CAPITOLO PRIMO

Anche quella sera, Francesco, doveva lasciare la sua compagna di vita per recarsi al lavoro.

Le vecchie abitudini ed i sogni d’antichi innamorati erano stati sacrificati per vivere nella civilissima, promettente società dell’era atomica.

L’uomo si recava volentieri al lavoro, volendo assicurare alla famiglia quella vita agiata che era ormai nella mentalità.

Indossati i vestiti della domenica, salutata la moglie, si chinò a ricevere un bacio dal figlioletto, che lo abbracciò stretto facendosi promettere, in cambio, dei dolci.

La moglie gli raccomandò:

-Ritorna presto, non bere, sai che abbiamo bisogno di soldi. Era il giorno di paga.

Abitualmente, quando Francesco faceva il turno di notte, veniva a far compagnia ad Anna, Sara, sua sorella, donna giovane in attesa di marito.

Fu così anche quella sera.

Silvano, figlio di Anna, dormiva nella stessa stanza. A volte piangeva perché non voleva restare solo nel suo lettino, così dormiva nel letto grande.

Quella sera la madre gli comunicò:

-Se anche stanotte fai la pipì a letto non ti faccio più dormire insieme con noi.

Prima di farlo coricare si sforzò di farlo urinare nel vasino. Poiché non voleva e piangeva, lo esortò a bagnare le scarpe di papa.

Quella notte fu importante: nell’anno I960, 27 aprile, si preparava, nel gran letto matrimoniale, il destino affettivo del piccolo uomo.

Durante la notte, quella notte, per la prima volta il bambino conobbe la donna. Sara, svegliatasi nel sentire quelle piccole mani accarezzarla e frugarla, provò piacere e lo lasciò giocare. La madre dormiva, ignara del destino del figlio. Più tardi nella notte, Sara, accesa la luce, fece far pipì al piccolo. Urinò a sua volta. Anna, svegliatasi, vedendo il figlio sveglio gli domandò se voleva fare pipì. Sara la informò:

-Glielo già fatta fare io.

Si spense di nuovo la luce. Nessuno seppe nulla di quanto accadde quella notte. Di essa rimase solo un ricordo nell’inconscio di Silvano: quando, con gli amici, giocava a nascondino, si nascondeva, a volte, sotto le gonne lunghe, moda anni trenta, della donna giovane in attesa di marito, provando un forte richiamo per il calore, l’odore ed il sapore della pelle sudata e calda. Spuntò l’alba. Anna, come il suo solito, si svegliò presto. Prima di alzarsi, tastò le lenzuola dalla parte del figlio e fu soddisfatta di non doverle lavare. Senza far rumore si vestì. Scese in cucina, facendo piano per le scale di legno della vecchia casa, costruita dai suoi antenati con pietre di fiume e di monte e legno. Si portò avanti con le faccende domestiche.

Accesa la stufa a legna, si recò in bottega a comprare il pane. Rincasata in fretta, mise un pentolino con il caffè di cicoria ed uno con il latte a scaldare sulla stufa: Badò che non la sporcasse, perché dopo avrebbe dovuto sprecare del tempo a pulirla, perché non restasse puzzo di bruciato per tutta la casa, perché non poteva sprecarlo inutilmente: non ­c’era molto altro da mangiare. Nel frattempo si era levato il sole. Anna pensò al marito che ancora non era rientrato: “ forse se ne sta seduto in un’osteria a bere; forse mi sta tradendo con altre donne, spendendo con loro i soldi della paga.” Sussultò ricordandosi del piccolo allevamento di polli e conigli che Francesco aveva voluto per integrare il suo magro stipendio di dipendente statale. Indossato in fretta un golf, si recò alla piccola baita tutta in legno a spargere mangime ai polli e fieno ai conigli. Raccolte poi le uova ed un poco d’insalata dall’orto, rincasò. Guardò l’orologio: il marito aveva terminato il suo turno alle sette; ora, anche dal campanile del paese, i rintocchi della campana annunciavano che erano le nove. -E’ tornato Francesco? Chiese ansiosa a Sara che si era messa a lavare i pavimenti.

-Si sarà fermato all’osteria per la colazione o avrà perso il treno.

La confortò.

-Speriamo che non incontri gli amici. Il cuore le batté più forte, ansimò, sembrava vecchia.

-Speriamo che... Non ti sembra di udire piangere il bambino?

-Il bambino?!

-Sì, Silvano. Replicò Sara salendo le scale.

-Ricordati, continuò Anna, delle scarpe, sono sotto il letto, i vestiti sono stesi in terrazza a perdere gli odori del sudore.

-Devo vestirlo?

-No! Piange a sentire freddo; poi non la smette più! Non ho voglia di sentirlo piangere, soffro già di mal di testa.

Sara scese in cucina con il bambino in braccio, avvolto in una coperta di lana. Anna, lo prende, gli lava la faccia. Silvano piange, la madre dice:

-Finiscila! Ora sei grande!

Gli dà la colazione. Sara intanto mette i vestiti a riscaldare accanto alla stufa.

Arriva il padre. Silvano smette di mangiare e scalzo gli corre incontro a chiedere se ha portato i dolci. Il padre non risponde, ubriaco. Urla chissà quale bestemmia. Sara lo prende e lo riveste. La moglie chiede della paga. Lui non le risponde. Non gliela vuole dare. Anna si preoccupa: senza paga non si mangia. Insiste e fruga nelle tasche del marito fingendo di abbracciarlo. La trova. Si allontana, la controlla. Un sospiro di sollievo avvisa che la paga è intatta. Poi esplode:

-Ragiona, qualcuno avrebbe potuto rubartela. Avresti potuta perderla! Dopo come avremmo fatto?

Francesco non l’ascolta neppure. Silvano ha altri problemi: insiste a chiedere i dolci. Fa il broncio perché il padre non lo ha neppure guardato. Lo strattona invano. Sara, che non sopporta gli ubriachi, è scappata in cucina a preparare il pranzo. Silvano la segue. Francesco, lasciandosi cadere sul divano, chiede alla moglie un poco di latte perché non si sente molto bene. Anna lo convince a coricarsi. Lo accompagna sostenendolo su per le scale. A letto vomita sui tappeti.

Le campane annunciano il mezzogiorno. La tavola imbandita di mezzogiorno vede un posto vuoto e delle facce tristi.

Anna dice:

-Anche un marito ubriaco mi tocca sopportare.

-Gli passerà, la rincuora Sara. L’importante è che i soldi ci sono tutti.

-Però un marito così non lo vorresti. Sara sorniona sorride:

-Il mio fidanzato non beve e non fuma.

-Berrà. Berrà anche lui col tempo. Io, se potessi tornare indietro, non mi sposo più.

Il pomeriggio del giorno dopo, passata la sbronza, Francesco andò nel campo a falciare l’erba per i conigli. Silvano lo seguì, portando con sé il camioncino di legno, costruito dal padre, ed una paletta, ricevuti come regalo di S. Lucia, assieme a qualche noce, calze, pantaloncini corti, dei pastelli e, se era fortunato, da alcuni quaderni.

La madre gli raccomandò, come ogni volta, di non sporcarsi. Osservò il padre dare il mangime alle galline e l’erba ai conigli.

Il padre acchiappò una gallina, dopo averla rincorsa, accertatosi che non era da uova, le incrocò le ali, le tagliò la lingua, l’appese ad un ramo a testa in giù, lasciandola morire dissanguata, raccogliendo il sangue per la torta; poi la spennò. Silvano non partecipò a questo strano gioco, aveva paura.

Gli piacevano i pulcini, ma tutte le volte che cercava di prenderne uno, la chioccia lo faceva scappare a beccate. Allora piangeva sino a che il padre gliene prendeva uno raccomandandogli di non trattarlo male; così era con i conigli. Dopo che il padre ebbe terminato di spennare il pollo accese un falò per bruciarne i rimasugli delle penne. Silvano saltellò allegro, si dette da fare per ravvivare il fuoco gettandovi sopra ogni pezzo di legno che trovava. Nel frattempo suo padre, sventrata la gallina con una forbice tagliente, tolse le viscere che gettò al cane. I conigli invece li uccideva con una bastonata, li appendeva ad un ramo a testa in già legati per una zampa a dissanguarli, li scuoiava con un coltello affilato. La pelle la faceva seccare al sole per poi venderla.

-Non scherzare con in fuoco e fai il bravo. Porto a casa la gallina così la mamma la mette a bollire. Gli raccomandò.

A volte ritornava portando le castagne, raccolte l’anno precedente e messe in soffitta a seccare. Così anche quel giorno.

Presa una fascina di rametti secchi, ravvivò il fuoco per fare le caldarroste. La moglie arrivò poco dopo portando la merenda: alcuni panini imbottiti con salame nostrano per Silvano ed una bottiglia di vino per il marito. Stesa una coperta sull’erba, vi si sedette sopra, chiamò il figlio che preferì osservare le castagne che scoppiavano scappando dalla padella per finire nel fuoco. Quando le castagne furono pronte, Francesco le gettò ancora calde in un sacco di iuta per strofinarle le une contro le altre a sbucciarle: le caldarroste fredde sono dure da sbucciare. Anna non nascose la propria golosità: pane, castagne e un bicchiere di vino erano per lei un piatto da re. Silvano si divertì a mangiare le castagne già sbucciate che la madre stava mettendo da parte per la sera. Dopo, sazio, si alzò a raccogliere i resti di gomma e di plastica sparsi sul prato, frammenti di giochi rotti, per bruciarli. La madre lo sgridò a causa del fumo nero e della puzza provocata. Silvano non l’ascoltò; corse verso il padre a dirgli che da grande sarebbe stato come lui, che avrebbe comperato tanti fratellini. Francesco sorrise soddisfatto e mentre lo stringeva a sé lo istruì che per diventare grande e forte come lui non avrebbe dovuto fare capricci quando mangiava, che avrebbe dovuto essere ubbidiente.

Aspettavano la sera per rincasare. Anna guardava crescere suo figlio: era sano e l’aveva allattato lei. Ancora qualche anno e sarebbe diventato un uomo.

Sara, una mattina, lo informò che gli era nata una sorellina.

Non se n’era mai accorto prima, che sua madre era incinta, non sapeva neppure che cosa significasse.

Gli avevano sempre detto che i bambini li portava la cicogna. La volle vedere e fu contento. Si lamentò in seguito che più nessuno lo prendeva in braccio per farlo giocare, nemmeno la zia Sara. Gli risposero che ormai era grande. Volle vedere la sorellina mentre si nutriva al seno; non glielo permisero e lui pianse. Dopo capricciose insistenze, lo lasciarono fare: dopo tutto non c’era niente di male. Non aveva pianto il primo giorno di scuola, quando la mamma l’aveva affidato alla maestra; pianse però a scuola, quando non gli si permise di alzarsi dal banco per andare a dialogare e a giocare con i suoi nuovi amici. Sara lavorava ora. I soldi che guadagnava, nonostante il bisogno, erano tutti versati su un conto corrente postale a lei intestato: le sarebbero serviti per mettere su famiglia. E non sarebbe passato molto tempo. Era orfana. Aveva vent’anni ed era fidanzata