CAPITOLO X

Silvano era ormai un uomo sposato. La giovinezza era fuggita per sempre. Il periodo di fidanzamento non era stato lungo e si erano posseduti sin dal primo istante.

Avevano voluto legalizzare la loro convivenza insultata dalla gente che li conosceva, ignorata dagli altri.

Mirelle, la donna conosciuta al mare cercando l’avventura, era diventata la sua sposa.

Si era formato nei loro incontri una dipendenza di sentimenti, affetti, ricordi e progetti che li aveva portati a promettersi eterno amore.

Erano persone mature, di una maturità formata dalla società in cui vivevano e secondo logica non avrebbero dovuto temere nulla ed essere felici. Non lo sapevano, ma dovevano sposarsi. Era la legge nascosta. La legge che era stata loro impressa nella mente per essere felici, mentre crescevano. Entrambi si erano voluti sposare in jeans, coerenti con le loro idee. Silvano portava di nuovo i capelli lunghi. A Mirelle piaceva così. Gli diceva che assomigliava a Cristo.

La cerimonia che poteva averli uniti per sempre, era stata intima: davanti ad un rappresentante del popolo, avevano accettato di convivere legalmente formando una nuova società per azioni. I genitori, cattolici, contrari a quel tipo di matrimonio, non parteciparono. Organizzarono un rinfresco per ringraziare i pochi amici invitati. Decisero di spendere i loro risparmi a rivisitare i luoghi dove si erano conosciuti ed amati, a ritrovare il gusto del passato. Avevano deciso tra un bacio ed un abbraccio, ancor prima della loro unione legale, che la realtà sociale, esigeva che la donna lavorasse. Mirelle, che aveva raccolte queste idee della rivoluzione della donna, aveva accettate le sue responsabilità: avrebbe continuato a lavorare. Silvano vedeva invece la possibilità di realizzare i suoi sogni.

Avevano fatto il possibile per fare coincidere i loro orari di lavoro. Anche se a fatica c’erano riusciti.

Rare volte Mirelle aveva la possibilità di manifestare il suo estro culinario e quelle rare volte era la felicità di Silvano. Quando Mirelle si recava in cucina lui la seguiva. Mirelle non disdegnava il suo aiuto. Silvano l’aiutava in tutti i lavori domestici, come rifare il letto, spolverare, lavare, stirare. A loro pareva giusto fare così.

Non così la pensavano gli amici che di tanto in tanto erano loro ospiti.

-Non ti sembra di perdere la tua dignità di maschio?

-No! Rispondeva. E’un nuovo modo di affrontare la vita a due. Entrambi lavoriamo. Entrambi abbiamo le stesse esigenze di tempo libero. Entrambi siamo persone e non servi. E li invitavano a pranzare o a cenare su piatti di plastica cibi preconfezionati, a bere vino, spumante e champagne in bicchieri di plastica. Dopo l’uso, li gettavano. Agli amici, che chiedevano se non era più gustoso, igienico mangiare in piatti di porcellana, bere in bicchieri di cristallo, rispondevano che poteva essere anche vero.

Ma era una questione d’abitudini e che loro l’avevano apprese per necessità di vita. Soltanto così avevano più tempo libero per stare insieme per uscire insieme tenendosi per mano come eterni innamorati.

Con una lettera sofferta, la sorella di Silvano li informò della decisione necessaria di abortire, consenzienti i genitori, contrario il confessore al quale si era rivolta per tacitare la sua coscienza. Silvano e Mirelle non le risposero nulla; non avrebbero saputo che dirle, non sapevano come si sarebbero comportati loro nella stessa situazione quando lo scienziato consigliava l’aborto ed il religioso la sfida di una vita malformata. Non era certo una decisione facile da prendere se si lasciava comandare la coscienza. Rifiutarono di pensarci, il problema non era loro.

Con i pochi risparmi che avevano avanzato e che avanzavano sognavano di costruirsi una casa tutta loro. Solo allora Mirelle, se avesse voluto, avrebbe potuto rinunciare al lavoro per crescere un figlio. Silvano pensava che era più sano e naturale che fosse Mirelle allattare il figlio e che fosse lei, aiutata da lui, ad educarlo. Di questi argomenti non ne aveva ancora discusso con la sua donna. Gliene avrebbe parlato quando sarebbe stato il momento. 

Mirelle prendeva la pillola ed avevano deciso per l’adozione qualora se ne fosse dimenticata. Non si sentivano pronti per riceverlo. La loro vita era stata presa negli ingranaggi di un sistema al quale non ci si poteva ribellare. Vivevano credendo in valori decisi da altri, appresi senza esserne coscienti, costretti dal ritmo frenetico del lavoro, incapaci di pensarci profondamente. Nel tempo che scorreva svaniva la loro giovinezza, svanivano i loro sogni e non si accorgevano di essere stanchi, di vivere inutilmente, di non comprendersi più. Qualcosa di inespresso, d’ignoto alla coscienza turbava la loro serenità. 

Ne discutevano la sera a letto, dopo che si erano amati. Silvano le prospettava la necessità di razionalizzare la vita quotidiana, di rinunciare alla casa, alle ferie, ai viaggi ed a mille altri desideri per avere subito un figlio, Mirelle taceva. A sentirlo era posseduta da un tremito di amarezza. Sentiva che aveva ragione. La realtà è la realtà. Eppure non si sentiva realizzata. Le piaceva uscire la sera con gli amici, andare al ristorante con i colleghi di lavoro, cercare nuove esperienze. Suo marito era invece un solitario, non amava stare in compagnia, se ne stava sempre in casa a dipingere, a scrivere con quel suo maledetto computer, a programmare un futuro noioso. Non era più innamorata. Provava per Silvano amicizia, tenerezza e tante altre emozioni. Erano sufficienti per continuare la vita insieme? Mirelle non lo credeva. Era tutto più luminoso, gioioso quando era innamorata: allora anche i difetti, i fatti più banali, i sogni erano giocosi, realizzabili. Tutto aveva un’altra luce, altri significati. I problemi non erano problemi. Ora si sentiva in crisi. Aveva bisogno di restare sola, di pensare, riflettere, capire. Avrebbe quasi preferito che Silvano avesse un’altra donna, obbligandola a scegliere. Si sentiva soffocare da quel rapporto troppo esclusivo. Sino a che era innamorata non se ne rendeva conto, ma ora...ora aveva un bisogno fisico di ritrovare se stessa. Le mancava la libertà di uscire con gli altri. Sentiva di dovere realizzare qualcosa, ma ancora non aveva ben chiaro che cosa. Amava il sole, i viaggi. Era abituata a vivere a giornata non pensando al futuro. Al contrario di Silvano che programmava, pianificava per acquistare una casa e per avere dei figli.

Qualcosa si era spezzato. Doveva scegliere.

Silvano si era creato uno studio tutto suo, dove si rintanava a scrivere poesie, a leggere, a dipingere, a fermare le idee che gli sarebbero servite per il lavoro.

Un giorno che Mirelle sentì il bisogno di parlargli entrò nel regno privato di suo marito. Gli rimproverò:

-Quando ti deciderai a mettere un poco di ordine e a fare un poco di pulizia?

-Non importa, a me sta bene così! Le rispose seccato.

-Non riesco a capire come tu riesca a concentrarti in mezzo a tanta confusione. Se lo ripulissi un po’ concluderesti molto di più. Replicò offesa.

-Non m’interessa far carriera.

-Quando deciderai di crescere?

-Sto lavorando, e molto...domani devo consegnare questo lavoro. Rispose per farle capire che non voleva essere disturbato.

-Dovresti ascoltarmi e cambiare, così non fai altro che perdere tempo. Replicò ignorando la richiesta.

-Le idee non vengono a comando.

-Sapevo che non mi avresti dato retta. Non fai niente per me, non mi ascolti.

-Faccio tutto per me ed ecco come mi tratti. Rispose irritato per non essere stato compreso.

-Non ti sopporto quando fai così! Mugugnò a sua volta offesa, lasciandolo solo a continuare il suo prezioso lavoro.

La notte dormirono accanto senza cercarsi, senza dirsi nulla. Il mattino Silvano si recò al lavoro senza salutarla. Sul lavoro tutto gli girò storto. Ritornò a casa con un umore nero. Disse alla moglie a cercare comprensione:

-Ho presentato il mio lavoro, non me l’hanno accettato.

-Sapevo che avevi sbagliato. Non mi ascolti mai.

Il tuo problema è che non mi dai mai retta. Non ascolti i miei consigli. Dovresti farlo o non farai mai carriera. Rispose felice di essere diventata importante.

-Sai che non m’interessa. Concluse rifugiandosi nello studio. Mirelle lo seguì:

-E’ perché non sei capace di affrontare le situazioni da solo. So io quello che ci vorrebbe per te. Da solo non sarai mai capace di affermarti. Sei ancora un bambino che ha bisogno della mamma. Ora che fai? Perché non mi stai ad ascoltare? Lo sollecitò.

-Smettila con quest’atteggiamento materno. Lasciami lavorare!

Mirelle uscì nera in volto. Silvano la raggiunse poco dopo, dimenticandosi per un attimo del lavoro che stava eseguendo.

-Scusami per prima, mi sta andando tutto torto...stavo inseguendo delle idee...che avevi da dirmi?

-Non t’importa nulla di me. Non mi ascolti. Perché dovrei parlarti?

-Vuoi sempre e solo aver ragione!

-Non capisci! Non mi ero resa conto quanto tu fossi sensibile. Ora mi tocca anche stare attenta a come parlare perché ti offendi. Hai i tuoi problemi, non voglio caricarti anche i miei. Qualsiasi cosa dico ti arrabbi.

Silvano non le rispose nulla. Ritornò al suo lavoro, incompreso.

Trascorsero giorni senza che si abbracciassero, senza scambiarsi neppure un bacio, ignorandosi a vicenda.

Mirelle rimasta sola seguì i suoi pensieri. Si spogliò. Si fece un bagno rilassante, lasciando libero corso ai pensieri. Ora che lo conosco meglio non mi sento più attratta da lui come prima. Mi sento in colpa, ma è certo che non voglio più stare con lui. Era importante per me che mi amasse, ma ora quando sono in sua presenza non sono più me stessa. Non mi sento più né ascoltata ne capita. Vorrei lasciarlo. Non so più cosa fare per lui. Non me lo lascia fare. Quando mi parla vorrei essere li ad ascoltarlo; ma quando sono io che gli parlo ci resta male. Uscita dal bagno, si asciugò rimirandosi davanti allo specchio. Dall’armadio scelse i vestiti più sexy che possedeva. Si vestì. Si rimirò soddisfatta allo specchio camminando avanti ed indietro. Ritornò da Silvano.

-Ho voglia di uscire. Disse. Tu che fai?

-Sto lavorando...dove vuoi andare vestita come una prostituta d’alto bordo?

-Una volta ti piacevo così vestita. Rispose offesa. In ogni caso ho deciso di fare un salto in centro. Se vuoi accompagnarmi sbrigati.

-No, non vengo.

Ritornò che era notte inoltrata. Silvano non era ancora riuscito a prendere sonno. Aveva immaginato che la sua donna l’avesse tradita. Non vi era nessun motivo d’uscire vestita a quel modo.

La sentì infilarsi sotto le lenzuola. La ignorò, avvolto dalla gelosia.

-Silvano. Lo chiamò. Non le rispose fingendo di dormire.

Erano diverse settimane che la notte non udiva le loro voci parlare. Silvano si recava a dormire ogni volta sempre più tardi, quando lei già dormiva. Alcune volte le si avvicinava. Con le mani la carezzava cercando di eccitarla, il sesso eretto. Lei ad ignorarlo o a rispondergli che aveva sonno. Entrambi si spiavano a masturbarsi, a volte, ignorandosi a vicenda.

Silvano si lasciò, per questo attrarre, da Valentina, una collega di lavoro.

-La voglio. Si disse.

Iniziò a discutere con lei, a scambiarsi idee e progetti. Accadde così che se la portò a letto. Silvano, l’uomo onesto, l’uomo che non aveva quasi mai peccato, se la portò a letto.

Iniziò ad uscire con lei durante le pause di lavoro, a camminare tenendosi per mano.

Mirelle fu informata. Chiamò un’agenzia investigativa e lo fece seguire. A sua volta frugò ogni angolo più nascosto della vita di Silvano.

Quando ne fu certa lo affrontò:

-Tu caro mio mi tradisci.

Silvano negò. Negò persino l’evidenza.

-O lei o me. Concluse Mirelle.

Silvano scelse lei, Mirella. Riflettendoci bene si era reso conto d’averla scelta perché onesta e fedele; perché era il suo progetto di vita.

Valentina, innamorata come mai nella sua vita, ritornò alla carica. Un uomo come Silvano non era un uomo da perdere. Lei che di uomini ne aveva già conosciuti, se ne intendeva.

Lo convinse a far l’amore con lei un’ultima volta. Silvano che le voleva bene, come voleva bene ad ogni altra persona che aveva conosciuto in intimità, si lasciò facilmente convincere.

Mirelle lo venne a sapere.

-I tuoi informatori, le rispose Silvano, ti hanno mentito.

-Non credo niente di quello che dici. Già mi hai imbrogliata una volta.

-Non è come dici.

-Non ti voglio ascoltare. Vattene da lei.

-Voglio restare con te. E’ te che ho scelta.

-Lasciami sola.

Silvano si recò nel suo studio.

Mirelle uscì.

A Silvano venne il sospetto che cercasse vendetta.

Rientrò qualche ora dopo. Non si parlarono neppure.

Si erano sempre detti la verità anche quando poteva fare male. Ora invece era la guerra, ora che c’era la necessità di parlare, tacevano. Pensavano alle loro vite, ai problemi risolti insieme; pensavano ai litigi, all’amore, al loro inutile stare insieme, tutto in silenzio.

La sera dopo, Mirelle uscì di nuovo. Laciandolo al suo lavoro.

E così per molte altre sere. Il tarlo della gelosia s’insinuò nella testa di Silvano. Ebbe una vaga conferma la sera che l’accompagnò ad un piano bar.

Mirelle fece la smorfiosa davanti ad alcuni amici che ancora Silvano non conosceva. Si lasciò baciare sulla guancia, si lasciò prendere sottobraccio svelando una complicità che Silvano non accettò.

-Andiamo via. Disse con un tono che non ammetteva replica.

­Mirelle non disse nulla. Rincasati, Silvano l’amò con violenza, quasi a provare a se stesso che la sua donna non era stata di nessun altro.

-Guardiamo in faccia la realtà.  Sbottò Mirelle esausta di quella situazione, dopo l’amplesso violento e silenzioso. La nostra unione è finita.

-Non parlare ora, te ne prego. Restiamo ancora in silenzio. Mi piace sentirti accanto, accarezzare i tuoi capelli, il tuo corpo, sentire i battiti del tuo cuore, indagare i nostri destini che hanno camminato insieme. La interruppe Silvano. Mirelle lo baciò sulla bocca. Le faceva male ascoltare parole d’amore. Guardandolo negli occhi disse:

-Guardiamo in faccia la realtà: il nostro è un matrimonio fallito. Ripeté.

-Io ti amo ancora ed anche tu mi ami. Lo sento. Perché dici questo?!

-Può darsi che la colpa sia mia. Sono insoddisfatta. Forse ti amo ancora, è vero, ma non ho più nessuna fiducia in te. E’una vita senza senso la nostra: abbiamo mentalità ed obiettivi diversi. La nostra vita cammina per strade diverse.

-Hai un altro uomo?

-No, soltanto amici!  Forse ci sarà. Sono stata la tua donna. Tu il mio unico uomo. Così non è stato per te.

-Non esiste un modo per restare insieme? La interruppe nervoso.

-No! Mi sto allontanando come se qualcuno, qualcosa mi strappasse da te. Non ho la forza di resistere. Non c’è nessuna ragione.   Ti vedo sempre più lontano. Forse è già troppo tardi. Separiamoci! Non vorrei odiarti! Separiamoci così da amici.

-Perderti...perché? No, no! E’ forse perché non riesci a dimenticare il mio tradimento?

-Ti ho perdonato per questo.

-E’ forse perché non sono stato capace di darti la vita dei nostri sogni.

-Quel che è stato è stato Silvano. E’ stato bello con te. Non lo dimenticherò mai. Ma guardiamo la realtà. Guardiamo il futuro. Siamo troppo diversi.

-Il futuro senza di te mi fa paura. Perché non può essere tutto come prima?

-Mi dispiace. I nostri destini sembrano dividersi. Non è un addio. Devo ritrovarmi sola a riflettere. Ed anche tu. Separiamoci per qualche tempo, poi vedremo.

Silvano si prese un anno di permesso dal lavoro, abbandonò tutto. Informò Mirelle che sarebbe ritornato dai suoi. Gli amici sentenziarono: lo sapevamo che un matrimonio così non sarebbe durato; troppo diversi erano per mentalità. Troppe volte Silvano costringeva la sua donna a rimanere in casa. Non che la obbligasse, era nell’ordine del loro stare insieme. Però quando lei, vincendo le sue paure, usciva non le rivolgeva parola, restava distante. La faceva sentire in colpa. Mirelle aveva persa la sua spontaneità, la sua allegria, a vivere con un uomo con una mentalità così provinciale.