R E P U B B L I C A I T A L I A N A
I N N O M E D E L P O P O L O I T A L I A N O
La Corte d’Appello di Brescia, Sezione Lavoro, composta dai
Sigg.:
Dott. Antonella NUOVO Presidente Dott. Antonio MATANO Consigliere rel. Dott.
Giuseppina FINAZZI Consigliere
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile promossa in grado d’appello con ricorso depositato in
Cancelleria il giorno 20/02/2012 iscritta al n. 72/2012 R.G. Sezione Lavoro e
posta in discussione all’udienza collegiale del
07/11/2013
d a
LAN, rappresentata e difesa dall’Avv.to Roberto TRUSSARDI di Bergamo e
dall’Avv.to Luigi FERRI di Brescia, domiciliatario giusta delega a margine del
ricorso in appello.
RICORRENTE APPELLANTE
Sent. N. 503/13
R. Gen. N. 72/2012
OGGETTO: Risarcimento danni da
infortunio.
c o n t r o
FONDAZIONE C S ONLUS, in persona del legale Rappresentante p.t., rappresentata e
difesa dall’Avv.to Mario FRANCHINA di Bergamo e dall’Avv.to Rinaldo FRAU di
Brescia, quest’ultimo domiciliatario giusta delega a margine della memoria.
RESISTENTE APPELLATA SOCIETA’ REALE MUTUA DI ASSICURAZIONI SPA, in
persona del legale Rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv.to
Giorgio SEGNANA di Bergamo domiciliatario giusta delega agli atti.
RESISTENTE APPELLATA
In punto: appello a sentenza n. 983/11 del 10/11/11 del Tribunale di Bergamo.
Conclusioni:
Del ricorrente appellante: Come da ricorso
Del resistente appellato: Come da memoria
Fatto e Diritto
Con la sentenza appellata il Tribunale di Bergamo ha respinto il ricorso con cui
Lan aveva chiesto la condanna di Fondazione C S di L (ente che gestisce una casa
di riposo) al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di un infortunio sul
lavoro occorso il 7.2.2007, nonché l’accertamento della illegittimità del
licenziamento intimato il 24.4.2008 per giustificato motivo oggettivo, con
reintegrazione nel posto di lavoro e condanna della Fondazione al risarcimento
del danno ai sensi dell’art. 18 Stat. lav.
Premesso che, secondo quanto riportato in ricorso, l’infortunio si era
verificato per una perdita di gas dal tubo di scarico dell’essiccatoio,
allorquando la lavoratrice, addetta a mansioni di stiratrice a rullo, si era
sentita male, il Tribunale, sulla base dell’istruttoria testimoniale e di una
c.t.u. medico – legale, concludeva che non era stato dimostrato il nesso causale
tra l’evento e i successivi disturbi lamentati dalla lavoratrice (cefalea,
disturbi dell’equilibrio, disorientamento, ............................).
Con riferimento al licenziamento, il Tribunale riteneva giustificato il recesso
in ragione della esternalizzazione del servizio di lavanderia e
dell’impossibilità di reimpiego in altre mansioni, anche a causa delle
limitazioni fisiche certificate dal medico di fabbrica.
Con l’atto di appello la lavoratrice, deducendo l’erroneità della sentenza, ha
chiesto l’accoglimento delle domande formulate in primo grado.
La Fondazione si è costituita chiedendo il rigetto dell’appello e con appello
incidentale condizionato ha chiesto, per il caso di condanna, la manleva nei
confronti di Società Reale Mutua di Assicurazioni.
Quest’ultima si è costituita chiedendo la conferma della sentenza appellata.
***
Domanda di risarcimento danni da infortunio sul lavoro
Il fatto si è verificato nel reparto lavanderia della Fondazione ove era
installato l’essiccatoio (in pratica un’asciugatrice di grandi dimensioni);
l’essiccatoio è alimentato a gas metano, che viene addotto
tramite un tubo di colore giallo, del tipo di quelli usati per utilizzo
domestico;
l’asciugatura avviene attraverso la combustione del gas, la quale dà vita a
prodotti di combustione, che devono essere portati all’esterno poiché contengono
anidride carbonica (CO2) e monossido di carbonio (CO);
nel caso di specie, la combustione del gas produceva fumi di scarico che erano
portati all’esterno da un tubo in metallo che fuoriusciva dall’essiccatoio e che
scaricava fuori dall’edificio;
la lavanderia era attigua alla stireria alla quale era addetta la Lan (i due
locali comunicano attraverso una porta; teste
Pezzoli).
Prima di procedere oltre, è necessario sgombrare il campo da ogni questione
circa possibili fughe di gas metano, ipotesi che l’appellante ha pure sostenuto
nel corso del giudizio di primo grado,
accanto a quella dell’intossicazione da CO. Sebbene risulti che la lavoratrice,
poco prima di sentirsi male, riferisse di sentire odore di gas, tuttavia
l’istruttoria ha escluso qualsiasi fuga di gas. Infatti, come dichiarato da
tutti i testimoni, il tubo giallo di adduzione del gas era perfettamente
inserito e nessuno dei numerosi presenti, accorsi al momento del malore, ha
avvertito alcun odore di gas (si ricordi che il gas metano è, per ragioni di
sicurezza, fortemente odorizzato).
D’altra parte, come dimostrano gli
accertamenti medici cui la lavoratrice è stata
soggetta, come risulta dalla
denuncia di infortunio e dalle decisioni dell’INAIL e come emerge dalla stessa prospettazione originaria della domanda, i postumi permanenti che si assumono
derivati alla lavoratrice sarebbero stati causati da intossicazione di monossido
di carbonio. Ed invero, è lo stesso consulente di parte della lavoratrice che
esclude ogni possibile rilevanza all’ipotesi del gas metano, dal momento che le
proprie osservazioni critiche depositate in primo grado sono tutte unicamente
volte a dimostrare l’ipotesi di una intossicazione da monossido di carbonio,
sostanza notoriamente inodore.
Resta da dire l’INAIL ha riconosciuto l’infortunio come intossicazione da
monossido di carbonio, ritenendo che dal fatto sia derivata un’invalidità pari
al 4%.
***
In fatto, dall’istruttoria esperita in primo grado è risultato:
che la mattina dell’infortunio il tubo di scarico dei fumi venne trovato, sia
pur di poco, staccato dall’asciugatrice («ho visto subito che il tubo dei fumi
era parzialmente sconnesso…», teste
Schiattareggia, direttore sanitario della
Fondazione e medico interno della stessa; il tubo era «un po’ staccato», teste
Pezzoli).
La ASL (teste Arrigoni), dopo il fatto, ha previsto l’utilizzo di una
fascetta in metallo per evitare disconnessioni del tubo di scarico;
che la Lan aveva iniziato il turno di lavoro alle 6.00 lavorando insieme con la
collega Bergamini; quest’ultima era arrivata alle 5.30 e oltre a lavorare in
lavanderia («avevo caricato sia gli essiccatoi sia le macchine», v. esame
Bergamini) si recava nei reparti per portare la biancheria (faceva «un po’ su e
giù tra i reparti», teste Pezzoli);
alle ore 7.40 è arrivata la collega
Pezzoli («Quella mattina poiché il mio turno
andava dalle 8.00 alle 12.00, io arrivai verso le 7.40 e chiesi alla ricorrente
se mi faceva compagnia mentre fumavo la sigaretta. Lei mi tenne compagnia però
non fumò perché stava smettendo», teste
Pezzoli);
che intorno alle 8.00 la Lan, che si trovava nella stireria, disse alla Pezzoli
che si sentiva male;
che la Lan venne assistita dal dott.
Schiattareggia. Questi ha riferito che la
complessiva condizione della Lanfranchi non dava preoccupazioni; che, in
particolare, «la situazione dell’ossigeno era normale», anche se il medico ha
ritenuto «prudenzialmente» di somministrare alla Lan ossigeno.
Non vi è prova,
come affermato dalla difesa della lavoratrice, che la somministrazione di
ossigeno sia durata 3 ore, ma, tenuto conto di quanto dichiarato dal dott. Schiattareggia («può essere durata un’ora e mezza o due»), si può
ragionevolmente presumere che sia durata circa 2 ore;
che al termine della somministrazione, poiché la lavoratrice continuava a dire
di sentirsi male, ma non voleva essere portata al Pronto Soccorso, venne
avvertito il compagno, il quale la portò poi in Ospedale;
che in Ospedale alle ore 13.08 venne effettuata un’analisi del sangue, che,
rispetto ai valori di riferimento (0,5 – 2,5), riscontrò un valore di 3,7 di
COHb (carbossiemoglobina), determinando il ricovero nel reparto Medicina, ove la
Lan venne accolta con la diagnosi di «sospetta intossicazione monossido di
carbonio»;
che al momento delle dimissioni il medico del Reparto Medicina, precisò che il
soggetto appariva in buone condizioni generali, anche se con diagnosi di cefalea
e presenza di incertezza nella marcia.
***
Sulla base di tali dati di fatto, il Tribunale, ha chiesto al consulente tecnico
di ufficio di valutare se l’eventuale inalazione di fumi di scarico possa essere
stata causa della sintomatologia lamentata dalla Lan e ha poi escluso il nesso
causale aderendo alle risultanze della c.t.u., secondo cui dagli accertamenti
clinici e strumentali effettuati dopo l’accesso al Pronto Soccorso non risulta
documentato uno stato di intossicazione da monossido di carbonio, né acuta né
cronica (tale può essere considerata quella cui anche impercettibilmente, può
essere esposta una persona per effetto di modeste e continuate inalazione di CO).
***
Il Collegio, tenuto conto che il c.t.u., richiesto di replicare alle
osservazioni critiche del consulente di parte della lavoratrice, secondo cui il
modesto valore di 3,7 COHb doveva essere valutato alla luce della
ossigenoterapia eseguita dal dott. Schiattareggia, si era limitato ad osservare
di non condividerle, ha ritenuto necessario disporre una nuova consulenza
tecnica d’ufficio, finalizzata, in particolare:
a determinare, considerato un valore di 3,7 COHb dopo due ore circa di ossigeno
terapia normobarica, quale possa essere stato il probabile valore di COHb prima
della suddetta terapia;
ad accertare se i postumi lamentati dalla lavoratrice successivamente all’evento
possano dirsi causati dal valore di COHb così determinato.
Depositato il nuovo elaborato peritale, redatto con l’ausilio due specialisti,
la Corte osserva.
Sotto un profilo di ordine generale, la
c.t.u. ha chiarito che:
la diagnosi di intossicazione da CO è essenzialmente clinica e si basa su:
evidenza di esposizione recente a CO;
presenza di sintomatologia coerente con intossicazione;
livelli elevati di COHb (superiori a 3-4% nei non fumatori, superiori al 10% nei
fumatori). Si stima che ogni pacchetto di sigarette fumate al giorno aumenta del
5% il livello di base dei non fumatori; la COHb che si riscontra nei non
fumatori deriva essenzialmente da processi metabolici endogeni:
che riguardo i sintomi, non vi è alcun sintomo che sia specifico
dell’intossicazione: i sintomi più comuni (che si possono presentare isolati o
in varie combinazioni in rapporto sia soggetto che all'entità e modalità di
esposizione) sono cefalea, vertigini, nausea- vomito, confusione, astenia,
dolore toracico, dispnea, perdita di conoscenza. Nessuna combinazione di questi
sintomi permette di escludere o confermare la diagnosi di intossicazione da CO.
Benché la cefalea sia il sintomo più comune, questa non si presenta con
caratteristiche peculiari nel caso dell'intossicazione da CO;
che per quanto riguarda la COHb, livelli del 3-4% possono essere indicativi di
avvenuta esposizione a CO per i non fumatori, mentre questi stessi livelli sono
del tutto compatibili in fumatori non esposti a eccesso di CO ambientale;
che la terapia dell'intossicazione da CO è la somministrazione di ossigeno, che
accelera l'eliminazione di COHb e allevia l'ipossia tissituale. La
somministrazione deve essere effettuata ad alto flusso con maschera o
intubazione endotracheale o, ove disponibile, con ossigeno iperbarico. La
somministrazione di ossigeno attraverso
cannula nasale (c.d. “occhialini”), quella applicata alla La, non è considerata
sufficientemente efficace dal punto di vista terapeutico. Tale circostanza, come
osservato dal c.t.u., si ripercuote sui calcoli che si possono fare per stimare
i valori di COHb in ore precedenti, sulla base di misure fatte in ore successive
all'esposizione (nel caso di specie si ripercuote sulla misura effettuata in
Ospedale il giorno dell'evento alle 13.08). Infatti l’emivita di eliminazione
della COHb è stimata in 300-360 minuti se il soggetto permane in aria ambiente e
in 70-80 minuti se al soggetto è somministrato ossigeno normobarico al 100% con
maschera o intubazione endotracheale.
Con specifico riferimento alle conseguenze ritardate dell'intossicazione da CO,
il consulente d'ufficio ha chiarito:
che la percentuale di soggetti che vanno incontro a sequele
neurologiche/neuropsichiatriche dopo intossicazione da CO può giungere al 40% e
anche oltre;
che nessun criterio è totalmente predittivo della comparsa di tali sequele negli
intossicati da CO, anche se si è visto che normalmente fattori di rischio per
sequele sono l'età (maggiore di 36 anni), l'esposizione per almeno 24 ore, la
perdita di coscienza, intossicazione pari almeno al 25%:
che il quadro clinico degli effetti ritardati (definiti anche sotto il nome
generico di «sindrome post-intervallare») non è patognomico e presenta
alterazioni variabili tra i diversi pazienti: deficit di memoria, depressione,
capacità visuomotorie, deficit delle funzioni esecutive; altri quadri meno
frequenti comprendono deficit delle capacità di astrazione, di controllo dei
movimenti e di attenzione, nonché sintomi psichiatrici e comportamentali; gli
effetti ritardati compaiono dopo un intervallo libero da sintomi variabile da
tre a 40 giorni, anche se sono riportati casi, peraltro non molto chiari, con
ritardo di alcuni mesi;
che alcuni autori riportano che le alterazioni cerebrali radio logicamente
evidenziabili (TAC e RMN) sono molto variabili. In generale, questi sono
indicativi di danno a carico del globus pallidus e della sostanza bianca (demielizzazione).
Si possono però anche essere lesioni corticali e sotto corticali nei lobi
temporali, occipitale e parietale. In generale, i reperti radiologici
correlavano con la comparsa di danni clinicamente evidenziabili, mentre in
soggetti senza sequele cliniche di tipo neurologico/neuropsichiatrico il quadro
radiologico risultava normale;
che alcuni autori riportano un miglioramento del quadro clinico in buona parte
degli intossicati dopo periodi di tempo variabili, con percentuali tra il 50 e
il 75% dei pazienti colpiti da sindrome post-intervallare.
Con riferimento all’ambiente di lavoro, il CTU ha chiarito che livelli anomali
di CO in aria ambiente sono da considerarsi quelli superiori a 35 ppm e che nel
fumo di sigaretta inalato da un fumatore il contenuto di CO è di 2.000 – 45.000
ppm. Ha aggiunto che un controllo della combustione eseguito il 21.2.2007 sui
fumi in uscita dall’essiccatoio che il giorno del fatto presentava il tubo
parzialmente sconnesso, ha dimostrato la presenza di CO nei fumi di combustione
in uscita di 2 - 11 ppm.
Con specifico riferimento al quesito, il consulente d'ufficio, correttamente
valutando le risultanze istruttorie, ha osservato:
che la prima misura di COHb è stata eseguita alle 13.08, dopo circa sei ore
dall'inizio dell'attività lavorativa e quindi dell'eventuale esposizione e circa
tre ore dopo lo spostamento in altro locale e l'inizio della ossigenoterapia con
cannula nasale, che verosimilmente è proceduta per circa due ore fino
all'allontanamento della lavoratrice e al suo successivo accesso al pronto
soccorso, avvenuto circa un'ora dopo l'allontanamento dal luogo di lavoro;
che l’esame emogasanalitico è stato eseguito in aria ambiente e da questo si
rilevava: saturazione dell'emoglobina e pO2 nella norma, pCO2 ridotta, COHb
3,7%; il dato della pCO2 e della prima rilevazione di PAO e FC elevati, possono
far pensare ad uno stato di agitazione con moderata iperventilazione;
che il valore di COHb riscontrato è compatibile con la condizione di fumatrice
della sig.ra Lan ed è di poco superiore ai valori che si riscontrano nei non
fumatori, anche se non è noto quando, prima dell’esame emogasanalitico, è stata
fumata l’ultima sigaretta. All'esame successivo, circa 24 ore dopo, durante le
quali la lavoratrice ha certamente eseguito O2 terapia, il livello era di 1,6%,
entro livelli che si osservano nei non fumatori.
Ciò premesso, il consulente d'ufficio ha precisato che la questione da risolvere
è se questa riduzione osservata nei livelli di COHb rappresenti unicamente
l'eliminazione dell'eccesso di COHb in una fumatrice che si è astenuta dal fumo
per circa 24 ore durante le quali apparentemente è stata sottoposta con
continuità a ossigenoterapia 2 o 3 lt/min, ovvero sia indicativa di un trend in
discesa della concentrazione, in seguito ad esposizione eccessiva di tipo
ambientale e che quindi permetterebbe una estrapolazione verso valori più
elevati intorno alle 9.00 (verosimile termine della ipotizzata esposizione)
rispetto alle 13.00 del 7 febbraio 2007.
Una prima semplice risposta potrebbe essere che, essendo fumatrice, 3,7% di COHb
rientra nei valori di base dei fumatori. Il valore più basso (1,6%) riscontrato
24 ore dopo è compatibile con il fatto che la lavoratrice non ha fumato per
oltre ventiquattr'ore. Infatti ventiquattr'ore rappresentano almeno 4 emivite di
eliminazione di COHb in assenza di ossigenoterapia. Si noti che 4 emivite
corrispondono ad una eliminazione del 94% ed è quindi ragionevole ritenere che
in queste condizioni la percentuale di COHb sia scesa livelli essenzialmente
basali. Peraltro questi dati, sono totalmente convincenti sul fatto che la COHb
della Lan fosse nei limiti dei valori per i fumatori anche al mattino del 7
febbraio 2007 alle 9.00.
Il c.t.u. ha anche provato supporre che 1,6% sia il valore di base della Lan e
che quindi 2,1% (3,7 - 1,6) sia il valore in eccesso alle 13.08 del 7 febbraio
2007. Questo valore in eccesso potrebbe essere utilizzato per calcolare a
ritroso un'eventuale concentrazione quattro ore prima, ovvero alle 9.00 quando è
cessata ipotizzata esposizione. Durante questo periodo, la Lan è stata
sottoposta a ossigenoterapia con cannula nasale per circa due ore: si noti che
si tratta di terapia inefficace, per di più mal eseguita a causa del
comportamento non collaborante della Lan, che rifiutava la somministrazione e
quindi la ostacolava (la teste Pezzoli ha riferito che la Lan rifiutava
l’ossigeno perché provava «schifo»,
ritenendo poco pulita l’attrezzatura). Non si tratta quindi della
ossigenoterapia con l'ossigeno 100% normobarico con maschera o intubazione
endotracheale, che secondo la letteratura riduce da 300-
360 a 70-80 minuti l’emivita della COHb. Pertanto, secondo il c.t.u., potrebbe
essere ipotizzata una emivita intermedia di 200 minuti (2 ore senzaO2 terapia, 2
ore con O2 terapia non ottimale). Sulla base di questa ipotesi potrebbe essere
stimato un valore di COHb alle ore 9 di
5-6% ancora compatibile con lo status di fumatrice, se la signora Lan avesse
fumato quella mattina (ma tale dato non è stato accertato, essendo solo emerso
che la lavoratrice rifiutò di fumare in compagnia della collega Pezzoli alle
7.45 circa).
Sulka base del complesso delle considerazioni sino a qui svolte, il c.t.u. ha
precisato: che il quadro sintomatologico lamentato dalla Lan, pur compatibile
con intossicazione da CO, non è però specifico, per cui su base clinica non è
possibile concludere positivamente dell'avvenuta intossicazione, tenuto anche
conto che la lavoratrice aveva lamentato anche in precedenza episodi di
lipotimia e che al momento del fatto era in fase mestruale, cosa che può
giustificare la cefalea;
che i dati clinici disponibili non sono conclusivi per affermare o escludere una
avvenuta eccessiva esposizione a CO. In ogni caso questa esposizione, se
confermata, sarebbe stata di modesta entità, sulla base dei calcoli sopra
ricordati.
Il c.t.u ha precisato che esistono informazione aggiuntive da prendere in
considerazione:
una prima considerazione clinica si riferisce al fatto che gli esiti di
intossicazione da CO sono legati a lesione del tessuto cerebrale che risultano
in quadri evidenziabili radiologicamente. Questi quadri, pur non essendo
patognomici di sequele di intossicazione da CO, si associano sempre alla
sintomatologia clinica della cosiddetta sindrome post-intervallare, con
caratteristiche variabili da soggetto a soggetto. Nel caso della Lan, la RMN
dell'encefalo è risultata nella norma il 16 febbraio 2007 e in particolare il
radiologo sottolinea la normalità delle aree più spesso colpite nella sindrome
intervallare (globo pallido e sostanza bianca dei centri semiovali). La
ripetizione dell'esame avvenuta il 27 aprile
2010 segnalava solo circoscritta isola di gliosi aspecifica in corrispondenza
della corona posteriore della corona radiata a destra, e sempre normalità ai
nuclei della base e al tronco encefalico. Si noti che si tratta di lesione
circoscritta e monolaterale. Queste caratteristiche, in particolare la
monolateralità, sono scarsamente compatibili con una intossicazione, visto che
le lesioni di tipo tossico sono diffuse e simmetriche;
dalla ricostruzione dell'evento, come emerge dall'istruttoria e spedita, si
ricava che molte persone sono rimaste presenti nel luogo ove dovrebbe essere
avvenuta la presunta intossicazione e nessuno ha lamentato alcun disturbo, né
quel giorno ne nei giorni precedenti; in particolare è rilevante il fatto che la
collega Bergamini, che lavorato con la Lan sin dall’inizio del turno, non abbia
accusato alcun malore. Né il fatto che durante il turno la Bergamini si sia
recata ai reparti per portare la biancheria appare sufficiente per ritenere che
gli effetti dell’ipotizzata intossicazione possano essere stati totalmente
annullati dai brevi spostamenti della lavoratrice;
gli accertamenti tecnologici sopradescritti, benché eseguiti successivamente
all'episodio, hanno evidenziato adeguati ventilazione ricambio di aria nei
locali ed emissione di CO, che eventualmente sarebbe uscito dal tubo mal
collegato, al massimo di 11 ppm, ben al di sotto dei livelli che sono ritenuti
necessari per avere un quadro di intossicazione negli esposti. Ed invero, il
sopralluogo effettuato dal Dipartimento di Prevenzione dell’ASL
nell’immediatezza del fatto ha
riscontrato che l’ambiente aveva tutte le prescritte areazioni (teste Arrigoni,
funzionario ASL), limitandosi a prevedere l’uso di una fascetta metallica da
applicare sul tubo di scarico, senza formulare alcuna contestazione né redigere
alcun verbale.
Sulla base di tali considerazioni il consulente d'ufficio ha affermato:
«non si ritiene che quanto lamentato dalla paziente possa essere riferibile ad
intossicazione da CO, che verosimilmente non è avvenuta. In ogni caso, anche
nell'ipotesi che ci sia stata un'esposizione eccessiva, i valori estrapolati non
sono così elevati da configurare un quadro di intossicazione tale da portare
alla sintomatologia lamentata, dopo l'episodio e attualmente, dalla sig.ra
Lanfranchi. Infatti, il valore estrapolato di 5-6% è compatibile con livelli
osservabili in fumatori e quindi potrebbero essere stati sperimentati in
precedenza dalla sig.ra Lan».
Da ultimo, il consulente d'ufficio ha chiarito che per quanto riguarda l'ipotesi
di intossicazione cronica protrattasi per giorni o settimane, come suggerito dal
consulente della lavoratrice, i dati biologici disponibili non forniscono alcun
supporto e l'assenza di sintomatologia delle colleghe di lavoro contrasta con
tale ipotesi.
Non vi sono ragioni per disattendere le risultanze della c.t.u., risultate
frutto di completa indagine tecnica, adeguatamente motivate ed esenti da vizi
logici. Pertanto, alla luce dell’esito concorde delle
consulenze tecniche d’ufficio esperite nei due gradi di giudizio, la domanda di
risarcimento danni derivati dall'episodio del 7 febbraio 2007 è infondata.
***
Domanda di impugnazione del licenziamento
Il Tribunale ha respinto la domanda ritenendo, in primo luogo, che l’istruttoria
testimoniale abbia provato la soppressione del posto di lavoro della ricorrente
conseguente alla decisione di esternalizzare il servizio di lavanderia, essendo
emerso che, mentre prima le addette lavavano tutto (lenzuola, biancheria per gli
ospiti, tovaglie), dopo l’esternalizzazione lavano solo le divise del personale
e qualche salvietta e tovaglia e che nel reparto stireria – lavanderia è rimasta
una sola dipendente, peraltro impegnata in tale attività solo per un paio di ore
al giorno. In secondo luogo, il Tribunale ha accertato che a causa delle
importanti limitazioni di carattere fisico che, in pratica consentivano di
adibire la lavoratrice solo alla mansione di stiratura «a rullo», che poteva
essere svolta da seduta (per quella normale occorreva stare in piedi), era
impossibile il reimpiego in altre mansioni, tenuto che quelle di ausiliaria di
lavanderia, aiuto cuoco, ausiliare delle pulizie, erano tutte controindicate dal
medico competente e comunque, sulla base della documentazione prodotta dalla
Fondazione, non vi erano mansioni vacanti assegnabili alla lavoratrice, priva di
titolo di studio e con le limitazioni fisiche predette.
L’appellante censura la decisione affermando che nella lettera di licenziamento
non si parla di esternalizzazione del servizio lavanderia, motivo dedotto solo
nel corso del giudizio e che comunque al servizio sarebbe addetta ancora «una
lavoratrice e mezza». Quanto all’impossibilità di reimpiego in mansioni
alternative, si afferma che «la Lan, in virtù della lunghissima esperienza
lavorativa … e dell’aver prestato attività sia nei reparti che ai servizi, era
certamente in grado di svolgere qualsiasi attività manuale o esecutiva
nell’ambito della casa di riposo».
L’appello non è fondato.
La lettera di licenziamento indica il motivo del licenziamento nella
«inutilizzabilità della Sua prestazione per lo svolgimento di qualunque mansione
nell’area non sanitaria prevista nella pianta organica della nostra struttura
diversa dall’attività di ‘stiratrice a rullo’ (attività che la vede impegnata
formalmente a tempo pieno ma con effettiva prestazione lavorativa non superiore
a 1-2 ore al ii giorno ed il cui servizio viene ora soppresso per ragioni
inerenti all’attività propria dell’Ente e all’organizzazione del lavoro) a causa
della inidoneità fisica espressa dal Medico di Fabbrica con relazione del
23/4/2008». Orbene, i documenti prodotti dalla Fondazione (v. comunicazione alla
appaltatrice Nuova Lavanderia B (BG), all. 2 e 3 allegati al fascicolo del
procedimento cautelare), uniti alle concordi deposizioni di tutti i testi
escussi, provano che la soppressione del servizio lavanderia è realmente
avvenuta in conseguenza della esternalizzazione a decorrere al mese di luglio
2007 del servizio di lavaggio e stiratura di biancheria piana, appalto poi
confermato sino a giugno 2012 (all. 10 Fondazione). Quindi, nessun nuovo motivo
è stato dedotto in giudizio, poiché la ragione del licenziamento è sempre stata
la soppressione del servizio lavanderia e stireria e in giudizio si è solo
chiarito che la soppressione è avvenuta per il tramite della esternalizzazione.
Non trova poi alcun riscontro processuale l’affermazione
della difesa appellante secondo cui il servizio lavanderia sarebbe comunque
rimasto attivo e ad esso continuerebbero ad essere adibite una o due
lavoratrici. L’assunto è smentito dalle concordi dichiarazioni di tutti i
testimoni escussi, essendo emerso (testi Pezzoli, Bergamini, Bosio) che dopo
l’esternalizzazione lavora presso la lavanderia–stireria solo una dipendente,
Bergamini Maria, la quale vi lavora solo per due ore al giorno, poiché si tratta
solo di lavare solo le divise del personale e strofinacci della cucina,
svolgendo per il resto lavori di pulizia, tanto che per la stiratura si usa solo
il ferro normale e non più la stiratrice «a rullo» (la Pezzoli è passata alle
pulizie). E’ stato inoltre accertato che la soppressione del servizio lavanderia
era stata decisa già da prima dell’infortunio, considerato che per continuare a
mantenere il servizio all’interno della struttura occorrevano due persone a
tempo pieno (la Lan e la Bergamini) e una a tempo parziale (la Pezzoli) e
inoltre personale aggiuntivo per fare fronte alle assenze per malattia (testi
Bergamini, Bosio). Il complesso delle risultanza probatorie è stato
correttamente valutato dal Tribunale che ha ritenuto effettiva e dettata da
reali esigenze di carattere organizzativo – imprenditoriale la soppressione del
servizio cui era addetta la Lan.
In ordine all’impossibilità di reimpiego, la censura formulata è del tutto
generica e neppure indica quale posto libero la lavoratrice avrebbe potuto
ricoprire (è noto infatti che l’obbligo di provare l’impossibilità di reimpiego
sussiste a condizione che il lavoratore deduca l’esistenza di altri posti nei
quali egli avrebbe potuto essere
utilmente impiegato, cfr. Cass. 3040/11). Inoltre, l’appellante omette
totalmente di considerare che già a decorrere dal maggio 2006 la lavoratrice,
pur essendo stata dichiarata idonea alle mansioni di addetta alla lavanderia,
non poteva essere comunque adibita a mansioni che comportassero sforzi a carico
delle braccia e spalle, nonché flessioni del corpo, sollevamento ripetuto di
carichi pesanti, sopra i 10 kg, tanto che in pratica l’unica mansione che la
lavoratrice poteva svolgere era quella di addetta alla stiratrice a rullo (senza
caricare lavatrici ed essiccatoi), unico posto che, inoltre, le consentiva di
rimanere seduta. Ed invero, è agli atti (doc. 4 del fascicolo cautelare della
Fondazione), il parere del medico competente che giudica la lavoratrice inidonea
ad attività di aiuto cuoca e di ausiliaria delle pulizie.
Pertanto, considerato che in pratica non era possibile adibire la lavoratrice a
mansioni diverse, tenuto anche conto che nessuna contestazione è stata formulata
alla sentenza nella parte in cui, in ogni caso, ha accertato che non vi erano
posti vacanti che potevano essere attribuiti alla Lan, priva di titolo di
studio, correttamente il
Tribunale ha ritenuto provata l’impossibilità di reimpiego in altre mansioni.
Da ultimo, la sentenza è corretta anche là dove precisa che le argomentazioni in
merito all’asserita illegittimità della dispensa del preavviso e
all’applicabilità alla fattispecie della norma di cui all’art.
33 D. L.vo 165/01 in tema di eccedenze di personale e mobilità collettiva svolte
nelle note difensive in sede di discussione non possono essere esaminate: si
tratta infatti di questioni che presuppongono la proposizione di domande nuove.
***
Alla luce di tutte le considerazioni sino a qui esposte, l’appello deve essere
rigettato, con conseguente assorbimento dell’appello incidentale condizionato.
Sussistono giusti motivi in considerazione della complessità della vicenda per
la compensazione delle spese del grado.
Vanno poste definitivamente a carico solidale delle parti le spese di c.t.u.,
come già liquidate con separate decreto.
PQM
respinge l’appello avverso la sentenza n. 983/11 del Tribunale di Bergamo;
dichiara compensate le spese del grado;
pone definitivamente a carico solidale delle parti le spese di c.t.u., come già
liquidate con separate decreto.
Brescia, 7.11.2013
Il Consigliere est. dott. Antonio Matano
Il Presidente
dott. Antonella Nuovo
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La lavoratrice non era affatto addetta alla mansione di stiratrice al
rullo, che le è stata affibbiata solo dopo l'avvenuto infortunio, dopo aver
aperto la relazione medica della medicina del lavoro degli Ospedali Riuniti
di Bg, per poterla licenziare. Sapevano già che tale mansione sarebbe stata
abolita. ( Deposizione legale rappresentante).
Come già detto sopra, la sig.ra Lan non era addetta a stiratrice al
rullo e non lavorava in stireria, ma in lavanderia. Cosi è anche stato
certificato all'inail. Non esiste documentazione firmata dal Medico
Competente di averla addetta al lavoro di stireria.
La legale rappresentante testimonia che il tubo del metano era allentato.
E' stato comunicato all'INAIL la sostituzione della guarnizione forno. E'
testimoniato dall'aiuto cuoco ed è confermato nelle trascrizioni che si
sentiva un forte odore di metano.
Eppure i giudici che emetteranno la seguente sentenza affermeranno il
contrario.
Nelle SIT viene confermato che dr Schiattareggia è arrivato quando i
cuochi avevano già sistemato il tubo. Quindi non poteva che confermare una
maldestra riparazione.
La Pezzoli ha testimoniato che il tubo era staccato di 7 cm.
Non si può affermare la ASL. L'UPG Arrigoni, allertato dal Pronto
Soccorso, si è recato il giorno seguente sul luogo dell'infortunio ed a
titolo personale non avendo neppure segnalato la sua uscita. E testimonierà
anche che non esisteva la fascetta stringitubo che il cuoco Zilioli afferma
di aver aperto e chiusa.
La Bergamini, risulta dalla sua stessa testimonianza dinanzi la Giudice
M. Bertoncini è rimasta assente dalla lavanderia più di un'ora un'ora e
mezza.
Nessun medico prosegue ossigenoterapia per piu ore quando
l'ossimetro da valori normali.
Dalle registrazioni vocali e dalla testimonianza S, risulta che la
Lan si è recata al PS alle ore 12,30 e vi è arrivata alle ore 13.
L'ossigenoterapia è iniziata subito dopo le ore 9. L'oss LL chiamato da
Schiattareggia a portare la bombola di ossigeno afferma che erano appena
terminate le colazioni. Dalla carta dei servizi risulta che le colazioni
terminavano alle ore 9.
La diagnosi di intossicazione da monossido si basa essenzialmente sul
prelievo ematico di COHb. E sulla rilevazione ambientale in ppm di CO, oltre
che sul dato epistemiologico.
In caso di ossigenoterapia e di rilevazione tardiva di COHB la diagnosi
diventa essenzialmente clinica ed epistemiologica.
Qui interviene prof Angelo Moretto:
Dopo ave confermato che il dato di COHb non certificava né escludeva
l'intossicazione, avendo alterato modalità e tempi di somministrazione di
ossigenoterapia, si dedica a dimostrare che anche il dato ambientale era a
norma pur non avendo fatto alcuna rilevazione ambientale di CO:
che era certificato dalla ASL ( che a sua volta non aveva fatto alcun
controllo) e alterava la prova dei fumi affermando che produceva 2-11 ppm CO
di fronte al dato di 218,3% nei fumi secchi.
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