Luciana dopo quella prima volta
frequentava ogni volta sempre più assiduamente la sua casa. Luca si era
affezionato a questa figura femminile e trascorreva molto tempo con lei.
Silvano la guardava giocare con suo
figlio. Pensava che era necessaria una figura materna. Piano piano si abituò
alla sua presenza, alla sua femminile invadenza. Gli ricordava la sua giovinezza
spensierata, il suo primo amore, ma era sicuro di non volersi impegnare in una
nuova storia. Non si sentiva ancora pronto.
Luciana, da parte sua, aveva
ricominciato a vivere, aveva dimenticato il passato, non sentiva più neppure i
dolori alla schiena.
Silvano aveva sempre più successo. I
suoi quadri erano richiesti, soprattutto quelli di soggetto metafisico. Gli
offrivano cifre da capogiro, ma si rifiutò sempre di venderli, gli
appartenevano.
Gli furono anche fatte offerte per
quadri su commissione, ma le rifiutò: non dipingeva a comando, ma seguendo gli
impulsi della sua anima.
Su commissione eseguiva soltanto dei
paesaggi, sempre inventati: i suoi fiori non esistevano in natura, neppure i
colori del cielo e del mare. Per avere quelli, commentava, bastava una semplice
fotografia. Il suo cielo, il suo mare, i suoi boschi, i prati, i torrenti ed i
monti erano proprietà esclusiva dell’uomo, non appartenevano ad un creatore
trascendente.
Questo era per lui il significato
dell’arte: usare le forme ed i colori come parole per ricostruire un mondo
nuovo, diverso, colorato, musicale nel quale valesse la pena di vivere.
Quando si assentava per le mostre
affidava Luca a Luciana. La donna era ormai di casa e si comportava come madre e
come moglie. Silvano la lasciava fare: Luca cresceva bene, era più pulito,
aveva dei pasti più variegati e regolari, aveva iniziato ad andare a scuola;
lui aveva più tempo per dipingere.
Di tanto in tanto, la sera, affidato il
figlio alla sorella, portava Luciana a teatro. Altre volte la portava con sé
alle mostre che si tenevano a Firenze, Venezia, Milano, Parigi ed in tante altre
città. Facevano anche l’amore insieme.
Silvana si vestiva cercando di
piacergli, gli preparava i pasti che sapeva essere i suoi preferiti. Alla sua
maniera lo corteggiava cercando di conquistarlo.
Si ricordava degli anniversari, gli
faceva delle sorprese, si occupava del suo guardaroba, lo teneva informato delle
mostre e delle critiche che i giornali scrivevano.
Non appariva ed era sempre presente.
Silvano si sentiva lusingato ed
osservava curioso il gioco della seduzione.
Si ribellò alla situazione che si era
creata quando Luciana gli espresse il desiderio d’avere un figlio da lui.
-Che ti aspettavi da me? Chiese
meravigliato di fronte alle lacrime di lei. Non ti ho mai promesso nulla.
-Credevo che mi amavi. Rispose
singhiozzando.
-Questo non lo so. Ti voglio bene è
vero. Ma non voglio un figlio da te. Non voglio essere legato ad un’altra
donna.
-Che amore è il tuo? Sei un egoista.
Ti fa comodo così...avermi senza impegno. Ma sono una persona umana anch’io.
Non sono soltanto una serva buona anche a letto. Ho una mia dignità. Reagì
offesa.
-Non credevo d’offenderti. Si scusò.
Andava tutto così bene tra noi.
-Da domani non verrò più a casa tua.
Se cambi idea sai dove cercarmi. Ho anch’io una casa e posso mantenermi
benissimo da sola.
Uscì senza voltarsi. Indugiò un
attimo davanti al cancello sperando forse di essere richiamata. Si avviò con
passo lento, deciso lungo la strada che portava al paese.
Silvano restò immobile ad ascoltare i
passi della donna che si allontanava, ascoltò l’aprirsi della porta. Continuò
in silenzio ad ascoltare i passi sulla ghiaia. Si portò sull’uscio a
guardarla aprire il cancello. Ebbe l’impulso di fermarla, di chiamarla.
Provò desiderio che si fermasse, che
si voltasse indietro, che ritornasse a parlargli, ma Luciana non lo fece.
Non la vide mai più.
Lo risvegliò dallo stato soporoso,
Luca, prendendogli la mano.
-Che hai papà? Dove se ne sta andando
Luciana?
FINE
Il Clown