CAPITOLO TERZO
-Mi chiamo Luciana. Stai con me così
mi levo di dosso uno che non mi lascia in pace. Gli chiese.
Silvano accettò. La conosceva da
tempo, era amica di sua sorella. Ballò sempre con lei, stringendola,
baciandola: si era eccitato molto. Luciana glielo fece notare:
-Ce l’hai duro!
Per non doverle rispondere cercò la
sua bocca. L’amica cominciò a ridere. Si nascosero in un angolo buio della
sala, lontano da occhi indiscreti, da presenze sgradite, a flirtare, salvando la
faccia prima di tutto, a promettersi eterno amore in secondo luogo. Provò ad
andare oltre, ma la donna oppose un netto rifiuto:
-Non siamo sposati! Disse.
Volle conoscere com’era questo
piacere riservato agli adulti, questo piacere che a provarlo da non sposati
significava perdere la reputazione di bravo ragazzo. Con gli amici si recò da
una donna che si vendeva, una sera. La donna venduta gli domandò:
-Quanti anni hai?
-Diciassette. Mentì. La donna gli
spiegò:
-Non voglio fare l’amore con un
ragazzino! Ma poi, forse perché in
realtà non gliene importava molto o per altro, gli fece calare i pantaloni.
Presogli il pene tra le mani, cominciò a carezzarlo.
-Ce l’hai già grosso. Mormorò.5.OOO
lire le hai?
Silvano pagò senza articolare parola.
La donna teneva in camera un grosso cane nero. Vedendolo, a Silvano, sembrò
muoversi qualcosa dentro. Comandò alla donna:
-Fallo uscire non mi va di fare
l’amore con degli animali attorno!
La donna forse capì, non disse nulla,
aprì la porta a fare uscire il cane. Si spogliò, si buttò sul letto, si mise
sotto:
-Vienimi sopra. Lo esortò. Silvano
eseguì.
-Muoviti! Comandò. Fai presto! Ho
altri clienti che mi aspettano! Continuò.
-Perché tanta fretta
-Sto lavorando io! Non sto facendo
l’amore! Dai tesoro vieni! Se non ti sbrighi non ti faccio finire!
A Silvano sembrò che la donna non
fosse contenta, non provò nessun piacere: pensava di essere a masturbarsi, solo
che al posto delle sue mani c’era una donna. Non finì, non volle.
-Capita la prima volta. Ti andrà
meglio la prossima. Lo consolò la
donna. Mentre si rivestiva le chiese il nome e si meravigliò di aver fatto
l’amore con lei senza conoscerne il nome.
-Giovanna. Mi chiamo Giovanna.
-Quanti anni hai?
-Venti.
-Da quanti anni fai questo lavoro?
-Da quattro.
-E sei felice?
La donna non rispose. Prima di scendere
silenzioso e furtivo le scale domandò ancora alla donna:
-Come ti sembra che io faccia
l’amore?
-Come tutti gli altri. Fu la risposta
sbrigativa.
Silvano sparì. Non aspettò neppure
gli amici che avevano scelte altre donne.
Gli era venuta la voglia di andare da
una prostituta dopo un sabato trascorso con Luciana. L’aveva baciata, le aveva
carezzato i seni da sopra la maglietta; a metà serata era persino riuscito a
penetrare sotto la maglietta. Poi l’aveva accompagnata ai servizi e si erano
abbracciati e baciati di nuovo. Chiusa la porta del gabinetto si era lasciata
togliere le mutandine e si era fatta vedere. Pure lui si era fatto vedere. Aveva
allungato la mano a toccare, a cercare di fare e conoscere l’amore, Luciana
glielo aveva impedito. Forse bastava insistere un poco, ma questo, Silvano
inesperto ed ingenuo non lo sapeva.
Per questo, per conoscere l’amore,
per provare a se stesso che era capace di fare godere una donna, aveva salito le
scale con la donna perduta, professionista del piacere. Davanti al confessore
ebbe vergogna e tacque il suo peccato. Chiese tuttavia a Dio il perdono nel
silenzio della chiesa. Si comunicò come un bravo cristiano.
Luciana, la sua ragazza, non seppe
nulla, Silvano non le aveva detto nulla, gli amici d’avventura neppure. Le
voleva bene. S’incontravano tutte le volte che potevano, si eccitavano,
sognavano. Silvano era timido con le donne. Anche con Luciana era stata lei ad
agganciarlo chiedendogli compagnia per tenere lontano il giovanotto che la
infastidiva; era stata lei a chiedergli di accompagnarla a casa dopo il ballo, a
farsi dire che l’amava. A Silvano non piaceva dichiarare alle donne che le
amava. Non ne conosceva i significati, ignorava persino che era una tecnica
collaudata per portarsele a letto. Ma quella volta così per gioco, o perché
era stanco d’essere solo, o perché tutti i suoi amici l’avevano una
ragazza, aveva instaurato con lei un legame. Erano mesi che uscivano insieme,
stava bene con lei, si dicevano di amarsi, progettavano un futuro. Giovanna era
stata dimenticata, era stata un incidente di percorso che non gli aveva
insegnato nulla riguardo all’amore se non soltanto che poteva essere una cosa
fredda, spiacevole e pericolosa. Luciana era una donna come piacevano a lui: il
corpo esile e perfetto, i capelli lunghi, ma soprattutto era una donna allegra.
Il suo contrario. Quando si ritrovavano soli, Silvano le carezzava i lunghi
capelli, le tormentava i seni delicati; lei gli carezzava il torace. Quando si
fece più ardita con le mani andò a carezzargli il sesso eccitato. Silvano le
carezzò il pube. Pian piano, senza volerlo, se n’era innamorato seriamente.
Lo intuiva che era come una droga, che voleva sempre stare con lei. Provò
inquietudine ad affidarsi, a dipendere da una donna.
Un giorno Luciana gli comunicò:
-Stiamo troppo insieme noi due. Mio
padre non vuole che io esca la sera.
-Ci possiamo incontrare di nascosto.
Rispose.
-Non ne vale la pena. La gente parla.
La conosci. Viviamo in un piccolo paese dove tutti ci conoscono. Mio padre lo
verrebbe a sapere.
-Allora che dici di fare?
-Per qualche tempo non dobbiamo
incontrarci, intanto si calmeranno le acque.
-Per me va bene.
Trascorsero una quindicina di giorni.
Una domenica, dopo messa, mentre parlava di donne, un amico d’infanzia proferì
una frase che lo fece riflettere:
-Se una donna ti vuole veramente bene
trova lo stesso il modo di vederti, anche se i suoi non vogliono.
A rincarare la dose un cugino lo informò:
-Ho visto Luciana in moto con Ugo.
-Non m’interessa! Lo interruppe.
-Ma non è la tua ragazza?
-No, ci siamo lasciati! Mentì. Saranno
quindici giorni che non ci vediamo! Salutati gli amici ritornò a casa. Chiese
alla sorella quindicenne un favore in cambio del quale le avrebbe dato i soldi
per andare al cinema. La sorella accettò.
-Vai da Luciana, le dici di farsi
vedere questa sera davanti al cinema. Se non vuole dille di andare a farsi
fottere. Poi andò a ballare con gli amici.
Rientrò per l’ora di cena. La
sorella gli riferì che aveva riportate a Luciana le parole esatte; riferì
anche che lei se n’era andata via subito, scappando, quasi piangendo.
Luciana arrivò quando il cinema era già
iniziato. Silvano cercò il suo abbraccio. Lei, silenziosa, rifiutò.
-Se non vuoi essere la mia ragazza
dillo! Non lasciarmi sulle spine! Lasciami libero!
-Ho un altro ragazzo.
-Potevi anche dirmelo prima! Non mi va
di fare la figura dello stupido!
-Restiamo amici?
-No!
-Come vuoi.
Qualche tempo dopo la sorella gli riferì
d’averla incontrata, d’averle chiesto:
-Perché non esci più con mio
fratello?
-Siamo rimasti amici. Mi ha risposto.
-Ma i baci?
-Eravamo più che amici.
-Perché ora no? Continuai. Non mi
rispose.
Silvano la interruppe:
-Non m’interessa. Con me non c’è
una seconda volta.
Se n’è andata. Lasciala stare dov’è.
Ora Silvano è informato che Luciana ha
di nuovo cambiato ragazzo, ma non gli interessa più. Solamente pensa di tanto
in tanto:
“sarà bello fare l’amore con lei
quando sarà sposata”.
Ora è di nuovo libero e gli piace
l’ebbrezza derivata dalla conquista d’altre donne. Ebbrezza alimentata dai
loro rifiuti. E’ lui a condurre il gioco, pur nella sua timidezza. Delle donne
ama la donna. Ancora una volta, in un momento di solitudine e sconforto, si recò
a scegliere tra le donne vendute: sognava un amplesso lungo, un flirt da
innamorati. Ma non accadde, non trovò le emozioni provate con Luciana: queste
le donne non lo mettono in vendita. Sentiva ora di nuovo il bisogno d’avere
una donna tutta sua.
“E’ tempo che io convinca una donna
a dividere la sua vita ed i sogni con me.” Pensava.
Aveva quasi venti anni; non era capace e non aveva soldi per divertirsi. La solitudine era il prezzo che pagava. Di quello che accadeva nella società civile non conosceva nulla: in casa sua non arrivavano i giornali, il telegiornale non lo vedeva. Sua madre e suo padre non parlavano mai di politica: sopravvivevano.