparte provare, dato che l’inadempimento del datore di lavoro (tubo di scarico scollegato, mancanza della coppa di aspirazione, mancanza dei libretti di manutenzione delle caldaie etc.) era stato ampiamente dimostrato, che le conseguenze (sindrome post intervallare) non fossero riconducibili all’evento per cui è causa. In sostanza sussistendo presunzione juris tantum di responsabilità, l’incarico al C.T.U. non doveva riguardare il nesso eziologico tra il fatto e lo stato di salute attuale della ricorrente ma solo la quantificazione del danno.
2. Riguardo al licenziamento.
La ricorrente evidenziava:
-che era stata addetta al servizio a stiratrice al rullo solo al rientro dall’infortunio, pur sapendo che tale mansione sarebbe stata abolita.
- che la riorganizzazione ha comportato l’esternalizzazione parziale del servizio lavanderia, tanto che tutt’ora vi è addetta la dipendente B coadiuvata dalla P, dipendente (ora) di una cooperativa. Il datore di lavoro avrebbe dunque dovuto dare atto dei motivi della scelta, cioè spiegare perché il licenziamento ha riguardato la Lan e non altro soggetto.
Riguardo alla applicabilità dell’art. 33 D. LGS 165/01, è vero ciò che afferma il giudice di primo grado, ovvero che la questione è stata sollevata solo nel contesto delle note difensive conclusionali e nella discussione. Ciò, però, non esimeva il giudicante dall’applicare la normativa vigente secondo il principio jura novit curia. In effetti la legge della R. Lombardia 13/2003 (art. 3) che regola la trasformazione degli IPAB in Fondazioni (o in A.S.P.) ha stabilito che: “… il personale conserva la posizione giuridica , nonché i trattamenti economici fondamentali ed accessori in godimento, compresa l’anzianità maturata”. La Fondazione applicava il CCNL dei dipendenti enti locali. La Lan, dunque, doveva godere del trattamento riservato ai dipendenti pubblici e non poteva essere licenziata per giustificato motivo oggettivo.
Le conclusioni del ricorso in appello erano le seguenti: “In tale riforma della sentenza appellata (Trib. Bergamo Sez. Lavoro n. 983/11 del 10.11.11 causa 1305/09 r.g.)
Dichiararsi nullo o comunque invalido e/o inefficace il licenziamento per giustificato motivo irrogato dalla convenuta; disporsi la reintegrazione della Lan nel posto di lavoro o, subordinatamente, disporsi la reintegrazione in mansioni di analogo livello. Condannarsi la convenuta al pagamento di tutte le retribuzioni dovute dalla data di licenziamento alla reintegrazione effettiva. Condannarsi la convenuta al versamento, a favore degli istituti previdenziali e assicurativi, della contribuzione e assicurazione sociale.
Condannarsi la Fondazione convenuta a risarcire alla ricorrente i danni subiti a seguito di infortunio sul lavoro nella misura di € ….o in quella diversa, maggiore o minore, che emergerà in corso di causa o, in subordine, che si rimette alla equità del giudicante.
Spese ed onorari di entrambi i gradi di giudizio rifusi.
In via istruttoria:
Si domanda che ex art. 437/2 c.p.c. venga ammessa la testimonianza del sig. A Si sui capitoli di cui al ricorso di primo grado e in particolare sul seguente: “vero che quando la Lan si sentì male il 7.2.07 nel locale lavanderia ove la lavoratrice si trovava si avvertiva un forte odore di gas”. Sempre ex art. 437 si chiede che venga acquisita la dichiarazione autografa del S riportata nel testo di questo ricorso d’appello. Si ribadiscono le richieste istruttorie già formulate nelle conclusioni del ricorso di primo grado da intendersi qui trascritte. Si chiede che venga disposta C.T.U. ambientale per la verifica degli impianti e del luogo di lavoro;
Si chiede altresì nuova consulenza medico legale da affidarsi a medico specialista in tossicologia o addetto a camera iperbarica, con facoltà di avvalersi dell’opera di uno psichiatra per valutare l’entità del danno psichico subito dalla appellante.
La difesa Fondazione C S L onlus concludeva chiedendo il rigetto del ricorso d’appello e di tutte le domande ivi formulate, con conferma della sentenza di 1° grado nonché in via incidentale condannarsi la compagnia assicuratrice Società Reale Mutua di Assicurazioni a manlevare e tenere indenne la medesima Fondazione da ogni pretesa e domanda di Lan. In particolare, la convenuta, oltre a ribadire le posizioni esposte in primo grado, affermava che “sono false tutte le affermazioni dell’appellante tese ad acclarare un malfunzionamento dell’impianto, una fuoriuscita di gas metano o di fumi di scarico e in particolare è falso che le prove dei fumi eseguite successivamente rendessero valori totalmente alterati rispetto al normale funzionamento”; inoltre controparte sosteneva che “tutti gli elementi sopra illustrati, in particolar modo l’inammissibilità delle allegazioni e dei mezzi di prova nuovi, confermano la pretestuosità dell’appello”.
La Società Reale Mutua di Assicurazioni concludeva chiedendo il rigetto del ricorso d’appello e di tutte le domande ivi formulate, con conferma della sentenza di 1° grado. In particolare la Società Reale Mutua di Assicurazioni affermava che “in nessun caso, ovviamente, potrà essere chiamata a rispondere per le eventuali richieste relative alle domande di parte ricorrente in ordine alla pretesa illegittimità del licenziamento” e che, in ordine all’infortunio “tutte le risultanze istruttorie acquisite nel corso del primo grado di giudizio depongono in assoluta coerenza tra loro nel senso di affermare pacificamente la mancanza di nesso eziologico tre i disturbi lamentati dalla ricorrente e l’evento del 07.02.07”.
***
Il giudizio d’appello
Nel corso del processo di appello la Corte territoriale disponeva nuova CTU finalizzata:
- a determinare, considerato un valore di 3,7 COHb dopo due ore circa di ossigeno terapia normobarica, quale possa essere stato il probabile valore di COHb prima della suddetta terapia;
- ad accertare se i postumi lamentati dalla lavoratrice successivamente all’evento possano dirsi causati dal valore di COHb così determinato. Venne incaricato il prof. Moretto autorizzato ad avvalersi di uno psichiatra per quanto di competenza.
Il prof. Moretto, quindi, depositava la propria consulenza a mezzo della quale affermava che “L’esame emogasananitico è stato eseguito in aria ambiente e da questo si rileva: Saturazione dell’emoglobina e pO2 nella norma, pCO2 ridotta, COHb 3.7%. Il dato della pCO2 e della prima rilevazione di PAO e FC elevati, possono far pensare ad uno stato di Agitazione con moderata iperventilazione. Il valore di COHb riscontrato è compatibile con la condizione di fumatrice della sig.ra Lan, ed è di poco superiore ai valori che si riscontrano nei non fumatori. Peraltro non sappiamo quando, prima dell’esame enogasanalitico, la signora ha fumato l’ultima sigaretta. All’esame successivo, circa 24 ore dopo, durante le quali ha certamente eseguito O2 terapia, il livello era di 1.6% entro i livelli che si osservano nei non fumatori. La domanda allora da fare è se questa riduzione osservata nei livelli di COHb rappresenti unicamente l’eliminazione dell’eccesso di COHb in una fumatrice che si è astenuta dal fumo per circa 24 ore durante le quali apparentemente è stata sottoposta con continuità a ossigenoterapia 2 (o3) Lt/min, ovvero sia indicativa di un trend in discesa della concentrazione, in seguiti ad esposizione eccessiva di tipo ambientale e che quindi permetterebbe una estrapolazione verso valori più elevati intorno alle ore 9 (verosimilmente termine della ipotizzata esposizione) rispetto alle ore 13 del 7/2/2007. Una prima semplice risposta potrebbe essere che essendo la sig.ra fumatrice, 3.7% COHb rientra nei valori di base dei fumatori. Il valore più basso (1.6%) riscontrato 24 ore dopo è compatibile con il fatto che la sig.ra non ha fumato per oltre 24 ore. Infatti 24 ore rappresentano almeno 4 emivite di eliminazione di COHb in assenza di ossigenoterapia. Si noti che 4 emivite corrispondono ad una eliminazione del 94% e quindi è ragionevole ritenere in queste condizioni la percentuale di COHb sia scesa a livelli essenzialmente basali. Questi dati, benchè suggestivi, non sono totalmente convincenti sul fatto che la COHb della sig.ra Lan fosse nei limiti dei valori per fumatori anche al mattino del 7/2/2007 alle ore 9. Supponiamo ora che 4.6% sia il valore di base della sig.ra Lan e che quindi 2.1% (3.7-1.6=2.1) sia il valore in eccesso alle ore 13.08 del 7/2/2007. Questo valore in eccesso potrebbe essere utilizzato per calcolare a ritroso una eventuale concentrazione 4 ore prima ovvero alle ore 9 quando è cessata l’ipotizzata esposizione. Durante questo periodo, la sig.ra Lan è stata sottoposta a ossigenoterapia con cannula nasale per 1.5/2.5 ore: si noti che si tratta di cannula nasale, in varie SIT riferita come mal sopportata, e quindi mal eseguita, dalla sig.ra Lan. Non si tratta quindi della ossigenoterapia con ossigeno 100% normobarico con maschera o intubazione endotracheale che secondo la letteratura riduce da 300-360 a 70-80 minuti l’emivita della COHb. Pertanto potrebbe essere ipotizzata una emivita intermedia di 200 minuti (2 ore senza O2 terapia, 2 ore con O2 terapia non ottimale),. Sulla base di questa ipotesi potrebbe essere stimato un valore COHb alle ore 9 di 5-6% ancora compatibile con lo status di fumatrice se la sig.ra Lani avesse fumato quella mattina; su questo non abbiamo informazioni attendibili. Il quadro sintomatologico lamentato dalla Lan, pure compatibile con intossicazione da CO, non è però specifico, per cui sui base clinica non è possibile concludere positivamente per avvenuta intossicazione. Come si vede i dati clinici disponibili non sono conclusivi nell’affermare o nell’escludere una avvenuta eccessiva esposizione a CO”.
***
La sentenza d’appello.
Con la sentenza oggi impugnata, la Corte territoriale respingeva l’appello.
Relativamente alla domanda di risarcimento danni derivati dall’episodio del 7 febbraio 2007 la Corte faceva proprie le conclusioni alle quali era giunto il c.t.u. ossia che “non si ritiene che quanto lamentato dalla paziente possa essere riferibile ad intossicazione da CO, che verosimilmente non è avvenuta. In ogni caso, anche nell’ipotesi che ci sia stata un’esposizione eccessiva, i valori estrapolati non sono così elevati da configurare un quadro di intossicazione tale da portare alla sintomatologia lamentata, dopo l’episodio e attualmente, dalla sig.ra Lan. Infatti, il valore estrapolato di 5-6 % è compatibile con livelli osservabili in fumatori e quindi potrebbero essere stati sperimentati in precedenza dalla sig.ra Lan” ed anche che “il quadro sintomatologico lamentato dalla sig.ra Lan, pur compatibile con intossicazione da CO, non è però specifico, per cui su base clinica non è possibile concludere positivamente dell’avvenuta intossicazione, tenuto anche conto che la lavoratrice aveva lamentato anche in precedenza episodi di lipotimia e che al momento del fatto era in fase mestruale, cosa che può giustificare la cefalea”.
In relazione all’impugnazione del licenziamento la Corte riteneva l’appello infondato affermando che “la soppressione del servizio lavanderia è realmente avvenuta in conseguenza della esternalizzazione. Nessun nuovo motivo è stato dedotto in giudizio. Non trova alcun riscontro processuale l’affermazione della difesa appellante secondo cui il servizio lavanderia sarebbe comunque rimasto attivo e ad esso continuerebbero ad essere adibite una o due lavoratrici. Il complesso delle risultanze probatorie è stato correttamente valutato dal Tribunale che ha ritenuto effettiva e dettata da reali esigenze di carattere organizzativo – imprenditoriale la soppressione del servizio cui era addetta la Lan. In ordine all’impossibilità di reimpiego la censura è del tutto generica e neppure indica quale posto libero la lavoratrice avrebbe potuto ricoprire. L’asserita illegittimità della dispensa del preavviso e all’applicabilità alla fattispecie della norma di cui all’art. 33 d. lvo 165/01 in tema di eccedenze di personale e mobilità collettiva svolte nelle note difensive in sede di discussione non possono essere esaminate. Si tratta infatti di questioni che presuppongono la proposizione di domande nuove”.
Leggi infrante diritto calpestato
1. Omessa ed insufficiente motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. (mero recepimento della c.t.u.)
La sentenza della Corte territoriale risulta illogica e/o insufficiente in quanto si limita a fare proprie le risultanze di una c.t.u. assolutamente lacunosa ed incoerente senza fornire alcuna motivazione in ordine al giudizio di attendibilità che la stessa Corte ha dato sulla suddetta consulenza tecnica.
In particolare, l’incoerenza e la lacunosità della c.t.u. appaiono palesi sotto molteplici aspetti.
1) a pag. 15 della c.t.u. il prof. Moretto, c.t.u. in secondo grado, afferma “essendo la sig.ra fumatrice, 3.7% COHb rientra nei valori di base dei fumatori. Il valore più basso (1.6%) riscontrato 24 ore dopo è compatibile con il fatto che la sig.ra non ha fumato per oltre 24 ore. Infatti 24 ore rappresentano almeno 4 emivite di eliminazione di COHb in assenza di ossigenoterapia. Si noti che 4 emivite corrispondono ad una eliminazione del 94%”. Ebbene, se il valore di COHb riscontrato dopo 24 ore è pari al 1.6% e, come sostenuto dal prof. Moretto, in 24 ore viene eliminato il 94% di COHb, è pacifico che il valore di partenza non potrebbe essere di 3.7% (come è stato accertato in ospedale) ma avrebbe dovuto essere di 26.6% (1.6*100/6);
Un livello di base di 0.4% di COHb risulta dalla produzione di CO nel corpo umano; per fumatori è normale un livello di COHb nel sangue superiore al 5% (6% per 20 sigarette /giorno; 8% circa per 40 sigarette/giorno). Facoltà di Ingegneria – Università degli Studi di Siena Laurea Magistrale in “Ingegneria Gestionale” Ed è testimoniato che quella mattina la Lan non aveva fumato perché stava smettendo di fumare e dalla cartella clinica risulta che ne fumava circa sette e non 20.
Dimentica che anche il basale si dimezza, che quella mattina non aveva fumato, che era stato dichiarato al momento del ricovero che fumava circa 7 sigarette die. Dimentica del CO disciolto e non rilevato dall'esame ematico.
2) la c.t.u. non tiene assolutamente in considerazione la diagnosi di aritmia della ricorrente, circostanza che al contrario influenza enormemente le risultanze mediche, anche alla luce di quanto affermato nel rapporto ISTISAN 04/23 dell’Istituto Superiore di Sanità (http://www.iss.it/binary/publ/publi/0423.1106231369.pdf) ove si evidenzia che anche a basse concentrazioni ambientali di CO, nei soggetti con precedente diagnosi di aritmia e o cardiopatie, si ha l’inibizione del citocromo a3 a livello mitocondrale che blocca la catena respiratoria a livello tessutale generando il danno identificato come sindrome post intervallare;
il CT di parte ricorrente osservava il dato di “acidosi metabolica” rilevando che questo avrebbe avvalorato la tesi di intossicazione da monossido di grado severo. Di contro il CTU, non solo non inquadrava detto dato come dato clinico in persona con prolasso mitralico intossicata, ma inoltre ometteva di fornire qualsiasi spiegazione in merito alla contestazione avanzata dal CTP;
il C.T.U. sostiene che “dalla ricostruzione dell’evento sulla base delle varie SIT (ovviamente raccolte in sede penale ndr) è possibile dedurre che molte persone sono rimaste presenti nel luogo ove dovrebbe essere avvenuta la presunta intossicazione e nessuno ha lamentato alcun disturbo nè quel giorno nè nei giorni precedenti”. In realtà dalle SIT risulta evidente la circostanza per la quale nessuno è rimasto sul luogo dell’infortunio tanto tempo quanto vi è rimasta la ricorrente. Infatti, una collega giungeva alle ore 8 e l’altra si recava presso i reparti allontanandosi per lunghi periodi di tempo dalla stanza in cui si trovava la ricorrente. Peraltro, non appena la ricorrente si sentiva male l’impianto veniva spento e il tubo di scarico dell’asciugatrice veniva ricollegato correttamente.
Dette circostanze sono state affermate nell’ambito dell’istruzione probatoria “il mio turno andava dalle 8 alle 12” “la B fa su è giù tra i reparti” “l’impianto grande quando la ricorrente mi ha fatto notare che c’era fuori il tubo l’ho spento” (teste Pi) “io ero arrivata alle 5.30 ... verso le 8 quando sono scesa a riportare la roba da lavare la Pi mi ha detto che la ricorrente si era sentita male” (teste B);
relativamente all’ambiente di lavoro il CTU affermava la presenza di CO nei fumi di combustione in uscita di 2 – 11 ppm sulla base del controllo di combustione eseguito il 21.02.2007 sui fumi in uscita dall’essiccatoio mentre dalla stessa misurazione, agli atti, si evince chiaramente che il valore dei ppm è 218.000 (218%) a fronte di un limite previsto per ambienti interni Media massima giornaliera su 8 ore: 10 mg/m3 (DM 60/2002) e nei fumi di scarico di 1000 ppm ( la norma tecnica UNI10389 indica un valore massimo della concentrazione di CO, che può essere scaricato in atmosfera dai camini degli impianti di riscaldamento. Detta norma precisa che il valore della concentrazione limite di CO ( pari a 1000 ppm 0,1% v|v) deve essere riferito alle condizioni di prodotti della combustione secchi e senza aria. ) come dal documento acquisito nel primo grado di giudizio e di seguito riprodotto:
3)
4) Da notare che “ il ruolo clinico della determinazione della COHb è semplicemente di determinare che vi è stata una esposizione a CO: essa non può essere usata per quantificare la gravità dell’avvelenamento.”
ISSN 1080-3521 EDUCATIONAL SYNOPSES IN ANESTHESIOLOGY and CRITICAL CARE MEDICINE – Italia Il giornale on line di anestesia Vol.6 No 4 aprile 2001 Keith J Ruskin, MD Departmenth of anestesiology Yale University School of Medicine 333 Cedar Street, New Haven, CT 06520 USA.
http://anestit.unipa.it/esiait/0401fram.htm
http://147.163.1.68/anestit/esiait/esit0104.tx
il CTU sostiene che il 21.02.2007 le EEG effettuate sulla ricorrente fossero nei limiti della norma, dimenticando però che le conseguenze da intossicazione (come dallo stesso precedentemente affermato) possono comparire anche mesi dopo la stessa. La consulenza, nella parte psichiatrica (psichiatra dott. Garbarini e psicologa dott.ssa Zugno) ritengono invece che la lavoratrice deve ritenersi affetta: (omssis). La severità del quadro clinico attuale appare superiore rispetto a quella prevista da un disturbo dell’adattamento con umore depresso o da un disturbo distimico: gli accertamenti svolti hanno infatti evidenziato la presenza …... Detto dei disturbi della periziata, il quadro clinico in esame può essere compatibile con l’ipotesi eziologica di una intossicazione da monossido di carbonio la cui conferma tuttavia necessita di riscontri obiettivi di pertinenza medico-legale. La dinamica degli eventi mostra infatti l’esistenza di un legame temporale (criterio cronologico) con il presupposto evento lesivo e lo sviluppo dei sintomi, le alterazioni cognitive e del timismo (depressione e labilità emotiva;Weaver 2009) secondarie all’avvelenamento da detta sostanza potendo insorgere anche a distanza di otto mesi dall’evento, a configurare la cosiddetta sindrome neurologica ritardata o sindrome post intervallare (Vezzani 2007, Min 1986, Choi 1984). La signora Lan inoltre non è un soggetto con una storia personale o familiare positiva per la presenza di disturbi dell’umore, circostanza che rende scarsamente probabile l’esistenza in lei di una vulnerabilità costituzionale allo sviluppo di tali patologie avvalorando l’ipotesi di un possibile fattore causale di tipo ambientale, ne esistono obiettivabili testimonianze pre-morbose della preesistenza di un disturbo della personalità. Le alterazioni cognitive osservate, infine, appaiono di maggiore entità rispetto a quelle solitamente presente nei quadri di alterazione dell’affettività e sono accomunabili a quelle più frequentemente riscontrate nei quadri di intossicazione da monossido (omissis). Il quadro clinico in esame deve essere considerato ormai cronico, considerata la persistenza dei sintomi a distanza di circa cinque anni dalla loro comparsa, nonostante trattamenti intrapresi, congrui per posologia e principio attivo. Qualora venisse confermata in sede medico-legale la natura esogena da intossicazione delle condizioni della perizia, queste configurerebbero un danno biologico di natura psichica permanente valutabile nell’ordine del 16-18%....”
Alla luce di tutto quanto appena esposto appare evidente l’incoerenza e l’illogicità della CTU. Del prof. Moretto. Che andrebbe denunciato.
Peraltro, si evidenzia che “E’ affetta da vizio di motivazione la sentenza con la quale il giudice di merito a fronte di precise e circostanziate critiche mosse dal consulente tecnico di parte alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, non le abbia in alcun modo prese in considerazione e si sia invece limitato a far proprie le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, giacché il potere di detto giudice di apprezzare il fatto non equivale ad affermare che egli possa farlo immotivatamente e non lo esime in presenza delle riferite contestazioni, dalla spiegazione delle ragioni – tra le quali evidentemente non si annovera il maggior credito che egli eventualmente tenda a conferire al consulente d’ufficio quale proprio ausiliare – per le quali sia addivenuto ad una conclusione anzichè ad un’altra incorrendo altrimenti proprio nel vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia” (Cass. Civ. sez. III 01.03.2007 n. 4749; conformi, Cass. civ. sez. III sent. 24.04.2008 n. 10688, Cass. Civ. Sez. III sent. 09.06.2011 n. 12686).
E’ evidente come nel caso de quo la Corte si sia limitata a riportare pedissequamente passaggi estrapolati dalla relazione peritale, senza fornire alcuna motivazione in ordine alla propria determinazione di fare proprie le conclusioni del CTU non tenendo in alcuna considerazione le contestazioni avanzate dal CT di parte resistente. Inoltre non sono state considerate le conclusioni della CTU psichiatrica, che invece sono molto indicative.
E’ quindi palese, anche alla luce della documentazione prodotta, non solo la carenza di motivazione della sentenza in oggetto, ma altresì la devianza della CTU dalle nozioni correnti della scienza medica.
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2. Violazione di legge art. 437 comma 2 e mancata o insufficiente motivazione sui punti decisivi della controversia
Con atto di appello la ricorrente ha formulato istanza ex art. 437 comma 2 cpc affinché venisse disposta l’escussione di un nuovo teste, tale SA, intervenuto sul luogo dell’infortunio.
L’escussione di detto teste veniva richiesta solamente in secondo grado in quanto precedentemente la ricorrente non ne conosceva l’identità, atteso che il S era un neo assunto che prestava servizio a tempo determinato quale aiuto cuoco. Quando la Lan ritornò al lavoro dopo la malattia il S aveva terminato il contratto, e dunque la ricorrente non aveva cognizione della sua esistenza e tanto meno della sua presenza sul luogo dell’infortunio.
Poichè il rapporto di lavoro tra il S e la resistente non è proseguito, appare evidente che la testimonianza di questi sarebbe stata l’unica vera testimonianza terza ed imparziale; infatti, le testimonianze rese dagli attuali dipendenti della resistente risultano assolutamente non credibili.
Il S, difatti, rilasciava, a richiesta della ricorrente, una dichiarazione scritta del seguente testuale tenore: “Io sottoscritto, AS, in quanto ex dipendente della c S di L e presente al fatto accaduto il 7 febbraio 2007, dichiaro di aver avvertito un forte odore di metano e, se pur vagamente, di ricordare che il tubo riparato fosse chiaramente staccato in quanto, se non fosse stato tale, il signor Z A e me stesso, cuoco e aiuto cuoco della cucina, non saremmo stati chiamati per ripararlo. Carta identità n.
E’ quindi evidente come sussistesse la necessità di integrare il quadro probatorio delineato dalla parte ricorrente con una testimonianza terza ed imparziale.
Ebbene, la Corte territoriale, non solo non ammetteva l’istanza formulata dalla ricorrente, ma altresì ometteva di fornire in sentenza qualsiasi motivazione in ordine a detto diniego.
Sul punto si sottolinea che il sistema di preclusioni all’ammissione tardiva delle prove trova un contemperamento – ispirato alla esigenza della ricerca della “verità materiale”, cui è doverosamente finalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento – nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del citato art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, poteri, peraltro, da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse (sentenza delle Sezioni unite 20 aprile 2005 n. 8202).
Pertanto, il Giudice che abbia ritenuto di non esercitare tale potere, avrebbe evidentemente dovuto darne adeguata motivazione in sentenza.
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3. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti
La Corte territoriale ha completamente omesso di esaminare la circostanza per la quale l’infortunio in oggetto veniva denunciato all’Inail come tale dallo stesso datore di lavoro (vedi supra).
Le dichiarazioni rese dal datore di lavoro nel verbale di
denuncia di un infortunio, infatti, possono avere natura confessoria e,
in particolare, possono essere usate contro di lui per affermarne la
responsabilità in merito alla produzione del danno subito da un lavoratore
(Corte di cassazione, con la sentenza n. 8611 del 6 febbraio 2013).
Riguardo gli infortuni sul lavoro l'onere della prova grava parzialmente sul
lavoratore, considerata la natura contrattuale della responsabilità del datore
di lavoro in materia di sicurezza; quindi, l'infortunio, la sua entità e il
nesso di causalità con l'attività lavorativa devono essere provati dal
dipendente.
La prova, tuttavia, secondo i principi generali, può essere ricavata anche da una confessione del datore di lavoro; su questo punto la Suprema Corte, con la sentenza n. 8611 del 6 febbraio 2013, ha sostenuto che la confessione può essere ricavata anche dalla denuncia di infortunio presentata all'Inail al momento del sinistro.
La Suprema Corte ha infatti rilevato che, ai fini della valenza confessoria di una dichiarazione, è sufficiente che il dichiarante abbia piena conoscenza e consapevolezza dei contenuti di quello che afferma; non è, invece, necessario che siano conosciuti (e voluti) anche i potenziali effetti sfavorevoli di quello che si dichiara.
Il fatto che la dichiarazione sia breve e succinta, inoltre, non fa venire meno il carattere confessorio della dichiarazione: una prova può avere una minore o maggiore estensione, senza che l'eccessiva brevità possa far venir meno la sua rilevanza.
Nella fattispecie il datore di lavoro comunica all’INAIL : “un anello del tubo collettore che conduce i gas di scarico dell'essiccatoio della lavanderia è stato trovato, subito dopo l'avvenuta segnalazione dell'infortunio, staccato dalla sua sede e quindi l'essiccatoio che poco prima era in funzione ha sicuramente riversato una quantità imprecisata di fumi di scarico nell'ambiente”, allegava la prova dei fumi, ( Documenti allegato ) che riconosceva l’infortunio di intossicazione da monossido e quantificava il danno al 4%. e questo scritto precedentemente:
Peraltro, la stessa Fondazione inoltrava denuncia all’INAIL per infortunio (in atti) del seguente letterale tenore “descrizione dell’infortunio: la dipendente riferisce di essere stata intossicata per inalazione gas. In particolare dove è avvenuto l’infortunio? In lavanderia. Che tipo di lavorazione stava svolgendo? Controllo lavatrici. Cosa è successo di imprevisto per cui è avvenuto l’infortunio? La dipendente dichiara che il tipo collettore perdeva. In conseguenza di ciò che cosa è avvenuto? La dipendente dichiara di avere inalato gas. In datore di lavoro era presente? No. Se no, ritiene che la descrizione corrisponda a verità? Si.” (doc. acquisito nel corso del primo grado di giudizio).
Pertanto, il giudicante avrebbe dovuto valutare quale prova dell’infortunio la suddetta denuncia, con conseguente inversione dell’onere della prova in capo a parte resistente.
Si noti, tra l’altro, che lo stesso Tribunale di Bergamo (stesso giudice dott.ssa Bertoncini) ha condannato INAIL a riconoscere un punteggio per infortunio alla Lan!
La sentenza è passata in giudicato.
http://www.ispesl.it/documenti/statuto.asp
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4. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 113 c.p.c., art. 33 d.lvo 165/01 e art. 3 L.R. Lombardia 1/2003)
La Corte territoriale sostiene di non poter applicare alla fattispecie in oggetto le norme di cui all’art. 33 d.lvo 165/01 in tema di eccedenze di personale e mobilità collettiva in quanto si tratterebbe di “questioni che presuppongono la proposizione di domande nuove”.
Per la stessa ragione afferma che non si può esaminare la dedotta violazione dell’art. 3 L.R. Lombardia 1/2003 che, relativamente alla trasformazione degli ex IPAB (a carattere pubblico) in fondazioni, come tali per antonomasia di diritto privato recita:
“1 . Le IPAB sono tenute a trasformarsi, entro il 30 settembre 2003, in ASP ovvero in persone giuridiche di diritto privato senza scopo di lucro nel rispetto delle tavole di fondazione e della volontà dei fondatori.
2 . Le IPAB che intendono trasformarsi in persone giuridiche di diritto privato senza scopo di lucro presentano istanza di trasformazione alla giunta regionale, dandone contemporanea comunicazione all'azienda sanitaria locale (ASL) territorialmente competente ed al comune in cui l'ente ha sede legale. Entro trenta giorni dall'acquisizione della comunicazione, il comune deve esprimere motivato parere in merito alla privatizzazione anche in riferimento ai requisiti di cui all'art. 4, comma 2. Nel caso in cui il parere del comune sia contrario alla trasformazione in persona giuridica di diritto privato senza scopo di lucro, la competente direzione generale della giunta regionale convoca un'apposita conferenza interistituzionale tra la Regione, il comune e l'IPAB interessata, per l'assunzione, entro trenta giorni dalla convocazione, della determinazione definitiva in merito alla trasformazione; la determinazione finale della conferenza è assunta con deliberazione della giunta regionale. L'entità del requisito patrimoniale previsto dalla normativa vigente per il riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato è ridotta alla metà.
3 . Alle revisioni statutarie ed ai patrimoni delle IPAB che si trasformano in persone giuridiche di diritto privato senza scopo di lucro si applicano le disposizioni di cui agli articoli 17 e 18 del decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207 (Riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, a norma dell'art. 10 della legge 8 novembre 2000, n. 328).
4 . Le IPAB che intendono trasformarsi in ASP deliberano, unitamente alla determinazione di conservare la personalità giuridica di diritto pubblico, l'adeguamento dello statuto alle disposizioni del titolo II della presente legge. La predetta deliberazione ed il nuovo statuto sono trasmessi alla competente direzione generale della giunta regionale per gli adempimenti previsti dall'art. 7, comma 3.
5 . Gli enti riordinati in persone giuridiche private senza scopo di lucro o in ASP a norma della presente legge subentrano in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo alle IPAB da cui derivano.
6 . La trasformazione delle IPAB in persone giuridiche di diritto privato senza scopo di lucro o in ASP, così come la fusione di IPAB di cui all'art. 5, non costituiscono causa di risoluzione del rapporto di lavoro con il personale che, alla data di adozione degli atti di trasformazione o di fusione, abbia in corso un rapporto di lavoro; eventuali contratti di lavoro a termine sono mantenuti fino alla scadenza. Il personale conserva la posizione giuridica, nonché i trattamenti economici fondamentali ed accessori in godimento, compreso l'anzianità maturata. Agli enti riordinati in persone giuridiche di diritto privato senza scopo di lucro si applicano le disposizioni dell'art. 4, comma 2, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338 "Disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati", convertito dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389.
7 . Agli atti di riordino delle IPAB si applica quanto previsto dall'art. 4, comma 4, del decreto legislativo n. 207/2001”.
Ebbene, in tema di vizio di ultra o extrapetizione costituisce principio pacifico (ex plurimis: Cass., n. 12471/2001; Cass., n. 18236/2002) che esso ricorre soltanto quando il giudice abbia pronunciato oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all'oggetto del giudizio e non rilevabili d'ufficio, attribuendo ad una di esse un bene della vita non richiesto (o diverso da quello domandato), mentre spetta al giudice di merito il compito di definire e qualificare, entro detti limiti, la domanda proposta dalla parte.
Tale compito appartiene non soltanto al giudice di primo
grado, ma anche a quello d'appello, che resta a sua volta libero di attribuire
al rapporto controverso una qualificazione giuridica difforme da quella data in
prime cure con riferimento all'individuazione della causa petendi,
dovendosi riconoscere a detto giudice il potere-dovere di definire l'esatta
natura del rapporto dedotto in giudizio onde precisarne il contenuto e gli
effetti in relazione alle norme applicabili, con il solo limite di non
esorbitare dalle richieste delle parti e di non introdurre nuovi elementi di
fatto nell'ambito delle questioni sottoposte al suo esame (Corte di cassazione
civile
sentenza 23618/04 del 20/12/2004).
E’ quindi evidente che, essendo la domanda del ricorso presentato da parte ricorrente “Dichiararsi nullo o comunque invalido e/o inefficace il licenziamento per giustificato motivo irrogato dalla convenuta”, la Corte d’Appello avrebbe potuto-dovuto applicare la norma di cui all’art. 33 d.lvo 165/01 senza che ciò comportasse un extrapetitum rispetto alla domanda proposta.
La Lan, pacificamente, era dipendente di un IPAB trasformatosi in fondazione come previsto dalla L.R. Lombardia 1/2003. Poichè costei, ai sensi della norma citata, conservava il precedente status giuridico con applicazione del CCNL dipendenti enti locali, non poteva essere licenziata, se non con le procedure ed i limiti di cui all’art. 33 d. lgs. 165/01.