Silvano era ormai un uomo sposato. La
giovinezza era fuggita per sempre. Il periodo di fidanzamento non era stato
lungo e si erano posseduti sin dal primo istante.
Avevano voluto legalizzare la loro
convivenza insultata dalla gente che li conosceva, ignorata dagli altri.
Mirelle, la donna conosciuta al mare
cercando l’avventura, era diventata la sua sposa.
Si era formato nei loro incontri una
dipendenza di sentimenti, affetti, ricordi e progetti che li aveva portati a
promettersi eterno amore.
Erano persone mature, di una maturità
formata dalla società in cui vivevano e secondo logica non avrebbero dovuto
temere nulla ed essere felici. Non lo sapevano, ma dovevano sposarsi. Era la
legge nascosta. La legge che era stata loro impressa nella mente per essere
felici, mentre crescevano. Entrambi si erano voluti sposare in jeans, coerenti
con le loro idee. Silvano portava di nuovo i capelli lunghi. A Mirelle piaceva
così. Gli diceva che assomigliava a Cristo.
La cerimonia che poteva averli uniti
per sempre, era stata intima: davanti ad un rappresentante del popolo, avevano
accettato di convivere legalmente formando una nuova società per azioni. I
genitori, cattolici, contrari a quel tipo di matrimonio, non parteciparono.
Organizzarono un rinfresco per ringraziare i pochi amici invitati. Decisero di
spendere i loro risparmi a rivisitare i luoghi dove si erano conosciuti ed
amati, a ritrovare il gusto del passato. Avevano deciso tra un bacio ed un
abbraccio, ancor prima della loro unione legale, che la realtà sociale, esigeva
che la donna lavorasse. Mirelle, che aveva raccolte queste idee della
rivoluzione della donna, aveva accettate le sue responsabilità: avrebbe
continuato a lavorare. Silvano vedeva invece la possibilità di realizzare i
suoi sogni.
Avevano fatto il possibile per fare
coincidere i loro orari di lavoro. Anche se a fatica c’erano riusciti.
Rare volte Mirelle aveva la possibilità
di manifestare il suo estro culinario e quelle rare volte era la felicità di
Silvano. Quando Mirelle si recava in cucina lui la seguiva. Mirelle non
disdegnava il suo aiuto. Silvano l’aiutava in tutti i lavori domestici, come
rifare il letto, spolverare, lavare, stirare. A loro pareva giusto fare così.
Non così la pensavano gli amici che di
tanto in tanto erano loro ospiti.
-Non ti sembra di perdere la tua dignità
di maschio?
-No! Rispondeva. E’un nuovo modo di
affrontare la vita a due. Entrambi lavoriamo. Entrambi abbiamo le stesse
esigenze di tempo libero. Entrambi siamo persone e non servi. E li invitavano a
pranzare o a cenare su piatti di plastica cibi preconfezionati, a bere vino,
spumante e champagne in bicchieri di plastica. Dopo l’uso, li gettavano. Agli
amici, che chiedevano se non era più gustoso, igienico mangiare in piatti di
porcellana, bere in bicchieri di cristallo, rispondevano che poteva essere anche
vero.
Ma era una questione d’abitudini e
che loro l’avevano apprese per necessità di vita. Soltanto così avevano più
tempo libero per stare insieme per uscire insieme tenendosi per mano come eterni
innamorati.
Con una lettera sofferta, la sorella di
Silvano li informò della decisione necessaria di abortire, consenzienti i
genitori, contrario il confessore al quale si era rivolta per tacitare la sua
coscienza. Silvano e Mirelle non le risposero nulla; non avrebbero saputo che
dirle, non sapevano come si sarebbero comportati loro nella stessa situazione
quando lo scienziato consigliava l’aborto ed il religioso la sfida di una vita
malformata. Non era certo una decisione facile da prendere se si lasciava
comandare la coscienza. Rifiutarono di pensarci, il problema non era loro.
Con i pochi risparmi che avevano
avanzato e che avanzavano sognavano di costruirsi una casa tutta loro. Solo
allora Mirelle, se avesse voluto, avrebbe potuto rinunciare al lavoro per
crescere un figlio. Silvano pensava che era più sano e naturale che fosse
Mirelle allattare il figlio e che fosse lei, aiutata da lui, ad educarlo. Di
questi argomenti non ne aveva ancora discusso con la sua donna. Gliene avrebbe
parlato quando sarebbe stato il momento.
Mirelle prendeva la pillola ed avevano
deciso per l’adozione qualora se ne fosse dimenticata. Non si sentivano pronti
per riceverlo. La loro vita era stata presa negli ingranaggi di un sistema al
quale non ci si poteva ribellare. Vivevano credendo in valori decisi da altri,
appresi senza esserne coscienti, costretti dal ritmo frenetico del lavoro,
incapaci di pensarci profondamente. Nel tempo che scorreva svaniva la loro
giovinezza, svanivano i loro sogni e non si accorgevano di essere stanchi, di
vivere inutilmente, di non comprendersi più. Qualcosa di inespresso, d’ignoto
alla coscienza turbava la loro serenità.
Ne discutevano la sera a letto, dopo
che si erano amati. Silvano le prospettava la necessità di razionalizzare la
vita quotidiana, di rinunciare alla casa, alle ferie, ai viaggi ed a mille altri
desideri per avere subito un figlio, Mirelle taceva. A sentirlo era posseduta da
un tremito di amarezza. Sentiva che aveva ragione. La realtà è la realtà.
Eppure non si sentiva realizzata. Le piaceva uscire la sera con gli amici,
andare al ristorante con i colleghi di lavoro, cercare nuove esperienze. Suo
marito era invece un solitario, non amava stare in compagnia, se ne stava sempre
in casa a dipingere, a scrivere con quel suo maledetto computer, a programmare
un futuro noioso. Non era più innamorata. Provava per Silvano amicizia,
tenerezza e tante altre emozioni. Erano sufficienti per continuare la vita
insieme? Mirelle non lo credeva. Era tutto più luminoso, gioioso quando era
innamorata: allora anche i difetti, i fatti più banali, i sogni erano giocosi,
realizzabili. Tutto aveva un’altra luce, altri significati. I problemi non
erano problemi. Ora si sentiva in crisi. Aveva bisogno di restare sola, di
pensare, riflettere, capire. Avrebbe quasi preferito che Silvano avesse
un’altra donna, obbligandola a scegliere. Si sentiva soffocare da quel
rapporto troppo esclusivo. Sino a che era innamorata non se ne rendeva conto, ma
ora...ora aveva un bisogno fisico di ritrovare se stessa. Le mancava la libertà
di uscire con gli altri. Sentiva di dovere realizzare qualcosa, ma ancora non
aveva ben chiaro che cosa. Amava il sole, i viaggi. Era abituata a vivere a
giornata non pensando al futuro. Al contrario di Silvano che programmava,
pianificava per acquistare una casa e per avere dei figli.
Qualcosa si era spezzato. Doveva
scegliere.
Silvano si era creato uno studio tutto
suo, dove si rintanava a scrivere poesie, a leggere, a dipingere, a fermare le
idee che gli sarebbero servite per il lavoro.
Un giorno che Mirelle sentì il bisogno
di parlargli entrò nel regno privato di suo marito. Gli rimproverò:
-Quando ti deciderai a mettere un poco
di ordine e a fare un poco di pulizia?
-Non importa, a me sta bene così! Le
rispose seccato.
-Non riesco a capire come tu riesca a
concentrarti in mezzo a tanta confusione. Se lo ripulissi un po’ concluderesti
molto di più. Replicò offesa.
-Non m’interessa far carriera.
-Quando deciderai di crescere?
-Sto lavorando, e molto...domani devo
consegnare questo lavoro. Rispose per farle capire che non voleva essere
disturbato.
-Dovresti ascoltarmi e cambiare, così
non fai altro che perdere tempo. Replicò ignorando la richiesta.
-Le idee non vengono a comando.
-Sapevo che non mi avresti dato retta.
Non fai niente per me, non mi ascolti.
-Faccio tutto per me ed ecco come mi
tratti. Rispose irritato per non essere stato compreso.
-Non ti sopporto quando fai così!
Mugugnò a sua volta offesa, lasciandolo solo a continuare il suo prezioso
lavoro.
La notte dormirono accanto senza
cercarsi, senza dirsi nulla. Il mattino Silvano si recò al lavoro senza
salutarla. Sul lavoro tutto gli girò storto. Ritornò a casa con un umore nero.
Disse alla moglie a cercare comprensione:
-Ho presentato il mio lavoro, non me
l’hanno accettato.
-Sapevo che avevi sbagliato. Non mi
ascolti mai.
Il tuo problema è che non mi dai mai
retta. Non ascolti i miei consigli. Dovresti farlo o non farai mai carriera.
Rispose felice di essere diventata importante.
-Sai che non m’interessa. Concluse
rifugiandosi nello studio. Mirelle lo seguì:
-E’ perché non sei capace di
affrontare le situazioni da solo. So io quello che ci vorrebbe per te. Da solo
non sarai mai capace di affermarti. Sei ancora un bambino che ha bisogno della
mamma. Ora che fai? Perché non mi stai ad ascoltare? Lo sollecitò.
-Smettila con quest’atteggiamento
materno. Lasciami lavorare!
Mirelle uscì nera in volto. Silvano la
raggiunse poco dopo, dimenticandosi per un attimo del lavoro che stava
eseguendo.
-Scusami per prima, mi sta andando
tutto torto...stavo inseguendo delle idee...che avevi da dirmi?
-Non t’importa nulla di me. Non mi
ascolti. Perché dovrei parlarti?
-Vuoi sempre e solo aver ragione!
-Non capisci! Non mi ero resa conto
quanto tu fossi sensibile. Ora mi tocca anche stare attenta a come parlare perché
ti offendi. Hai i tuoi problemi, non voglio caricarti anche i miei. Qualsiasi
cosa dico ti arrabbi.
Silvano non le rispose nulla. Ritornò
al suo lavoro, incompreso.
Trascorsero giorni senza che si
abbracciassero, senza scambiarsi neppure un bacio, ignorandosi a vicenda.
Mirelle rimasta sola seguì i suoi
pensieri. Si spogliò. Si fece un bagno rilassante, lasciando libero corso ai
pensieri. Ora che lo conosco meglio non mi sento più attratta da lui come
prima. Mi sento in colpa, ma è certo che non voglio più stare con lui. Era
importante per me che mi amasse, ma ora quando sono in sua presenza non sono più
me stessa. Non mi sento più né ascoltata ne capita. Vorrei lasciarlo. Non so
più cosa fare per lui. Non me lo lascia fare. Quando mi parla vorrei essere li
ad ascoltarlo; ma quando sono io che gli parlo ci resta male. Uscita dal bagno,
si asciugò rimirandosi davanti allo specchio. Dall’armadio scelse i vestiti
più sexy che possedeva. Si vestì. Si rimirò soddisfatta allo specchio
camminando avanti ed indietro. Ritornò da Silvano.
-Ho voglia di uscire. Disse. Tu che
fai?
-Sto lavorando...dove vuoi andare
vestita come una prostituta d’alto bordo?
-Una volta ti piacevo così vestita.
Rispose offesa. In ogni caso ho deciso di fare un salto in centro. Se vuoi
accompagnarmi sbrigati.
-No, non vengo.
Ritornò che era notte inoltrata.
Silvano non era ancora riuscito a prendere sonno. Aveva immaginato che la sua
donna l’avesse tradita. Non vi era nessun motivo d’uscire vestita a quel
modo.
La sentì infilarsi sotto le lenzuola.
La ignorò, avvolto dalla gelosia.
-Silvano. Lo chiamò. Non le rispose
fingendo di dormire.
Erano diverse settimane che la notte
non udiva le loro voci parlare. Silvano si recava a dormire ogni volta sempre più
tardi, quando lei già dormiva. Alcune volte le si avvicinava. Con le mani la
carezzava cercando di eccitarla, il sesso eretto. Lei ad ignorarlo o a
rispondergli che aveva sonno. Entrambi si spiavano a masturbarsi, a volte,
ignorandosi a vicenda.
Silvano si lasciò, per questo
attrarre, da Valentina, una collega di lavoro.
-La voglio. Si disse.
Iniziò a discutere con lei, a
scambiarsi idee e progetti. Accadde così che se la portò a letto. Silvano,
l’uomo onesto, l’uomo che non aveva quasi mai peccato, se la portò a letto.
Iniziò ad uscire con lei durante le
pause di lavoro, a camminare tenendosi per mano.
Mirelle fu informata. Chiamò
un’agenzia investigativa e lo fece seguire. A sua volta frugò ogni angolo più
nascosto della vita di Silvano.
Quando ne fu certa lo affrontò:
-Tu caro mio mi tradisci.
Silvano negò. Negò persino
l’evidenza.
-O lei o me. Concluse Mirelle.
Silvano scelse lei, Mirella.
Riflettendoci bene si era reso conto d’averla scelta perché onesta e fedele;
perché era il suo progetto di vita.
Valentina, innamorata come mai nella
sua vita, ritornò alla carica. Un uomo come Silvano non era un uomo da perdere.
Lei che di uomini ne aveva già conosciuti, se ne intendeva.
Lo convinse a far l’amore con lei
un’ultima volta. Silvano che le voleva bene, come voleva bene ad ogni altra
persona che aveva conosciuto in intimità, si lasciò facilmente convincere.
Mirelle lo venne a sapere.
-I tuoi informatori, le rispose
Silvano, ti hanno mentito.
-Non credo niente di quello che dici.
Già mi hai imbrogliata una volta.
-Non è come dici.
-Non ti voglio ascoltare. Vattene da
lei.
-Voglio restare con te. E’ te che ho
scelta.
-Lasciami sola.
Silvano si recò nel suo studio.
Mirelle uscì.
A Silvano venne il sospetto che
cercasse vendetta.
Rientrò qualche ora dopo. Non si
parlarono neppure.
Si erano sempre detti la verità anche
quando poteva fare male. Ora invece era la guerra, ora che c’era la necessità
di parlare, tacevano. Pensavano alle loro vite, ai problemi risolti insieme;
pensavano ai litigi, all’amore, al loro inutile stare insieme, tutto in
silenzio.
La sera dopo, Mirelle uscì di nuovo.
Laciandolo al suo lavoro.
E così per molte altre sere. Il tarlo
della gelosia s’insinuò nella testa di Silvano. Ebbe una vaga conferma la
sera che l’accompagnò ad un piano bar.
Mirelle fece la smorfiosa davanti ad
alcuni amici che ancora Silvano non conosceva. Si lasciò baciare sulla guancia,
si lasciò prendere sottobraccio svelando una complicità che Silvano non accettò.
-Andiamo via. Disse con un tono che non
ammetteva replica.
Mirelle non disse nulla. Rincasati,
Silvano l’amò con violenza, quasi a provare a se stesso che la sua donna non
era stata di nessun altro.
-Guardiamo in faccia la realtà.
Sbottò Mirelle esausta di quella situazione, dopo l’amplesso violento
e silenzioso. La nostra unione è finita.
-Non parlare ora, te ne prego. Restiamo
ancora in silenzio. Mi piace sentirti accanto, accarezzare i tuoi capelli, il
tuo corpo, sentire i battiti del tuo cuore, indagare i nostri destini che hanno
camminato insieme. La interruppe Silvano. Mirelle lo baciò sulla bocca. Le
faceva male ascoltare parole d’amore. Guardandolo negli occhi disse:
-Guardiamo in faccia la realtà: il
nostro è un matrimonio fallito. Ripeté.
-Io ti amo ancora ed anche tu mi ami.
Lo sento. Perché dici questo?!
-Può darsi che la colpa sia mia. Sono
insoddisfatta. Forse ti amo ancora, è vero, ma non ho più nessuna fiducia in
te. E’una vita senza senso la nostra: abbiamo mentalità ed obiettivi diversi.
La nostra vita cammina per strade diverse.
-Hai un altro uomo?
-No, soltanto amici! Forse ci sarà. Sono stata la tua donna. Tu il mio unico
uomo. Così non è stato per te.
-Non esiste un modo per restare
insieme? La interruppe nervoso.
-No! Mi sto allontanando come se
qualcuno, qualcosa mi strappasse da te. Non ho la forza di resistere. Non c’è
nessuna ragione. Ti vedo
sempre più lontano. Forse è già troppo tardi. Separiamoci! Non vorrei
odiarti! Separiamoci così da amici.
-Perderti...perché? No, no! E’ forse
perché non riesci a dimenticare il mio tradimento?
-Ti ho perdonato per questo.
-E’ forse perché non sono stato
capace di darti la vita dei nostri sogni.
-Quel che è stato è stato Silvano.
E’ stato bello con te. Non lo dimenticherò mai. Ma guardiamo la realtà.
Guardiamo il futuro. Siamo troppo diversi.
-Il futuro senza di te mi fa paura.
Perché non può essere tutto come prima?
-Mi dispiace. I nostri destini sembrano
dividersi. Non è un addio. Devo ritrovarmi sola a riflettere. Ed anche tu.
Separiamoci per qualche tempo, poi vedremo.
Silvano si prese un anno di permesso dal lavoro, abbandonò tutto. Informò Mirelle che sarebbe ritornato dai suoi. Gli amici sentenziarono: lo sapevamo che un matrimonio così non sarebbe durato; troppo diversi erano per mentalità. Troppe volte Silvano costringeva la sua donna a rimanere in casa. Non che la obbligasse, era nell’ordine del loro stare insieme. Però quando lei, vincendo le sue paure, usciva non le rivolgeva parola, restava distante. La faceva sentire in colpa. Mirelle aveva persa la sua spontaneità, la sua allegria, a vivere con un uomo con una mentalità così provinciale.