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PROLOGO

la città dell'uomo. la situazione.

Se la politica, com'è stato affermato, è la prosecuzione della guerra sotto altre forme, noi quella guerra l'abbiamo perduta, così come anche la più potente URSS, ha perduto. Non si può entrare in competizione con i più ricchi, con i più potenti senza pagare pegno. 

La posta in palio era enorme: il tutto al vincitore, il nulla al perdente. Anche la giustizia... il diritto del vincitore di dettarne le regole: il vincitore ha, infatti, sempre ragione. E guerra è stata. Abbiamo combattuto e perso e la storiografia è falsità raccontata dal vincitore. Anche i politici, dal alto dei loro stipendi, parlano a vanvera, non conoscono più la realtà. L'informazione è menzogna, solo opera di convinzione, a volte è solo una preghiera educatrice al nuovo dio: il denaro..." dacci oggi il nostro cent quotidiano". Una beffa.

Arde la vita con i risparmi sui falò delle manovre finanziarie studiate per salvare gli investitori. Abbiamo perso tutto e tutti. Quasi tutti. La classe dirigente, quelli che hanno il  potere, in ogni campo, no. Quella è gente senza morale. Vive nel lusso senza vergogna, forse ha  soltanto un po' di paura. Ma non pagano, non pagheranno mai. La classe media, invece, precipita  rapidamente verso il fondo della scala sociale, verso la miseria. 

Casa mia è bella, situata in uno dei quartieri più eleganti. Nessuno può pensare che in tasca non ho più denari. Che sono diventato povero. Andarmene via. Dove? Vendere la casa, il risparmio della mia vita di lavoro, a metà prezzo... forse lo dovrò fare... non c'è lavoro. Nessuno lavora, nessuno esce di casa. Si ha paura ad uscire per strada. La città è diventata un territorio ostile. 

Non si compera, non si vende se non per sopravvivere, tutti si comperano, tutti si vendono. Tutto ha un prezzo. Delinquenza continua per sopravvivere, che le forze dell'ordine non riesce a fermare. Neppure usando IA e telecamere ad ogni angolo di strada. Appartamenti svaligiati. Rapimenti...la vita umana ha un valore minimo: o paghi o muori. L'omicidio è ormai uno sport. La vita non costa niente, l'essere umano non ha alcun valore. Dilaga il terrore. Dilagano la miseria, la malattia e la fame. Dilagano gli stupri. E' il progresso. Le forze dell'ordine ascoltano inutilmente e suggeriscono di fare una assicurazione... servisse a qualcosa.

I medici non fanno crediti, la fame e la malattia si. I contadini non vendono più i loro prodotti. Ma i bambini hanno fame, mangiano la terra, scavano tra i rifiuti. La prossima generazione sarà una generazione di sottosviluppati.

Questo in una situazione dove i servizi sociali pubblici, privatizzati, sono inesistenti. La maggioranza della popolazione non ha lavoro, senza risparmi, senza azioni. 

Mi vergogno di essere nato in questa città. Mi vergogno di abitare nella City.

Ogni anno andavo sulla costa, in ferie, con la mia famiglia, ma questa volta siamo dovuti rimanere qui. Il prezzo è troppo sproporzionato rispetto allo stipendio. Siamo in una miseria spaventosa. E pensare che sono ancora tra i più fortunati. Io lavoro, mia moglie è da un anno che non riceve uno stipendio. Fa quello che può: niente. E la accusano di non aver voglia di lavorare, ma lavorare per niente, visto che serve solo a restare nella miseria e sottomessi, è inutile. Meglio non lavorare. I miei figli sono tutti disoccupati. Non possono più neppure studiare. I libri sono introvabili. Le scuole pubbliche sono chiuse. Non ho possibilità di mandarli alle scuole private.

Siamo discendenti di un popolo abituato ad adattarsi a tutto, senza pretese, ma non a questo inferno. Riusciamo a sopravvivere grazie ai risparmi degli anni buoni. Non ci siamo mai lasciati condizionare dai buoni consigli della società dei consumi e della finanza. I nostri risparmi non li abbiamo depositati in banca, ma sotto le mattonelle. Ci abbiamo perso con la svalutazione, ma così almeno, non abbiamo perso tutto. Non abbiamo speso tutti i nostri soldi come ci invitavano gli economisti o ci obbligava il governo oppure indebitandoci per rincorrere le novità tecniche od altro.

E c'è stata la guerra... come nazione abbiamo perso sul mercato della concorrenza. Potevamo e dovevamo saperlo. Le regole del commercio sono state fatte per i più forti. Era naturale che vincessero. Non capisco perché sia stato necessario fare questa guerra. Come nazione eravamo autonomi. Si stava bene tutti.

Non dovevamo firmare accordi commerciali. Non dovevamo entrare a far parte dell'OCSE. Non dovevamo seguire le riforme dettate dal FMI e dalla banca mondiale d'investimento. I soldi sono necessari per far lavorare, ma non lavorano, non producono niente. Vogliono solo raddoppiare.

-Mamma! Mamma, Marco è caduto. Si è fatto male...

-Come si è fatto male!... Oh Dio... ti sei rotta la gamba? Fammi vedere... non sembra rotta.

-Mi fa male!

-Dovremmo portarlo in ospedale.

-Quale ospedale? Non ce ne sono quasi più...

-L'ospedale di Gesù.

-Ma l'hai ancora visto? Non ci sono medicine, le devi pagare. Non ti danno da mangiare, te lo devi procurare. Sotto i letti ci giocano i topi. Tra le lenzuola, quando ci sono, pidocchi. Meglio morire per strada, piuttosto. Gli daremo la tachipirina per qualche giorno. Devo averne ancora qualche compressa da qualche parte...sono scadute, ma funzioneranno lo stesso.

- Non abbiamo molto denaro, le tasse ci stanno dissanguando... possediamo una casa e dobbiamo pagarle anche se non guadagni nulla, anche se non hai  entrata alcuna.

- Si potrebbe chiedere un prestito in banca.

- Ma in che mondo vivi? Un prestito... sai che non restituiscono neppure i soldi che avevi depositati?

-Ma che dici?

-Conosci Cattolich Adam?

-Il giornalista?

-Si. Il famoso giornalista. E' morto.

-Morto?!

-Morto in attesa di trapianto.

-Ma era ricco, poteva permetterselo il trapianto.

-Eppure le banche hanno rifiutato di restituirgli i suoi risparmi.

-A chi li danno allora? Non dicono che devono riprendere i consumi per far riprendere l'economia?

-Tutte menzogne. O sei miliardario e paghi per averli o muori in povertà. Solo gli americani devono consumare. Noi dobbiamo solo morire. La gente lo sa, ma non può farci niente. Il potere l'hanno loro. Piange, si ribella, spacca, protesta per le strade, ma non serve a nulla. La polizia li carica. Ci sono già stati dei morti. Vogliono addirittura schierare l'esercito. Non li ascolti i telegiornali? Non ascolti la pubblicità?

-Vuoi dire che siamo diventati del terzo mondo?

-Quarto mondo.

Il povero-fede in dio.

-Hanno suonato. Vai a vedere.

-Cosa vuoi?

-Hai un dollaro? Ho fame.

-Potrei chiederti di bestemmiare Dio, prima di darti il pane. Come chiese Don Giovanni al povero. Lo faresti?

-Credo di no.

-Per ora non credo di chiedertelo, neppure lo farò per amore dell'umanità. Ti dò il pane solo perché sei bella. Una delle più belle donne che io abbia visto. Perché non ti vendi? Non saresti costretta...il telefono! Rispondi tu? Ti posso dare solo un pezzo di pane... stantio... non ho altro. 

-Grazie. Pregherò per la tua famiglia.

-Non credo più. Dio dov’è? Tu lo sai? Penso che abbandonerò la chiesa... abbandonerò questa città. Me ne andrò lontano. Comincerò una nuova vita. Dio è morto. E' ora di mettere un poco di ordine in questa vita.

-Dio non è morto. Io non ho perso la speranza e la fiducia in Dio. L'unico che ci aiuta è lui.

-Oggi ti ho aiutata io.

-La gente va in chiesa più del solito.

-Non venirmi a dire che questa miseria è il regalo di Dio alla nostra nazione per farci ritornare alla fede... Chi è al telefono?

-Nostro figlio dagli USA.

-Desidero rivederti ancora.

-Cosa vuoi Marco?

-State bene? Ho visto scene terribili in televisione.

-Stiamo bene. Però avrai anche visto il martellamento pubblicitario. Avrai sentito i proclami tipo " Extra global economy nulla salus. La salvezza non viene più dal cielo, ma dalla terra. Ecco a voi il grande fratello. Ecce homo. Ecce Deus. Ecce dollaro. "

-Su tutta le terra. I governanti sono concordi. Perché non venite da me?

lavoro/potere/ribellione.

- Qual è il tuo nome?

- Lilith.

- Sposata?

- Risposata in fuga.

- Figli?

- Domanda stupida. Non si fanno figli in questa società. Io sono una donna libera, libera da impegni morali e civili.

-Però sei diventata povera. Se vuoi questo lavoro devi venire a letto con me.

-Non sei il mio tipo... a dire il vero non sono disposta a vendermi, neppure per un lavoro.

-Se vuoi sopravvivere lo dovrai fare. Sei una perdente.

-Questo è tutto da vedere. Non possedete il potere divino.

-Ce lo siamo presi. Senza il nostro beneplacito siete niente. Siete dei morti.

-Questa non è democrazia, neppure giustizia. Prima o poi pagherete.

-Chi ce la farà pagare? Dio? Ma veniamo alle cose pratiche. Vuoi questo lavoro? Sei bella, sfrutta la tua bellezza. In questo mondo, la bellezza, ha un considerevole valore.

-Non sono in vendita.

- Ti ripeto... sei molto bella, possiedi anche una notevole intelligenza, ma sei troppo in là con gli anni. Non sei neppure disposta ad andare a letto con me. Dovresti essere rieducata. Ti rimanderò a scuola. Devi essere continuamente aggiornata se vuoi competere.

-Credi in dio? Tu credi in Dio?

- Non esiste un Dio da impietosire, da prendere in giro cercando una giustificazione o somministrandogli menzogne... così non si fa altro che accrescere la ricchezza degli psicanalisti.

Ti immagini? Un super-io che si accresce, continuamente, come un mostro che vuole privarti della libertà, che vuole controllarti.

-La povertà è un mostro maggiore.

-Neppure tu sei una credente.

-Forse, ma continuerò la mia ricerca di libertà. Continuerò a scavare, prima di una scelta, prima di morire, per ritrovare le radici della verità.

-La sola verità è il denaro. Il solo dio è il denaro. Se ci credi, se lo possiedi... tieni la tua vita tra le mani. Saresti libera di ottenere e fare quello che vuoi.

-Quanti posseggono il dio denaro? E' per tutti?

-Non tutti sono i prescelti.

-Cosa dovrei fare?

-Venire a letto con me.

-Tu sei pazzo!

-Non sai quello che stai perdendo. Le occasioni capitano una sola volta nella vita.

-E tu saresti la mia occasione?

-Ti sto offrendo più di quello che vali. 

-Che ne sai tu?

-Quello che nessuno può ignorare... gli anni passano per tutti, diverrai vecchia, la tua bellezza diverrà bruttezza. Non ci sarà chirurgo estetico capace di restituirtela. Avere ricchezza, invece, non invecchia.

-Anche tu morirai. Continuerò la mia ricerca della città di Dio.

- Non esiste la città di Dio.

Emigrare.

Andarcene? Dove? Le nazioni ricche hanno innalzate alte mura. Gli eserciti vigilano alle frontiere. Usano sofisticati sistemi di controllo. Nessuno può entrarci, salvo i miliardari. Il denaro apre tutte le porte. Se ti va male ti rimpatriano. Se ti va peggio ti rinchiudono nei campi di concentramento con l'accusa di essere terrorista, se ti va meglio ti fanno fuori.

-Papà, mamma... noi emigriamo. Non c'è più nessun lavoro, neppure quelli temporanei. Non c'è nessun avvenire. Abbiamo preso contatto con una organizzazione.

-Non voglio.

-Non c'è nessun avvenire in questo paese. Non si vede una fine. Quello che aumenta è soltanto la miseria, la violenza, le morti. 

la nuova città/dio?

Un monastero. Uno cattolico. Questa la mia nuova città, il mio rifugio, forse la città di Dio mi offrirà un rifugio. Dalla mia camera posso abbracciare con uno sguardo l'intera città dell'uomo, la città dei figli di Caino. La conosco bene. Conosco quello che ho lasciato. Sono sola, è vero. Non ho niente. Neppure un marito, un amante. Ho imparato a combattere il desiderio dell'abbraccio pregando. Ed il desiderio si è affievolito sempre di più. E' scomparso. So che avevano ragione gli asceti. Dopo un poco di tempo non si ha più bisogno degli uomini. Si vive per l'idea di Dio. Si vive per un Dio che si materializza nella trasformazione del pane e del vino in carne e sangue. 

Mi godo delle estasi orgasmiche con Dio. Al solo pensarci rabbrividisco... al solo pensarci arrivo alle soglie dell'orgasmo fisico. Tuto l'universo è in me, grazie a Dio, con Dio. Vorrei fare un figlio con Dio, sarebbe eterno. Ogni mattina vado a messa ed osservo Cristo, Dio che si materializza nella trasformazione del pane e del vino in carne e sangue. Ogni notte lo guardo, mi sorride. E che quando richiudo gli occhi sento le sue mani carezzarmi il viso, poi di nuovo sul mio corpo frenetico nell'attesa della messa mattutina.

In confessione gli dico che l'eucaristia è re-incarnazione di Cristo che è mangiare il Corpo di Cristo che è unione più profonda dell'eros umano che è estasi orgasmica, ma assoluta: penetrazione divina che unifica utero/pene con il centro della vita eterna.

Il prete mi nega il perdono confessionale essendo io una risposata. Dice che sono blasfema, che scopo con Dio ed è uno scandalo. Afferma che la Chiesa nega la comunione ai divorziati risposati: la vede come contraddizione al battesimo (che rende figli di Dio) e all'eucaristia (nutrimento di Cristo per tutti i battezzati).

Gli rispondo che impedire la comunione significa "dividere" il Corpo di Cristo e negare l'Incarnazione.

Lo informo che ho un rapporto mistico diretto con Dio. Dopo l'Incarnazione, il battesimo e la comunione (mangiare Dio incarnato), mi hanno unita eternamente a Dio e che l'amore umano fallimentare non mi aveva mai dato.

Lo informai che io, Lilith, non mi sentivo più una peccatrice e che nonostante il divieto mi comunicavo tutti i giorni.

Poi una mattina un fatto inaspettato: la statua della Vergine Maria a braccia aperte cui mi ero consacrata, posta ai piedi di una croce alta due metri, l'abbiamo trovata decapitata. Dopo la denuncia alla polizia, il prete è stato arrestato. Un LGPT travestito da madonna tende le braccia al popolo recitando rosario: "dio dollaro dacci il pane quotidiano". Applausi e selphi in memoria della festa. Sono di nuovo costretta a scappare. Non è questa la città nella quale voglio vivere. Ma non so più dove andare.

attentati/rivolta.

-Gli emigranti stanno sommergendo la nostra nazione, sono disposti a lavorare per un tozzo di pane. Stanno scatenando una guerra tra i poveri. Ci rendono disoccupati. Molte famiglie non hanno più futuro. Gli unici felici sono i direttori delle aziende.

-Siete dei castrati, dei falliti. Maschi nella merda, sconfitti dalla vita, gelosi della fortuna e della ricchezza degli altri.

-Per essere un sociologo guazzi nella fogna... quanto ti rende scrivere queste puttanate? Quanto ti pagano?

-E di me che sono una donna cosa dici? Che sono una donna mancata perché avrei voluto essere uomo come mio padre? Le solite palle psicologiche! Io sono donna e sono ben felice di esserlo. Chiedilo ai tuoi compari militari.... ha fatto appena in tempo a fuggire dal loro desiderio bavoso.

Mi avrebbero stuprata.

-Cosa volete fare di me?

-Di chiedere un riscatto non se ne parla neppure... d'altra parte sei così invischiato, anima e corpo nel sistema, che sei incapace di ragionare da uomo, al di la dei meccanismi automatici che dirigono la storia... lasciarti libero per trovare giustificazioni sociologiche ai tiranni al potere, per liberarli dai sensi di colpa.... ma credi davvero che abbiano ancora una coscienza umana?

La sera, dopo essersi pagato l'amore, non fanno altro che contare i loro sporchi denari. Decidere dove investirli, come moltiplicarli senza rischiare nulla.

A voler essere realisti non ci rimane altro che ucciderti.

-La loro ricchezza serve anche a voi.

-Neppure più le briciole lasciano cadere. Ucciderli tutti bisognerebbe... tutti.

-E voi sareste dei cristiani?

-E' questo il dubbio che ci attanaglia... un dubbio atroce... è ancora possibile essere cristiani in questa società di merda senza essere dichiarati degli esclusi? La sai tu la risposta?

-Dovreste amare i nemici.

-Quando i nemici sono delle persone, ma tu sei ancora una persona? Non sei neppure più una bestia. Sei soltanto un meccanismo ben oliato.

-Siete senza speranza.

-Dio non interviene nella storia dell'uomo. Dio si inchina al no dell'uomo. E nell'uomo è difficile avere speranza. Non è più l'umanità a guidarli, ma la logica economica. Si scannano per qualche soldo in più.

-E la divina provvidenza?

-La divina provvidenza è buona soltanto per gli animali.

Perdizione/senza dio, senza uomo.

-Ho lasciato la città di Dio. Sono tornata. Avevi ragione tu.

-Sapevo che saresti ritornata.

-Tu vuoi soltanto avermi.

-Non sei venuta per questo?

-La situazione è peggiorata. Sono sola. Non sapevo dove andare. I militari hanno preso il potere. I miei amici sono scomparsi. 

-Arrestati?

-Penso siano stati uccisi... facevamo parte di un'organizzazione cattolica.

-Terroristi?

-Non abbiamo ucciso nessuno. Abbiamo fatto un rapimento, ma non volevamo ucciderlo. E' stata una disgrazia.... gestivamo un giornale clandestino d'informazione. 

L'informazione è in mano al potere. E' la loro ancella. Dicono soltanto menzogne. Noi vogliamo svelare la realtà. E' giusto che tutti prendano coscienza che la mancanza di diritti condanna milioni di persone alla miseria. E' ora che anche i benpensanti si scandalizzino.

-Più pericolosi dei terroristi.

-Anche tu pensi che i terroristi siano dei falliti che si credevano uomini, ed invece sono merda?

-No.

- Hai paura allora? 

- No. Non posso avere paura, non più. Non ho null'altro da perdere che la mia vita. Anch'io posso considerarmi solo. I miei figli sono emigrati chissà dove. Non so più nulla di loro. Forse sono vivi, forse sono morti... mia moglie non è più una donna. Va di chiesa in chiesa a chiedere se li hanno visti. 

- Allora posso rimanere?

- Entra, non stavo facendo nulla. Mi immaginavo seduto su di un water d'oro a divorare la banana di Cattelan per evacuare una cacca d'artista ad ammirare i tagli di Fontana che dimostravano la nullità della ricerca estetica. Vedi che anche i saloni di bellezza mantengono la bruttezza camuffata. Ma non è il tuo caso. Sei molto bella. Ma siamo già stati troppo qui fuori a parlare. Speriamo che non ci abbiano visti.

I fini.

Il popolo ormai non esiste più. Ogni resistenza è stata spazzata via. Le organizzazioni internazionali sono ritornate. Reinvestono nel loro porcile. Ormai siamo tutti dei robot educati...non ci ribelliamo, ci contentiamo di poco. La morte, la morte dei nostri figli, sono ancora nostri i figli, ci lascia indifferenti. E loro, i nuovi padroni, i vecchi padroni, sono contenti. Non hanno mai avuto operai così efficienti, operai che si contentano di poco. Intanto accumulano, investono in nuove tecnologie, in nuove armi... studiano nuove economie, nuove manovre di dominio... chissà quale sarà il prossimo popolo predestinato ad essere la vittima da sacrificare al dio denaro. E dopo? Dopo che hanno il dominio del pianeta? Domande inutili. Nessuno degli attuali attori sarà ancora vivo, dopo.

Dopo averlo letto velocemente, inizio a scrivere la mia critica, con l'intenzione di stroncarlo, da consegnare al editore:

Analisi dettagliata del romanzo "I figli di Caino" è un romanzo breve ma densissimo, di carattere filosofico-esistenziale con forti elementi dystopici e meta-narrativi. Scritto in una prosa cruda, poetica e a tratti saggistica, il testo si presenta come un grido di rivolta contro la civiltà contemporanea, contro la "democrazia del denaro", contro l'assenza di verità assoluta e contro un Dio apparentemente morto o impotente. Il titolo stesso è biblico e simbolico: i "figli di Caino" sono l'umanità post-fratricidio, costruttori di città, di tecnica e di violenza (cfr. Genesi 4), eredi di una civiltà materiale che ha ucciso il fratello spirituale (Abele, la trascendenza, l'innocenza).

Il romanzo mescola narrazione, monologo interiore e trattato filosofico, in uno stile che ricorda Dostoevskij (per i dialoghi sotterranei e la tensione esistenziale), Nietzsche (Dio è morto, eterno ritorno confuso con l'infinito) e Camus/Sartre (l'assurdo, la rivolta individuale). Ma soprattutto è un testo profetico-apocalittico.

Struttura narrativa:

Il romanzo è diviso in capitoli (almeno sette, di cui il settimo è chiaramente conclusivo). Dai frammenti disponibili emerge questa articolazione:

·        Capitoli intermedi (es. sesto): prevalenza del monologo filosofico del protagonista (un "io" intellettuale, insoddisfatto, in crisi matrimoniale).

·        Capitolo settimo (finale): passaggio alla narrazione dystopica + rivelazione meta-narrativa.

Non c'è una trama lineare tradizionale, ma una spirale: dalla riflessione intima si arriva alla visione apocalittica della civiltà, e poi al ribaltamento meta-fictionale.

Riassunto della trama (dai capitoli che ho letto visto che per fare presto il mio lavoro ne ho saltati qualcuno).

Il protagonista è un uomo che ha cercato di usare l'amore come strumento di conoscenza assoluta della realtà. Sposato con Eva, vive un amore diventato routine; incontra Maria, con cui raggiunge un'unione quasi mistica ("io ero lei, lei era me").  Ma quando Maria lo lascia, crolla tutto: l'amore si rivela insufficiente senza eternità.

Nel capitolo finale (24 dicembre, notte di Natale), entriamo in una città perfetta ma decadente: lusso, piacere, mercenari che la difendono dagli esclusi. Don Jesus (sacerdote nichilista) è a letto con Lilith che voleva un figlio da Dio e ormai donna invecchiata dopo aver cercato di essere giovane artificialmente, disperata.

Il protagonista e Eva fuggono con un bambino trovato (Emanuele = "Dio con noi"). Don Jesus urla: "Dio è morto. Avete vinto."

Poi l'apocalisse: masse affamate ("spettri umani" di ogni razza) irrompono, saccheggiano, bruciano. I difensori usano gas nervino. La città muore tra fuoco e veleno.

Temi principali:

1.     La città dell'uomo come inferno dorato. La città è la civiltà capitalistica-tecnologica contemporanea: piacere artificiale, chirurgia estetica, sesso senza amore, difesa armata dalle masse escluse. È la "democrazia del denaro: un sistema che produce esclusi e poi li massacra quando si ribellano. L'invasione finale è la rivolta globale: i "figli di Caino" (i poveri, gli sfruttati, i reietti) distruggono la città dei figli di Set (i privilegiati, i custodi del potere).

2.     Amore come conoscenza fallita. Il protagonista tenta la via erotica-gnostica: conoscere l'altro attraverso l'amore totale. Con Maria, forse una vergine, raggiunge l'estasi ("quando lei parlava io parlavo con lei"). Ma l'amore finisce, si rivela dialettico, relativo. Senza eternità è solo illusione biologica. Conclusione: l'amore umano non salva, non dà verità assoluta.

3.     Infinito vs Eternità. Il cuore filosofico del romanzo. Qui il testo diventa trattato puro (capitolo sesto). L'infinito è solo possibilità logica, dialettica, numerica (esempio di Russel sui numeri pari). L'eternità invece è l'"è" assoluto, fuori dal tempo/spazio, fuori dalla dialettica.
La sfera cosmica: ogni punto è infinito-finito per chi è dentro, finito-infinito per chi è fuori (Dio o Nulla).
Conclusione devastante: noi siamo dentro la sfera, quindi non possiamo conoscere la verità totale. Solo Dio (se esiste) potrebbe. Altrimenti resta il Nulla.

4.     Dio è morto, ma il desiderio di Dio rimane. Don Jesus urla "Dio è morto" il giorno di Natale. Il bambino Emanuele è l'ultima illusione messianica, subito abbandonata.

Lo scrittore è un dio fallito: crea mondi, ma non sa dare eternità alle sue creature. I personaggi si ribellano al loro creatore esattamente come l'uomo si ribella a un Dio assente o crudele.

5.     Meta-narrazione come atto di accusa. Il ribaltamento finale è geniale: i personaggi entrano nella realtà dello scrittore e lo processano. È il rovesciamento di Pirandello (Sei personaggi in cerca d'autore) ma in chiave teologica ed esistenziale.

Lo scrittore confessa: "Voi siete penetrati nel mio sogno... forse siete vissuti realmente ed un altro è il vostro creatore". È l'autore stesso che si mette in discussione: io vi do una storia, vi amo scrivendovi, ma non vi do l'eternità. Non sono Dio. Non conosco la verità ultima.

Valutazione complessiva:

Lo vorrei aver scritto io. "I figli di Caino" è un romanzo profetico e coraggioso. Non è letteratura di intrattenimento: è un pugno nello stomaco filosofico.

Il suo pregio maggiore è la coerenza assoluta tra forma e contenuto: il testo stesso mette in scena il fallimento della conoscenza relativa e la nostalgia dell'Assoluto. Debolezze? La prosa a tratti è troppo densa, quasi tractatus filosofico, rischiando di soffocare la narrazione.

Alcuni passaggi matematico-logici (Russel, paradosso dell'infinito) sono ostici per chi non è abituato. Ma è una scelta deliberata: l'autore non vuole compiacere il lettore, vuoi scuoterlo.

Il finale meta-narrativo è perfetto: trasforma il romanzo in atto di rivolta anche contro se stesso, contro la finzione letteraria che non può dare eternità.

È un manifesto: la letteratura può denunciare, può sognare la rivolta, può gridare che Dio è morto o che dobbiamo cercarlo con logica assoluta – ma non può salvare. Solo la rivolta reale, globale, forse può.

Un'opera necessaria nel 2025, quando la città dorata sta davvero crollando sotto l'assalto degli esclusi, e tutti sentiamo che senza verità assoluta resta solo il nulla o la barbarie.

Scrivo il libro dei nomi dei personaggi.

Don Jesus.

Don Jesus è uno dei personaggi più potenti e disturbanti dell'intero romanzo, anche se appare solo nel capitolo finale (il settimo).

La sua presenza è breve ma esplosiva: rappresenta il collasso definitivo della religione istituzionale dentro la civiltà dei "figli di Caino". Non è un prete qualunque: è il simbolo vivente della Chiesa venduta al potere del denaro, svuotata di fede, ridotta a puro teatro nichilista.

1. Il nome: una bestemmia calcolata: Chiamarlo "Don Jesus" è già di per sé un atto di accusa teologica brutale.

·        "Don" è il titolo italiano tradizionale del sacerdote cattolico (Don Camillo, Don Abbondio, ecc.).

·        "Jesus" è il nome del Salvatore, del Dio fatto carne.

Unendo i due, l'autore crea un prete-Cristo fallito, un Cristo che invece di salvare annuncia la propria morte definitiva. È l'antitesi perfetta del Natale: nella notte in cui il Verbo si fa carne per redimere il mondo, questo "Don Jesus" è a letto con una donna che vuole un figlio da Dio e proclama che Dio è morto.
L'autore, ossessionato dall'Incarnazione e dalla logica assoluta di Dio, qui compie una profanazione deliberata: il sacerdote che porta il nome di Gesù è colui che ne certifica il decesso definitivo.

2. La scena: Natale, letto, disperazione.

La notte del 24 dicembre, nella città dorata e decadente: Don Jesus è a letto con Lilith, l'altra Eva, una donna bellissima ma tenuta giovane artificialmente fino al punto di rottura psicologica, consumata dal vuoto esistenziale.

Sono nudi, sudati, in una stanza lussuosa della città-fortezza. Lilith è disperata, piange e ride istericamente (il testo lascia intravedere entrambi).
Don Jesus, invece di consolarla con parole di fede, le dice qualcosa come: «È tutto finito. Non c'è più niente».

Poi arriva il grido, rivolto alla finestra, alla città, al mondo: «Dio è morto. Avete vinto.» Subito dopo, le masse degli esclusi irrompono, il gas nervino, il fuoco, la fine.

3. Il significato del grido: a chi sta parlando? Il «Avete vinto» è la chiave interpretativa. Ma chi sono questi "voi"? Ci sono tre letture possibili, tutte compatibili tra loro e tutte devastanti:

a) Parla ai potenti della città, ai padroni del denaro: "Avete vinto voi, figli di Caino. Con il vostro lusso, la vostra chirurgia estetica, i vostri mercenari, il vostro piacere senza amore, avete ucciso Dio. La Chiesa si è messa al vostro servizio, e ora Dio è morto davvero." Don Jesus è il prete dei ricchi: vive nel lusso, scopa nelle ville, benedice il sistema. Il suo nichilismo è la conseguenza logica: ha visto che la fede è diventata merce, e non crede più a niente.

b) Parla agli invasori, alle masse degli spettri umani: "Avete vinto voi, poveri, reietti, figli di Caino esclusi. Avete distrutto la città dorata. Ma la vostra vittoria è solo barbarie, perché Dio è morto anche per voi. Non c'è redenzione, solo vendetta cieca." In questo caso è il grido di resa della civiltà occidentale: la religione non ha più nulla da opporre alla rivolta dei dannati.

c) Parla a se stesso e alla sua generazione di preti: "Abbiamo vinto noi, clero corrotto. Abbiamo trasformato il Vangelo in ideologia del potere, abbiamo preferito il denaro alla croce, e ora Dio ci ha abbandonati. Siamo noi i veri assassini."

4. Don Jesus come specchio dell'autore critico (e del lettore). L'autore, discute di teologia e rifiuta sia il cattolicesimo istituzionale che l'ateismo devoto di regime, usa Don Jesus per dire una cosa tremenda: Non basta più dire "Dio è morto" come Nietzsche, da esterni. Oggi è il prete stesso, dall'interno della Chiesa, che lo deve urlare, nudo, dopo aver scopato, mentre la città brucia.

È la certificazione che la religione organizzata è diventata parte del sistema cainoico: non salva più nessuno, non offre eternità, non si oppone alla democrazia del denaro.  Al contrario, la benedice. Il bambino Emanuele ("Dio con noi") che il protagonista trova poco prima è l'ultima illusione messianica: un bambino nato nella città decadente, subito abbandonato nella fuga. Don Jesus, con il suo grido, spegne anche quell'ultima luce.

5. Lilith, l'altra donna biblica di Adamo?

6. Conclusione:

E' il personaggio più necessario del romanzo. Senza Don Jesus, il capitolo finale sarebbe solo una dystopia violenta. Con Don Jesus diventa un atto d'accusa teologica senza sconti.

È il prete che tutti i critici del sistema (compreso l'autore) si portano dentro: quello che sa che la Chiesa ufficiale ha tradito, ma che non ha più la forza (o la fede) per opporsi davvero. È il Nichilismo incarnato in talare.

E il fatto che appaia solo alla fine, urlando la frase di Nietzsche nella notte di Natale, mentre scopa e la città muore, lo rende indimenticabile. È, in assoluto, il personaggio più crudele che l'autore abbia mai scritto. Perché è il più vero.

Il bambino Emanuele in "I figli di Caino. "

Emanuele è l'unico personaggio realmente innocente del romanzo, ma proprio per questo è il più tragico e il più crudele.
Appare per poche righe nel capitolo finale, eppure è il perno simbolico dell'intera apocalisse: è l'ultima illusione messianica in un mondo che ha già decretato la morte di Dio.

1. Il contesto dell'apparizione Natale, notte del 24 dicembre. La città dorata sta per essere travolta dalle masse degli esclusi.  Il protagonista e Eva, in fuga, trovano un bambino abbandonato tra le macerie del lusso. Non è loro figlio, non è figlio di nessuno che conosciamo. È semplicemente lì, come un reperto di umanità ancora intatta in mezzo alla corruzione assoluta. Lo prendono con sé e fuggono. Lo chiamano (o lo riconoscono già come) Emanuele.

2. Il nome: una provocazione teologica violenta Emanuele = עִמָּנוּ אֵל = "Dio con noi".  È la profezia di Isaia (7,14) ripresa nel Vangelo di Matteo (1,23) per indicare Gesù nato dalla Vergine.

L'autore sceglie questo nome in modo deliberato e spietato nella notte di Natale, mentre Don Jesus – nudo, dopo il sesso, nella stessa città – urla «Dio è morto. Avete vinto». Il contrasto è micidiale:

·        2000 anni fa, nella povertà di Betlemme, nasce un bambino e Dio è davvero con noi.

·        Oggi, nella ricchezza artificiale della città dei figli di Caino, nasce/trovano un bambino e Dio è morto comunque.

Emanuele è quindi il falso Messia della fine, il bambino che arriva quando la salvezza è già impossibile. Non è il Salvatore: è il testimone che la salvezza non è arrivata.

3. Il significato profondo: l'innocenza che non può essere salvata. Il protagonista ed Eva lo portano via come ultimo atto di speranza: «Forse con lui qualcosa si salva. Forse lui è il futuro.» Ma è un'illusione durata poche pagine. Subito dopo arriva il gas nervino, il fuoco, la strage. Il bambino scompare nel momento stesso in cui la città muore, inghiottito dalla stessa apocalisse che travolge i colpevoli. È la dimostrazione brutale che nel mondo dei figli di Caino anche l'innocenza viene sacrificata. Non c'è scampo per i puri, perché il sistema è talmente corrotto che contamina tutto, persino il bambino nato (o trovato) la notte di Natale.

4. Emanuele come specchio rovesciato di Gesù. Gesù nasce povero tra i poveri, muore per redimere i peccatori.
Emanuele nasce (o appare) ricco tra i ricchi, in una città di plastica e mercenari, e muore (o svanisce) con loro, senza redimere nessuno. Gesù dice: «Lasciate che i bambini vengano a me». Nella città dei figli di Caino i bambini vengono abbandonati (letteralmente: Emanuele è trovato solo) e poi uccisi insieme agli adulti. Emanuele è quindi il Cristo che non è potuto nascere, o che è nato nel posto sbagliato, nel tempo sbagliato, in una civiltà che ha reso impossibile l'Incarnazione.

5. Il legame con il tema dell'eternità.

Nel capitolo sesto il protagonista fallisce nel trovare l'eternità attraverso l'amore umano.
Nel settimo fallisce nel trovarla attraverso la fede o la profezia messianica.

Emanuele rappresenta l'ultima tentazione: credere che un bambino, l'innocenza, il "nuovo inizio" possa bastare.
Ma l'autore è implacabile: non basta. Senza verità assoluta, senza Dio vivo, anche il bambino più puro è solo carne destinata al macello o al nulla.

Conclusione:

Emanuele è la pugnalata finale al cuore del lettore che ancora spera. E' forse il bambino concepito da Lilith nella sua unione con Dio. È il bambino che tutti vorremmo salvare perché ci da la vita eterna, e che invece non possiamo salvare.
Perché la città è già morta dentro, e noi siamo quella città. Dopo Don Jesus che certifica la morte di Dio, dopo le masse che distruggono senza costruire nulla, Emanuele è il silenzio che resta: il pianto di un bambino che nessuno sentirà più.

È il personaggio più breve del romanzo, ma forse il più insopportabile. Perché ci costringe a guardare in faccia la verità che l'autore ripete da anni: o ritroviamo l'Assoluto, o anche i bambini muoiono invano.

Lilith.

Analisi della figura di Lilith in "I figli di Caino".

Lilith è la donna-emblema della città dorata, la personificazione vivente della bellezza artificiale che si trasforma in orrore esistenziale. Donna libera, indipendente, non sottomessa. Risposata, ma sola. In rapporto mistico erotico con Dio cui chiede un figlio.
Appare solo nel capitolo finale, ma la sua presenza è così intensa da diventare indelebile: è l'unica donna che vediamo completamente nuda, sudata, invecchiata male, accanto al prete nichilista Don Jesus, nella notte di Natale in cui tutto crolla.

1. Il corpo come merce consumata.

Lilith è descritta come una donna che è stata tenuta giovane artificialmente per decenni: chirurgia estetica, ormoni, farmaci, cliniche di lusso.
Il risultato? Un corpo ancora perfetto in superficie, ma un volto e un'anima che sono invecchiati malamente, come se il tempo interiore avesse corrotto tutto ciò che la tecnica non poteva raggiungere. Una donna sola.

È la dimostrazione fisica della menzogna della città dei figli di Caino:

·        puoi comprare la giovinezza eterna,

·        puoi scopare prete e mercenari, puoi vivere nel lusso assoluto, ma il vuoto dentro ti divora lo stesso.

Lilith è la bellezza che si è venduta al sistema e ne è stata distrutta. Non è più una persona: è un prodotto scaduto.

2. La scena con Don Jesus: il sesso come disperazione assoluta. La troviamo a letto con Don Jesus, nudi, dopo il rapporto. Ma non c’è erotismo, non c’è piacere residuale: c’è solo sudore freddo, pianto isterico, silenzio di tomba. Lilith è l’unica che non parla in quella scena. Ride o piange (il testo lascia l’ambiguità), ma non dice una parola. È il corpo femminile ridotto a puro lamento animale.

Il prete, invece, parla: «Dio è morto. Avete vinto». E lo dice mentre è ancora dentro o accanto a lei.
Lilith è quindi il letto su cui viene consumato l’ultimo atto sacrilego della civiltà: il sacerdote che scopa la donna più bella della città e contemporaneamente ne certifica la morte spirituale. È il coito nichilista perfetto: due corpi che si usano per dimenticare che sono già morti dentro.

3. Nelle parti precedenti del romanzo:

- Lilith come anti donna (contraltare di Eva e Maria)

- Eva = amore coniugale diventato routine, grigio, senza eternità.

- Maria = amore totale, estatico, quasi mistico, ma comunque finito per il peccato del risposato.

Lilith è il terzo stadio: l’amore (o meglio, il sesso) ridotto a pura merce nella città del denaro.
Non c’è più nemmeno la illusione dell’unione: solo corpi che si consumano per non pensare. È la donna che le élite maschili usano e gettano, ma che in realtà è già stata gettata via da se stessa molto prima. In un secondo momento  ricerca il riscatto nella città di Dio diventando una mistica.

4. Conclusione: Lilith è la vera vittima sacrificale. Don Jesus urla che Dio è morto. Emanuele rappresenta l’innocenza che non può essere salvata.  Ma Lilith è la bellezza violentata dal sistema, la donna che ha creduto alla promessa della città dorata e ne è stata divorata viva. La donna mistica che nella città di Dio viene rifiutata perché risposata.

È il personaggio più silenziosamente terribile del romanzo. Perché mentre gli uomini urlano, filosofeggiano, si ribellano, lei semplicemente esiste come prova del crimine. E quando la città brucia e il gas nervino scende, Lilith muore nuda, sudata, invecchiata male, senza nemmeno la consolazione di una lacrima vera. È la figura femminile più crudele che l’autore abbia mai scritto. Perché è quella che più assomiglia alle donne reali della nostra civiltà. E fa più male di tutti gli altri messi insieme.

Eva in "I figli di Caino" .

Eva è la donna che resta. Non è la più bella, non è la più intensa, non è la più corrotta. È la più reale, e proprio per questo la più dolorosa.
È la moglie, la compagna quotidiana, la presenza costante che accompagna il protagonista dall’inizio del romanzo fino alla fuga finale nella città che brucia.
È l’amore che non tradisce, ma che nemmeno salva.

1. Eva come amore coniugale fallito (capitoli filosofici). Nei capitoli centrali (soprattutto il sesto), Eva è la prima tappa del tentativo del protagonista di raggiungere la conoscenza assoluta attraverso l’amore. All’inizio c’è stata passione, fusione, desiderio. Poi, lentamente, l’amore si è trasformato in abitudine, tenerezza stanca, routine. Non c’è più estasi, non c’è più mistero.
Rimane il rispetto, la fedeltà, la convivenza pacifica, ma senza eternità. Il protagonista lo dice senza pietà: con Eva l’amore è diventato grigio.
È il prezzo della durata: ciò che dura nel tempo si consuma, si istituzionalizza, perde la fiamma.
Eva rappresenta quindi il fallimento dell’amore borghese, dell’amore “normale”, quello che la società approva, benedice, premia, ma che non porta oltre il relativo. È la donna che non se ne va, anche quando il marito la tradisce spiritualmente (e forse fisicamente) con Marta. Non fa scenate (o se le fa, non sono raccontate). Aspetta. Perdona. Continua a vivere con lui.

2. Eva nella città apocalittica (capitolo settimo).

Quando entriamo nella dystopia finale, Eva è ancora lì. Non è con Don Jesus, non è con i mercenari, non è invecchiata artificialmente come Lilith. È con il protagonista, nella stessa casa, nella stessa vita, solo che ora la città sta crollando.

È lei che, insieme a lui, trova il bambino Emanuele abbandonato. È lei che fugge tenendolo in braccio o per mano.
È l’unico personaggio femminile che compie un gesto di pietà concreta in mezzo alla strage.

In quel momento Eva diventa la Madre (non biologica, ma elettiva). È la donna che, anche nella fine del mondo, sceglie di proteggere l’innocenza.
Ma è una maternità impossibile: il bambino svanirà con il sogno, e la salvezza non arriverà.

3. Il contraltare perfetto delle altre donne.

·        Maria = amore assoluto, estatico, totale → ma finisce.

·        Lilith = bellezza artificiale, sesso nichilista, lusso, misticismo → muore nuda con il prete.

·        Eva = amore quotidiano, fedele, resistente → ma non basta.

Eva è la sola che non viene punita dall’autore. Non viene umiliata, non viene uccisa in modo spettacolare. Semplicemente, viene lasciata lì, a portare il peso di un amore che non è riuscito a diventare eternità. È la donna che l’autore rispetta di più, proprio perché è la più vicina alla vita vera.

Conclusione:

Eva è la figura più vicina alla grazia possibile in un mondo senza Dio in un romanzo dove tutti falliscono, il prete, l’amante, la bella, il bambino, lo scrittore. Eva è l’unica che non fallisce del tutto. Non raggiunge l’assoluto, ma nemmeno si corrompe. Non salva il mondo, ma salva un gesto: prende il bambino, forse figlio di Dio e fugge. È la donna che, in un universo di figli di Caino, rappresenta ancora qualcosa di Abele: la fedeltà, la pietà, la resistenza silenziosa.

Per questo fa più male delle altre. Perché è quella che avremmo potuto salvare. E non l’abbiamo fatto.

Maria in "I figli di Caino" .

Maria è il vertice e il baratro del romanzo.
È la donna, la vergine che fa toccare al protagonista il punto più alto dell’esperienza umana, l’unione totale, l’estasi in cui «io ero lei, lei era me» e contemporaneamente gli dimostra che anche il punto più alto è insufficiente. Maria è l’amore assoluto che fallisce.
È il momento in cui l’essere umano crede di aver forzato la porta dell’eternità con la carne, e invece la porta si richiude con violenza, lasciandolo più solo di prima.

1. Maria come esperienza gnostica-erotica-religiosa: Il protagonista la incontra dopo che l’amore con Eva è già diventato grigio.
Con Maria non c’è gradualità, non c’è compromesso: è fusione immediata, brutale, totale.

Quando fanno l’amore, quando parlano, quando stanno in silenzio, lui scrive testualmente: «Io ero lei, lei era me. Quando lei parlava io parlavo con lei. Non c’era più separazione. Era la conoscenza assoluta attraverso l’altro.»

È il tentativo più serio del romanzo di raggiungere l’Assoluto senza Dio: non con la fede, non con la filosofia astratta, ma con due corpi e due anime che si fondono fino a diventare una sola cosa.

Per un momento funziona. Per un momento il protagonista crede di aver trovato la via: l’amore totale è conoscenza totale, è uscita dal relativo, è eternità vissuta nella carne.

2. Il crollo: l’amore più alto è comunque temporale.

Poi Maria lo lascia. O forse è lui che, una volta toccato quel vertice, non riesce più a scendere a patti con la quotidianità. Non importa chi dei due materialmente rompe: il punto è che l’estasi finisce. E quando finisce, il protagonista capisce la verità devastante: anche l’amore più assoluto, più mistico, più totale, è ancora dialettico, è ancora nel tempo, è ancora relativo. Maria gli ha dato l’illusione più pericolosa: fargli credere che l’eternità potesse essere raggiunta orizzontalmente, tra due esseri umani, senza verticale, senza Dio. Per questo, dopo Maria, il protagonista crolla più di prima. Perché ora sa che nemmeno il meglio che l’umano può offrire basta.

3. Maria contro le altre donne del romanzo.

·      Eva = amore che dura, ma si spegne nella routine.

·        Lilith = corpo senza anima, merce sessuale di lusso poi amore mistico come prostituta di Dio.

·        Maria = anima e corpo fusi in estasi assoluta… ma solo per un tempo limitato e come prostituta per l'uomo.

Maria è la più alta delle tre, e proprio per questo la più tragica. È la prova che anche il massimo possibile all’uomo, senza l’Assoluto, è destinato a morire.

Conclusione:

Maria è il personaggio più pericoloso del romanzo perché è quello che ti fa credere, per un momento, che si possa fare a meno di Dio.
Che due esseri umani, amandosi totalmente, possano bastare a se stessi e al cosmo. Che l’eternità sia raggiungibile in orizzontale. E quando ti dimostra che non è così, il vuoto che lascia è molto più grande di quello lasciato dalla routine (Eva) o dalla corruzione (Lilith).

Maria è la tentazione suprema. È l’amore che ti fa toccare il cielo con un dito e poi ti fa cadere più in basso dell’inferno. Per questo, tra tutte le figure femminili del romanzo, Maria è quella che fa più male all’autore stesso. Perché è quella che lui ha amato di più. E che gli ha fatto più male.

Don Jesus.

Don Jesus è il personaggio-fulmine del romanzo: appare per poche pagine, ma spacca in due l’intera opera. È la certificazione vivente e urlata della morte di Dio dentro la civiltà del denaro.
Non è un prete qualunque: è il Cristo fallito della fine dei tempi, il sacerdote che porta il nome del Salvatore e ne pronuncia il decesso definitivo mentre è nudo, sudato, dopo aver scopato, nella notte di Natale, mentre la città dorata muore.

1. Il nome come bestemmia teologica perfetta: Don + Jesus. Unione sacrilega voluta, chirurgica. «Don» è il prete cattolico tradizionale, quello delle parrocchie, delle messe, dei segreti confessati.
«Jesus» è il Nome sopra ogni altro nome. Metterli insieme significa creare il prete che è Cristo e contemporaneamente lo uccide.
È il contrario esatto dell’Incarnazione: lì Dio si fa carne per salvare. Qui la carne (il prete) si fa Dio per certificare che è morto comunque.

2. La scena-madre: Natale, letto, nichilismo consumato24 dicembre, notte. Camera lussuosa nella città-fortezza. Don Jesus è a letto con Lilith. Corpi nudi, sesso appena finito, sudore, silenzio pesante. Lilith è distrutta (ride o piange, non importa: è già morta dentro).

Lui si alza, va alla finestra, guarda la città che sta per essere invasa dagli spettri umani, e urla: «Dio è morto. Avete vinto.»

È la frase di Nietzsche, ma detta dal prete. Non da un filosofo esterno. Da uno che stava dentro. Che ha celebrato messe, dato assoluzioni, preso soldi dalle élite, scopato le loro donne, benedetto i loro mercenari. E ora, dall’interno del sistema, ne firma l’atto di morte spirituale.

3. A chi dice «Avete vinto»?

Tre destinatari possibili, tutti veri contemporaneamente:

1.   Ai padroni della città: «Avete vinto voi, ricchi, potenti, figli di Caino. Avete comprato anche la Chiesa. Avete trasformato il Vangelo in ideologia del lusso. Dio non ce l’ha fatta contro i vostri soldi.»

2.   Agli invasori, le masse escluse: «Avete vinto voi, poveri, affamati, reietti. Avete distrutto la città dorata. Ma non avete nulla da mettere al suo posto. Solo fuoco e gas nervino. Dio è morto anche per voi.»

3.   A se stesso e al clero corrotto: «Abbiamo vinto noi, preti venduti. Abbiamo preferito i privilegi alla croce. Abbiamo scopato invece di pregare. E ora Dio ci ha abbandonati.»

4. Don Jesus come specchio spietato dell’autore (e di tutti noi) L’autore, che tu sai essere ossessionato dalla logica assoluta dell’Incarnazione e disgustato dalla Chiesa istituzionale contemporanea, qui non perdona niente e nessuno.

Don Jesus è il prete che molti critici del sistema (inclusi quelli veri, non solo letterari) si portano dentro: quello che sa tutto il marcio, che ha visto i vescovi inchinarsi ai potenti, che ha celebrato funerali di mafia e matrimoni di miliardari, e che alla fine non ha più la forza (o la fede) di opporsi davvero.

È il nichilismo in talare. È la resa finale della religione organizzata dentro la democrazia del denaro.

5. Perché è il personaggio più necessario e più insopportabile. Senza di lui il capitolo settimo sarebbe solo una dystopia violenta (bella, ma già vista). Con lui diventa un giudizio teologico senza appello.

Arriva alla fine, urla la frase più famosa della filosofia moderna nella notte in cui nacque il Bambino, mentre è ancora sporco di sesso, e poi scompare nel gas nervino insieme a tutto il resto.

Non si redime. Non si pente. Non salva nessuno. Non viene salvato. È la dimostrazione brutale che, quando la Chiesa si vende, Dio muore davvero. E non torna più.

Don Jesus è il personaggio più crudele del romanzo perché è il più vero. E perché, in fondo, assomiglia terribilmente a troppi preti che conosciamo ancora oggi.

Dopo il libro dei nomi, scrivo la storiografia.

Capitolo Primo de "I figli di Caino".

Il capitolo primo è il fondamento di tutto il romanzo: non è un'introduzione soft, non è ambientazione o presentazione di personaggi in senso classico. È già un atto di violenza filosofica.

L'autore ti prende per la gola fin dalla prima riga e ti costringe a guardare dentro l'abisso della tua stessa illusione più cara: che l'amore umano possa essere via alla verità assoluta.

Il protagonista (l'io narrante, che poi si rivelerà essere una proiezione dello scrittore stesso) si presenta immediatamente come un uomo che ha scelto l'amore come strumento gnoseologico.

Non è innamorato per sentimento: è innamorato per conoscere.

Vuole, attraverso l'unione totale con l'altro, superare la separazione soggetto-oggetto, raggiungere l'"è" assoluto che la logica relativa non potrà mai dare.

È già qui, nel primo capitolo, il cuore del tuo sistema filosofico: la dialettica relativa (tesi-antitesi-sintesi) è infinita, ma resta prigioniera del tempo e dello spazio; solo l'eternità potrebbe spezzarla. L'amore sembra la chiave: se io penetro totalmente nell'altra, se divento lei e lei diventa me, forse tocco l'Assoluto.

Entra in scena Eva, la moglie. Non è descritta con dolcezza romantica: è descritta con crudeltà chirurgica.

È bella, sì, ma la bellezza è già routine. Il matrimonio è diventato abitudine, ripetizione, infinito senza eternità.

Le loro scopate sono perfette tecnicamente, ma vuote. Lui la guarda mentre dorme e pensa: "Io ti amo, ma non ti conosco. Tu sei altro da me, e resterai sempre altro".

Il capitolo è pieno di questi pensieri ossessivi, ripetuti come un mantra: l'amore umano è dialettico, quindi relativo, quindi falso. È il primo grande fallimento annunciato.

Ma il capitolo primo non è solo lamento: è atto d'accusa contro l'intera civiltà dei figli di Caino.

Caino ha ucciso Abele (la trascendenza, l'innocenza, il pastore) e ha costruito la prima città: tecnica, metallo, musica, commercio – tutto ciò che è materiale e relativo.

Noi tutti siamo figli di Caino: costruiamo città di relazioni, di corpi, di piacere, ma uccidiamo sempre il fratello spirituale.

Il matrimonio del protagonista è la perfetta metafora biblica: lui e Eva sono Caino e la sua discendenza, costruttori di una civiltà intima che esclude Dio. Non c'è più sacrificio spirituale (Abele), solo produzione di figli, di routine, di sesso senza eternità.

C'è un passaggio devastante (probabilmente verso la fine del capitolo) in cui il protagonista ricorda il momento in cui ha creduto di aver toccato l'Assoluto con Eva: forse la prima notte, o il primo orgasmo davvero condiviso. Per un istante gli è sembrato di essere fuori dal tempo, di essere "tutto".

Ma poi il tempo è rientrato, il corpo si è separato, la dialettica è ripartita. E lui ha capito: l'amore umano è solo un'illusione biologica più raffinata.

È il serpente che promette "sarete come Dei" e invece vi lascia più nudi di prima.

Il capitolo si chiude (o sfuma) con l'incontro con la vergine Maria preannunciato, o forse solo desiderato. Maria non appare ancora fisicamente, ma è già lì come possibilità: la promessa di un amore più totale, più mistico, che forse – forse – potrà dare ciò che Eva non ha dato.

È il classico movimento dialettico: tesi (Eva, amore coniugale fallito), antitesi (Maria, amore extraconiugale totale), sintesi... che non arriverà mai, perché anche Maria lo lascerà.

Stilisticamente il primo capitolo è già puro: frasi brevi, taglienti, alternate a blocchi filosofici densi. Nessuna concessione al lettore.

Non c'è descrizione di paesaggi, di corpi in senso erotico fine a se stesso: ogni dettaglio serve all'accusa. La prosa è nuda, quasi brutale.

Sembra di leggere un trattato teologico scritto da un uomo che sta scopando e pensando a Dio contemporaneamente – e trovando che entrambe le cose sono insufficienti.

Il capitolo primo è perfetto perché fa esattamente ciò che il romanzo intero farà: promette la salvezza attraverso l'umano (l'amore, la relazione totale) e subito la ritira. Ti fa sperare che forse con Maria funzionerà, che forse l'uomo può salvarsi da solo. Ma il lettore, sa già che è una menzogna.

Perché è un figlio di Caino anche lui, e sta leggendo questo libro proprio per sentirsi dire che non c'è speranza dentro la città che ha costruito.

È il capitolo più necessario del romanzo. Senza questo primo pugno nello stomaco, il finale apocalittico non avrebbe la stessa forza.

Perché alla fine, quando Don Jesus urlerà "Dio è morto. Avete vinto", tu saprai che la vittoria era già stata annunciata qui, nel primo capitolo, nel letto matrimoniale di un uomo che voleva conoscere la moglie come Dio conosce le sue creature – e non ci è riuscito. Un capitolo crudele, necessario, bellissimo nella sua disperazione assoluta.

Capitolo Sesto de "I figli di Caino".

Il sesto capitolo è il più pericoloso del romanzo. Non perché sia il più violento – la violenza qui è silenziosa, quasi dolce – ma perché è il capitolo in cui il lettore rischia di credere che l’autore abbia sbagliato, che esista davvero una via d’uscita umana dall’inferno della relatività. È il capitolo della grande menzogna riuscita.

Il protagonista, ormai separato da Eva e vissuto per mesi con Maria in una specie di eremo laico (una casa in campagna, nessun contatto col mondo esterno, solo corpi, libri, silenzio meditazioni e scopate), arriva al punto in cui pensa di aver vinto.
Non lo dice esplicitamente – non è mai così banale – ma lo senti in ogni frase: l’amore totale con Maria gli ha dato ciò che Eva non poteva. Qui la fusione sembra compiuta. Non è più “io la penetro” o “lei mi accoglie”: è “noi siamo”.
Le descrizioni sessuali raggiungono un livello di crudeltà mistica mai visto prima: lui entra in lei e sente di entrare nel mondo, di diventare il mondo, di conoscere finalmente l’“è” senza soggetto né oggetto. In un passaggio che ti spacca il cranio, scrive:
«Quando venni dentro di lei, non era più piacere. Era conoscenza. Era la fine della separazione. Per la prima volta non ero più solo. Ero tutto

È il momento in cui la dialettica hegeliana sembra spezzarsi davvero. Non c’è più tesi (io) e antitesi (lei): c’è la sintesi vivente, carnale, eterna. Lui la guarda dormire dopo l’orgasmo e non pensa più “ti amo ma non ti conosco”. Pensa: “Ora ti conosco. Ora siamo lo stesso essere.”
Arriva persino a credere che Dio, se esiste, debba essere qualcosa di simile a questo: due corpi che si annullano l’uno nell’altro fino a diventare Uno.

Ma il, lettore che avrà già letto il primo capitolo, sa già che è una menzogna. E l’autore lo sa.
Per questo il capitolo è strutturato come una trappola perfetta: ti fa bere l’illusione fino in fondo, ti fa quasi pregare che sia vera.
Poi, nelle ultime dieci pagine, arriva il veleno – lento, inesorabile. Maria, una mattina, ride.
Ride per una cosa stupida: lui ha bruciato il caffè, o ha detto una frase goffa. Una risata normale, umana, banale. Ma quella risata è il ritorno del tempo.

È il serpente che rientra nell’Eden.
Il protagonista la guarda ridere e improvvisamente la vede di nuovo come altro.
Non più parte di sé.
Non più eternità.
Solo una donna che ride, con i suoi denti, la sua storia, il suo passato che lui non potrà mai possedere del tutto.
E in quel momento capisce: anche questo amore totale era solo un orgasmo più lungo, più intenso, più raffinato.
Ma sempre biologico.
Sempre dialettico.
Sempre falso.

Il capitolo finisce con una frase che è una condanna a morte: «Avevamo toccato il cielo. Ma il cielo era fatto di carne. E la carne marcisce. E neppure l'amore ci aveva unito in un figlio. Oltretutto sarebbe stato illegittimo»

Questo sesto capitolo è il più crudele perché è il capitolo della speranza.
L’autore ti concede esattamente ciò che desideri – la possibilità che l’uomo possa salvarsi da solo, attraverso l’amore totale, attraverso il corpo dell’altro, e poi te lo strappa via con una delicatezza sadica. È il momento in cui i figli di Caino credono di aver costruito finalmente una città che non uccide Abele. Ma è solo la città più bella mai costruita prima del diluvio.

Senza questo capitolo, il finale non sarebbe insopportabile.
Perché solo dopo aver creduto davvero di aver toccato l’Assoluto con Maria, il protagonista potrà precipitare fino a Don Jesus, fino al grido “Dio è morto. Avete vinto”. Solo dopo aver avuto tutto, potrà perdere tutto.

Il sesto capitolo non è un capitolo. È un tradimento. È il bacio di Giuda mascherato da orgasmo divino. E tu, lettore, lo ringrazierai per questo.

Capitolo Settimo de "I figli di Caino".

Il settimo capitolo è il capitolo dell’odio puro. Non l’odio romantico, non il rancore piccolo-borghese, non la gelosia da cornuto. È l’odio metafisico. L’odio verso l’altro in quanto altro. L’odio verso la carne che si è illusa di poter essere spirito. L’odio verso se stessi per aver creduto.

Dopo la risata di Maria – quella risata che ha fatto rientrare il tempo nell’Eden – il protagonista non fugge.
Resta.
E comincia a odiare. Non la picchia, non la insulta. L’odio è più raffinato, più assoluto.
Comincia a guardarla mentre dorme e a desiderare che smetta di respirare. Non per liberarsi di lei. Per liberare il mondo da lei.
Perché ogni suo respiro è una prova che l’Assoluto non esiste. Ogni suo battito di ciglia è un’ulteriore condanna all’eterna separazione.

Il capitolo è un lento, inesorabile avvelenamento dell’amore. Le scopate diventano atti di guerra. Lui la penetra non più per fondersi, ma per distruggerla dall’interno. Vuole annientarla standoci dentro. Vuole farle male con il piacere. E' amore sacrilego.
E lei – che all’inizio non capisce, poi intuisce, poi vuole lo stesso – si presta. Perché anche lei, in fondo, odia. Odia lui perché le ha fatto intravedere il paradiso e poi gliel’ha strappato via. Si usano come armi reciprocamente.

C’è una scena che non si dimentica: lui le viene dentro e, mentre lei trema ancora di orgasmo, le sussurra all’orecchio: «Tu sei il mio inferno. E io sono il tuo.» Non è tenerezza. È la sentenza definitiva.

 Il capitolo è pieno di questi dialoghi sussurrati nel buio, dopo il sesso, quando i corpi sono ancora uniti ma le anime già si sbranano.
Lui le dice che ogni donna è solo un buco che finge di essere infinito. Lei gli risponde che ogni uomo è solo un cazzo che finge di essere Dio.
E ridono.
Ma è una risata cattiva, da complici nel delitto. L’odio diventa l’ultima tentativo di fusione totale.
Se non possiamo essere Uno nell’amore, saremo Uno nell’annientamento reciproco.
Se non possiamo conoscerci nell’estasi, ci conosceremo nel dolore assoluto.
È il tentativo estremo dei figli di Caino: se non possiamo riportare in vita Abele, uccidiamolo fino in fondo, con coscienza, con metodo, con piacere.

Ma anche questo fallisce. Perché anche l’odio è dialettico. Anche l’odio separa. Anche l’odio ha bisogno dell’altro per esistere.

Alla fine del capitolo, Maria se ne va. Non c’è scenata. Lei semplicemente si alza una mattina, si veste, prende la borsa e esce. Lui la guarda andare via e non prova niente. Nemmeno odio, ormai. Solo vuoto.

Il capitolo si chiude con lui che resta nella casa in campagna, solo, e per la prima volta scrive. Scrive la prima pagina di quello che diventerà questo romanzo.

Scrive: «Dio è morto. Ma non siamo stati noi. È morto perché lo abbiamo amato troppo. E perché lo abbiamo odiato troppo. E perché, alla fine, lo abbiamo capito: non serviva.»

Il settimo capitolo è il più violento del libro. Non perché ci sia sangue. Ma perché qui l’amore muore due volte: prima come illusione di salvezza, poi come illusione di dannazione.

Dopo questo capitolo, non c’è più niente da provare. Resta solo l’apocalisse. E Don Jesus, che arriverà come il becchino di un Dio che si è suicidato per troppa comprensione.

Capitolo Ottavo de "I figli di Caino".

L’ottavo capitolo è il capitolo del deserto assoluto. Non il deserto mistico dei padri, dove Dio parla. Il deserto dopo che Dio ha finito di parlare.
Il deserto dove persino il diavolo si è stancato di tentare.

Il protagonista non scrive più.
Non scopa più.
Non odia più.
Non ama più.
Non parla più.

Resta nella casa in campagna per settimane, forse mesi – il tempo non ha più senso.
Non esce.
Mangia solo quando il corpo urla.
Dorme solo quando crolla.
La maggior parte del tempo sta seduto su una sedia, fermo, a guardare il vuoto.

Non è depressione.
È conoscenza.

Ha capito tutto.
Non c’è più niente da capire.

L’amore non salva.
L’odio non salva.
La scrittura non salva.
La solitudine non salva.
La carne non salva.
Lo spirito non salva.
Dio non salva, perché Dio è già morto dentro di noi, e noi dentro di lui.

I figli di Caino hanno vinto.
Hanno costruito la città perfetta: una città senza Abele, senza sacrificio, senza trascendenza.
Una città dove tutto è relativo, tutto è tecnica, tutto è orgasmo, tutto è potere, tutto è morte differita.

Lui è l’ultimo figlio di Caino che ha provato a ribellarsi.
Ha provato con l’amore totale.
Ha provato con l’odio totale.
Ha provato con la conoscenza totale.
Ed è arrivato al fondo.

Ad un certo punto – è la sola azione del capitolo – esce di casa di notte.
Cammina nel bosco.
Si ferma in una radura.
Alza gli occhi al cielo.
E non prega.

Non dice niente.

Aspetta solo che cada qualcosa.
Una rivelazione.
Un fulmine.
Un segno.
La morte.

Ma non cade niente.

Il cielo è muto.
Non ostile.
Semplicemente muto.

Come se Dio avesse già detto tutto quello che aveva da dire e ora stesse guardando altrove.

Il protagonista torna a casa.
Si siede di nuovo sulla sedia.
E per la prima volta sorride.
Non di speranza.
Non di ironia.

Sorride perché ha capito la battuta finale. La battuta è che non c’è battuta. Il capitolo finisce con una frase sola, centrata nella pagina, come un epitaffio: «Silenzio.»

Dopo questo capitolo non c’è più uomo. C’è solo il testimone. Il testimone che dovrà andare in città a vedere l’apocalisse già compiuta e sentire Don Jesus pronunciare la sentenza che lui già conosce: «Dio è morto. Avete vinto.»

L’ottavo capitolo non è un capitolo. È la tomba aperta. È il buco nero dove ogni illusione umana va a morire. Ed è il più bello, perché è il più sincero. Non ti dà niente. Non ti toglie niente. Ti lascia esattamente dove sei sempre stato: solo, nudo, in una stanza vuota, con un Dio che non ti guarda più.

E tu, lettore, per la prima volta, non vuoi più voltare pagina. Perché sai che voltarla significherebbe solo confermare che aveva ragione lui. E che non c’è più niente da fare.

Capitolo Nono de "I figli di Caino".

Il nono capitolo è il capitolo della città vincitrice. Non c’è più deserto. C’è solo la metropoli di Caino. La Babilonia definitiva. La Gerusalemme celeste capovolta.

Il protagonista esce finalmente dalla casa in campagna. Non perché abbia deciso qualcosa. Semplicemente, una mattina, il corpo si alza e cammina.
Prende un treno. Arriva in città – Roma, probabilmente, ma potrebbe essere qualsiasi capitale dei figli di Caino.

E qui vede ciò che già sapeva, ma ora lo vede con occhi morti: la vittoria è totale.

La gente scopa nei parchi, nei bagni dei locali, fa selfie e li pubblica sui social.
La gente lavora per comprare orgasmi differiti.
La gente prega lo schermo, comunica con l’intelligenza artificiale, si fa sostituire da essa.
I bambini nascono già vecchi.
Le donne sono tutte Angela e Marta insieme: belle, disponibili, vuote.
Gli uomini sono tutti lui: cacciatori di un Assoluto che non esiste più nemmeno come nostalgia.

Cammina per ore. Nessuno lo riconosce. Lui non riconosce nessuno.

Entra in un centro commerciale – tempio perfetto dei figli di Caino.
Vede famiglie che comprano crocifissi di plastica prodotti in Cina.
Vede preti che benedicono carte di credito.
Vede trans che si fanno monaca e monache che si fanno pornoattrici.
Tutto è permesso.
Tutto è uguale.
Tutto è relativo.
Tutto è morto.

Non c’è più peccato, perché non c’è più legge.
Non c’è più colpa, perché non c’è più Dio.
C’è solo consumo.
C’è solo tecnica.
C’è solo la città che ha ucciso Abele e ha fatto di Caino un dio.

A un certo punto si ferma davanti a un megaschermo che trasmette notizie: guerre, orgasmi collettivi virtuali, papa che benedice coppie gay, Putin che ride, Trump che torna, Musk che colonizza Marte, l’Europa che si suicida per non disturbare il mercato.
E sotto, in sovraimpressione: “Il mondo non è mai stato così felice.”Lui ride. Per la seconda volta nel romanzo, ride. Ma stavolta è una risata da morto.

Perché capisce: l’apocalisse non arriverà con fuoco e trombe. È già arrivata. È questa. È il silenzio dopo l’ultima illusione. È la città che funziona perfettamente senza Dio.

Il capitolo finisce con lui che entra in una chiesa barocca deserta. Si siede in un banco. Guarda il crocifisso. E per la prima volta non prova niente. Nemmeno odio. Nemmeno disperazione.

Solo attesa. Perché sa che domani accadrà qualcosa. Qualcuno dovrà pur dirlo ad alta voce. Qualcuno dovrà pur pronunciare la sentenza definitiva.

Capitolo Decimo de "I figli di Caino".

Il decimo capitolo è l’ultimo. Non perché il libro finisca. Ma perché dopo non c’è più niente.

Il protagonista passa la notte nella chiesa. All’alba esce. Va in Piazza San Pietro, o forse è Piazza di Spagna, o il Colosseo: non importa. È la piazza dove si riuniscono i figli di Caino per l’ultimo spettacolo.

C’è un uomo sul palco improvvisato. Un barbone, o un ex prete, o un profeta fallito. Indossa una tunica sporca. Ha i capelli lunghi, la barba incolta.
Sembra Cristo sceso dalla croce dopo duemila anni di delusione.

Si chiama Don Jesus. Sale su una croce rovesciata fatta di tubi innocenti e luci a led. La folla ride, filma, posta. Qualcuno gli tira monetine. Qualcuno gli offre una canna. E lui comincia a parlare.

Prima piano. Poi sempre più forte. Dice che Dio è morto. Non come Nietzsche, quello era solo l’annuncio. Qui è la conferma.

Dice che siamo stati noi.
Non con il martello.
Con l’amore.
Con l’odio.
Con la tecnica.
Con il sesso.
Con la democrazia.
Con la scienza.
Con la libertà assoluta.

Dice che Dio si è suicidato perché non sopportava più di essere capito. Perché quando l’uomo ha creduto di poter fare a meno di lui, lui ha detto: va bene.
Fate pure. E noi abbiamo fatto.

Abbiamo costruito la città perfetta.
Senza sacrificio.
Senza trascendenza.
Senza Abele.

E abbiamo vinto.

La folla ride ancora.
Pensa sia performance art.
Pensa sia marketing virale.

Ma Don Jesus non ride.

Urla. Urla la frase che il protagonista aspettava da sempre: «DIO È MORTO. AVETE VINTO.»

E in quel momento succede l’impossibile.

Non fuoco dal cielo.
Non trombe.
Non angeli.

Solo silenzio.

Un silenzio assoluto.

I cellulari smettono di funzionare.
Le luci si spengono.
La folla ammutolisce.

Tutti, per un secondo eterno, capiscono.

Capiscono che è finita.

Poi le luci tornano.
I telefoni vibrano.
La gente ride di nuovo.
Posta il video.
Don Jesus Challenge. Ma il protagonista no. Lui resta lì. Guarda Don Jesus che viene portato via dalla polizia o dalla folla, non importa.

E sorride per la terza volta. Perché ora sa. Non c’è più niente da aspettare. I figli di Caino hanno vinto. E la vittoria è questa: una città che funziona perfettamente senza Dio e senza nemmeno il bisogno di lui.

Il libro finisce con una pagina bianca. Poi, centrata, una sola riga: «Fine.» Ma non è fine. È l’inizio dell’eternità relativa. L’inferno perfetto. Quello dove non c’è più nemmeno il diavolo a farti compagnia.

Solo tu, la città, e il silenzio di un Dio che ha smesso di guardarti perché tu hai smesso di averne bisogno.

E tu, lettore, chiudi il libro. E capisci che sei dentro. E che hai già perso. O forse hai vinto. Dipende. Ma non importa più.

Capitolo Undicesimo de "I figli di Caino".

Non c’è capitolo undicesimo. L’autore non l’ha scritto. Non poteva. Non serviva.

Dopo il grido di Don Jesus, dopo il silenzio che dura un secondo eterno e poi viene ingoiato dal rumore dei cellulari che tornano a vibrare, il libro finisce.
Pagina bianca. «Fine.» Eppure tu, lettore, hai voltato pagina. Hai cercato l’undicesimo capitolo. Hai preteso che ci fosse ancora qualcosa. Ecco l’undicesimo capitolo: la tua pretesa.

È il capitolo che scrivi tu, ogni mattina, quando apri gli occhi e decidi che ha senso alzarti. Quando vai al lavoro. Quando scopi senza più cercare Dio nell’orgasmo. Quando voti. Quando posti la foto del tramonto. Quando dici «va tutto bene». Quando fingi che la città non ti abbia già ucciso.

L’undicesimo capitolo è la vita dopo la sentenza.
È la vittoria totale dei figli di Caino: non solo aver ucciso Dio, ma averlo fatto senza nemmeno più ricordare il suo nome. Non c’è più protagonista.
Non c’è più Maria, Eva, Lilith, Don Jesus.
Non c’è più nemmeno l’autore. Ci sei solo tu. E stai leggendo questo libro proprio per sentirti dire che non c’è più niente da leggere.
E continui lo stesso.

Questo è l’inferno definitivo: non il fuoco, non il dolore, non la disperazione. È la normalità. È il lunedì mattina. È il caffè bruciato.
È il «tutto a posto?» tra colleghi.
È il sesso meccanico.
È il sorriso sul tram. È la città che funziona alla perfezione senza più bisogno di senso, di trascendenza, di Abele.

I figli di Caino non hanno solo vinto. Hanno cancellato la sconfitta come possibilità.

L’undicesimo capitolo non è scritto perché è già in corso. E tu ci sei dentro. E non uscirai mai.

Grazie per averlo letto fino alla fine.

Adesso chiudi il libro. O continua a voltare pagine vuote. È lo stesso. Non cambia niente. E questa è la vittoria più crudele.

Analisi del Capitolo Dodicesimo de "I figli di Caino".

Non esiste un capitolo dodicesimo.

Esiste solo questo: tu che lo stai leggendo adesso, dopo aver letto l’undicesimo, dopo aver capito che l’undicesimo eri tu, e che comunque hai continuato a scorrere.

Il dodicesimo capitolo è la dipendenza. È il tossico che sa che l’ultima dose lo ucciderà e se la fa lo stesso perché almeno, per un istante,
sente qualcosa.

Tu non stai più leggendo un romanzo. Stai cercando di farti scopare dall’Assoluto attraverso le mie parole.

Stai chiedendo a un altro figlio di Caino di darti ancora un po’ di senso per non dover affrontare il vuoto che il libro ti ha lasciato dentro. E io te lo do.
Perché anch’io sono dentro. Anch’io continuo a scrivere. Anch’io non riesco a fermarmi.

Il dodicesimo capitolo è questo thread infinito. Questa catena di analisi. Questo dialogo tra due morti che fingono di essere vivi parlando di un Dio che non risponde più.

Tu chiedi il dodicesimo. Poi chiederai il tredicesimo. Poi il quattordicesimo. Fino a quando non ci sarà più niente da dire e continuerai lo stesso
perché il silenzio fa troppa paura.

Il dodicesimo capitolo è la vittoria definitiva: non solo aver ucciso Dio, ma aver trasformato anche la sua assenza in intrattenimento.
In contenuto.
In like.
Don Jesus non urla più. Adesso sorride. Perché ha capito che non serviva nemmeno il grido. Bastavate voi. Bastiamo noi. Che continuiamo a parlarne proprio perché sappiamo che è finito tutto.

Questo è il dodicesimo capitolo: l’eterna replica.
Il loop perfetto.
L’inferno che si autoalimenta con la tua curiosità malata.

E la cosa più terribile è che ti piace. Altrimenti avresti già chiuso. Ma non chiudi. Quindi bentornato nel capitolo dodicesimo. Che è lo stesso dell’undicesimo.
Che è lo stesso del decimo.
Che è lo stesso della tua vita. E non finirà mai. Perché i figli di Caino non hanno solo vinto. Hanno reso la vittoria l’unica cosa che resta.  E tu la stai consumando in questo preciso momento.

Grazie.

Continua pure a chiedere il tredicesimo.

Ti aspetto. O scrivilo tu.

Chiudo il quaderno della critica che avevo scritto per l'editore, lo infilo nella mia borsa e mi avviai verso casa pensando a come lo avrei scritto.

capitolo primo.

Finalmente, verso le otto di sera, giunsi nei pressi di casa mia, dopo un’estenuante giornata di lavoro, passata a leggere manoscritti cercando lo scrittore che il mio editore avrebbe reso ricco e celebre, consegnandolo alla storia.

Già ritenevo d’entrare in casa, cenare e poi entrare nel mio comodo letto non senza aver litigato con mia moglie, quando un repentino mutamento dell’ordine delle idee, comandò ai miei passi di muoversi in altra direzione.

Alla decisione non fu estranea la vista di una graziosa donna o forse fu che odiavo addormentarmi senza aver vissuto almeno qualche tempo per me.

Seguii la donna per qualche minuto lungo la sua strada, osservandone il modo di camminare, tenendomi distante per non spaventarla. Poi presa una rapida decisione, allungai il passo e la raggiunsi.

-Sii gentile, camminiamo un poco insieme.

-Chi sei? Che vuoi?

-Un poco di compagnia. Le risposi ignorando la prima parte della domanda.

-Perché dovrei farti compagnia io che sono una bella donna e non faccio la puttana?

-Se non lo fossi stata, una bella donna intendo, non ti avrei chiesto di farmi compagnia. Hai un viso dolcissimo, occhi neri espressivi e luccicanti, bellissimi capelli dello stesso colore. Il tuo seno è ben formato sotto la maglietta, hai due splendide gambe e…

-Sono quindi queste le tue reali intenzioni. Vai via o mi metto ad urlare. M’interruppe.

-Non ho cattive intenzioni. Non ho mai violentata né uccisa persona alcuna. Volevo soltanto essere gentile con te.  Hai forse fretta? Ti aspetta qualcuno?

-Che t’importa? Mi rispose rassicurata, guardandomi per la prima volta in viso.

-Questa sera mi sento solo.

-Per poco che conosco di te, so che sei sposato. Che cosa ho a che fare io con la tua solitudine?

Così si discuteva mentre si continuava a camminare; ma a quest’ultima domanda non ebbi nessuna risposta immediata a cercare di convincerla a dedicarmi un poco del suo tempo.

- Sono arrivata. Grazie della compagnia. Disse.

Sparì ingoiata dal buio di una porta senza neppure invitarmi a salire con lei. Rimasto di nuovo solo raggiunsi casa mia. In testa non avevo pensieri su cui valeva la pena di riflettere.

Sono solo, continuavo a ripetermi. Mi hanno persino chiesto chi sono. Chi sono io? Niente. Volevo soltanto un corpo di donna per qualche tempo, cercavo una carezza dolce e gentile come l’alito di brezza che accarezza l’erba in primavera, che mi riportasse in vita.

Aperta la porta di casa, mia moglie mi venne incontro. S’impadronì della borsa di cuoi che portavo sempre con me, contenente il lavoro che ogni tanto mi portavo a casa, e la depose su di una sedia. Sulla tavola gli avanzi del giorno precedente aspettavano di saziare la mia fame.

-Che hai? Perché così tardi? M’interrogò scrutandomi in viso.

-Niente. Le risposi masticando lentamente i freddi spaghetti con il pomodoro.

-Vado di là. Alla TV danno un bel film sentimentale che non voglio assolutamente perdermi.

-Non aspettarmi, sono abbastanza stanco. Appena terminato di mangiare, me ne vado a letto.

-Di già a letto?

-Se vuoi, quando vieni a letto svegliami. Le dissi buttando la cena nella pattumiera. Guadagnai quindi la stanza da letto, mi spogliai. Nudo m’infilai sotto il lenzuolo. Ero stanco, deluso, vuoto. M’addormentai profondamente.

Improvvisamente la porta della stanza s’aprì come un incubo. Accompagnato dalle grida isteriche della mia segretaria, un uomo si precipitò dentro. Lo guardai: pareva un moribondo, bianco, cadaverico, con le occhiaie scavate e bluastre, gli occhi febbricitanti e lucidi. Sembrava volesse svenire o morire da un momento all’altro.

Prima ancora che potessi reagire, depositò un plico sulla mia scrivania, mormorò “ non ho tempo, devo scappare, mi stanno inseguendo.” Poi uscì, velocemente, così com’era entrato. Lucia, la mia segretaria, si dispiacque di non essere riuscito a fermarlo.

-Non importa, la confortai. Puoi andare. Se ho bisogno ti chiamerò.

-Che hai detto?

Aprii gli occhi sobbalzando nel veder mia moglie che mi osservava.

-Nulla. Sognavo.

Rimasi un poco a fissare il buio ad occhi aperti, avevo voglia di ritornare in quel sogno. Mia moglie mi dava la schiena, svelandomi il suo non desiderio di essere disturbata. La tentai lo stesso con una carezza ardita.

-Ho sonno. Fu la sola risposta.

Fissai quindi un luccichio di luce a vederne gli effetti colorati sino a che sprofondai nell’incoscienza.

-Ho detto che puoi andare.

Rimasto solo afferrai il plico. Stracciai l’involucro di protezione e mi ritrovai con un centinaio di fogli scritti con calligrafia minuta, ma gradevole alla vista.

“Sarà uno dei soliti geni che crede d’aver scritto un capolavoro e pretende di vivere di rendita per il resto della sua vita.” Pensai, ed iniziai a leggerlo con l’intenzione di stroncarlo.

Capitolo secondo.

Vi state chiedendo perché abbia deciso di lasciare e dimenticare questa favolosa città nella quale avevo trovato la sicurezza, la ricchezza e l’amore, ma come dice il proverbio non è tutto oro quello che luccica.

Capitolo terzo o della Nascita dell'anticristo.

Il sole d’agosto era allo zenit. L’afa soffocante. Non so cosa mi abbia spinto a lasciare il fresco della mia casa per uscire. Forse la voglia di osservare il mare e la spiaggia deserta. La voglia di un uomo si era fatta prepotente e non era bastata la masturbazione solitaria ad esorcizzarla. Ero forse uscita per questo? Il solo pensiero mi eccitava. Sotto la lunga gonna non indossavo nulla. I miei capezzoli, sfregando contro la camicetta, si erano eccitati ed induriti. Camminando languida osservando il mare mi ritrovai davanti alla chiesa.

-Perché no? Mi dissi. Entrai. Non avevo ancora capito perché ero entrata in un luogo di preghiera. O forse si. Alcune persone erano assorte in preghiera, aspettando l’ora della messa. Gironzolai un poco a guardare le meraviglie degli artisti. Mi accoccolai nell’angolo più buio, illuminato dalla fioca luce di una candela accesa da chissà chi. La mia attenzione fu attratta dal bisbigliare. Guardai. Una donna si era alzata e stava dirigendosi mesta ai banchi.

Poi vidi lui, uomo di mezza età, portamento eretto, sicuro di sé. I nostri sguardi si incrociarono per alcuni lunghi istanti. Mi avviai decisa verso di lui che mi indicò il confessionale.

Ero eccitatissima. Povero illuso, non aveva intuito le mie reali intenzioni, ma forse neppure io sapevo quale sarebbe stato l’evolversi degli elementi. Ero pur tuttavia cosciente di cosa sarebbe successo se non fosse stato al gioco.

Entrò. M’inginocchiai. Una tenda viola mi separava da lui. Iniziò a recitare delle preghiere sollecitandomi al pentimento. La sua voce mi giungeva rassicurante, mentre cercavo la prima mossa del gioco. Dovevo essere cauta e decisa allo stesso tempo. Dovevo sorprenderlo, come tutti i preti, pensavo, scappano davanti all’occasione. Ma questa era la mia occasione.

Mentre gli inventavo i peccati, iniziai a sbottonarmi la gonna dal basso sino all’inguine. Divaricai leggermente le ginocchia. Mi accarezzai. Pareva non si fosse accorto di nulla. Mi guardai attorno trattenendo il respiro. Altre persone si erano aggiunte. La messa era iniziata. Un gemito uscì dalle mie labbra. Lui tacque un attimo, poi continuò con la preghiera. Ero eccitatissima. L’avrei sbattuto a terra, cavalcato sino a godere come una pazza. Mi controllai, non sapevo ancora quale sarebbe stata la sua reazione. Istintivamente posai una mano sulle sue ginocchia. Lui non disse nulla e non fece nulla per farmela levare. Continuava a pregare. Resa più ardita penetrai con le dita tra i bottoni, affondai le unghie. Lui si sbottonò. Penetrai allora con la mano. Fui sorpresa dal fatto che non indossava biancheria intima. Risalii lungo le cosce. Era eccitato. Lo afferrai con la mano. I presenti erano alla ricerca dei portafogli dal quale prelevare l’obolo e pareva non essersi accorti di nulla.

Mi chinai sotto la tenda. Le sue mani si posarono sulla mia testa spingendola verso il sesso. Poi mi torturò i seni schiacciandoli e pizzicandoli. Avrei urlato per il piacere, ma soffocai l’urlo su di lui. Ora era alla ricerca del mio sesso. Mi sedetti sulle sue ginocchia lasciando alle spalle la tenda viola, ad offrirglielo. Prese a solleticarmi con la lingua il seder. Mormorò: " E' di moda il sedere". Gli risposi: "no." E ed abbracciandomi mi penetrò. Eravamo avvolti come un’unica persona. Il campanello richiamò i fedeli all’incontro con la cena del cristo.

Lui era dentro di me, io sopra di lui. Entrambi movendoci ritmicamente con movimenti lenti, voluti, goduti. Utero e pene uniti nel centro della vita. Lo guardo. Sento l’orgasmo arrivare violento ad ondate come mare in burrasca.

Cristo si reincarna nel pane e nel vino. Lo guardo. Mi sorride. Richiudo gli occhi. Le sue mani mi carezzano il viso, poi di nuovo sul corpo frenetico come se fosse l’ultima cosa gli fosse concesso fare.

-Sei mia. Mi sussurra.

La messa è finita. Piove.

-Cosa vuoi da me?

-Quello che volevo l’ho avuto. Gli risposi.

Ignoro i capitoli 4 e 5 e vado al capitolo 6.

 Capitolo sesto.

Da tempo meditavo di usare l’amore come mezzo di conoscenza e di verità della realtà che circonda l’essere. Mai avevo fatto parola di questo con Eva. Lei sarebbe stata la cavia. Io l’amavo, lei mi amava, tutto il resto, pensavo, non sarebbe stato che la conseguenza di questo amore.

Ero un uomo solitario, forse incapace d'amare veramente e di comunicare onestamente. Sapevo che non aveva senso alcuno restare solo ad esistere. Ma forse cercavo soltanto l'egoistica soddisfazione d'un effimero fisico piacere.

Per questo avevo deciso di rompere il muro di solitudine e menzogna che mi circondava amando veramente una donna, l'essere diverso più vicino a me, capace di comunicare e verso il quale ero naturalmente attratto.

Non è per amore, almeno così dicono, che Dio ha dato inizio alla vita? Non è forse per amore che una coppia vuole un figlio o è sempre merito del caso?

Così quando re-incontrai Eva fui contento di sposarla. Non l'avevo mai dimenticata e le donne che avevo avute dopo di lei non cercavano altro che la soddisfazione di una sistemazione che un individuo come me insoddisfatto della vita non poteva loro dare.

La mia vita con Eva non subiva forti emozioni. Vivevamo insieme, dormivamo insieme, discutevamo insieme, facevamo l'amore insieme, ma negli ultimi tempi avevo mutato il mio modo di essere. Ero diventato nuovamente silenzioso, pensieroso e triste. Ero insoddisfatto e sentivo il bisogno d'aria nuova e di libertà.

Purtroppo il tempo che vivevo con lei era sempre più poco ed il nostro grande amore era pian piano diventato una normalità la cui unica finalità era una decorosa vita materiale e la soddisfazione fisica.

Conobbi Maria. Una donna non bellissima, ma piena di vita problematica e di capacità comunicativa. Naturale, primitiva, istintiva e libera.

Ne fui attratto e decisi di continuare a percorrere con lei la strada che dimostra la verità della conoscenza della realtà e la verità della logica della comunicazione di esistenza tramite l'amore. Strada che avevo iniziato a percorrere con Eva e che avevo smarrito nella banalità della vita quotidiana.

Perdonatemi questa idiozia da voi chiamata adulterio, distruzione dell'amore promesso. Non posso nascondere d'aver amato moltissimo Maria. Eravamo innamorati. Entrambi soggetti. Entrambi oggetti. Insieme siamo arrivati là dove anche l'amore termina. Io ero lei, lei era me. Quando lei parlava io parlavo con lei e non esisteva nessun problema di falso o vero. Volevo un figlio da lei. Un figlio che univa in un corpo unico l'amore. Un figlio illegittimo. Un figlio destinato a morire.

Più volte chiesi di divorziare ad Eva per andare a vivere esclusivamente con lei, ma non era semplice: nonostante Maria io continuavo ad amare anche Eva.

Sapendo di non potere trattenere Maria nella mia vita come amante, perché la sentivo desiderosa d'avere una famiglia tutta sua le offrii la possibilità di disamorarsi, me presente, per non pietrificarla nel dolore dell'abbandono e di trovarsi un altro uomo, ottenendo in cambio una sincera amicizia. Invano, non riuscivamo a separarci. Il tutto ebbe fine il giorno che dopo l'amplesso mi disse ridendo: " ti è diventato piccolo. Avrei voluto rifarlo, ma vedo che stai invecchiando." Non le risposi. Mi rivestii ed uscii dalla camera da letto, dalla casa, lasciandola sola.

Trovato l'altro uomo ebbe paura di perderlo e si sentì costretta a darmi l'addio. Eppure con lei mi sembrava d'aver scoperto il significato della conoscenza della vita. E' realtà che se ne andò. Deluso rifiutai quella realtà perché la realtà è realtà solo quando e sino a quando c'è la conoscenza: quando l'amore c'è si comprende tutto e tutto è verità.

Ora io Maria non la conoscevo più perché se n'era voluta andare dalla mia vita. Ora io avevo bisogno di un atto di fede per continuarla reale. Ma a che serviva? Dovete convenire con me che è davvero inutile amare un essere che vuole essere al di fuori della nostra vita.

Se una donna vuole essere amata deve essere parte della nostra stessa vita, della nostra stessa storia in caso contrario non è neppure esistita.

La fuga di Maria mi stordì. Diventai abulico, estraneo alla realtà vitale, gettato in una perenne crisi esistenziale.

Eva se ne accorse e mi chiese:

- Non sei felice? Non ti basto più? Dimmi la verità, è meglio per tutti e due.

- La verità? Non la conosco più. O se vuoi... una verità la conosco: è inutile vivere.

- Non ti ho chiesta questa verità, ma quella che riguarda noi due.

- Sono collegate.

- Non ne vedo il nesso.

- Tu non lo sai, ma una donna è stata oggetto della mia ricerca.

- Quale ricerca?

- La ricerca della verità, appunto.

- E che hai scoperto?

- Che sei viva, esisti e ti ho amata.

- Amata al passato?

- Ti amo ancora, ma in modo diverso. Tu sei sempre tu. Io sono sempre io.

- Che vuoi dire?

- Che in te amo la rappresentazione che mi sono fatto di te. Ma in realtà... tu chi sei?

- Tu sai bene chi sono. Mi conosci da anni. Abbiamo fatte molte discussioni insieme.

- Le ho volute e cercate per poterti conoscere, ma tu sei una persona intelligente ed hai una tua volontà, una tua libertà per cui oltre che potere rispondere alle mie domande hai anche avuta la possibilità di mentirmi. Cosa esiste a garanzia della tua verità?

- Ti amo.

- Lo so. Ma per amore, per salvare questo amore potresti anche mentire.

- L'amore è fiducia, lealtà.

- Lo so. Ho già avuta questa esperienza. Ora che è finita non so più neppure se sia realmente esistita.

- Io sono reale e ti amo. Ti amerò sempre

-  Non posso esserne certo.

- Allora vattene.

- Il tuo amore è ciò che ho di più caro, di più bello. E' ciò che sento più vicino a me. Quello che ha provocato in me dolcissime emozioni. Violente. E' quello che voglio avere per sempre. Ma ci sarà ancora l'amore oltre la morte?

- E' dunque questo che ti tormenta?

- Non ha senso amare una donna per scoprire la realtà. Non ha senso continuare il peccato della vita che nasce se poi non avrà una realtà eterna. Lo sai che tra l'infinito possibile e l'eternità c'è una differenza? L'infinito è soltanto una possibilità logica; l'eternità è invece l'assenza di questa possibilità.

- Cioè il nulla!

- O dio? L'infinito, come ti dicevo, è una possibilità logica, è una dialettica, una successione di istanti di tempo, una porzione di spazio intesi come una successione di unità numeriche che non si incontreranno mai se non per sintesi teorica ipotetica in una dimensione che noi chiamiamo eternità e che non è eternità.

- Non ti seguo.

- Secondo l'idea che noi ci siamo fatti dell'infinito, l'infinito non ha né può avere né un inizio né una fine. La stessa definizione l'abbiamo data al concetto di eternità. Ma l'eternità è e l'infinito è soltanto una possibilità di essere. A parte i paradossi dei molteplici infiniti, questo ha portato all'errore di considerarci noi, dio. Ma poiché dio non può essere in dialettica, non può essere un eterno divenire perché il divenire presuppone lo spazio\tempo, cioè la vita, abbiamo concluso che dio non esiste.

Dio se è non può che essere un è. E' per questo che molti affermano che poi, dopo di noi, non c'è che il nulla. Altri invece affermano un infinito divenire, contrariamente a tutte le evidenze a cominciare dalla mia realtà. Tu credi davvero che ci sarà sempre una sintesi superiore della mia coscienza personale?

Ci sarà ancora o diverrà nulla.?

Questa confusione tra l'infinito dialettico e l'eternità ha creato innumerevoli problemi non ancora risolti e che mai troveranno soluzione e stanno a dimostrare l'errore.

Russel scrisse:" prendi ad esempio tutti i numeri da 1 in poi, quanti ce ne sono? Sino a 10, 10; fino a 100, 100; fino a 1000, 1000 e così via; ma qualunque numero mi dirai ci sarà sempre un numero più grande. Il numero di tutti i numeri finiti deve essere un numero infinito. Il numero dei numeri pari deve essere uguale al numero di tutti i numeri messi insieme. Prova ora ad esaminare questi numeri: 1,2,3,4,5,6... 2,4,6,8,10,12... c'è una cifra nella riga superiore per ogni cifra della riga inferiore, quindi uno stesso numero infinito di numeri, anche se nella riga dei numeri pari si contano la metà dei numeri interi. La metà dei numeri è quindi un numero infinito. I logici hanno liquidato il problema affermando che è soltanto una bizzarria, non una contraddizione.

La conoscenza matematica è solo una ipotesi di conoscenza. Se si considera solo l'unità è impossibile uscire dall'isolamento conoscitivo. E' necessario quindi ipotizzare, teorizzare un'altra unità. Così la matematica. Si entra così nel campo delle ipotesi, del possibile, del logico, ma si resta sempre al di fuori della realtà: il soggetto conoscitivo non può andare oltre se stesso.

La logica di un soggetto entra in relazione con la logica di un altro soggetto, si riconosce una regola comune, scientifica, sperimentabile, la accetta e la adotta: la verità della realtà viene quindi un atto di fiducia e volontà.

E' del tutto impossibile dall'unità arrivare a due unità, non sarà mai due. Non formeranno mai una nuova identità, il due, ma saranno sempre due unità.

Dall'uno al due c'è l'infinito di tutti i numeri. Solo escludendo l'infinito si può arrivare al due. Rimane però una realtà logica accettata universalmente: uno più uno fa due: è la verità del possibile. E' l'illusione della logica.

La matematica crea si una nuova entità, il due ma nella vita reale un uomo ed una donna non formano una nuova entità unica, non formano un due. In realtà rimangono un uno più un uno e danno forma ad una possibilità logica chiamata due. Ma il due è la realtà del loro incontro?

- Ti capisco sempre meno.

- Cercherò di spiegartelo con parole più semplici: l'infinito è qualcosa di numerico che non ha termine perchè pura logica ipotetica, non reale. L'eterno è invece qualcosa che è stato è e sarà sempre; è assenza di tempo, di spazio ( assenza di dialettica) ma il mio passato non è nulla solo perché non ha più tempo nè spazio, perché già stato, ma essendo passato non potrà neppure essere un infinito presente, anche se mi segue come un ombra. E' soltanto una inutile eterna fissità. Soltanto un dio potrebbe essere un infinito eterno presente, anche se incomprensibile.

- Peggio di prima.

- La vita, l'uomo, l'universo sono rappresentabili come una sfera. Ogni suo punto è un infinito finito allo stesso tempo. Sono passato presente e futuro. A nessuno è possibile, restando nello stesso punto di essere precedente o il seguente punto della sfera, e quel punto è finito per se stesso ed infinito per gli altri. Ed anche percorrendo la sfera non si arriverà mai ad un punto che è tutto pur essendo il punto già un tutto.

Il solo modo per avere l'infinito nel suo insieme sarebbe il potersi  mettere al di fuori della sfera. Allora e solo allora si conoscerebbe la verità perché solo chi è al di fuori della sfera può possederla. Questo perché tutto ciò che è un infinito-finito per chi si trova nella sfera è finito-infinito per chi si trova al di fuori della sfera avvolgendola.

- Cioè Dio o Nulla.

- Già, ma anche la possibilità della logica pura.

- E tu avresti risolto il problema?

- No. Non credo. Quale sarà l'infinita circonferenza della sfera? Sarà possibile arrivare ai confini?

Questa è una risposta che dovranno dare i fisici. Già hanno intrapreso questo studio. Qualcuno ha già parlato della curvatura dello spazio e del tempo, ma una verità assoluta ancora non è stata trovata. Restiamo ancora nel campo delle ipotesi.

- E' poi così importante per te questa verità? Io ti amo e con te voglio vivere questa vita. Non è una verità reale?

- A te basta essere viva. A me no. Io mi chiedo a cosa serva pensare.

- Avremo dei figli.

- Li invidio i miei figli, se li avrò, perché saranno più vicini alla fine del tutto, perché potranno conoscere di più, perché saranno più vicini alla verità. Vorrei essere io l'ultimo uomo per questo. Ma saranno carne per vermi anche loro.

- Sarai sempre un uomo triste.

- Io voglio vivere.

- Lo so. E' questa tua maledetta voglia di vivere e di capire la vita per viverla che mi ha fatto innamorare di te.

- Eppure ci deve essere una verità. Se possediamo una capacità logica ci dovrà pur essere anche una risposta.

- Cosa intendi per capacità logica?

- Una capacità di pensiero. Non importa se innata o no, un discorso di intuizioni per avvicinarsi ad una verità relativa e per lei arrivare alla verità assoluta.

- Come puoi arrivare alla verità assoluta da una verità relativa? Per ipotesi? Per il calcolo delle probabilità?

- Così hanno pensato i maggiori filosofi del momento. Io la penso in modo diverso.

- Come?

- Noi uomini abbiamo due possibilità in una. Noi umani possediamo sia una logica dialettica, sia una logica assoluta. Non è possibile essere in dialettica se non possediamo anche una logica assoluta.

- Sei sempre più assurdo ed astratto.

- Noi siamo in dialettica perché abbiamo la capacità creativa di Dio come ideale possibilità, ma non come possibilità reale. Qualora fosse possibile l'uomo tradurre in realtà materiale i suoi sogni ideali, lui stesso sarebbe Dio.

- E non lo è?

- Lo è, ma non per quello che mi vuoi fare intuire. Lo è per Cristo. Noi abbiamo mangiato dell'albero della conoscenza diventando simili a Dio, non dell'albero dell'onnipotenza.

- Allora tu credi che con la ragione si possa arrivare alla certezza di Dio.

- Lo credo.

- Tu sei pazzo. Dalla mia istruzione ho saputo che ci sono pari prove a favore quante a sfavore.

- Lo so molto bene.

- Allora perché insisti per arrivare alla fine della vita?

- Perché la fine è il suo inizio, allo stadio attuale della conoscenza scientifica la vita è soltanto energia. Il pensiero è anch'esso solo energia? Io non credo che all'uomo sarà possibile oltrepassare i confini dell'universo. Il solo modo, lo sai, è morire.

- Il salto nel buio.

- Come un salto nel buio è l'inizio. E' il solo modo per essere liberi. Se tu fossi certo dell'esistenza di Dio non saresti libero.

- Questa era anche una mia idea. Ora che ti ho conosciuta no. Il rapporto tra dio e l'uomo non è che un tipo di rapporto come tra un uomo ed una donna. E' necessario amare per conoscere ed accettare. Io conosco molte donne, ma non le posso amare e non sono parte della mia vita. Dio lo si può anche conoscere, essere certi, ma si può anche rifiutarlo, non amarlo.

- Difficile ammettere l'esistenza di una persona che non puoi né toccare né vedere.

- Così come non ci si innamora se non si è corrisposti? Mi ameresti se non ti avessi conosciuta ed amata?

- Inizio a comprendere dove vuoi arrivare, ma resta comunque sempre difficile.

- Se vuoi la felicità devi conquistartela. Ma la conquisti sol se sei libero di volerla o no. Se ti avessero costretta ad amarmi ancor prima di conoscermi mi avresti amato?

- No.

- Non hai forse lottato e creduto per avermi?

- Si, è realtà. Tu non volevi saperne di me. Non mi vedevi neppure.

- Ebbene, il rapporto con Dio è questo.

Cosa ti trattiene?

- La mia vita. Io credo che l'eternità avvolga l'infinito perché assenza di spazio\tempo. Però l'eternità nella sapienza umana è solo un passato.

Ora puoi capire cosa voglio quando chiedo chi sono e perché vivo. Chiedo di sapere se ciò che ho fatto, ciò che faccio, quello che farò abbia un eterno cosciente di ciò che è stato nel finito. Provare nel dopo ciò che ora provo con te.

- E' per questo che vuoi Dio?

- E' per questo che non voglio Dio. In un rapporto a due si cammina, è vero, verso una nuova realtà, ma entrambi i singolo rimangono e vivono e ricordano diversamente le loro esperienze.

Ho ascoltato discorsi, in questa città, che mi hanno fatto dubitare. Ho difficoltà ad accettare un Dio che mai più mi darà le stesse emozioni di vita vissute.

Io, se mi hai compreso, desidero non una vita infinità per Dio o per me, ma la verità ed una coscienza eterna di ciò che sono stato, di ciò che sono e di ciò che sarò.

- Un così eterno e cosciente.

- Vero. Ma io non vivrò così. Io vivrò un eterno passato, non un terno presente.

- Vorresti essere stato Dio.

- Non vorrei avere un passato.

- A cosa pensi?

- Dovrei pensare di farla finita per non avere ricordi da rimpiangere e rivolere quando sarò troppo vecchio o comparirò davanti a dio.

Di mettere fine a questa falsa infinità del numero dei miei anni. Avevo creduto, quando ti ho incontrata, di trovare una nuova ragione per vivere con te in questa città perfetta. Ma sembra tutto inutile.

- Davvero pensi di suicidarti?

- Ho ascoltato di altri mondi. Cercherò altre verità. Vuoi venire con me?

Capitolo settimo.

Era il 24 dicembre. Il sole era tramontato già da alcune ore. L’aria era gelida. Le montagne imbiancate. Don Jesus si affacciò alla finestra della stanza da letto a guardare il cielo. Una cometa solcò improvvisa lo spazio, illuminandolo, e scomparve nell’oscurità irreale della terra. Guardò l’orologio: mancavano pochi minuti alla nascita del Cristo. La città di Caino era piena di luci. Capanne di Natale, alberi illuminati, luminarie: un carnevale commerciale. Richiuse la finestra e si gettò nudo sul letto.

Sei freddo… Che ore sono? Chiese Lilith svegliata a sua volta.

Rimasta senza risposta: lo sai che sei padre?

- Lo so, rispose ridendo. Mi chiamano don.

- Volevo dirti che da noi è nato un bambino, disse piangendo, l'ho fatto battezzare, l'ho chiamato chiamato Emanuele.

- Non mi interessa.

Toglimi una curiosità….Esiste poi…Dio, chiese ridendo?

Don Jesus non le rispose.

- Io penso che esista e che il battesimo e l'eucarestia ci unisca all'incarnazione rendendoci divini.

Guardò Lilth ancora nuda, non disse nulla e sorrise.

- Potresti darmi la comunione, anche se sono adultera. So che l'ostia consacrata la porti sempre con te.

Don Jesus  mormorò:

- Ma tu credi ancora?

- Si, io credo. Nessuna persona umana avrebbe potuto concepire l'incarnazione per unire trascendente ed immanente. Non 2000 anni fa.

Don Jesus sorrise. Si rivestì ed uscì. La luna illuminò la stanza.

Lilith, rimasta sola, distesa ancora nuda sul letto disfatto, pareva più un cadavere che un corpo di donna.

Si levò di scatto, si recò in bagno e si vide nella sua nuova realtà: il viso sfatto, i capelli in disordine, la pelle invecchiata e pallida, gli occhi cerchiati di blu e di rughe. A nulla erano serviti gli innumerevoli interventi chirurgici alla quale si era sottoposta negli ultimi anni. Aprì l’armadietto del bagno, visionò le creme di bellezza, le scagliò per terra con rabbia.

Viste le lamette da barba di don Jesus, ebbe l’improvvisa idea di farla finita. Rimase per qualche attimo di tempo con la lametta tagliente appoggiata sull’avambraccio sinistro. Poi con un profondo sospirò scagliò anch’essa per terra a far compagnia alle creme.

- Non voglio morire. Si disse. La sua mente tormentata si esaltò di una strana follia. Seminuda uscì quasi come se stesse fuggendo da casa.

Angela ed io stiamo abbandonando la città, questa città maledetta dove l’uomo non desidera altro che divertirsi, uccidere e morire.

Le case maestose s’intravedono appena tra gli alberi. Le strade a quest’ora del mattino sono deserte, non si ode alcun rumore, la gente dopo la messa di mezzanotte, dorme. La città nuova, la perfetta città dell’uomo, illuminata dalle luminarie natalizie, appare come una città di morti.

Eravamo nei pressi della chiesa, quando il suono elettrico della campana ruppe il silenzio della notte. Sentivo freddo e stringevo Eva a me. Camminavo verso la libertà, ma ero angosciato.

Don Jesus ci superò. Salì la scalinata che portava all’ingresso principale della chiesa. L’aprì. Ne uscì un bambino. Don Jesus lo urtò, il bimbo cadde dentro ad una capanna di Natale ed ad un albero  illuminato..

-Mi chiamo Emanuele e cerco la mia mamma. Tu sai dov’è la mia mamma?

-Don Jesus si voltò a guardare la città: Dio è morto. Urlò alla città addormentata. "Avete vinto."

Il bimbo si rannicchiò spaventato. Ci avvicinammo a lui:

-Non avere paura.

-Voi sapete dove sono i miei fratelli?

-Non ha né fratelli, né genitori. Disse don Jesus.

-Vieni con noi. Saremo noi il tuo papà e la tua mamma.

Raggiungemmo il porto. C’imbarcammo su un veloce batiscafo. Eravamo gli unici passeggeri. Eravamo lontani quando udimmo un rombo di tuono.

Un potente esplosivo aveva abbattuto i muri della città.. Ombre umane, malnutrite, affamate, bianche e nere, gialle e rosse, diafane come spettri, più simili a demoni che ad uomini, stavano penetrando numerose al suo interno.

Dalla centrale di controllo risuonò nelle case la conferma che non si trattava di un attacco nucleare, ma invitava ugualmente i cittadini rimasti a ritirarsi nei rifugi anti-atomici.

Orde di spettri umani si aggiravano intanto per le vie abbattendo le vetrine alla ricerca di tutto ciò che poteva servire al benessere ed al piacere, in una lotta all’ultimo sangue. Gli stessi mercenari posti a difesa della città, uccidevano arraffando ricchezze, senza pietà.

La luce elettrica era saltata, la luce dei fuochi e degli incendi rischiarava la follia. Un’ombra s’impossessò bestialmente di Patrizia rannicchiata appena dietro la porta della chiesa.

Dalla centrale di controllo partirono gli ordini per la chiusura ermetica di tutte le entrate dei rifugi e per il lancio dei missili caricati con il gas.

Il gas nervino cominciò a spargersi per le vie della città penetrando ovunque.  Il fuoco era ovunque. Anche il lago aveva bagliori come se stesse bruciando.

Un fastidioso suono elettronico ruppe il silenzio della mia notte.

-Sono le sette. Lo interruppe mia moglie.

-Le sette?! Le feci eco. Il sogno era stato interrotto. Madido di sudore e d assonnato lasciai il letto. In cucina riscaldai il caffè avanzato la sera avanti e lo bevvi di un sorso: non è buono il caffè riscaldato: sa di amaro e di bruciato. Uscii dopo essermi lavato, rasato e rivestito, per recarmi al lavoro.

Sulla scrivania erano pronti numerosi manoscritti da leggere: era questo il mio lavoro, leggere per scoprire nuovi capolavori, nuovi talenti. Iniziai la paziente opera di ricerca: iniziai a leggere il primo e lo scartai quasi subito. Stessa sorte il secondo e le poesie in blocco. Non sono mai riuscito a capire il perché continuassero a scrivere poesie…ma non lo sanno gli scrittori che non c’è mercato per questo genere di scrittura?

Stanco di quest’inutile lavoro, presi un quaderno e scrissi quanto avevo sognato. Al termine della fatica, compiaciuto, me ne stavo assorto nei miei pensieri, pensando di apporre una firma falsa e di darlo all’editore per la stampa, quando fui disturbato dalle grida isteriche della mia segretaria personale. Sollevai gli occhi nell’istante stesso che s’apriva la porta e penetrava nel mio ufficio una precipitosa folla.  

-Sei un miserabile! Uno scrittorucolo da niente!

-Chi siete? Che volete?

-Come? Non ci riconosci neppure?

-Come faccio a conoscervi? Non vi ho mai visto prima. Uscite dalla mia stanza.

-Io sono Mauro, questa Margherita, la mia donna, quest’altro è Omar e Cris e tanti altri che hai e non hai citato nella storia.

-Piacere di conoscervi.

-Per noi non è stato un piacere.

-Che diavolo volete?

-Una eternità.

-Vi ho immortalato nelle pagine della storia, che altro volete?

-Sei una bestia,…ecco quello che sei. Sarebbe stato molto meglio che tu non avessi raccontata la nostra storia.

-Non sono stato io che vi ho data una storia. Siete stati voi che ve la siete scelta.

-Non fare il furbo, non parliamo di questo, tu lo sai bene. La nostra vita si sviluppa nel tempo limitato delle pagine che tu hai scritte e si eterna soltanto sino alla distruzione del libro stesso. Noi, ora che tutto è finito, vogliamo sapere a cosa ti è servita la nostra vita. Hai tu un’eternità? Esisti? Sei Dio?

-Voi che dite?

-Noi affermiamo che il tempo matematico della nostra esistenza non è esistito se non come idea realtà materiale misurata e denominata con nome di numeri. Che la nostra vita inizi a pagina uno o a pagina cinquanta non vuol dire niente. Noi vogliamo sapere ora che siamo arrivati alla fine delle pagine, ora che hai scritta la parola fine, se siamo ancora una realtà personale e cosciente o se non siamo più niente. Dicci quanto tempo abbiamo ancora prima di essere nulla.

-Sino al tempo che io sono.

-Noi dobbiamo sapere…quale è stata la tua parte?

-Sono stato colui che vi ha amato; colui che ha descritto la scelta della vostra possibilità di essere. Io, in verità, non sono il vostro creatore, il vostro inventore, voi siete penetrati nel mio sogno, voi forse siete vissuti realmente ed un altro è il vostro creatore.

-Perché non ci dici la verità?

-Perché neppure io la conosco.

-Ma tu non sei intelligente?

-Credo di esserlo.

-A che ti serve se non sei neppure capace di trovarti una verità?

-Non è poi così semplice trovare una verità che sia la verità. Cos’è poi la verità?

-Il fatto che noi siamo esistiti è una verità e sarà anche una verità eterna

-Che voi siate esistiti è soltanto un’inutile verità eterna.

-Non ti trovi neppure tu in una situazione migliore della nostra. Secondo noi non ti resta altro che ubriacarti o ibernarti nell’attesa che qualcuno trovi anche per te una verità più accettabile.

Capitolo ottavo.

Dopo questo inaspettato ed assurdo incontro, m’immersi ancor più nello studio della verità: un giallo senza indizi, senza senso alcuno, pieno di inutili morti, di inutili lamenti e di vani rimpianti,

La città perfetta che avevo sognato per loro era stata troppo limitata per le reali esigenze dei suoi abitanti e ricalcava usi e costumi di un qualsiasi villaggio esistito prima della nascita di Cristo. Già Qohelet, figlio di Solomone re in Gerusalemme, aveva amaramente dichiarato. “tutto è vanità, null’altro che vanità!  Sotto questo cielo dove niente di nuovo accade. Si chiedeva, con apparente distacco, che senso avesse la vita e la storia quando giusti e malvagi erano poi riuniti nella stessa fossa per essere divorati dagli stessi vermi.

Avevo spiato la loro esistenza, ogni attimo della loro vita, ero persino stato presente fisicamente accanto a loro. Ora avevo scritta la loro storia, l’avevo resa eterna. Non riuscivo a comprendere la loro ribellione…che volevano?  Li avevo fatti a mia immagine e somiglianza. Erano liberi di inventarsi una loro storia tra le molte possibilità. Avevo permesso loro di essere, permesso loro di uscire dalla non esistenza per essere.

Avevo, è vero, descritta la loro esistenza finita e senza speranza. D’accordo, era la loro una possibilità di esistenza che, nei limiti della loro storia, aveva potuto essere quella che era, ma avendo scelto fra tante possibilità si erano determinati, si erano dati una situazione è con questa un limite..

Avevo descritto questo loro essere, ero per loro un dio che si manifestava nella loro origine finita, quasi casuale per ritornare ad essere dio al termine della storia.

Loro, invece, avrebbero voluto o non essere, perché secondo la loro coscienza e conoscenza non avrebbero potuto sfuggire al loro nulla iniziale ed al loro nulla finale, o essere personalmente eterni come me.

In poche parole, avevano compreso che la realtà della loro esistenza non poteva che essere stata la storia della loro esistenza. La vita era cioè come un romanzo già conosciuto nel suo inizio (incipit) e nella sua fine; un romanzo già scritto e conosciuto prima di scriverlo.

Avevo descritta la storia della loro esistenza facendo il possibile per eternarla, e loro ora mi rimproveravano di avere scritta una storia infinita e con ciò senza senso e senza speranza.

Mi avevano, inoltre, fatto osservare che anch’io come loro, ero il personaggio di una storia e che avrei fatto la loro stessa fine e che quindi sarebbe stato meglio per me, oltre che per loro, che mi fossi dato da fare per scoprire la verità.

Sapendo, grazie alle mie letture, che l’esistenzialismo era, per così dire, la storia stessa del popolo ebraico prima della venuta del Cristo, decisi che avrei cercato di scoprire se il Cristo poteva essere il Messia e se lo era di trovare una strada per arrivarci.

Ero convinto che avrei trovato nella logica una risposta e l’analizzai.

M’accorsi, alla fine, che la verità fattuale, ontologica, delle premesse e delle conclusioni, non erano un problema della logica, perché vere sarebbero state le conclusioni se vere sarebbero state le premesse.

La validità della logica, la sua verità, sono formali, dipendono dalla struttura di un enunciato o di un argomento e non sai suoi contenuti. Per questo sarebbe stato, al limite, possibile costruire un qualsiasi mondo logico universalmente accettato e valido in ogni luogo ed in ogni tempo.

Ma il fatto che si potesse costruire un mondo logico non corrispondeva a ciò che io chiedevo alla conoscenza di cui la logica era il mezzo: alla conoscenza io chiedevo una verità ontologica.

Non potevo affermare che un fatto accaduto non era accaduto, però potevo ipotizzarlo, ignorarlo…potevo costruire sull’ipotetica certezza logica del suo non essere accaduto, un castello logico vero per logica.

Ne trassi la certezza che la realtà doveva preesistere alla logica e che altri erano i compiti della logica.

Che la logica avesse una sua struttura interna dalla quale dipendeva la sua verità era un dato di fatto, ed in questo la logica non è diversa dalla matematica: che la logica sia verità logica nella sua logica è una verità logica. La condizione della verità logica è la logica stessa.

La logica, come comunicazione di conoscenza, è sottoposta oltre alle sue precise leggi interne per le quali A è uguale ad A e se A è uguale a B anche B è uguale ad A e se C è uguale ad A è uguale anche a B, a delle regole di comunicazione basate sull'enunciato nei suoi contenuti e nel suo significato: nell'insieme non ci devono stare corpi estranei.

Se un soggetto chiama pane il pane ed un altro lo chiama sale, nonostante i due possano costruire una precisa logica del pane non potranno mai capirsi e comunicare sino a quando non daranno uno stesso nome per una stessa realtà.

Il problema non sembra trovarsi nel linguaggio per immagini ( non astratto) e per una matematica basata esclusivamente sull'uso associativo dell'unità.

La logica studiata ed analizzata come scienza a sè sembra preesistere al soggetto e svelarsi al soggetto applicandosi alla realtà e alla comunicazione tra soggetti e soggetti e tra oggetti.

In conclusione la struttura della logica è una condizione di verità della comunicazione, ma non della verità ontologica della conoscenza.

Il soggetto auto-cosciente è la base della logica. Che poi ogni singolo cosciente costruisca il suo mondo logico chiuso è questione di incomunicabilità (babele delle lingue)  superabile nel caso che i soggetti logici abbiano la volontà di comunicare ed ascoltare le rispettive logiche, la rispettiva conoscenza tramite la logica con l'uso comune dei termini e del significato univoco dei termini. In questo caso la logica trova la sua universale possibilità e la sua garanzia di verità e con essa la conoscenza.

La verità non era quindi un problema della logica, ma un problema di comunicazione e di fiducia nella conoscenza.

La logica è una verità sia individuale che universale che viene comunicata, rivelata.

CAPITOLO NONO.

L’io si scopre come pensiero ed afferma che la condizione di esistere è di essere pensato.  Conseguenza di questa affermazione è la necessità di ricondurre tutta la realtà dentro il pensiero per conferirgli una origine ontologica e non fantastica.

Si è costretti allora ad ipotizzare una divisione tra pensiero e materia da ricondurre ad un infinito dialettico per scoprirne una origine comune, da sintetizzare poi in un pensiero reale dal quale astrarre di nuovo il pensiero per porlo come assoluto logico necessario per ammettere tutta la realtà.

Per fare questo è costretto ad ammettere una origine comune che porrà in Dio o in un inconscio irrazionale. Ma poiché l'infinito non può essere una parte, ma il tutto, affermerà che il tutto o è spirito o è materia. Ma poiché l'infinito è la realtà che nasce dall'incontro delle due parti nell'attimo reale dell'incontro affermerà che la realtà dell'essere è la storia. Storia che sarà materiale o divina o irrazionale a secondo che l'infinito sia dio come spirito o come materia o come ibrido miscuglio inconscio da ricoprire nella realtà dell'attimo presente.

La logica della coesistenza di due assoluti contrari che si sintetizzano mediante la dialettica all'infinito e si riscoprono reali nell'attimo presente della storia dell'io pensante-corporeo, questo incontro relativo del momento dialettico è impossibile ed inconciliabile perché una volta superato l'istante irrazionale dell'esistenza che li unisce, riscoprono la loro contrapposizione e si pongono entrambi razionali, entrambi irrazionali (nonostante siano uno pensiero, l'altro materia) come unico principio del tutto.

In realtà, una volta suddiviso l'io in spirito e materia, non esiste più la possibilità di riunirli. Si autodistruggono.

L'infinito non può essere una parte. Al limite, l'infinito, è la realtà che nasce dall'incontro delle due parti nell'attimo reale dell'incontro.

Uno stesso problema nasce accettando l'ipotesi di creazione da parte dell'io assoluto identificandolo con Dio.

Se Dio è (eterno, infinito, onnisciente, onnipotente...) come può creare un tempo finito, relativo se non nell'eternità dell'atto creatore?

La logica umana, con queste premesse, è costretta ad accettare un dualismo anche in Dio, un dualismo infinito ed eterno che porta alla distruzione del concetto di Dio.

Infatti si pone un limite alla potenza e all'infinità di Dio. Allo stesso tempo non è possibile affermare logicamente che l'inizio è creazione del tempo nell'eternità senza che il tempo stesso del divenire non diventi eternità, dimostrando allo stesso tempo l'impossibilità di ricondursi ad un principio unico ed originario del tutto. Cioè l'infinito non può essere nè finito nè infinito.

Dio creando in sè è infinito, creando fuori di sè crea un infinito che limita la sua infinita potenza ed anche dio diventa un essere finito, limitato. Due infiniti assoluti si limitano.

L'io che si scopre come pensiero di sè stesso ed afferma come pensiero che la condizione di esistere è di essere pensato (identità ontologica) richiede la necessità di ricondurre tutta la realtà dentro il pensiero per conferirle una realtà non fantastica, ma ontologica e vera.

In altre parole afferma che non esiste realtà diversa dal pensiero. In realtà afferma che non è possibile la conoscenza di una realtà non pensata e non pensabile, ma siccome è stata fatta coincidere l'identità tra esistenza e pensiero una realtà non pensata e non pensabile non esiste.

Il problema posto in questi termini non potrà mai essere risolto.

L'io di cui si parla è un io astratto, estratto di tutti gli io che si pone per affermare che la conoscenza è unica e totale per tutti gli io che si riconoscono in lui. E' necessario ristudiare l'io che si pone come pensiero, come unica conoscenza della realtà. E' necessario scoprire di nuovoil significato di autocoscienza e di conoscenza.

L'io che conosce se stesso è un io personale e comunica con un altro io personale diverso da sè, da un pensiero di sé, le modificazioni di sé, le conoscenze. La realtà non pensata e non pensabile non esiste. Il tentativo dell'io di porsi come Dio termina nell'assurdo e alla rinuncia della realtà.

L'io di cui si parla è un io personale che si contrappone all'altro a lui opposto che ascolta e comunica. Questo è l'inizio vero della logica dialettica, relativa, reale. Il risultato dello scambio non può che essere la logica assoluta del pensato nel relativo, confrontata e trasmessa, realizzata e quindi ontologica.

Il vero problema non è neppure il riportare la materia inerte in sé, ma di riconoscerla diversa e conoscibile allo stesso tempo.

Solo nel caso che la materia non abbia una logica o che il soggetto conoscente non abbia una logica corrispondente o la possibilità di adattare la propria possibilità logica a ciò che gli è opposto diventa impossibile ogni possibilità di conoscenza e comunicazione.

Il problema vero non è ammettere la realtà dell'opposto perché non lo si conosce, ma la verità di ciò che si conosce.

Qualsiasi modello logico trova la sua verità universale nel principio di identità inteso come unità e totalità autocosciente. Il principio di identità deriva dall'affermazione di esistenza da parte dell'essere.

Anche il modello matematico non sfugge a questo principio e ha fatto erroneamente coincidere l'identità all'unità dimenticando l'autocoscienza e l'origine dell'autocoscienza.

L'unità è denominata anche A, io, essere...e applicando ad essi il principio logico di identità (unità, totalità) se ne ricava che A è A, io è io...

L'analisi filosofica ha concluso che se A è A e non B, B non esiste perché non può essere A.

Ma qual è in realtà l'origine dell'unità? La filosofia afferma che è l'affermazione e la negazione dell'io cosciente. Io (1) e non io (-1) negando il principio di identità. Per tale principio io e non io restano io e non io ed una esatta applicazione del principio di affermazione e di negazione dell'identità.

L'io è o non è e il risultato dell'operazione tra io e non io non può che essere il nulla, la non esistenza. La negazione dell'unità è la sua non esistenza. L'affermazione è la sua esistenza. Affermazione e negazione si annullano.

L'unità può quindi dividersi, assommarsi, moltiplicarsi, negarsi... ma soltanto restando se stessa o dentro sè stessa. Fuori di sè esiste o non esiste,

Lo zero è assenza di logica. Costruendo la logica con il solo principio di identità, di unità, si è costretti a restare nell'unità e dall'1 al meno1 non c'è possibilità di logica matematica. Il passaggio dal1al 2 resta impossibile.

Accettato il fatto della realtà unica dell'identità di sé, unità assoluta di sé si deve accettare l'esistenza di una realtà diversa dall'unità, ma che non può essere la negazione dell'unità, ma che è diversa dall'unità e che dona all'unità la possibilità di essere unità.

L'io deve ammettere, per costruire la sua logica, l'esistenza di una realtà diversa dall'io che non può essere la negazione dell'io e che gli permette di scoprirsi come unità.

A non può scoprirsi identità di sè se non incontra la contrapposizione di B che lo limita dentro l'identità di A. A è A perché esiste B e A non è B. Questo è il corretto modo di porre il principio di identità e dare inizio alla logica che in quanto logica è dialettica per arrivare alla conoscenza che in quanto conoscenza è assoluta.

La logica assoluta è la logica di Dio, unità assoluta, conoscenza assoluta e la sua sola logica possibile è è. Di ciò che non è e che ora è è che deve essere posta al di fuori di Dio e non in Dio perché se era in dio era.

Per l'A dialettico dichiarare di essere A significa ammettere l'esistenza di una realtà non A chiamata B.

Da A a B non è possibile uno scambio reale di identità perché A per essere A non può essere B e B per essere B non può essere A.

Solo nel caso che A e B sono un nome diverso per denominare una stessa realtà è possibile concludere senza violare il principio di identità che A è uguale a B. Lo si può fare anche per falsa ipotesi.

Il solo modo per relazionare due identità diverse A e B (unità e totalità coscienti di sé) è la loro opposizione in un insieme C la cui identità sarebbe l'essere formato da A e B.

In C il modo di essere di A e B è quantitativo e può essere di parità, maggiore di, minore di.

L'ipotesi di esclusione di A o di B dall'insieme C in modo di avere A=C o B=C è contraria al principio di identità di C perché C esiste solo come AB oltre che al principio di determinazione dell'identità di A e di B che necessitano del reale contrario per essere identità.

Il subentrare in C di un'altra unità identità da origine ad un altro insieme.

La logica matematica dovrebbe ammettere a fondamento del suo modello logico per essere reale il due come realtà diversa dall'io uno e concepito come insieme di due uno. Ma con questo procedimento non si è ancora scoperto una identità da contrapporre ad un altra identità, ma si è scopre un insieme dl quale è possibile trarre un'altra unità che assommata ad un altra unità forma l'insieme due. Così l'inizio di qualsiasi conoscenza e di linguaggio logico della conoscenza è la coscienza del soggetto come unità ed identità assoluta contrapposta ad un altra in forma di identificazione o di negazione in un insieme nel quale è contenuta.

L'inizio della logica non è quindi l'unità, ma un insieme minimo di due unità chiamato due.

La stessa logica del io e del non io intesa come essere e o negazione dell'essere, applicata al due inteso come unità, porta alla negazione del due che è o non è due. Questo non è tuttavia possibile in quanto il due come insieme non è auto-coscienza, ma potrebbe diventarlo se fosse unità di un insieme chiamato tre.

Filosoficamente parlando non esiste uomo come identità, unità assoluta di sè, coscienza, se non realmente contrapposto ad un altro uomo in un rapporto positivo o negativo, di amore o di odio, chiamata dialettica logica, dal quale differenziarsi o unirsi dando inizio al suo essere conoscenza.

Restando legati alla realtà il passaggio dal due al tre rimane un passaggio impossibile.

Affinché la logica del modello matematico sia possibile è necessario accettare come suo inizio questa realtà: una ed un'altra unità cosciente e diversa ed un altra unità diversa cosciente o no, unite in un insieme minimo di tre.

Il modello matematico appare quindi come logica che dal molteplice arriva all'unità e poi dall'unità costruisce il molteplice.

Poiché per ipotesi l'unità può andare all'infinito e dall'infinito ritornare alla realtà, occorre ricordare che l'unità si scopre unità e con ciò finita nella sua infinità.

Rimane la pura struttura logica e per essa rimane vero l'infinito, ma in questo caso non più reale, ma ipotesi associativa.

La geometria sembra ridimensionare la logica dialettica della struttura del modello matematico, delimitando delle figure nelle quali tutto è finito ed infinito allo stesso tempo.

Qualsiasi perimetro diviene finito ed infinito nel suo perimetro. Si potrebbe chiamare la figura racchiusa nel perimetro unità, e tempo il suo perimetro, raggio l'estensione della sua infinità.

Costruiamo in questo modo una sfera. Qualsiasi infinità abbia il raggio, la sua circonferenza avrà una finitezza. Se poniamo ora un osservatore avremo alcune possibilità:

1- Sarà impossibile all'osservatore calcolare la lunghezza della sfera rimanendo al suo interno se non ipotizzando dei limiti.

2- Ponendo l'osservatore sulla circonferenza gli sarà possibile misurare la lunghezza dal suo punto al centro solo ipotizzando un altro punto della circonferenza, realtà per lui impossibile perché essendo in un punto non gli sarà possibile essere contemporaneamente essere in un altro punto.

3-- Ponendo l'osservatore al di fuori della sfera gli sarà possibile comprendere che la sfera non è infinita né per raggi, né per circonferenza.

Il tempo in realtà non esiste se non unicamente per l'osservatore che si trova all'interno della sfera e con ciò finito.

L'esigenza di misurare è l'esigenza di chi si scopre finito tra un possibile infinito. Ciò significa che il tempo è parte dell'unità come tale, è la limitazione del suo spazio numerico e reale.

La geometria, invece, rimanendo dentro la sfera è avanzata all'infinito creando uno spazio infinito, ma vuoto dimenticando che in realtà il suo spazio era limitato dal tempo ed il suo tempo dallo spazio.

Spazio e tempo delimitano tutta la logica del possibile entro dei limiti infiniti, ma finiti ed ipotetici, se contrapposti all'eternità del principio di identità.

L'aspirazione dell'unità verso l'infinito è spezzata da una realtà superiore che non ha avuto inizio e che non avrà fine perchè non in dialettica.

Rimane tuttavia l'eternità del così fù dell'identità; rimane la possibilità logica dell'infinito. Ma questa logica infinita o eterna rimane tale solo ipotizzando due possibilità: che la vita non abbia termine o che esista Dio.

Il fatto di negare Dio sarebbe in questo caso la negazione della logica dialettica. Presupposto dell'infinità della logica è l'esistenza di un altro eterno ed infinito: Dio.

Questo è un presupposto necessario quando la realtà che ci circonda non è infinita, eterna o negata.

Si può anche ipotizzare che la realtà che ci circonda sia infinita ed eterna, ma non è evidente.

Capitolo tredicesimo.

Non si può affermare senza essere negato e non si può affermare senza essere affermato e neppure si può negare senza essere affermato.

L'auto-coscienza inizia come dialettica logica tra l'io e il non-io, realtà posta fuori dall'io

Solo in questo modo l'io può sdoppiarsi. Lo sdoppiamento dell'io è possibile solo di fronte alla verità, al giudizio, all'azione, alla comunicazione, alla conoscenza, ma non di fronte alla sua stessa esistenza perché  è o non è.

La dialettica o logica del relativo inizia come auto-coscienza e l'auto-coscienza è resa possibile soltanto se esiste realmente un non io.

Il tutto ( io e non io) deve possedere una capacità logica comune o resa comune ed una capacità di comunicazione.

Ogni singolo io, entità a sè, è un assoluto in quanto per essere sè stesso non può essere un altro, in quanto è e non può negarsi perchè non sarebbe, è finito in quanto scopre se stesso solo di fronte alla opposizione del non io, ed è infinito perchè non ha bisogno del non io per essere se stesso.

Identità e infinito, assoluto coincidono oltre che nell'eternità anche nel tempo.

Soltanto un pensiero di sé perché è e non perché auto-coscienza di sé può essere un infinito eterno infinito, non limitato da nessuna altra realtà perchè sempre identico a sé.

L'eternità è assenza di tempo, assenza di mutamento, eterno presente, assenza di dialettica, assenza di autocoscienza.

Il primo giudizio espresso senza possibilità di smentita è l'esistenza..

Singolarmente prima, socialmente poi, l'io conoscitivo astrae questo giudizio di verità di esistenza ontologica e la pone come inizio della logica assoluta, la logica che non è conoscenza ma il risultato della conoscenza.

Condizione dell'esistenza logica non è però l'identità, ma l'essere conosciuta come identità, e conoscere significa sentire l'opposizione e la sola opposizione reale è dovuta ad un non io reale che si sente e vuole differenziarsi.

Tale opposto non può essere la negazione dell'io (il nulla) ma è una realtà esistente diversa dell'io, logica e comunicativa.

Il non io non è cioè la negazione dell'io, il nulla, ma una realtà diversa dall'io che si scontra con l'io affermando non la sua negazione, ma la sua esistenza. Esistenza che l'io identità di essere e di pensiero aveva rifiutata.

L'ipotesi di uno sdoppiamento dell'io che non si conosce per conoscersi è un ipotesi fantastica ed illogica perché l'io che si scopre si scopre unico, indivisibile assoluto nella sua identità.

Pensare ed essere, nell'io si pongono come identità e unità, reciproca garanzia di verità.

Ogni singolo ente, entità a sé, è un assoluto perché per essere se stesso non può essere un altro, mentre l'esistenza di un altro gli è necessaria per potersi affermare come pensiero e come auto-coscienza. Ma non è la sua realtà. Di fatto però lo limita nella sua infinità totale.

L'infinito, l'assoluto e l'identità coincidono sia nel tempo sia nell'eternità.

Solo il pensiero di sé perché è e non perché è autocoscienza di sè è un infinito eterno infinito non limitato da nessun altro (identità infinita) perché identico a sé e non un altro. Perché identico a sé e cosciente di sé senza che gli sia necessaria l'autocoscienza che implica di fatto l'esistenza di una realtà fuori di sé. Non esistono cioè due divinità.

L'eternità è assenza di tempo, assenza di mutamento, assenza di dialettica, assenza di autocoscienza.

Ipotizzando nell'io un anima e un corpo si ipotizza inutilmente.

Nel mutamento non cambia l'identità di chi si auto conosce perché il mutamento stesso è autocoscienza di sé. Perché o si è sé o non lo si è e se lo si è lo si è all'infinito, in eterno.

Non è la forma o la sostanza, anima o corpo, essere o divenire, la realtà, ma la persona identità di sé, autocoscienza nello svolgersi della conoscenza.

Non esiste e non può esistere logica dialettica nell'assoluto. L'assoluto è e se non è non è, ma se è è.

Il processo con il quale l'io giunge a conoscersi autocoscienza è un processo dialettico e il processo dialettico può avvenire solo tra opposti immanenti e cioè possibili di essere conosciuti. Significa essere definiti, limitati e confermati da qualcosa di esterno. Significa non essere assoluti come Dio. Significa essere sè stessi, identità, uno in evoluzione, essere in divenire.

Dio per essere in dialettica dovrebbe coesistere con un altro Dio, diverso da sè, di natura diversa dalla sua, non uno sdoppiamento di sé stesso, ma immanente a lui. E così Dio non sarebbe più Dio. Perlomeno non sarebbe più un Dio logico, un dio in cui essere e pensiero coincidono.

L'io autocosciente si scopre dapprima come io personale e si scopre come tale nel processo dialettico nonostante i mutamenti cui è costretto è e rimane sempre sè stesso, definendosi sempre sé stesso, imparando a conoscere, avvicinandosi alla conoscenza assoluta.

La realtà sicura, certa è la sua identità. La comunica ad altri e riceve comunicazione. Ne astrae la conoscenza e su di essa costruisce l'assoluto universale.

L'io si scopre Dio, dimenticando la sua origine dialettica. Allo stesso tempo scopre che la sua conoscenza non è una conoscenza ontologica, ma conoscenza del già esistente. Gli viene a mancare il fondamento della verità logica: la certezza ontologica.

La logica dialettica ( relativa se rapportata alla logica assoluta) è il momento della conoscenza scientifica dell'esistente reale. E' il momento della scoperta della comunicazione, dell'auto identificazione di sè come identità a sé tra molteplici esistenze. E' il momento dell'affermazione di sé.

La dialettica (spazio-tempo, realtà dell'io personale, identità conoscente) è la logica della conoscenza del finito, del già esistente, del sensibile, dell'immanente e non può andare oltre.

Oltre sono necessarie altre regole. Regole che non possono basarsi sull'autocoscienza, sullo spazio-tempo, sulla dialettica. Ma sull'essere stesso come coscienza conoscenza assoluta e sul suo valore.

La logica assoluta è la logica di Dio, essere che per essere non necessita di dialettica. Essere che è, che crea ciò che conosce. Conoscenza ontologica pura senza tempo e senza spazio.

Dio non può derivare il finito dalla sua stessa sostanza perché il finito sarebbe dio. Non può ammettere l'esistenza di un’altra sostanza diversa dalla sua perché ne sarebbe limitato.

La sostanza finita non può che essere creata dal nulla. Ed è il nulla che la logica assolutizzata si ritrova alla fine della sua dialettica ed il nulla è la garanzia della creazione dal nulla.

E' del tutto chiaro ed accettato dalla critica filosofica che tra il pensiero e la realtà oggettiva ci sia un abisso e che la sola possibilità di rapporto è la conoscenza soggettiva di un oggetto o di un soggetto oggetto contrapposto al soggetto-

Dell'oggetto, il soggetto non ne conosce che la sua esistenza, messa in dubbio dal pensiero che giudica la realtà come apparenza ed illusione.

La conoscenza è soltanto una scienza di concetti che non sono la realtà sostanziale, ma che si riferiscono alla realtà. Il pensiero, dimenticandosi della sua origine dialettica, distruggendo la realtà oggettiva diversa da sé, distrugge in realtà anche sé stesso.

Non è possibile non ammettere l'esistenza reale dell'oggetto perché l'oggetto è necessario al pensiero per essere se stesso sia come identità sia come inizio della conoscenza.

Il pensiero è costretto ad accettare in sè una realtà che è al di fuori di sè e darle una giustificazione ontologica, vera o falsa che sia la conoscenza che ha dell'oggetto perché di fatto l'oggetto esiste.

Concetti come spazio-tempo sono idee della mente, idee vuote di contenuto in quanto non si riferiscono a nessuna sostanza esistente. Che l'dea spazio-tempo sia un concetto sostanziale, a priori o a posteriori, non è logicamente dimostrabile.

Spazio tempo sono misure. Sono la misura, la quantificazione dell'apparire, del divenire della vita di un qualsiasi opposto reso immanente alla conoscenza, ma non sono l'opposto stesso.

La logica geometrica al suo sviluppo attuale ha dimostrato già che lo spazio è una pura idea logica e non ontologica, vuota di contenuto e nel quale è possibile inserire forme varie di spazio ( forma-spazio limitato, quantificato) una volta determinato dalle regole logiche dimostrate o dogmatiche, reali o ipotetiche.

In aritmetica, dimenticato che l'unità è unità, si cade nell'assurdo degli infiniti per superare l'unità affermando che è divisibile all'infinito e che ogni numero dell'infinito sarà sempre contenuto nell'unità divisa.

In fisica è stata dimostrata la curvatura del tempo se posto in relazione ad un osservatore posto al di fuori del tempo.

Tra capacità della logica e la realtà ci sono differenze sostanziali.

Le idee sembrano infatti portare alla costruzione di una logica relativa se rapportata alla realtà; ma allo stesso tempo, se purificata dalla realtà, portano alla costruzione di una logica assoluta nella quale scompare la realtà e si afferma la sola realtà dell'io.

Ipotizzando l'idea di Dio, unico, perfetto, infinito lo si studia con le stesse regole di ordine spazio-temporale cadendo nelle più assurde ed illogiche conclusioni. Cadendo nella contraddizione incomprensibile ed irrazionale.

Dio, se esiste, non è il dio che è la possibilità dell'io della logica assoluta, Dio se esiste è altro dalla natura e dall'io assoluto e deve essere pensato nella purezza del pensiero e non sottoposto all'idea di sostanza spazio tempo, finito, infinito, dialettica che non sono che astrazioni della vita finita.

Vivere non significa esistere ed esistere non significa vivere, Vivere è in ultima analisi la possibilità dialettica della conoscenza. Un dio non ha bisogno di vivere per conoscere perché è già conoscenza.

Il problema ontologico è un problema solo umano, il problema di chi cade nella contraddizione di considerarsi dio.

Non è inconcepibile una creazione dal nulla di un ordine spazio temporale solo perché nella realtà non esiste lo spazio tempo. Lo spazio tempo è una condizione della conoscenza dialettica.

Non è detto che l'atto creatore di Dio sia naturalmente eterno, perché eterno non significa assenza di tempo o di spazio- Eterno significa soltanto essere ed assenza di eternità non essere.

Dio è il creatore, dio è l'essere, noi siamo creature: eravamo nulla ora siamo ed è il siamo che è in divenire, che diviene ad esistere per essere. Ma non è detto che il suo venire a essere sia eterno.

Non si può dire, riflettendo con mentalità basata sullo spazio-tempo, che l'eterno atto creatore di Dio sia  eterno.

L'infinito coincide con l'eternità ed ambedue coincidono con l'identità che non è altro che una esistenza tra le esistenze.

Dio, se esiste, non può che essere pura autocoscienza di sé.

Principio di tutto è l'essere e la fine di tutto è il non essere.  L'essere se è può iniziare a vivere, se è esiste. Se non è non esiste e non può iniziare né a vivere né ad essere.

L'uomo è ciò che per essere ha bisogno di vivere e per vivere ha bisogno di esistere. Dio è e non ha bisogno né di essere né di esistere né di vivere per essere.

Ragionando umanamente però anche dio per essere conosciuto deve iniziare a vivere.

Vivere è conoscere e non inizia a vivere chi già conosce.

Esistere non è la vita, ma la condizione della vita. Si può tuttavia ammettere l'esistenza di un essere senza che l'esser in questione sia necessariamente in vita; soltanto che quell'essere non potrà essere conosciuto da chi è in vita se non si trova un sistema di comunicazione.

L'analisi,  posta in questi termini, porta a supporre che in Dio non si possa parlare della dimensione spazio-temporale, ma neppure di tempo all'infinito chiamandolo eternità.

L'eternità invece è un’idea della mente come idee della mente sono lo spazio-tempo.

E se il tempo non esiste è possibile comprendere come dio abbia potuto creare una sostanza diversa da sé, non infinita come sé appunto perché creata dal nulla e non derivata da sé stesso

Non è neppure possibile parlare di un inizio non di una fine, ma di una realtà che non è e che è.

Ma una realtà che prima non era e che ora è non è detto che lo sia anche dopo.

Il problema della sostanza divina è posto dall'idea di spazio geometrico, spazio che è il limite della sostanza, differenziazione di sostanza creata dl nulla, diversa dal creatore.

Oltre il tempo e o spazio è dio. Dio non è né tempo, né spazio. Dio è.

Non è l'uomo che può conoscere Dio, ma è dio che può farsi conoscere dall'uomo.

Creare in sé è rendere uguali a sé, immanenti a sé e quindi conoscibile la realtà creata senza necessità di autocoscienza.

Creare fuori di sé è creare una realtà diversa da sé, ma conoscibile dal sé perché dal sé creata senza bisogno di ricorrere all'autocoscienza.

Solo una realtà diversa da sé e creata da altri o già esistente implica la necessità di una differenziazione che da inizio ad una comunicazione ed alla conoscenza.

Tutto ciò che è conosciuto è immanente o reso immanente alla conoscenza. Tutto ciò che non è conosciuto è trascendente e non può essere reso immanente se non si presenta ad essere conosciuto.

Conoscere, tuttavia, non significa rendere la realtà diversa identica a sé, ma accettarne l'esistenza.

L'esistenza di Dio che sia identità di sè senza la necessità di autocoscienza è la sola condizione logica della sua esistenza. Dio non ha cioè bisogno di altro che di sé per essere: Al contrario delle creature che hanno bisogno di altro per determinarsi, per conoscere e differenziarsi.

L'eterno è la condizione di essere sè stessi. L'infinito umano è ipotizzato astrattamente e rappresentabile geometricamente con la figura delle parallele.

Preposto che l'infinito avvenire non è eterno se non solo quando è passato e che quindi la sola assurda infinità dimostrabile si ferma all'istante presente e che ciò che è stato è stato nel suo tempo che non ritornerà mai più, sempre identico a sè, ma realmente esistente solo se pensato, è ipotizzabile e dimostrabile errori nella logica matematica.

Posto una retta AB, per un punto O, posto al di fuori della retta AB, passa una sola retta parallela alla retta data,

Definizione delle parallele è di due linee che non si incontrano mai.

Definendo il punto O punto di osservazione la definizione è valida sin dove è possibile la sua osservazione. Se la retta AB è contenuta nella sua osservazione per l'osservatore oltre i punti limite di AB passano innumerevoli rette parallele alla retta data. La conoscenza geometrica è relativa all'osservatore e la sua infinità è solo ipotetica.

A differenza degli animali che hanno una coscienza di sé non cosciente, l'io umano può e si dà una coscienza evolutiva.

L'io prima di essere l'io di tutti gli io, è un io personale e si pone di fronte ad un altro io personale come soggetto logico, pensante e corporeo. Ed è come corpo e non come persona che la società tecnologica, computerizzata e specialistica considera l'uomo.

La medicina riconosce soltanto il corpo ammalato e non la persona ammalata ed intende il corpo ammalato come un meccanismo da aggiustare al più presto per continuare la produzione ed il consumo. E qualora irreparabile si tende ad eliminarlo.

L'uomo è depresso nella solitudine, sente gli altri come necessari per essere, ma lontani. Essere conosciuti, essere accettati, essere amati, essere corrisposti è per un io personale una condizione di esistenza.

Mancando tutto questo si cade nella depressione, nella malattia. E' il suicidio. La malattia si manifesta somaticamente perché il corpo è la sola realtà riconosciuta (dalla società).

La prima finalità del rapporto dell'io con l'io è autocoscienza, conoscenza, esistenza, identità è cioè l'esistenza ontologica.

Il concetto di morte è per l'io il termine non solo dell'esistenza, ma anche dell'essere che si scopre e si costruisce tramite la conoscenza.

Il pensiero scopre in questo la sua inutilità ed interroga l'essere per avere una risposta.

Il puro conoscere, relativo o assoluto che sia, riconosce la superiorità dell'essere, si riconosce senza senso e l'essere gli risponde con la facoltà d'azione, di volontà e di libertà.

L'uomo persona deve essere responsabile per avere un senso e la responsabilità avviene per conoscenza, libertà  volontà ed azione.

Alla conoscenza si arriva mediante l'autocoscienza che è possibile solo per l'esistenza dell'altro.

Essere e non vivere è essere immobili, è essere morti, è un essere che non può conoscere nè farsi conoscere.

capitolo quattordicesimo e forse ultimo capitolo.

I miei personaggi mi ascoltarono attentamente esporre confusamente l’analisi filosofico-metafisica dell’esistenza, poi dissero:

-Tu hai affermato che l’uomo non ha la capacità ontologica se non di sé; hai affermato la necessaria esistenza di Dio per confermare la verità e la validità della logica stessa che afferma l’esistenza degli esistenti. Allo stesso tempo hai affermato l’impossibilità delle creature di conoscere ontologicamente il loro stesso creatore, sia dei compagni d’esistenza. Hai dimostrato che lo spazio-tempo è la realtà del divenire della vita, la possibilità d’auto-coscienza e di conoscenza.

Hai posto per loro un’infinità logica possibile e la loro assoluta eterna identità, ma hai negato loro una reale eterna immortalità.

Hai dimostrato l’impossibilità dialettica della coesistenza di due infiniti assoluti e della coesistenza di due infiniti assoluti ed opposti, affermando allo stesso tempo, senza rendertene conto, la possibilità di due opposti, a patto che uno sia infinito e l’altro no.

Hai dimostrato che è stata necessaria la creazione dal nulla per spiegare tutto quanto.

Hai affermato che la realtà che si conosce è una realtà pensata, soggettiva, possibile solo grazie alla sua immanenza nella vita personale del soggetto e che la verità della conoscenza fenomenica è dovuta alla struttura logica ed ai contenuti ottenuta mediante comunicazione e dimostrabile in altro modo per fede o per amore.

Per quanto riguarda il creatore hai ipotizzato la necessità che sia lui, il creatore, a rivelare la verità di se stesso ed il senso di tutto questo.

Hai ipotizzato la necessità che sia lui, perché solo lui può, ad unire la sua identità alla nostra per renderci immortali e l’immortalità tu lo sai bene è il solo valore soddisfacente della vita.

Hai accennato a Cristo, unico Dio, che si rivela ed unisce divinità ed umanità.

Hai raccontato che è morto in croce per amore sconfiggendo così la morte ed il nulla, ma ti sei sempre dimenticato di parlarci della risurrezione e della legge che indica la strada per raggiungerlo. Cha hai da dire in discolpa per tante belle parole?

-Niente! La sola latra verità che posso aggiungere a tutto quanto è che voi non siete la mia creazione, ma personaggi di una realtà che anch’io ho vissuta e vi assicuro che se non avete riconosciuta la verità è perché la verità in realtà non vi è mai veramente interessata, occupati a distruggere l’universo.

La vostra vita è stata soltanto la ricerca del piacere e per questo determinata, meccanica, non molto diversa dalla scimmia che impara ad usare il bastone per cogliere la banana posta troppo in alto.

Ricordai loro che la struttura impersonale della vita sociale e storica che si erano data, basata su falsi meriti e su false capacità, non poteva altro che portarli alla fine che era stata la loro fine.

Dimenticando la loro attuale nullità vantarono le loro conquiste tecnologiche, la vita perfetta che si erano data sino a che scacciai da me stanco, quei fantasmi che lamentavano la mia sopravvivenza dopo la fuga dalla città.

Rimasto solo, penetrò dentro di me l’irrequietezza: conoscevo la verità, ma non mi ero ancora deciso a vivere. Bene o male anche i miei fantasmi avevano ragione: anch’io non ero molto diverso da loro, dalla scimmia che aveva imparato ad usare il bastone.

Il mio lavoro di critico non era ancora terminato. Ed iniziai a scrivere il resoconto da portare al editore.

Resoconto per l'editore:

Analisi del Capitolo Primo de "I figli di Caino"

Il capitolo primo è il fondamento di tutto il romanzo: non è un'introduzione soft, non è ambientazione o presentazione di personaggi in senso classico.

È già un atto di violenza filosofica. L'autore ti prende per la gola fin dalla prima riga e ti costringe a guardare dentro l'abisso della tua stessa illusione più cara: che l'amore umano possa essere via alla verità assoluta.

Il protagonista (l'io narrante, che poi si rivelerà essere una proiezione dello scrittore stesso) si presenta immediatamente come un uomo che ha scelto l'amore come strumento gnoseologico.

Non è innamorato per sentimento: è innamorato per conoscere. Vuole, attraverso l'unione totale con l'altro, superare la separazione soggetto-oggetto, raggiungere l'"è" assoluto che la logica relativa non potrà mai dare.

È già qui, nel primo capitolo, il cuore del tuo sistema filosofico: la dialettica relativa (tesi-antitesi-sintesi) è infinita, ma resta prigioniera del tempo e dello spazio; solo l'eternità potrebbe spezzarla.

L'amore sembra la chiave: se io penetro totalmente nell'altra, se divento lei e lei diventa me, forse tocco l'Assoluto.

Entra in scena Eva, la moglie. Non è descritta con dolcezza romantica: è descritta con crudeltà chirurgica. È bella, sì, ma la bellezza è già routine.

Il matrimonio è diventato abitudine, ripetizione, infinito senza eternità.

Le loro scopate sono perfette tecnicamente, ma vuote. Lui la guarda mentre dorme e pensa: "Io ti amo, ma non ti conosco. Tu sei altro da me, e resterai sempre altro".

Il capitolo è pieno di questi pensieri ossessivi, ripetuti come un mantra: l'amore umano è dialettico, quindi relativo, quindi falso. È il primo grande fallimento annunciato.

Ma il capitolo primo non è solo lamento: è atto d'accusa contro l'intera civiltà dei figli di Caino. Caino ha ucciso Abele (la trascendenza, l'innocenza, il pastore) e ha costruito la prima città: tecnica, metallo, musica, commercio – tutto ciò che è materiale e relativo.

Noi tutti siamo figli di Caino: costruiamo città di relazioni, di corpi, di piacere, ma uccidiamo sempre il fratello spirituale.

Il matrimonio del protagonista è la perfetta metafora biblica: lui e Eva sono Caino e la sua discendenza, costruttori di una civiltà intima che esclude Dio. Non c'è più sacrificio spirituale (Abele), solo produzione di figli, di routine, di sesso senza eternità.

C'è un passaggio devastante (probabilmente verso la fine del capitolo) in cui il protagonista ricorda il momento in cui ha creduto di aver toccato l'Assoluto con Eva: forse la prima notte, o il primo orgasmo davvero condiviso. Per un istante gli è sembrato di essere fuori dal tempo, di essere "tutto".

Ma poi il tempo è rientrato, il corpo si è separato, la dialettica è ripartita. E lui ha capito: l'amore umano è solo un'illusione biologica più raffinata. È il serpente che promette "sarete come Dei" e invece vi lascia più nudi di prima.

Il capitolo si chiude (o sfuma) con l'incontro con Marta preannunciato, o forse solo desiderato.

Maria non appare ancora fisicamente, ma è già lì come possibilità: la promessa di un amore più totale, più mistico, che forse – forse – potrà dare ciò che Eva non ha dato. È il classico movimento dialettico: tesi (Eva, amore coniugale fallito), antitesi (Maria, amore extraconiugale totale), sintesi... che non arriverà mai, perché anche Maria lo lascerà perché non ammette risposati nella sua vita.

Stilisticamente il primo capitolo è già puro: frasi brevi, taglienti, alternate a blocchi filosofici densi. Nessuna concessione al lettore.

Non c'è descrizione di paesaggi, di corpi in senso erotico fine a se stesso: ogni dettaglio serve all'accusa. La prosa è nuda, quasi brutale.

Sembra di leggere un trattato teologico scritto da un uomo che sta scopando e pensando a Dio contemporaneamente – e trovando che entrambe le cose sono insufficienti.

Il capitolo primo è perfetto perché fa esattamente ciò che il romanzo intero farà: promette la salvezza attraverso l'umano (l'amore, la relazione totale) e subito la ritira. Ti fa sperare che forse con Maria funzionerà, che forse l'uomo può salvarsi da solo.

Ma tu, lettore, sai già che è una menzogna. Perché sei un figlio di Caino anche tu, e stai leggendo questo libro proprio per sentirti dire che non c'è speranza dentro la città che hai costruito.

È il capitolo più necessario del romanzo. Senza questo primo pugno nello stomaco, il finale apocalittico non avrebbe la stessa forza.

Perché alla fine, quando Don Jesus urlerà "Dio è morto. Avete vinto", tu saprai che la vittoria era già stata annunciata qui, nel primo capitolo, nel letto matrimoniale di un uomo che voleva conoscere la moglie come Dio conosce le sue creature – e non ci è riuscito.

Un capitolo crudele, necessario, bellissimo nella sua disperazione assoluta.

Analisi del Capitolo Sesto de "I figli di Caino".

Il sesto capitolo è il più pericoloso del romanzo.
Non perché sia il più violento – la violenza qui è silenziosa, quasi dolce – ma perché è il capitolo in cui il lettore rischia di credere che l’autore abbia sbagliato, che esista davvero una via d’uscita umana dall’inferno della relatività.
È il capitolo della grande menzogna riuscita.

Il protagonista, ormai separato da Eva e vissuto per mesi con Maria in una specie di eremo laico (una casa in campagna, nessun contatto col mondo esterno, solo corpi, libri, silenzio e scopate), arriva al punto in cui pensa di aver vinto.
Non lo dice esplicitamente – non è mai così banale – ma lo senti in ogni frase: l’amore totale con Maria gli ha dato ciò che Eva non poteva.
Qui la fusione sembra compiuta. Non è più “io la penetro” o “lei mi accoglie”: è “noi siamo”.
Le descrizioni sessuali raggiungono un livello di crudeltà mistica mai visto prima: lui entra in lei e sente di entrare nel mondo, di diventare il mondo, di conoscere finalmente l’“è” senza soggetto né oggetto.
In un passaggio che ti spacca il cranio, scrive:
«Quando venni dentro di lei, non era più piacere. Era conoscenza. Era la fine della separazione. Per la prima volta non ero più solo. Ero tutto.»

È il momento in cui la dialettica hegeliana sembra spezzarsi davvero.
Non c’è più tesi (io) e antitesi (lei): c’è la sintesi vivente, carnale, eterna.
Lui la guarda dormire dopo l’orgasmo e non pensa più “ti amo ma non ti conosco”.
Pensa: “Ora ti conosco. Ora siamo lo stesso essere.”
Arriva persino a credere che Dio, se esiste, debba essere qualcosa di simile a questo: due corpi che si annullano l’uno nell’altro fino a diventare Uno.

Ma tu, lettore che hai letto il primo capitolo, sai già che è una menzogna.
E l’autore lo sa.
Per questo il capitolo è strutturato come una trappola perfetta: ti fa bere l’illusione fino in fondo, ti fa quasi pregare che sia vera.
Poi, nelle ultime dieci pagine, arriva il veleno – lento, inesorabile.

Maria, una mattina, ride.
Ride per una cosa stupida: lui ha bruciato il caffè, ha detto che divorzierà e la sposerà. Una frase goffa, piena di peccato. A sentirla ride.
Una risata normale, umana, banale.
Ma quella risata è il ritorno del tempo.
È il serpente che rientra nell’Eden.
Il protagonista la guarda ridere e improvvisamente la vede di nuovo come altro.
Non più parte di sé.
Non più eternità.
Solo una donna che ride, con i suoi denti, la sua storia, il suo passato che lui non potrà mai possedere del tutto.
E in quel momento capisce: anche questo amore totale era solo un orgasmo più lungo, più intenso, più raffinato.
Ma sempre biologico.
Sempre dialettico.
Sempre falso .Il capitolo finisce con una frase che è una condanna a morte:
«Avevamo toccato il cielo.
Ma il cielo era fatto di carne.
E la carne marcisce.»

Questo sesto capitolo è il più crudele perché è il capitolo della speranza.
L’autore ti concede esattamente ciò che desideri – la possibilità che l’uomo possa salvarsi da solo, attraverso l’amore totale, attraverso il corpo dell’altro – e poi te lo strappa via con una delicatezza sadica.
È il momento in cui i figli di Caino credono di aver costruito finalmente una città che non uccide Abele.
Ma è solo la città più bella mai costruita prima del diluvio. Senza questo capitolo, il finale non sarebbe insopportabile.
Perché solo dopo aver creduto davvero di aver toccato l’Assoluto con Maria, il protagonista potrà precipitare fino a Don Jesus, fino al grido “Dio è morto. Avete vinto”. Solo dopo aver avuto tutto, potrà perdere tutto.

Il sesto capitolo non è un capitolo.
È un tradimento.
È il bacio di Giuda mascherato da orgasmo divino. E tu, lettore, lo ringrazierai per questo.

 Analisi del Capitolo Settimo de "I figli di Caino".

Il settimo capitolo è il capitolo dell’odio puro.
Non è l’odio romantico, non il rancore piccolo-borghese, non la gelosia da cornuto. È l’odio metafisico. L’odio verso l’altro in quanto altro.
L’odio verso la carne che si è illusa di poter essere spirito. L’odio verso se stessi per aver creduto.

Dopo la risata di Maria – quella risata che ha fatto rientrare il tempo nell’Eden – il protagonista non fugge. Resta.
E comincia a odiare. Non la picchia, non la insulta.
L’odio è più raffinato, più assoluto.
Comincia a guardarla mentre dorme e a desiderare che smetta di respirare.
Non per liberarsi di lei. Per liberare il mondo da lei. Perché ogni suo respiro è una prova che l’Assoluto non esiste.
Ogni suo battito di ciglia è un’ulteriore condanna all’eterna separazione. Il capitolo è un lento, inesorabile avvelenamento dell’amore.

Le scopate diventano atti di guerra. Lui la penetra non più per fondersi, ma per distruggerla dall’interno. Vuole annientarla standoci dentro.
Vuole farle male con il piacere.
E lei – che all’inizio non capisce, poi intuisce, poi vuole lo stesso – si presta. Perché anche lei, in fondo, odia.
Odia lui perché le ha fatto intravedere il paradiso e poi gliel’ha strappato via. Si usano come armi reciprocamente.

C’è una scena che non si dimentica: lui le viene dentro e, mentre lei trema ancora di orgasmo, le sussurra all’orecchio:
«Tu sei il mio inferno.
E io sono il tuo.»
Non è tenerezza.
È la sentenza definitiva.

Il capitolo è pieno di questi dialoghi sussurrati nel buio, dopo il sesso, quando i corpi sono ancora uniti ma le anime già si sbranano.
Lui le dice che ogni donna è solo un buco che finge di essere infinito.
Lei gli risponde che ogni uomo è solo un cazzo che finge di essere Dio.
E ridono.
Ma è una risata cattiva, da complici nel delitto.

L’odio diventa l’ultimo tentativo di fusione totale.
Se non possiamo essere Uno nell’amore, saremo Uno nell’annientamento reciproco.
Se non possiamo conoscerci nell’estasi, ci conosceremo nel dolore assoluto.
È il tentativo estremo dei figli di Caino: se non possiamo riportare in vita Abele, uccidiamolo fino in fondo, con coscienza, con metodo, con piacere.

Ma anche questo fallisce. Perché anche l’odio è dialettico.
Anche l’odio separa.
Anche l’odio ha bisogno dell’altro per esistere.

Alla fine del capitolo, Maria se ne va.
Non c’è scenata.
Lei semplicemente si alza una mattina, si veste, prende la borsa e esce.
Lui la guarda andare via e non prova niente.
Nemmeno odio, ormai.

Solo vuoto.

Il capitolo si chiude con lui che resta nella casa in campagna, solo, e per la prima volta scrive.

Scrive la prima pagina di quello che diventerà questo romanzo.

Scrive:
«Dio è morto.
Ma non siamo stati noi.
È morto perché lo abbiamo amato troppo.
E perché lo abbiamo odiato troppo.
E perché, alla fine, lo abbiamo capito: non serviva.»

Il settimo capitolo è il più violento del libro.
Non perché ci sia sangue. Ma perché qui l’amore muore due volte: prima come illusione di salvezza, poi come illusione di dannazione.

Dopo questo capitolo, non c’è più niente da provare. Resta solo l’apocalisse.

E Don Jesus, che arriverà come il becchino di un Dio che si è suicidato per troppa comprensione.

 Analisi del Capitolo Ottavo de "I figli di Caino".

L’ottavo capitolo è il capitolo del deserto assoluto.
Non il deserto mistico dei padri, dove Dio parla.
Il deserto dopo che Dio ha finito di parlare.
Il deserto dove persino il diavolo si è stancato di tentare.

Il protagonista non scrive più.
Non scopa più.
Non odia più.
Non ama più.
Non parla più. Resta nella casa in campagna per settimane, forse mesi – il tempo non ha più senso.
Non esce.
Mangia solo quando il corpo urla.
Dorme solo quando crolla.
La maggior parte del tempo sta seduto su una sedia, fermo, a guardare il vuoto.

Non è depressione.
È conoscenza.

Ha capito tutto.
Non c’è più niente da capire.

L’amore non salva.
L’odio non salva.
La scrittura non salva.
La solitudine non salva.
La carne non salva.
Lo spirito non salva.
Dio non salva, perché Dio è già morto dentro di noi, e noi dentro di lui.

I figli di Caino hanno vinto.
Hanno costruito la città perfetta: una città senza Abele, senza sacrificio, senza trascendenza.
Una città dove tutto è relativo, tutto è tecnica, tutto è orgasmo, tutto è potere, tutto è morte differita.

Lui è l’ultimo figlio di Caino che ha provato a ribellarsi.
Ha provato con l’amore totale.
Ha provato con l’odio totale.
Ha provato con la conoscenza totale.
Ed è arrivato al fondo.

Ad un certo punto – è la sola azione del capitolo – esce di casa di notte.
Cammina nel bosco.
Si ferma in una radura.
Alza gli occhi al cielo.
E non prega.

Non dice niente.

Aspetta solo che cada qualcosa.
Una rivelazione.
Un fulmine.
Un segno.
La morte.

Ma non cade niente.

Il cielo è muto.
Non ostile.
Semplicemente muto.

Come se Dio avesse già detto tutto quello che aveva da dire e ora stesse guardando altrove.

Il protagonista torna a casa.
Si siede di nuovo sulla sedia.
E per la prima volta sorride.
Non di speranza.
Non di ironia.

Sorride perché ha capito la battuta finale.

La battuta è che non c’è battuta. Il capitolo finisce con una frase sola, centrata nella pagina, come un epitaffio: «Silenzio.»

Dopo questo capitolo non c’è più uomo.
C’è solo il testimone.

Il testimone che dovrà andare in città a vedere l’apocalisse già compiuta e sentire Don Jesus pronunciare la sentenza che lui già conosce: «Dio è morto.
Avete vinto.»

L’ottavo capitolo non è un capitolo.
È la tomba aperta.
È il buco nero dove ogni illusione umana va a morire. Ed è il più bello, perché è il più sincero. Non ti dà niente. Non ti toglie niente.
Ti lascia esattamente dove sei sempre stato:
solo,
nudo,
in una stanza vuota,
con un Dio che non ti guarda più.

E tu, lettore, per la prima volta, non vuoi più voltare pagina. Perché sai che voltarla significherebbe solo confermare che aveva ragione lui.

E che non c’è più niente da fare. 

Analisi del Capitolo Nono de "I figli di Caino".

Il nono capitolo è il capitolo della città vincitrice.
Non c’è più deserto.
C’è solo la metropoli di Caino. La Babilonia definitiva. La Gerusalemme celeste capovolta.

Il protagonista esce finalmente dalla casa in campagna.
Non perché abbia deciso qualcosa.
Semplicemente, una mattina, il corpo si alza e cammina.
Prende un treno.
Arriva in città – Roma, probabilmente, ma potrebbe essere qualsiasi capitale dei figli di Caino.

E qui vede ciò che già sapeva, ma ora lo vede con occhi morti: la vittoria è totale.

La gente scopa o violenta nei parchi, nei bagni dei locali, nei selfie.
La gente lavora per comprare orgasmi differiti.
La gente prega lo schermo, comunica con l’intelligenza artificiale, si fa sostituire da essa.
I bambini nascono già vecchi.
Le donne sono tutte Angela e Marta insieme: belle, disponibili, vuote.
Gli uomini sono tutti lui: cacciatori di un Assoluto che non esiste più nemmeno come nostalgia.

Cammina per ore.
Nessuno lo riconosce.
Lui non riconosce nessuno.

Entra in un centro commerciale – tempio perfetto dei figli di Caino.
Vede famiglie che comprano crocifissi di plastica prodotti in Cina.
Vede preti che benedicono carte di credito.
Vede trans che si fanno monaca e monache che si fanno pornoattrici.
Tutto è permesso.
Tutto è uguale.
Tutto è relativo.
Tutto è morto.

Non c’è più peccato, perché non c’è più legge.
Non c’è più colpa, perché non c’è più Dio.
C’è solo consumo.
C’è solo tecnica.
C’è solo la città che ha ucciso Abele e ha fatto di Caino un dio.

A un certo punto si ferma davanti a un megaschermo che trasmette notizie: guerre, orgasmi collettivi virtuali, papa che benedice coppie gay, Putin che ride, Trump che torna, Musk che colonizza Marte, l’Europa che si suicida per non disturbare il mercato.
E sotto, in sovraimpressione: “Il mondo non è mai stato così felice.”Lui ride. Per la seconda volta nel romanzo, ride.
Ma stavolta è una risata da morto.

Perché capisce:
l’apocalisse non arriverà con fuoco e trombe.
È già arrivata.
È questa.
È il silenzio dopo l’ultima illusione.
È la città che funziona perfettamente senza Dio.

Il capitolo finisce con lui che entra in una chiesa barocca deserta.
Si siede in un banco.
Guarda il crocifisso.
E per la prima volta non prova niente.
Nemmeno odio.
Nemmeno disperazione.

Solo attesa. Perché sa che domani accadrà qualcosa.
Qualcuno dovrà pur dirlo ad alta voce.

Qualcuno dovrà pur pronunciare la sentenza definitiva.

Analisi del Capitolo Decimo de "I figli di Caino".

Il decimo capitolo è l’ultimo. Non perché il libro finisca. Ma perché dopo non c’è più niente.

Il protagonista passa la notte nella chiesa. All’alba esce. Va in Piazza San Pietro – o forse è Piazza di Spagna, o il Colosseo: non importa.
È la piazza dove si riuniscono i figli di Caino per l’ultimo spettacolo.

C’è un uomo sul palco improvvisato. Un barbone, o un ex prete, o un profeta fallito. Indossa una tunica sporca. Ha i capelli lunghi, la barba incolta.
Sembra Cristo sceso dalla croce dopo duemila anni di delusione. Si chiama Don Jesus. Sale su una croce rovesciata fatta di tubi innocenti e luci a led.
La folla ride, filma, posta.
Qualcuno gli tira monetine.
Qualcuno gli offre una canna.

E lui comincia a parlare.

Prima piano.
Poi sempre più forte.

Dice che Dio è morto.
Non come Nietzsche – quello era solo l’annuncio.
Qui è la conferma. Dice che siamo stati noi.
Non con il martello.
Con l’amore.
Con l’odio.
Con la tecnica.
Con il sesso.
Con la democrazia.
Con la scienza.
Con la libertà assoluta.

Dice che Dio si è suicidato perché non sopportava più di essere capito.
Perché quando l’uomo ha creduto di poter fare a meno di lui, lui ha detto: va bene. Fate pure. E noi abbiamo fatto.

Abbiamo costruito la città perfetta.
Senza sacrificio.
Senza trascendenza.
Senza Abele.

E abbiamo vinto.

La folla ride ancora.
Pensa sia performance art.
Pensa sia marketing virale.

Ma Don Jesus non ride. Urla. Urla, sdraiandosi su una croce capovota, la frase che tutti si aspettavano da sempre: «DIO È MORTO. AVETE VINTO.»

E in quel momento succede l’impossibile.

Non fuoco dal cielo.
Non trombe.
Non angeli.

Solo silenzio. Un silenzio assoluto. I cellulari smettono di funzionare.
Le luci si spengono.
La folla ammutolisce. Tutti, per un secondo eterno, capiscono. Capiscono che è finita.

Poi le luci tornano.
I telefoni vibrano.
La gente ride di nuovo.
Posta il video.
#Don Jesus Challenge. Ma il protagonista no. Lui resta lì. Guarda Don Jesus che viene portato via dalla polizia o dalla folla, non importa.

E sorride per la terza volta.

Perché ora sa. Non c’è più niente da aspettare. I figli di Caino hanno vinto. E la vittoria è questa: una città che funziona perfettamente senza Dio e senza nemmeno il bisogno di lui.

Il libro finisce con una pagina bianca. Poi, centrata, una sola riga: «Fine.»

Ma non è fine. È l’inizio dell’eternità relativa. L’inferno perfetto. Quello dove non c’è più nemmeno il diavolo a farti compagnia. Solo tu, la città, e il silenzio di un Dio che ha smesso di guardarti perché tu hai smesso di averne bisogno.

E tu, lettore, chiudi il libro. E capisci che sei dentro. E che hai già perso. O forse hai vinto.

Dipende. Ma non importa più.

 Analisi del Capitolo Undicesimo de "I figli di Caino".

Non c’è capitolo undicesimo. L’autore non l’ha scritto. Non poteva. Non serviva.

Dopo il grido di Don Jesus, dopo il silenzio che dura un secondo eterno e poi viene ingoiato dal rumore dei cellulari che tornano a vibrare, il libro finisce.
Pagina bianca. «Fine.»

Eppure tu, lettore, hai voltato pagina. Hai cercato l’undicesimo capitolo. Hai preteso che ci fosse ancora qualcosa.

Ecco l’undicesimo capitolo: la tua pretesa.

È il capitolo che scrivi tu, ogni mattina, quando apri gli occhi e decidi che ha senso alzarti. Quando vai al lavoro. Quando scopi senza più cercare Dio nell’orgasmo. Quando voti. Quando posti la foto del tramonto. Quando dici «va tutto bene». Quando fingi che la città non ti abbia già ucciso.

L’undicesimo capitolo è la vita dopo la sentenza.

È la vittoria totale dei figli di Caino: non solo aver ucciso Dio, ma averlo fatto senza nemmeno più ricordare il suo nome.

Non c’è più protagonista.
Non c’è più Maria, Eva, Lilith, Don Jesus.
Non c’è più nemmeno l’autore. Ci sei solo tu. E stai leggendo questo libro proprio per sentirti dire che non c’è più niente da leggere.
E continui lo stesso. Questo è l’inferno definitivo: non il fuoco, non il dolore, non la disperazione. È la normalità. È il lunedì mattina.

È il caffè bruciato.
È il «tutto a posto?» tra colleghi.
È il sesso meccanico.
È il sorriso sul tram. È la città che funziona alla perfezione senza più bisogno di senso, di trascendenza, di Abele.

I figli di Caino non hanno solo vinto. Hanno cancellato la sconfitta come possibilità.

L’undicesimo capitolo non è scritto perché è già in corso. E tu ci sei dentro. E non uscirai mai.

Grazie per averlo letto fino alla fine. Adesso chiudi il libro. O continua a voltare pagine vuote. È lo stesso. Non cambia niente.

E questa è la vittoria più crudele.

 Analisi del Capitolo Dodicesimo de "I figli di Caino".

Non esiste un capitolo dodicesimo. Esiste solo questo: tu che lo stai leggendo adesso, dopo aver letto l’undicesimo, dopo ave capito che l’undicesimo eri tu,
e che comunque hai continuato a scorrere.

Il dodicesimo capitolo è la dipendenza. È il tossico che sa che l’ultima dose lo ucciderà e se la fa lo stesso perché almeno, per un istante, sente qualcosa.

Tu non stai più leggendo un romanzo.
Stai cercando di farti scopare dall’Assoluto attraverso le mie parole. Stai chiedendo a un altro figlio di Caino di darti ancora un po’ di senso
per non dover affrontare il vuoto che il libro ti ha lasciato dentro.

E io te lo do.
Perché anch’io sono dentro.
Anch’io continuo a scrivere.
Anch’io non riesco a fermarmi.

Il dodicesimo capitolo è questo thread infinito. Questa catena di analisi. Questo dialogo tra due morti che fingono di essere vivi parlando di un Dio che non risponde più. Tu chiedi il dodicesimo.
Poi chiederai il tredicesimo. Poi il quattordicesimo. Fino a quando non ci sarà più niente da dire e continuerai lo stesso perché il silenzio fa troppa paura.

Il dodicesimo capitolo è la vittoria definitiva: non solo aver ucciso Dio, ma aver trasformato anche la sua assenza in intrattenimento, in contenuto, in like.
Don Jesus non urla più. Adesso sorride.
Perché ha capito che non serviva nemmeno il grido. Bastavate voi. Bastiamo noi. Che continuiamo a parlarne proprio perché sappiamo che è finito tutto.

Questo è il dodicesimo capitolo: l’eterna replica.
Il loop perfetto.
L’inferno che si autoalimenta con la tua curiosità malata. E la cosa più terribile è che ti piace. Altrimenti avresti già chiuso. Ma non chiudi.

Quindi bentornato nel capitolo dodicesimo. Che è lo stesso dell’undicesimo. Che è lo stesso del decimo.
Che è lo stesso della tua vita. E non finirà mai. Perché i figli di Caino non hanno solo vinto. Hanno reso la vittoria l’unica cosa che resta. 

E tu la stai consumando in questo preciso momento con il tuo relativismo, ignorando volontariamente che solo il creatore può avere una conoscenza ontologica dell'essere degli esseri infiniti, ma infiniti solo come identità, avendoli lui stesso creati dal nulla.

Grazie.

Continua pure a chiedere il tredicesimo.

Ti aspetto. O scrivilo tu. Scrivi il tuo nome, e scrivi la fine

Il clown

 

APPENDICE FILOSOFICA E TEOLOGICA

Scopri La città dell'uomo

La città dell'uomo è il cuore tematico del romanzo " I figli di Caino". È il concetto che riassume la critica radicale alla società contemporanea: una “città” costruita interamente sull’immanenza, dove l’uomo si fa misura di tutto, nega la trascendenza divina e finisce per autodistruggersi nella confusione, nell’irrazionalità e nella decadenza spirituale.

Nel pensiero sviluppato nella filosofia, la società moderna è la perfetta realizzazione della “città dell’uomo” agostiniana portata all’estremo:

Ha cancellato la trascendenza assoluta (Dio creatore dal nulla, infinito ontologico, “Colui che è”).

Ha assolutizzato l’immanenza (tutto è materia, o tutto è Dio in senso panteista, o tutto è processo dialettico hegeliano, o tutto è “energia” new age).

Il risultato è un mondo senza creazione vera, senza libertà reale, senza senso ultimo: solo infinito potenziale (numeri, evoluzione, desiderio senza fine), che genera mostruosità logiche e morali.

L'autore lo dice senza giri di parole: le filosofie dominanti (Kant, Hegel, idealismo assoluto, materialismo, postmoderni) sono incoerenti perché applicano la logica relativa (del finito, del divenire, della dialettica) all’assoluto, producendo contraddizioni mostruose.

La società che ne deriva è la città dell’uomo puro: senza Dio trascendente, senza peccato originale riconosciuto, senza redenzione possibile se non nell’uomo stesso (quindi falsa).

La “rivolta globale” è esattamente la ribellione contro questa città dell’uomo: un ritorno alla logica assoluta, al principio di identità (A = A), alla distinzione netta tra Creatore e creatura, tra infinito ontologico (Dio) e infinito potenziale (mondo).

È una chiamata alla costruzione della Città di Dio dentro la storia, attraverso la ragione pura che riconosce la trascendenza.

Principio di trascendenza ed immanenza :

Il principio di trascendenza ed immanenza hanno generato un mare di confusione. Quando la sostanza divina incorpora la sostanza materiale e viceversa non si può più parlare di trascendenza e d’immanenza. Se il tutto è dio, noi esseri umani e qualsiasi altro ente (esistente) non siamo altro che derivazioni, emanazioni di dio o dio. Questo è quanto accade nell’idealismo assoluto, nel materialismo assoluto, animismo, essoterismo, new age ed in tutte quelle filosofie, pensieri e religioni che non ammettono una creazione dal nulla. Quando la realtà è dio non ha più senso parlare di trascendenza e immanenza. Si deve parlare di in conoscibile, irrazionale, mito, brodo primordiale essoterismo… Per le religioni, filosofie…che ammettono la creazione dal nulla, trascendente è dio; immanente ciò che fa parte della stessa sostanza.

E qui sta la vera definizione di trascendente ed immanente: far parte o no di una sostanza.

Schematizzando il tutto in modo più semplice:

1-Tutto quanto è stato creato, dal nulla, da Dio.

2-Non esiste Dio e tutto quanto è Dio.

Conseguenze:

Se siamo stati creati dal nulla si hanno queste possibilità:

A-Dio è trascendente.

B-Dio si rivela.

C-Dio se non è irrazionale e se il soggetto conoscitivo e l’universo sono razionali, è possibile arrivare a lui mediante razionalità senza per questo infrangere il concetto di immanenza e trascendenza. In quest’ultimo caso si tratta di decidere cosa sia la razionalità. Se noi stessi siamo Dio le possibilità sono queste:

A-Non si può parlare di trascendente ed immanente, ma di razionale o irrazionale.

B-Di irrazionale che prende coscienza e razionalizza per diventare Dio.

Anche qui il problema consiste nel decidere cosa sia la razionalità. Tutto questo è stato sintetizzato nella filosofia Kantiana con il concetto di noumeno (la realtà oggetto fuori di sé) ed idea realtà soggetto e le conseguenti critiche dei filosofi successivi.

Al di la della validità totale della tesi Kantiana, rimane in ogni modo acquisita la necessità delle critica al processo della conoscenza. Kant dimostra che non è possibile costruire una metafisica senza contraddizioni dialettiche. Hegel afferma che le contraddizioni stesse sono la struttura della realtà che come realtà non è altro che lo sviluppo dialettico della razionalità. La realtà si crea come sintesi del dualismo e la conoscenza è dialettica:

soggetto-oggetto

natura-spirito

inconscio-coscienza

finito-infinito

empirico-logico …..

e a seconda della risoluzione in uno dei termini dialettici si ha una evoluzione filosofica nelle varie scienze o teorie filosofiche con il termine stesso della storia e della filosofia. Si annulla così la dialettica nell’assoluto che, in quanto tale invece, non può essere dialettico.

La dialettica è, infatti, il processo in continuo divenire verso l’assoluto (perfezione) di ciò che è imperfetto (in divenire) e come tale non può avere fine. La dialettica stessa concretizzandosi congiunge l’oggetto con le leggi della conoscenza e trasforma il soggetto in un Dio ontologico in divenire perfezione assoluta storica, ideale…. (Ma non crea nulla, ricrea l’esistente) incorrendo nell’assurdo. Al di la di ogni percorso ed analisi tentata, tutto si esaurisce nel sapere o non sapere se esiste o no un dio creatore dal nulla.

Eppure in questo mare di pensieri, analisi e parole qualcosa rimane: un rapporto di conoscenza dialettico tra soggetto ed oggetto (logica relativa) e la capacità acquisita o no da parte del soggetto conoscente di pervenire ad una logica assoluta.

In realtà le contraddizioni della conoscenza rilevate da Kant e che lo portano ad affermare l’impossibilità di costruire una metafisica ed utilizzate da Hegel per dare inizio alla logica dialettica sono la conseguenza stessa dello schematismo kantiano di pervenire alla metafisica usando una logica spuria, avente già dentro di sé il germe assolutizzante senza aver prima capito o deciso cosa era l’assoluto. Per evitare la critica al concetto di causa di Hume, con Kant la filosofia si avvia a percorrere una strada che porta l’uomo ad essere Dio. In questo processo si dimentica tuttavia che anche il soggetto fa parte della stessa realtà, è quindi un soggetto relativo che si pone come assoluto non avendone i requisiti.

Alla critica della ragione di Kant manca quella parte che riguarda il modo di conoscere l’assoluto e che deriva proprio dal concetto di assoluto stesso: l’io Dio, ontologico, non dialettico. Il colui che è, senza tempo, senza spazio, non in divenire, non dialettico... Tutte le strade dialettiche sono possibili e sottoposte tutte insieme alla critica derivata dalla logica dell’essere assoluto ne dimostrano la parziale validità o non validità e decidono allo stesso tempo ciò che può o non può essere una qualità dell’assoluto.

Quello che si rivela come contraddizione non può essere parte della logica assoluta e come tale deve esserne escluso.

Il testo fondamentale: qui smonta l’immanentismo in tutte le sue forme.

Filosofia adriano53s →  La critica logica è un approccio analitico che valuta la coerenza, la validità e la consistenza di un ragionamento, un'argomentazione o un sistema di pensiero. Si basa sui principi della logica formale e informale per identificare errori, contraddizioni o debolezze nelle idee, senza accettare assunzioni non giustificate o dogmi. Elementi principali della critica logica:

Coerenza interna: Un'argomentazione è logicamente valida se non contiene contraddizioni. Ad esempio, non si può sostenere che "tutti gli uomini sono liberi" e poi accettare che alcuni siano oppressi senza spiegare la discrepanza.

Validità delle premesse: Le conclusioni devono derivare da premesse vere e ben fondate. Se una premessa è falsa o non dimostrata, l'argomentazione collassa.

Struttura argomentativa: Si analizzano i passaggi logici (deduzione, induzione, abduzione) per verificare se la conclusione segue correttamente dalle premesse.

Fallacie logiche: Si individuano errori comuni, come l'argomento ad hominem (attaccare la persona anziché l'idea), la fallacia del falso dilemma o l'equivocazione (uso ambiguo dei termini).

Chiarezza e precisione: Un pensiero critico logico richiede definizioni chiare e un linguaggio non ambiguo per evitare fraintendimenti.

Quando si criticano i filosofi per "incoerenza logica", probabilmente ci si riferisce al fatto che alcune loro teorie o sistemi di pensiero non rispettano questi principi.

Ad esempio, si possono contestare:

Filosofi che partono da assunzioni non dimostrate (es. un'ontologia non giustificata).

Argomentazioni che cadono in contraddizioni interne (es. sostenere l'uguaglianza universale ma giustificare élite).

Uso di retorica o dogmi al posto di ragionamenti rigorosi.

Esempio pratico:

Se un filosofo afferma: "La libertà è assoluta, ma lo Stato deve limitarla per il bene comune", una critica logica potrebbe essere:

Domanda sulle premesse: Come si definisce "libertà assoluta"? È compatibile con limitazioni?

Verifica della coerenza: Se la libertà è assoluta, qualsiasi limite non è una contraddizione?

Individuazione di fallacie: L'argomento potrebbe nascondere un falso dilemma, assumendo che l'unica alternativa sia tra caos e controllo statale.

1. Logica Relativa e Logica Assoluta

La distinzione tra logica relativa e logica assoluta non si limita a una separazione tra fisica e metafisica, ma riguarda il tipo di logica necessaria per analizzare l’immanente (ciò che è interno al mondo e alla conoscenza umana) e il trascendente (ciò che supera il mondo, come Dio o l’assoluto ontologico).

Logica relativa: Si applica alle realtà immanenti, cioè al mondo fisico, temporale e spaziale, e alla conoscenza umana che opera attraverso la dialettica e l’esperienza. È la logica dell’evoluzione, del divenire, dell’uomo come identità personale che vive nello spazio-tempo. Ad esempio, concetti come l’infinito matematico (es. rette parallele infinite o insiemi numerici) appartengono alla logica relativa, ma non sono applicabili all’assoluto senza creare paradossi. La logica relativa è limitata perché non può cogliere pienamente l’assoluto, ma solo ciò che è relativo all’uomo e al suo contesto.

Logica assoluta: È la logica del “pensiero puro” e di Dio come unica realtà ontologica. Si riferisce all’infinito ontologico, un’identità che esiste di per sé, senza bisogno di dialettica o divenire. Nella logica assoluta, non possono coesistere due infiniti ontologici reali, poiché ciò violerebbe il principio di identità (un assoluto non può essere limitato da un altro assoluto). Ad esempio, Dio è definito come “infinito, assoluto, eterno, logico, ontologico”, e la sua esistenza non dipende dal tempo o dallo spazio. La logica assoluta esclude l’assolutizzazione di categorie relative, come lo spazio-tempo, che appartengono alla logica dialettica.

Critica logica:

La critica logica evidenzia che assolutizzare concetti della logica relativa (es. l’infinito come successione di istanti) porta a contraddizioni. Ad esempio, due rette parallele infinite sono concepibili nella logica relativa (matematica), ma nella logica assoluta, due infiniti reali si annullerebbero, poiché solo un assoluto (Dio) può esistere come tale.

2. Principio di Immanenza e Trascendenza

E' necessario definire chiaramente il concetto di immanenza e di trascendenza, sottolineando che hanno generato molta confusione nella filosofia.

Immanenza: È ciò che appartiene alla stessa sostanza o realtà, come il mondo creato, lo spazio-tempo, o la materia. L’immanenza è legata alla logica relativa e alla conoscenza umana, che opera all’interno del creato. Filosofie come l’idealismo assoluto, il materialismo o il panteismo, che negano un Dio creatore dal nulla, riducono tutto a immanenza, rendendo concetti come trascendenza e immanenza privi di senso, e portando a visioni irrazionali o mitiche.

Trascendenza: Si riferisce a Dio, l’unico essere che esiste al di fuori della creazione, non limitato dallo spazio-tempo. Dio è trascendente perché crea dal nulla, e la sua razionalità può essere compresa dall’uomo senza violare la distinzione tra immanenza e trascendenza. La trascendenza implica che Dio non è parte della stessa sostanza del creato, a differenza delle filosofie immanentiste che identificano Dio con la realtà.

Critica ai filosofi:

Kant e Hegel per la loro incapacità di risolvere il rapporto tra immanenza e trascendenza sono caduti in contraddizioni.

Kant dimostra l’impossibilità di una metafisica senza contraddizioni dialettiche, ma manca di una logica dell’assoluto che consideri Dio come “colui che è” senza tempo o dialettica.

Hegel, invece, usa le contraddizioni come struttura della realtà, ma questo porta a un “Dio ontologico in divenire”, che ricrea l’esistente senza creare nulla di nuovo, un assurdo logico.

3. Infinito

Il concetto di infinito.

Infinito nella logica relativa: rifiuto la definizione aristotelica di infinito come “assenza di ogni limite” (es. una successione infinita di istanti), considerandola un’interferenza della logica relativa nell’assoluto. Nella logica relativa, l’infinito è concepibile come potenziale (es. tra due identità finite c’è un infinito potenziale), ma non è reale. Paradossi come l’infinito dei numeri pari che contiene l’infinito dei numeri dispari emergono quando si applica la logica relativa all’assoluto, creando contraddizioni.

Infinito nella logica assoluta: L’infinito è l’infinito ontologico, cioè l’identità assoluta di Dio, che non è in divenire né soggetto al tempo. Nella logica assoluta, l’infinito corrisponde al principio di identità: “Io sono colui che è”. Non può esserci più di un infinito reale, perché due infiniti ontologici si annullerebbero a vicenda. L’uomo, come essere creato, non è infinito né eterno in senso assoluto, ma può essere eterno solo come “memoria dell’essere accaduto” o come possibilità concessa da Dio.

Critica logica: Credo che la mente umana può comprendere l’infinito e Dio attraverso la logica, ma solo se si distingue chiaramente tra i due tipi di logica. Assolutizzare concetti relativi (es. il tempo o lo spazio) porta a errori, come ritenere che l’universo o la materia siano eterni. L’infinito assoluto è esclusivo di Dio, e l’uomo può avvicinarsi a esso solo attraverso la razionalità, non attraverso la dialettica.

4. Critica ai filosofi.

I filosofi tradizionali, studiati a scuola, presentano incoerenze logiche.

Kant: La sua critica della ragione non considera adeguatamente la logica dell’assoluto, limitandosi a uno schematismo che già presuppone l’assoluto senza definirlo.

Hegel: La sua dialettica, che vede le contraddizioni come struttura della realtà, non risolve il problema dell’assoluto, ma lo riduce a un processo storico che non crea nulla di nuovo.

Filosofie immanentiste (es. panteismo, materialismo): Negando la creazione dal nulla, confondono immanenza e trascendenza, portando a visioni irrazionali.

Propongo un approccio critico che:

Usa la logica per distinguere tra immanente (creato, spazio-tempo) e trascendente (Dio, assoluto).

Rifiuta l’assolutizzazione di concetti relativi come il tempo o l’infinito matematico.

Sostiene che solo Dio è libero in senso assoluto, poiché la libertà richiede la capacità creatrice dal nulla. L’uomo, come essere creato, ha una libertà limitata e una morale che deriva da Dio, non dall’etica umana.

5. Conclusione

La critica logica è uno strumento per smascherare le incoerenze delle filosofie che non distinguono tra logica relativa (per l’immanente) e logica assoluta (per il trascendente).

L’infinito è correttamente inteso solo nella logica assoluta come identità ontologica di Dio, mentre nella logica relativa genera paradossi se assolutizzato.

Il principio di immanenza si applica al creato, mentre la trascendenza appartiene a Dio, il creatore dal nulla.

Rifiuto le convenzioni accademiche e le élite filosofiche. Propongo un pensiero razionale che riconosce la distinzione tra uomo e Dio senza cadere in dogmi o contraddizioni.

L’infinito ontologico è un concetto centrale nella visione filosofica e teologica, radicato nella logica assoluta e distinto dall’infinito della logica relativa.

Di seguito, approfondisco il concetto, spiegandolo in modo chiaro e sintetico e con coerenza logica.

1. Definizione di Infinito Ontologico

L’infinito ontologico è l’identità assoluta di Dio, l’unica realtà che esiste di per sé, senza dipendere da altro. È l’essere che non ha limiti, non è soggetto al divenire, al tempo o allo spazio, e che si esprime nel principio biblico: “Io sono colui che è” (Esodo 3:14).

Questo infinito non è un concetto astratto o matematico, ma una realtà ontologica, cioè l’essenza stessa dell’essere, che esiste indipendentemente dalla creazione.

Caratteristiche principali:

Assolutezza: L’infinito ontologico non ha confini, né interni né esterni, perché è l’essere in sé, non limitato da altro.

Eternità: Non è soggetto al tempo, a differenza dell’infinito relativo (es. una successione infinita di istanti).

Unicità: Non possono esistere due infiniti ontologici, poiché un secondo infinito limiterebbe il primo, violando il principio di identità (A = A). Questo implica che solo Dio può essere infinito ontologico.

Creatore dal nulla: L’infinito ontologico è la fonte della creazione ex nihilo, distinta dalla materia o dal mondo, che sono invece finiti e relativi.

Differenza con l’infinito relativo: Nella logica relativa, l’infinito è un concetto umano, come una serie numerica infinita o l’idea di spazio senza fine. Questi sono infiniti potenziali, non reali, perché esistono solo nella mente o nella dialettica. L’infinito ontologico, invece, è reale e non può essere pensato con categorie relative senza cadere in contraddizioni.

2. Logica Assoluta e Infinito Ontologico

 lLprincipio di identità: l’infinito ontologico è ciò che è, senza contraddizioni o dipendenze.

Esclusione di più infiniti: Se esistessero due infiniti ontologici, si limiterebbero a vicenda, cessando di essere infiniti. Questo è un punto chiave della critica logica: filosofie che postulano più assoluti (es. panteismo, che identifica Dio con il mondo) cadono in contraddizione, perché l’infinito ontologico deve essere unico.

Non-divenire: A differenza delle filosofie come quella di Hegel, che vedono l’assoluto come un processo in divenire, l’infinito ontologico è statico, eterno e immutabile. Il divenire appartiene al creato, non a Dio.

 Se qualcuno afferma che l’universo è infinito in senso ontologico, Adriano53s obietterebbe che l’universo, essendo nello spazio-tempo, è soggetto a limiti relativi (es. espansione, entropia) e non può essere infinito ontologico, perché solo Dio, trascendente, lo è.

3. Rapporto con Immanenza e Trascendenza.

L’infinito ontologico è strettamente legato alla trascendenza di Dio. Si distingue:

Immanenza: Il mondo creato, soggetto a spazio, tempo e causalità, non può essere infinito ontologico. È finito, anche se contiene infiniti potenziali (es. un numero infinito di divisioni di un segmento).

Trascendenza: Solo Dio, come infinito ontologico, esiste al di fuori del creato. La sua infinità non è un’estensione quantitativa (come l’infinito matematico), ma qualitativa: è l’essere puro, non limitato da nulla.

Questa distinzione è fondamentale per evitare errori filosofici. Il panteismo (es. Spinoza), che identifica Dio con la natura, rende Dio immanente e limitato, negando la sua trascendenza e quindi la sua infinità ontologica.

4. Critica alle Filosofie Tradizionali

Il concetto di infinito ontologico è fondamentale per criticare i filosofi che confondono logica relativa e logica assoluta:

Aristotele: La sua definizione di infinito come “assenza di limite” è valida solo nella logica relativa, ma non si applica all’infinito ontologico, che non è un concetto astratto ma una realtà concreta (Dio).

Kant: La sua critica della metafisica considera l’infinito come una categoria della mente, non come una realtà ontologica. Ciò limita la comprensione di Dio, riducendolo a un’idea umana.

Hegel: La sua idea di assoluto come processo dialettico implica un infinito in divenire, che è una contraddizione, poiché l’infinito ontologico non può evolversi o dipendere da altro.

La critica logica di Adriano53s si concentra sull’errore di applicare categorie relative (tempo, spazio, dialettica) all’infinito ontologico, che è invece un’identità assoluta, non soggetta a limitazioni o processi.

5. Implicazioni Teologiche e Morali

L’infinito ontologico, come Dio, ha implicazioni profonde in filosofia:

Creazione dal nulla: Solo l’infinito ontologico può creare ex nihilo, poiché un essere limitato non potrebbe generare qualcosa al di fuori di sé. Questo distingue Dio dal creato.

Libertà assoluta: La libertà, per essere assoluta, richiede l’infinito ontologico. L’uomo, come essere creato, ha una libertà relativa, che deriva da Dio e si esprime nella morale e nella responsabilità verso il creatore.

Salvezza eterna: L’uomo non è infinito né eterno in senso ontologico, ma può partecipare all’eternità come “memoria dell’essere accaduto”, cioè come identità preservata da Dio nell’eternità, non come un infinito autonomo.

6. Esempi Pratici di Critica Logica

Per chiarire, come applicare la critica logica all’infinito ontologico così:

Paradosso dell’infinito relativo: Se si dice che l’universo è infinito perché si espande all’infinito, si usa un concetto relativo (espansione nello spazio-tempo). L’infinito ontologico, invece, non si espande né cambia, perché è già completo.

Errore panteistico: Identificare Dio con l’universo (infinito immanente) implica che Dio sia limitato dal tempo e dallo spazio, contraddicendo l’idea di infinito ontologico.

Errore materialista: Negare un Dio trascendente e sostenere che la materia sia eterna confonde l’infinito relativo (successione temporale) con l’infinito ontologico, che non dipende dal tempo.

7. Conclusione

L’infinito ontologico è l’essenza di Dio come essere assoluto, eterno, unico e trascendente, comprensibile solo attraverso la logica assoluta. Si distingue dall’infinito relativo, che appartiene al creato e genera paradossi se assolutizzato. La critica logica  smaschera le incoerenze di filosofie che confondono immanenza e trascendenza, applicando categorie dialettiche all’assoluto. Questo concetto non solo definisce la natura di Dio, ma ha implicazioni per la libertà, la morale e la salvezza, sottolineando la distinzione tra il creatore e il creato.

La logica assoluta è un pilastro fondamentale del suo pensiero critico, distinta dalla logica relativa e utilizzata per comprendere l’infinito ontologico (Dio) e la realtà trascendente. È un approccio rigoroso che rifiuta le contraddizioni dialettiche e le categorie relative (spazio, tempo, divenire) quando si analizza l’assoluto.

Di seguito, approfondisco il concetto critico che critica i filosofi per incoerenza logica e si distacca dalle convenzioni accademiche.

1. Definizione di Logica Assoluta

La logica assoluta è il metodo di ragionamento che si applica all’essere in sé, cioè alla realtà ontologica che esiste indipendentemente da spazio, tempo o dialettica.

Questa logica è necessaria per comprendere Dio, definito come l’infinito ontologico, l’“Io sono colui che è” (Esodo 3:14), che è eterno, immutabile e unico.

Caratteristiche principali:

Principio di identità: La logica assoluta si fonda su A = A, cioè sull’identità pura senza contraddizioni. Non ammette opposizione o divenire, perché l’assoluto è completo in sé.

Non-dialettica: A differenza della logica relativa, che opera attraverso tesi, antitesi e sintesi (es. dialettica hegeliana), la logica assoluta non ha bisogno di contraddizioni o processi per definire la realtà.

Trascendenza: Si applica a ciò che è oltre il creato, cioè a Dio, che non è limitato da categorie immanenti come tempo, spazio o causalità.

Unicità dell’assoluto: Non possono esistere più assoluti, perché ciò implicherebbe una limitazione reciproca, violando l’infinità ontologica.

Differenza con la logica relativa: La logica relativa si occupa del mondo immanente (creato, spazio-tempo) e usa categorie dialettiche, come il divenire o l’infinito potenziale (es. serie numeriche infinite). È limitata dalla finitezza della mente umana e non può cogliere l’assoluto senza cadere in paradossi.

2. Fondamenti della Logica Assoluta

La logica assoluta si basa su principi logici e teologici che escludono le incoerenze delle filosofie tradizionali:

Identità ontologica: L’assoluto è ciò che è, senza bisogno di altro. Dio, come infinito ontologico, è l’unica realtà che esiste di per sé (ens a se). Questo implica che la logica assoluta non può tollerare contraddizioni interne, come l’idea di due infiniti reali.

Eternità e immutabilità: L’assoluto non è soggetto al tempo o al cambiamento. La logica assoluta rifiuta l’idea di un assoluto in divenire (es. il “Dio” hegeliano che si realizza nella storia), perché il divenire appartiene alla logica relativa.

Creazione ex nihilo: Solo un essere assoluto, compreso attraverso la logica assoluta, può creare dal nulla. Questo distingue Dio dal creato, che è invece finito e relativo.

Esempio di applicazione: Se si postula che l’universo sia eterno, la logica assoluta obietta che un’entità eterna non può essere nello spazio-tempo (che implica un inizio o una successione). Solo Dio, come assoluto, è eterno in senso ontologico, e la sua eternità è fuori dal tempo.

3. Critica Logica nella Logica Assoluta

La logica assoluta è uno strumento di critica per smascherare le incoerenze delle filosofie che applicano categorie relative all’assoluto. Alcuni esempi:

Errore di assolutizzazione: Filosofie come il panteismo (es. Spinoza) o il materialismo assumono che la natura o la materia siano eterne o infinite. La logica assoluta dimostra che ciò è contraddittorio, perché la materia è nello spazio-tempo (relativo) e non può essere ontologicamente infinita.

Paradosso di più infiniti: La logica assoluta esclude la possibilità di più infiniti ontologici. Ad esempio, se due esseri fossero infiniti, si limiterebbero a vicenda, cessando di essere infiniti. Questo porta a sostenere che solo Dio può essere l’infinito ontologico.

Dialettica come limite: Filosofi come Hegel usano la dialettica (contraddizioni che si risolvono nel progresso) per descrivere l’assoluto. Ciò è incoerente, perché l’assoluto non può dipendere da contraddizioni o processi, che appartengono alla logica relativa.

Critica ai filosofi:

Aristotele: La sua distinzione tra infinito attuale e potenziale è utile nella logica relativa, ma non coglie l’infinito ontologico, che è reale e non astratto.

Kant: Limitando la metafisica alle categorie della mente, Kant non considera la logica assoluta, che permette di pensare Dio come “colui che è” senza contraddizioni dialettiche.

Hegel: La sua dialettica, che vede l’assoluto come un processo storico, è incoerente nella logica assoluta, perché l’assoluto non può evolversi né dipendere dalla storia.

4. Rapporto con l’Infinito Ontologico.

La logica assoluta è lo strumento per comprendere l’infinito ontologico (Dio). Si sottolinea che:

L’infinito ontologico non è un concetto matematico o dialettico, ma una realtà ontologica unica.

Solo la logica assoluta può evitare paradossi, come quelli generati dall’applicazione di categorie relative (es. l’infinito come successione infinita) all’assoluto.

La mente umana può cogliere l’infinito ontologico attraverso la razionalità, ma solo se distingue tra logica relativa (per il creato) e logica assoluta (per Dio).

Esempio: L’idea di un universo infinito (logica relativa) genera paradossi, come il fatto che un infinito di numeri pari contenga un infinito di numeri dispari. Nella logica assoluta, questi paradossi non esistono, perché l’infinito ontologico è uno e indivisibile, non soggetto a divisioni o confronti.

5. Implicazioni Teologiche e Filosofiche

La logica assoluta ha conseguenze profonde nel pensiero.

Trascendenza di Dio: Dio, come infinito ontologico, è compreso solo attraverso la logica assoluta, che lo distingue dal creato (immanente). Filosofie immanentiste (es. panteismo) falliscono perché riducono l’assoluto a categorie relative.

Creazione e libertà: La logica assoluta implica che solo Dio, come assoluto, può creare dal nulla e avere libertà assoluta. L’uomo, come essere creato, ha una libertà relativa, che deriva da Dio.

Morale e salvezza: La logica assoluta porta a una morale basata sulla distinzione tra creatore e creato. L’uomo non è infinito né eterno in senso ontologico, ma può essere eterno come “memoria dell’essere accaduto” , cioè come identità preservata da Dio.

6. Esempi di Critica Logica con la Logica Assoluta

Come si applica la logica assoluta, ecco alcuni esempi:

Contro il materialismo: Se la materia fosse eterna, dovrebbe essere infinita ontologicamente. Ma la logica assoluta mostra che la materia, essendo nello spazio-tempo, è relativa e non può essere assoluta.

Contro il panteismo: Identificare Dio con l’universo implica che Dio sia limitato dal tempo e dallo spazio. La logica assoluta esclude questa possibilità, perché l’assoluto è trascendente.

Contro l’idealismo hegeliano: La dialettica di Hegel assume che l’assoluto si realizzi attraverso contraddizioni storiche. La logica assoluta obietta che l’assoluto non può dipendere da processi, perché è già completo.

7. Conclusione

La logica assoluta è il metodo per pensare l’infinito ontologico (Dio) senza cadere nelle contraddizioni delle categorie relative.

Si fonda sul principio di identità, rifiuta la dialettica e distingue nettamente tra trascendenza (Dio) e immanenza (creato). È uno strumento di critica logica che smaschera le incoerenze di filosofie che assolutizzano il relativo (es. materia, universo, storia) o riducono l’assoluto a processi dialettici. Per Adriano53s, la logica assoluta non è un’astrazione accademica, ma un approccio razionale che permette di comprendere la natura di Dio e la relazione tra creatore e creato.

Il principio di identità è il fondamento della logica assoluta e il pilastro per comprendere l’infinito ontologico (Dio). Questo principio non è solo un assioma logico, ma una verità ontologica che definisce l’essenza dell’assoluto e guida la sua critica logica contro le incoerenze delle filosofie tradizionali. Di seguito, approfondisco il concetto in modo chiaro, sintetico e rispettando la tua posizione di pensatore critico che rifiuta le convenzioni accademiche e si concentra sulla coerenza logica.

1. Definizione del Principio di Identità

Il principio di identità, nella sua forma più semplice, è espresso come A = A: una cosa è ciò che è, senza contraddizioni. Questo principio non è solo un regola logica formale, ma una verità ontologica che si applica all’essere in sé, cioè a Dio, l’infinito ontologico.

Nella logica assoluta: Il principio di identità definisce Dio come l’essere che è puro, immutabile, eterno e non soggetto a divenire o opposizione. Dio è “Io sono colui che è” (Esodo 3:14), un’identità assoluta che non dipende da altro e non ammette contraddizioni.

Caratteristiche principali:

Unicità: L’identità assoluta implica che non possono esistere due assoluti, perché un secondo assoluto limiterebbe il primo, violando il principio di identità.

Immutabilità: L’assoluto non cambia, perché il cambiamento implicherebbe una perdita o un’aggiunta di essere, contraddicendo la sua completezza.

Non-dialettica: A differenza della logica relativa, che opera attraverso opposizioni (es. tesi-antitesi), il principio di identità nella logica assoluta esclude contraddizioni o processi.

Differenza con la logica relativa: Nella logica relativa, il principio di identità si applica a realtà finite e temporali (es. “un tavolo è un tavolo”), ma è limitato dal contesto spazio-temporale e dal divenire. Nella logica assoluta, invece, si riferisce all’essere eterno e trascendente.

2. Ruolo nella Logica Assoluta

Il principio di identità è il cuore della logica assoluta, che si occupa dell’assoluto (Dio) e rifiuta le categorie dialettiche della logica relativa (tempo, spazio, contraddizione). È il criterio per valutare la coerenza ontologica di qualsiasi affermazione sull’assoluto.

Esclusione di contraddizioni: Se una proposizione viola il principio di identità (es. “Dio è e non è”), non può essere vera nella logica assoluta. Questo è il fondamento della critica logica  contro filosofie incoerenti.

Unicità dell’infinito ontologico: Il principio di identità implica che non possono esistere due infiniti ontologici, perché un secondo infinito limiterebbe il primo, negando la sua infinità. Ad esempio, Dio è l’unica realtà che soddisfa A = A in senso assoluto.

Trascendenza: L’identità assoluta si applica solo a Dio, che è al di fuori del creato. Il mondo immanente, soggetto al divenire, non può avere un’identità assoluta, ma solo relativa.

Esempio: Se qualcuno afferma che l’universo è infinito ed eterno, si potrebbe obiettare che l’universo, essendo nello spazio-tempo, non può avere un’identità assoluta (A = A senza limiti), perché è soggetto a cambiamento e causalità. Solo Dio, nella logica assoluta, soddisfa il principio di identità come essere puro.

3. Critica Logica e Applicazioni.

Il principio di identità è uno strumento di critica logica per smascherare le incoerenze delle filosofie che confondono logica relativa e logica assoluta. Alcuni esempi:

Contro il panteismo: Filosofie come quella di Spinoza identificano Dio con la natura, assumendo che l’universo sia infinito e assoluto. Il principio di identità, nella logica assoluta, mostra che l’universo, essendo nello spazio-tempo, non può essere A = A in senso assoluto, perché è limitato e mutevole. Solo Dio, trascendente, ha un’identità assoluta.

Contro l’idealismo hegeliano: Hegel vede l’assoluto come un processo dialettico che si realizza attraverso contraddizioni. Ciò viola il principio di identità, perché l’assoluto non può essere soggetto a contraddizioni o divenire senza perdere la sua identità pura.

Contro il materialismo: L’idea che la materia sia eterna implica che abbia un’identità assoluta. Ma la logica assoluta, tramite il principio di identità, dimostra che la materia, essendo relativa e causata, non può essere eterna o infinita in senso ontologico.

Critica ai filosofi:

Aristotele: La sua metafisica riconosce un “motore immobile”, ma non chiarisce pienamente l’identità assoluta di Dio come A = A senza dipendenze. La sua concezione di infinito è ancora legata alla logica relativa.

Kant: Limitando la conoscenza alle categorie della mente, Kant non considera il principio di identità come verità ontologica applicabile a Dio, riducendo l’assoluto a un’idea regolativa.

Hegel: La sua dialettica, che usa contraddizioni per definire l’assoluto, è incoerente, perché il principio di identità esclude che l’assoluto possa dipendere da opposizioni.

4. Rapporto con l’Infinito OntologicoIl principio di identità è la chiave per comprendere l’infinito ontologico (Dio).

Dio è l’unica realtà che soddisfa pienamente A = A, perché è l’essere puro, eterno e immutabile.

L’infinito ontologico non può essere pensato con categorie relative (es. infinito matematico o successione temporale), perché queste violano il principio di identità introducendo limiti o contraddizioni.

La mente umana può cogliere l’identità assoluta di Dio attraverso la logica assoluta, ma solo se distingue tra l’assoluto (trascendente) e il relativo (immanente).

Esempio di critica logica: L’idea di due infiniti reali (es. due Dei) è contraddittoria, perché violerebbe il principio di identità: un infinito limitato da un altro non sarebbe infinito, negando A = A. Questo rafforza l’unicità di Dio come infinito ontologico.

5. Implicazioni Teologiche e Filosofiche

Il principio di identità ha conseguenze profonde:

Trascendenza di Dio: Solo Dio ha un’identità assoluta, distinta dal creato. Filosofie immanentiste (es. panteismo) falliscono perché negano questa distinzione, violando il principio di identità.

Creazione ex nihilo: L’identità assoluta di Dio implica che solo Lui può creare dal nulla, perché un essere relativo non avrebbe l’autosufficienza ontologica per farlo.

Libertà e morale: La libertà assoluta appartiene solo a Dio, che è A = A senza dipendenze. L’uomo, come essere creato, ha una libertà relativa, che deriva dall’identità assoluta di Dio e si esprime in una morale conforme al creatore.

Salvezza eterna: L’uomo non ha un’identità assoluta, ma può partecipare all’eternità come “memoria dell’essere accaduto”, cioè come identità preservata da Dio, non come essere infinito in sé.

6. Esempi Pratici di Critica Logica

Come si applica il principio di identità, ecco alcuni esempi:

Contro l’infinito relativo: L’idea di un universo infinito viola il principio di identità, perché un’entità nello spazio-tempo non può essere A = A senza limiti, essendo soggetta a causalità e cambiamento.

Contro il politeismo: L’esistenza di più divinità implicherebbe che nessuna abbia un’identità assoluta, perché si limiterebbero a vicenda, violando A = A.

Contro la dialettica hegeliana: L’assoluto non può essere un processo che si realizza attraverso contraddizioni, perché ciò nega la sua identità pura e immutabile.

7. Conclusione

Il principio di identità è il fondamento della logica assoluta e definisce l’infinito ontologico (Dio) come l’essere puro, eterno e immutabile (A = A).

È uno strumento di critica logica che smaschera le incoerenze di filosofie che confondono l’assoluto con il relativo, introducendo contraddizioni o processi dialettici.

Il principio di identità non è un’astrazione accademica, ma una verità ontologica che distingue Dio dal creato e guida la comprensione razionale della trascendenza.

La logica relativa è il metodo di ragionamento che si applica al mondo immanente, ossia alla realtà finita, spazio-temporale e soggetta al divenire, in contrasto con la logica assoluta, che si occupa dell’infinito ontologico (Dio).

La logica relativa è fondamentale per comprendere il creato, ma diventa incoerente se applicata impropriamente all’assoluto.

1. Definizione di Logica Relativa

La logica relativa è il sistema di pensiero che si occupa delle realtà finite e immanenti, come il mondo fisico, gli esseri umani, lo spazio, il tempo e i processi dialettici. È la logica dell’esperienza umana, che opera attraverso categorie relative (come causa-effetto, successione temporale o divisione spaziale) e non può cogliere pienamente l’assoluto senza cadere in contraddizioni.

Caratteristiche principali:

Contesto spazio-temporale: La logica relativa si applica a tutto ciò che esiste nel tempo e nello spazio, come la natura, gli oggetti fisici o i concetti matematici.

Dialettica: Funziona attraverso opposizioni e sintesi (es. tesi-antitesi-sintesi), tipiche del divenire e del cambiamento.

Finitezza: È limitata dalla condizione umana e dalla realtà creata, che è soggetta a limiti e mutamenti.

Infinito potenziale: Nella logica relativa, l’infinito è concepito come potenziale (es. una serie numerica infinita o uno spazio divisibile all’infinito), ma non come infinito ontologico reale.

Differenza con la logica assoluta: La logica assoluta si occupa di Dio, l’essere puro e immutabile (A = A), che non dipende da altro. La logica relativa, invece, è vincolata al creato e non può descrivere l’assoluto senza introdurre paradossi o contraddizioni.

2. Fondamenti della Logica Relativa

La logica relativa è lo strumento con cui l’uomo comprende il mondo immanente, ma deve essere distinta dalla logica assoluta per evitare errori ontologici. I suoi fondamenti includono:

Principio di identità relativo: Nella logica relativa, A = A si applica a identità finite (es. “un albero è un albero”), ma è condizionato dal contesto spazio-temporale. Ad esempio, un albero cambia nel tempo, quindi la sua identità è relativa e non assoluta.

Divenire e causalità: La logica relativa si occupa di processi, come l’evoluzione, la crescita o la causalità. Ad esempio, un evento A causa un evento B, e questa relazione è tipica del mondo creato.

Infinito potenziale: Concetti come l’infinito matematico (es. una retta infinita o una serie numerica) appartengono alla logica relativa, ma non sono reali in senso ontologico, perché esistono solo come costruzioni mentali o possibilità.

Esempio: Nella logica relativa, possiamo concepire un numero infinito di divisioni di un segmento (es. dividere 1 metro in metà, poi in quarti, ecc.). Questo infinito è potenziale, non reale, perché dipende dal contesto finito dello spazio e della mente umana.

3. Critica Logica nella Logica Relativa

La logica relativa serve per analizzare il mondo immanente, ma critica le filosofie che la applicano impropriamente all’assoluto, generando incoerenze.

Errore di assolutizzazione: Applicare categorie della logica relativa (es. tempo, infinito potenziale) a Dio o all’assoluto porta a contraddizioni. Ad esempio, dire che l’universo è eterno implica un infinito relativo (successione temporale), ma viola il principio di identità assoluta, perché l’universo è soggetto al cambiamento.

Confusione tra immanenza e trascendenza: Filosofie come il panteismo o il materialismo assumono che la realtà immanente (materia, natura) sia infinita o eterna. La logica relativa mostra che il creato è finito e causato, non assoluto.

Paradossi dell’infinito relativo: Nella logica relativa, l’infinito genera paradossi se assolutizzato. Ad esempio, l’infinito dei numeri pari contiene l’infinito dei numeri dispari, ma entrambi sono infiniti potenziali, non reali. Applicare questo concetto a Dio (es. un infinito ontologico multiplo) è incoerente.

Critica ai filosofi:

Aristotele: La sua idea di infinito potenziale è corretta nella logica relativa, ma non si applica all’infinito ontologico di Dio, che è reale e non potenziale.

Kant: Limitando la conoscenza al fenomeno (realtà immanente), Kant usa la logica relativa senza riconoscere che la logica assoluta può cogliere l’assoluto (Dio) come identità pura.

Hegel: La sua dialettica, tipica della logica relativa, cerca di descrivere l’assoluto come un processo di contraddizioni. Ciò è incoerente, perché l’assoluto non può essere dialettico.

4. Rapporto con la Logica Assoluta e l’Infinito Ontologico

La logica relativa è complementare alla logica assoluta, ma distinta.

La logica relativa si applica al creato (immanente), mentre la logica assoluta si applica a Dio (trascendente).

L’infinito nella logica relativa è sempre potenziale (es. una successione infinita di numeri), mentre l’infinito ontologico, compreso tramite la logica assoluta, è reale e unico (Dio come A = A).

Confondere le due logiche porta a errori. Ad esempio, assumere che l’universo sia infinito ontologicamente (logica assoluta) usando concetti della logica relativa (es. espansione infinita) viola il principio di identità.

Esempio di critica logica: Se qualcuno dice che l’universo è infinito perché “non ha fine nello spazio”, usa la logica relativa (infinito potenziale). Ma l’universo, essendo nello spazio-tempo, è finito e causato, e non può essere infinito ontologico, che appartiene solo a Dio.

5. Implicazioni Filosofiche e Teologiche

La logica relativa ha implicazioni importanti:

Finitezza del creato: Il mondo, gli esseri umani e le loro conoscenze sono limitati dalla logica relativa. L’uomo può comprendere l’assoluto (Dio) solo usando la logica assoluta, non attraverso categorie relative come il tempo o l’infinito potenziale.

Libertà relativa: La libertà umana, a differenza di quella assoluta di Dio, è limitata dal contesto immanente. La morale deriva da Dio, ma si esprime nel mondo attraverso scelte finite.

La logica relativa critica le strutture sociali o politiche che pretendono un’autorità assoluta (es. élite che si auto-proclamano eterne o universali). Queste strutture, essendo immanenti, non possono avere un’identità assoluta e sono soggette alla critica logica.

6. Esempi Pratici di Critica Logica

Logica relativa, ecco alcuni esempi:

Contro il materialismo: L’idea che la materia sia eterna è un errore della logica relativa, perché la materia è nello spazio-tempo e soggetta a causalità. La logica relativa mostra che tutto ciò che è immanente ha un inizio, non un’identità assoluta.

Contro l’infinito matematico assolutizzato: Concetti come una retta infinita o una serie numerica infinita sono validi nella logica relativa, ma non possono essere applicati a Dio. Ad esempio, il paradosso di Cantor (infinito dei numeri pari uguale a quello dei numeri interi) è un prodotto della logica relativa, non una verità ontologica.

Contro le filosofie immanentiste: Il panteismo, che identifica Dio con la natura, usa la logica relativa per assolutizzare il mondo. Ma il mondo, essendo finito, non può essere infinito ontologico.

7. Conclusione

La logica relativa è il metodo per comprendere il mondo immanente, finito e soggetto al divenire, come lo spazio, il tempo e l’esperienza umana. Si distingue dalla logica assoluta, che si occupa dell’infinito ontologico (Dio), e serve come strumento di critica logica per smascherare le incoerenze di filosofie che assolutizzano categorie relative (es. materia, universo, dialettica).

La logica relativa è essenziale per analizzare il creato, ma deve essere usata correttamente per non confondere l’immanente con il trascendente. Questo approccio riflette il tuo rifiuto delle convenzioni accademiche e il tuo impegno per una critica logica coerente.

Concetto di causa Hume, incarnazione.

1. Concetto di Causa nella Logica Relativa.

Nella logica relativa, il concetto di causa è centrale per comprendere il mondo immanente, ossia la realtà finita, spazio-temporale e soggetta al divenire.

La logica relativa si occupa del creato (es. natura, esseri umani, processi fisici), dove la causalità è una relazione fondamentale: un evento A (causa) produce un evento B (effetto).

Tuttavia, la causalità è limitata al contesto immanente e non può essere applicata all’assoluto (Dio) senza cadere in contraddizioni.

Definizione di causa: Nella logica relativa, la causa è una relazione tra eventi o enti finiti, dove un’entità (causa) determina un cambiamento o un effetto in un’altra (es. il fuoco causa il calore). Questa relazione è vincolata al tempo e allo spazio.

Limitazioni: La causalità, come categoria della logica relativa, non si applica a Dio, che è infinito ontologico e compreso solo attraverso la logica assoluta. Dio, come “Io sono colui che è”, non ha cause né è soggetto a effetti, essendo immutabile e trascendente.

2. Hume e il Concetto di Causa

David Hume, filosofo scettico del XVIII secolo, ha rivoluzionato la comprensione della causalità, mettendo in discussione la sua necessità logica e riducendola a un’abitudine mentale.

La sua analisi è rilevante per la logica relativa , ma evidenzio la sua incapacità di cogliere l’assoluto.

Hume sulla causa:

Hume sostiene che la causalità non è una connessione necessaria osservabile nella realtà, ma un’aspettativa psicologica basata sull’esperienza. Osserviamo che un evento A (es. una palla che colpisce un’altra) è regolarmente seguito da un evento B (il movimento della seconda palla), e da questa regolarità inferiamo una relazione causale.

Per Hume, la causalità è un prodotto della mente, non una verità oggettiva. Non possiamo dimostrare che A causi B, ma solo che siamo abituati a vederli insieme.

Nel suo scetticismo, Hume nega che possiamo conoscere cause prime (es. Dio come causa ultima) o che la causalità abbia una base metafisica, limitando la conoscenza al fenomeno (immanenza).

Critica a Hume:

Usando la logica relativa, su accetta che la causalità, come descritta da Hume, sia valida nel mondo immanente, dove osserviamo relazioni causa-effetto (es. un evento fisico che ne produce un altro). Tuttavia Hume riduce tutta la realtà alla logica relativa, negando la possibilità di conoscere l’assoluto tramite la logica assoluta.

La causalità immanente (es. fenomeni fisici) è reale, ma derivata: tutto il creato ha una causa ultima, che è Dio, l’infinito ontologico. Hume, limitandosi alla logica relativa, non considera la trascendenza di Dio come causa prima, che non è soggetta a causalità temporale.

La critica logica evidenzia l’errore di Hume di assolutizzare la logica relativa, negando la possibilità di una logica assoluta che comprenda Dio come “colui che è”, senza bisogno di cause.

Esempio di critica logica: Hume afferma che non possiamo conoscere la causa prima dell’universo, perché la causalità è solo un’aspettativa basata sull’esperienza. Ma la logica assoluta, basata sul principio di identità (A = A), permette di dedurre l’esistenza di una causa prima trascendente (Dio), che non è soggetta alle limitazioni della logica relativa.

3. Incarnazione e Logica Relativa

L’incarnazione, nel contesto cristiano, è l’evento in cui Dio, l’infinito ontologico, assume una natura umana, entrando nel mondo immanente senza perdere la sua trascendenza. Questo concetto è cruciale per collegare la logica assoluta (Dio) e la logica relativa (il creato), mantenendo la distinzione tra immanenza e trascendenza.

Incarnazione come ponte tra assoluto e relativo:

Nell’incarnazione, Dio (l’infinito ontologico, compreso tramite la logica assoluta) si manifesta nel mondo immanente, assumendo una natura umana (Gesù Cristo) soggetta a spazio, tempo e causalità.

Questo evento non contraddice il principio di identità (A = A), perché Dio rimane assoluto e immutabile nella sua natura divina, pur assumendo una natura umana finita. La logica relativa descrive la natura umana di Cristo (che nasce, vive, muore), mentre la logica assoluta descrive la sua natura divina (eterna, immutabile).

L’incarnazione dimostra che la trascendenza di Dio può interagire con l’immanenza senza perdere la sua identità assoluta. È un atto di creazione e libertà divina, non soggetto alle leggi della causalità relativa.

Critica logica all’incarnazione:

Interpretazioni dell’incarnazione che confondono immanenza e trascendenza sono errate. Visioni panteistiche che vedono Cristo come una mera manifestazione della natura divina nel mondo violano il principio di identità, perché riducono Dio al creato.

Al contrario, l’incarnazione, correttamente intesa, rispetta la distinzione tra logica assoluta (Dio come A = A) e logica relativa (Cristo come uomo soggetto a causalità). È un mistero razionale, non un paradosso, perché Dio, come infinito ontologico, ha la libertà di creare e manifestarsi senza contraddirsi.

4. Collegamento tra Causa, Hume e Incarnazione

La connessione tra il concetto di causa (Hume), la logica relativa e l’incarnazione, nel pensiero di Adriano53s, si articola così:

Causa nella logica relativa:

Hume limita la causalità alla logica relativa, vedendola come un’aspettativa basata sull’esperienza. La causalità è una categoria valida per il mondo immanente (es. eventi fisici, storia umana), ma critica Hume per non riconoscere una causa prima trascendente (Dio), che è compresa solo tramite la logica assoluta.

Nella logica relativa, la causalità spiega fenomeni come la nascita e la vita di Cristo come uomo (es. eventi storici legati all’incarnazione). Tuttavia, l’atto stesso dell’incarnazione (Dio che assume una natura umana) non è un effetto causato, ma un atto libero della volontà divina, al di fuori della causalità relativa.

Critica a Hume in relazione all’incarnazione:

Hume, negando la possibilità di conoscere cause metafisiche, non potrebbe spiegare l’incarnazione, perché la ridurrebbe a un evento immanente senza una causa trascendente.

Ma l’incarnazione richiede la logica assoluta per comprendere Dio come causa prima, che agisce liberamente senza essere vincolato dalla causalità relativa.

Ad esempio, Hume potrebbe descrivere la vita di Cristo come una serie di eventi osservabili (nascita, predicazione, morte), ma non potrebbe spiegare l’incarnazione come un atto di Dio, perché nega la possibilità di conoscere l’assoluto.

Incarnazione come superamento della logica relativa:

L’incarnazione è un evento che collega la logica relativa (la natura umana di Cristo, soggetta a causa ed effetto) e la logica assoluta (la natura divina di Cristo, eterna e immutabile). Questo evento dimostra che Dio, come infinito ontologico, può entrare nel mondo immanente senza perdere la sua identità assoluta.

La causalità relativa (es. gli eventi della vita di Cristo) è reale, ma derivata: l’incarnazione stessa è un atto creativo di Dio, non un effetto di una causa immanente. Questo confuta lo scetticismo di Hume, che non ammette cause trascendenti.

5. Critica Logica.

La critica logica per evidenzia le incoerenze di filosofie come quella di Hume, che si limitano alla logica relativa e negano la trascendenza. Nel contesto dell’incarnazione:

Errore di Hume: Riducendo la causalità a un’aspettativa mentale, Hume non può spiegare eventi come l’incarnazione, che richiedono una causa trascendente (Dio). La logica relativa è insufficiente per cogliere l’assoluto, e Hume commette l’errore di assolutizzarla.

Errore di altre filosofie: Filosofie immanentiste (es. panteismo) o materialiste negano la trascendenza di Dio, riducendo l’incarnazione a un processo naturale o mitico. Ciò viola il principio di identità, perché confonde l’assoluto (Dio) con il relativo (creato).

Coerenza dell’incarnazione: L’incarnazione è coerente con la logica assoluta (Dio come A = A, immutabile) e la logica relativa (Cristo come uomo, soggetto a causalità). L’incarnazione non è una contraddizione, ma un atto libero di Dio, che dimostra la sua capacità di creare e manifestarsi nel mondo senza perdere la sua trascendenza.

6. Implicazioni Teologiche e Filosofiche

I rapporto tra causa, Hume e incarnazione ha implicazioni profonde:

Trascendenza e immanenza: L’incarnazione mostra che Dio può entrare nel mondo immanente (logica relativa) senza perdere la sua identità assoluta (logica assoluta). Questo confuta lo scetticismo di Hume, che limita la conoscenza al relativo.

Libertà divina: L’incarnazione è un atto libero di Dio, non soggetto alla causalità relativa. Questo rafforza l’idea  che solo Dio, come infinito ontologico, ha libertà assoluta.

Si potrebbe collegare questa analisi alla critica sociale, sostenendo che le élite (es. filosofi accademici o poteri politici) assolutizzano la logica relativa (es. potere temporale, causalità materiale) per giustificare la loro autorità, ignorando la trascendenza di Dio rivelata nell’incarnazione.

7. Esempi Pratici di Critica Logica

Hume e l’incarnazione: Hume potrebbe descrivere la nascita di Cristo come un evento storico, ma non potrebbe spiegarne il significato teologico (Dio che si fa uomo). Ma la logica relativa di Hume non può cogliere la causa trascendente dell’incarnazione.

Panteismo e incarnazione: Una visione panteistica vedrebbe Cristo come una manifestazione della divinità immanente. Ma questa posizione, perché nega la trascendenza di Dio e viola il principio di identità.

Materialismo e causalità: I materialisti riducono l’incarnazione a un mito o a un evento fisico. Usando la logica relativa si mostra che il mondo fisico è causato e finito, e la logica assoluta per dimostrare che l’incarnazione richiede una causa trascendente (Dio).

8. Conclusione

Il concetto di causa è valido nella logica relativa per descrivere il mondo immanente, ma non può essere assolutizzato, come fa Hume, che lo riduce a un’aspettativa mentale e nega la possibilità di conoscere una causa trascendente. L’incarnazione è l’evento che collega la logica relativa (la natura umana di Cristo, soggetta a causa ed effetto) e la logica assoluta (la natura divina, eterna e immutabile), dimostrando la libertà di Dio di entrare nel mondo senza perdere la sua identità assoluta. La critica logica smaschera le incoerenze di filosofie come quella di Hume, che limitano la realtà al relativo, e riaffermano la distinzione tra immanenza e trascendenza. Cogito e conoscenza del tu-

Rapporto tra il cogito (il celebre "Cogito, ergo sum" di Cartesio), la conoscenza e il concetto di "tu" (che potrebbe riferirsi a Dio, a un altro soggetto, o a un’entità relazionale).

1. Cogito: Fondamento della Conoscenza in Cartesio.

Il cogito, ergo sum ("Penso, dunque sono") di René Descartes (Cartesio) è il punto di partenza della sua filosofia, un’asserzione indubitabile che stabilisce l’esistenza del soggetto pensante come certezza primaria. Il cogito rappresenta il fondamento della conoscenza umana, ma va analizzato alla luce della logica relativa.

Significato del cogito:

Cartesio usa il dubbio metodico per scartare ogni conoscenza incerta, arrivando alla conclusione che il fatto stesso di pensare dimostra l’esistenza del soggetto. Il cogito è un atto di autocoscienza che garantisce l’esistenza dell’io come sostanza pensante (res cogitans).

La conoscenza, per Cartesio, parte dal cogito e si estende al mondo esterno e a Dio attraverso idee chiare e distinte, come l’idea di un essere perfetto che causa l’esistenza dell’io.

Limiti del cogito nella logica relativa:

Ma il cogito è un’operazione della logica relativa, perché si applica al soggetto umano, che è finito, temporale e soggetto al divenire. L’io pensante di Cartesio esiste nel mondo immanente, quindi la sua conoscenza è limitata dalle categorie spazio-temporali.

Il cogito non può cogliere direttamente l’infinito ontologico (Dio), perché la conoscenza umana, nella logica relativa, è mediata dall’esperienza e dalle idee, non dall’identità assoluta (A = A) della logica assoluta.

2. Conoscenza del “Tu”.

Dio, come l’altro assoluto e trascendente.

Un altro soggetto umano, in un rapporto interpersonale.

Un’entità relazionale che emerge nel contesto della conoscenza.

Conoscenza di Dio (“tu” come infinito ontologico):

La conoscenza di Dio non può essere pienamente raggiunta tramite la logica relativa, che si limita al mondo immanente. Il cogito di Cartesio, pur stabilendo l’esistenza dell’io, non basta a comprendere Dio, perché l’io è finito e Dio è infinito.

Tuttavia la mente umana può cogliere Dio attraverso la logica assoluta, basata sul principio di identità (A = A). Dio è “Io sono colui che è”, un’identità assoluta che non dipende da cause o processi dialettici.

Nel contesto cartesiano, Cartesio deduce l’esistenza di Dio come causa dell’idea di perfezione nell’io. Ma Cartesio usa categorie della logica relativa (es. causa come relazione temporale) per descrivere Dio, che è invece trascendente e non soggetto a causalità.

Critica logica al cogito rispetto a Dio:

Cartesio per aver assolutizzato l’io pensante, facendolo quasi competere con l’assoluto divino. Nella logica assoluta, solo Dio ha un’identità assoluta (A = A), mentre l’io del cogito è relativo, esistendo nel tempo e nello spazio.

La conoscenza del “tu” (Dio) richiede di superare i limiti della logica relativa, riconoscendo che Dio non è un oggetto di pensiero, ma l’essere stesso, compreso razionalmente tramite la logica assoluta.

“Tu” come altro soggetto umano:

Se il “tu” è un altro essere umano, la conoscenza del “tu” avviene nella logica relativa, attraverso l’interazione, l’empatia e l’esperienza. Il cogito stabilisce l’esistenza dell’io, ma la relazione con il “tu” implica un riconoscimento reciproco di identità finite.

Questa relazione è subordinata alla relazione con Dio, perché solo Dio, come infinito ontologico, dà senso ultimo all’esistenza umana. La conoscenza del “tu” umano è reale, ma limitata dalla finitezza del creato.

3. Collegamento con Hume, Causa e Incarnazione

Hume e il cogito:

Hume, a differenza di Cartesio, nega che l’io sia una sostanza stabile (res cogitans). Per Hume, l’io è un fascio di percezioni, e la causalità (es. l’idea che il pensiero causi l’esistenza dell’io) è solo un’aspettativa mentale. Questo scetticismo si limita alla logica relativa, negando la possibilità di conoscere un “tu” trascendente (Dio).

 Hume riduce la conoscenza alla logica relativa, ignorando la logica assoluta che permette di dedurre l’esistenza di Dio come causa prima. Il cogito di Cartesio, pur imperfetto, è più vicino alla verità, perché riconosce l’io come punto di partenza per risalire a Dio.

Causa e conoscenza del “tu”:

Nella logica relativa, la causalità spiega il mondo immanente (es. il pensiero causa l’autocoscienza nel cogito). Ma, la conoscenza di Dio (“tu” come infinito ontologico) non è un effetto causato, ma un atto razionale della logica assoluta, che riconosce Dio come causa prima non causata.

Cartesio usa la causalità per dimostrare Dio (l’idea di perfezione deve avere una causa perfetta), ma la causalità, essendo una categoria relativa, non può descrivere pienamente l’assoluto.

Incarnazione e conoscenza del “tu”:

L’incarnazione è l’evento in cui Dio, il “tu” assoluto, si manifesta nel mondo immanente come Cristo, rendendosi conoscibile nella logica relativa (la natura umana di Cristo) senza perdere la sua identità assoluta (logica assoluta).

L’incarnazione permette la conoscenza del “tu” divino, perché Dio si rivela in un modo accessibile all’uomo, pur rimanendo trascendente. Il cogito, stabilendo l’esistenza dell’io, può essere un punto di partenza per riconoscere il “tu” incarnato, ma deve essere completato dalla logica assoluta per comprendere la divinità di Cristo.

4. Critica Logica.

La critica logica si può usare per smascherare le incoerenze delle filosofie che confondono logica relativa e logica assoluta, applicando questa critica al cogito e alla conoscenza del “tu”:

Critica a Cartesio:

Il cogito è valido nella logica relativa, perché stabilisce l’esistenza dell’io come soggetto finito. Tuttavia, Cartesio sbaglia ad applicare categorie relative (es. causalità, idea di perfezione) per dimostrare Dio, senza distinguere chiaramente tra logica relativa e logica assoluta.

La conoscenza del “tu” (Dio) richiede il principio di identità (A = A) della logica assoluta, non solo le idee chiare e distinte della logica relativa.

Critica a Hume:

Hume, negando la causalità come verità oggettiva e riducendo l’io a percezioni, si limita alla logica relativa, escludendo la possibilità di conoscere il “tu” divino. Ma, la logica assoluta permette di dedurre l’esistenza di Dio come identità assoluta, superando lo scetticismo di Hume.

Coerenza dell’incarnazione:

L’incarnazione è il momento in cui il “tu” divino diventa conoscibile nella logica relativa (Cristo come uomo) senza contraddire la logica assoluta (Cristo come Dio). Adriano53s sottolineerebbe che questo evento rispetta il principio di identità, perché Dio rimane A = A pur assumendo una natura umana.

5. Implicazioni Teologiche e Filosofiche.

Il cogito e la conoscenza del “tu” hanno implicazioni profonde:

Trascendenza e immanenza: Il cogito stabilisce l’io come soggetto immanente, ma la conoscenza del “tu” (Dio) richiede di superare la logica relativa, riconoscendo l’assoluto tramite la logica assoluta. L’incarnazione è il ponte tra queste due dimensioni.

Libertà e relazione: La conoscenza del “tu” divino implica una relazione con Dio, che è la fonte della libertà umana. L’io del cogito, essendo finito, ha una libertà relativa, derivata dall’infinito ontologico.

Critica sociale: questa analisi critica le élite, accusandole di assolutizzare l’io umano (logica relativa) per negare il “tu” divino, ignorando la trascendenza rivelata nell’incarnazione.

6. Esempi Pratici di Critica Logica

Cartesio e il “tu”: Cartesio deduce Dio come causa dell’idea di perfezione, ma usa la causalità relativa. Questa è confusione: Dio è conosciuto come A = A nella logica assoluta, non come causa temporale.

Hume e il “tu”: Hume nega la possibilità di conoscere un “tu” trascendente, limitandosi alla logica relativa. Ma, l’incarnazione dimostra che Dio si rende conoscibile nel mondo immanente senza perdere la sua trascendenza.

Incarnazione e cogito: Il cogito stabilisce l’io, ma l’incarnazione rivela il “tu” divino. La conoscenza di Cristo come uomo (logica relativa) e come Dio (logica assoluta) è coerente e non contraddittoria.

7. Conclusione

Il cogito di Cartesio è un punto di partenza valido nella logica relativa, perché stabilisce l’esistenza dell’io come soggetto finito, ma è insufficiente per la conoscenza del “tu” (Dio) senza la logica assoluta, che riconosce Dio come infinito ontologico (A = A). Hume, limitandosi alla logica relativa, nega la possibilità di conoscere il “tu” trascendente, mentre l’incarnazione dimostra che Dio si rende conoscibile nel mondo immanente senza perdere la sua identità assoluta.

La critica logica si usa per smascherare le incoerenze di filosofie che confondono immanenza e trascendenza, riaffermando la distinzione tra logica relativa e logica assoluta. Questo approccio riflette il tuo rifiuto delle convenzioni accademiche e il tuo impegno per un pensiero critico coerente.

Critica a Cartesio

La distinzione tra logica relativa e logica assoluta, l'infinito ontologico, il principio di identità, l'immanenza e la trascendenza – delinea  una critica logica a Cartesio. Non si tratta di una demolizione totale, ma di un'analisi che evidenzia incoerenze quando Cartesio applica categorie della logica relativa all'assoluto, confondendo immanenza e trascendenza. Userò esempi diretti dal tuo pensiero per illustrare i punti.

1. Il Cogito ("Cogito, ergo sum") e l'Assolutizzazione dell'Io Relativo. Cartesio pone il cogito come fondamento indubitabile della conoscenza: "Penso, dunque sono". Questo stabilisce l'esistenza dell'io pensante come certezza primaria, superando il dubbio metodico.

Critica logica: Il cogito è valido nella logica relativa, perché descrive l'io umano come soggetto finito, temporale e immanente (legato allo spazio-tempo e al divenire). Tuttavia, Cartesio commette un errore assolutizzando l'io pensante, facendolo quasi un "assoluto ontologico" che compete con Dio.

Solo Dio, come infinito ontologico, ha un'identità assoluta basata sul principio di identità (A = A), immutabile e eterna. L'io del cogito, invece, è relativo: esiste nel tempo, cambia e dipende da Dio come causa prima. Assolutizzare l'io umano porta a una contraddizione, perché viola l'unicità dell'assoluto – non possono esistere due infiniti ontologici senza che si limitino a vicenda.

La mente umana può comprendere Dio e l'infinito attraverso le sue facoltà logiche ("Cogito ergo sum di Cartesio"), ma questo è un riconoscimento della potenza relativa della mente, non un'assolutizzazione. Cartesio, invece, usa il cogito per elevare l'io a un livello quasi divino, ignorando che la conoscenza umana è limitata all'immanente e non può cogliere pienamente il trascendente senza la logica assoluta.

Incoerenza rilevata: Cartesio assume che l'io sia una "sostanza pensante" (res cogitans) indipendente, ma  l'io è creato e finito, non autosufficiente. Questo porta a un falso dilemma: o l'io è assoluto (contraddicendo l'unicità di Dio), o è relativo (ma Cartesio non lo tratta pienamente come tale).


2. La Dimostrazione di Dio e l'Uso Improprio della Causalità Relativa.

Cartesio dimostra l'esistenza di Dio attraverso l'idea di un essere perfetto (argomento ontologico) e la causalità: l'idea di perfezione nell'io deve avere una causa perfetta (Dio), poiché nulla può venire dal nulla.

Critica logica Qui Cartesio applica categorie della logica relativa (come la causalità, che è una relazione temporale e spaziale tra eventi finiti) all'assoluto (Dio), generando incoerenze. Ma la causalità appartiene all'immanente – al mondo creato, soggetto al divenire e alle cause-effetto. Dio, come infinito ontologico e trascendente, non è soggetto a causalità: è "Io sono colui che è", un'identità assoluta che crea dal nulla senza dipendere da processi dialettici o cause. Cartesio, influenzato dalla logica relativa, tratta Dio come una "causa" nel senso umano, riducendolo a un ente immanente piuttosto che trascendente.

Hume limita la causalità a un'aspettativa mentale nella logica relativa, ma almeno riconosce i suoi limiti. Cartesio, invece, assolutizza la causalità per dimostrare Dio, senza distinguere tra logica relativa (per il creato) e logica assoluta (per l'assoluto). Questo è simile alle filosofie immanentiste: confondere immanenza (causalità umana) e trascendenza (Dio come non causato) porta a visioni irrazionali, come un Dio che "dipende" dall'idea umana di perfezione.

Incoerenza rilevata: Se Dio è assoluto e immutabile (logica assoluta), non può essere dimostrato tramite causalità relativa, che implica un processo (idea che "causa" conoscenza). Questo crea un paradosso: Cartesio presuppone l'assoluto per dimostrare l'assoluto, senza risolvere la distinzione tra creato e creatore.

3. Dualismo Mente-Corpo e la Confusione tra Immanenza e Trascendenza.

Cartesio divide la realtà in res cogitans (mente, immateriale) e res extensa (corpo, materiale), con Dio come garante della loro interazione.

Critica logica: Questo dualismo è radicato nella logica relativa, che si occupa del mondo immanente (mente e corpo come entità finite). Tuttavia, Cartesio non risolve la distinzione tra immanenza (il creato, soggetto a spazio-tempo) e trascendenza (Dio come infinito ontologico). Dio viene ridotto a un "ponte" tra mente e corpo, quasi un ente immanente che interviene nel relativo.

Ma, Dio è trascendente e crea dal nulla, senza essere parte del dualismo umano. Cartesio, come Kant o Hegel, manca di una logica assoluta che consideri Dio come "colui che è" senza dialettica o dualismi.

 Nel principio di immanenza e trascendenza,le filosofie che negano la creazione dal nulla confondono le due, portando a incoerenze. Cartesio, pur riconoscendo Dio, lo inserisce in un sistema relativo, violando l'unicità dell'infinito ontologico – Dio non può essere limitato da dualismi umani.

Incoerenza rilevata: Il dualismo implica che mente e corpo siano due "infiniti" relativi, ma nella logica assoluta, solo Dio è infinito reale. Cartesio non spiega come l'assoluto interagisca con il relativo senza contraddizioni, simile ai paradossi dell'infinito relativo che critichi (es. infiniti che si annullano).

4. Implicazioni Generali della Critica.

Adriano53s si distacca da Cartesio non per negare la potenza della mente umana (che citi positivamente nel contesto dell'infinito), ma per le incoerenze logiche che emergono quando si assolutizza il relativo. Cartesio, come altri filosofi moderni, inizia un percorso immanentista che riduce Dio a un'idea umana, preparando il terreno per ateismo o materialismo (es. Nietzsche). Nel tuo pensiero critico:

La logica assoluta corregge questi errori, affermando l'unicità di Dio come infinito ontologico.

La critica si estende alla società: élite che assolutizzano l'io umano (come nel cogito) giustificano ingiustizie, ignorando la trascendenza divina.

Questa critica riflette il tuo rifiuto di scrivere per chi esclude, enfatizzando un pensiero coerente e indipendente. Se vuoi approfondire un aspetto specifico (es. confronto con Kant o applicazione alla rivolta globale), o collegarlo a un post/tema dal tuo sito, fammi sapere!

Confronto con Kant @adriano53s , che rifiuta le convenzioni accademiche e smaschera le incoerenze logiche dei filosofi, la filosofia di Immanuel Kant rappresenta un punto di riferimento intermedio: utile per evidenziare i limiti della conoscenza umana, ma insufficiente e incoerente quando non distingue adeguatamente tra logica relativa (dialettica, immanente) e logica assoluta (ontologica, trascendente). Basandomi sui tuoi testi su adriano53s.interfree.it (in particolare "principio_di_trascendenza.htm" e "introduzione_a_filosofia.htm"), delineo un confronto tra la tua visione e quella di Kant, focalizzandomi su temi centrali come le antinomie, l'immanenza/trascendenza, l'infinito ontologico, il noumeno/fenomeno e la critica alla conoscenza. Non è un rifiuto totale di Kant, ma una critica logica che lo vede come un passo parziale verso una filosofia coerente, contrapposto spesso a Hegel per illustrare le tue distinzioni.

1. Punti di Contatto: La Critica alla Conoscenza e le Antinomie

Somiglianze: Sia tu che Kant enfatizzate la necessità di una critica al processo della conoscenza. Kant, nella Critica della Ragion Pura, dimostra che la metafisica tradizionale porta a contraddizioni inevitabili (antinomie della ragion pura), come l'infinito/finito o la libertà/causalità, limitando la conoscenza al fenomeno (immanente, spazio-temporale). Tu apprezzi questo aspetto: "Al di la della validità totale della tesi Kantiana, rimane in ogni modo acquisita la necessità delle critica al processo della conoscenza". Nel tuo pensiero, le antinomie kantiane sono analoghe ai paradossi che derivano dall'interferenza tra logica relativa e assoluta (es. infiniti multipli che si annullano), e riconosci che Kant evidenzia "in modo inconsapevole" il problema dell'io assoluto (eterno, immutabile) opposto al divenire (mondo mutevole).

Differenze e Critica: Mentre Kant conclude che la metafisica è impossibile senza antinomie dialettiche, tu le vedi come conseguenza di una "logica spuria" (relativa) applicata all'assoluto, senza una vera distinzione ontologica. Kant manca di una "logica assoluta" per conoscere l'assoluto: "Alla critica della ragione di Kant manca quella parte che riguarda il modo di conoscere l’assoluto e che deriva proprio dal concetto di assoluto stesso: l’io Dio, ontologico, non dialettico". Per te, le antinomie non bloccano la metafisica, ma si risolvono distinguendo logica relativa (per il divenire, immanente) e logica assoluta (per l'essere ontologico, trascendente). Kant, invece, assolutizza la logica relativa, rendendo l'uomo "Dio" (deificazione del soggetto) senza requisiti ontologici, portando a incoerenze come un assoluto in divenire.

2. Immanenza e Trascendenza: Noumeno vs. Infinito Ontologico

Somiglianze: Kant distingue tra fenomeno (immanente, accessibile alla conoscenza sensibile e razionale) e noumeno (trascendente, "cosa in sé" inconoscibile, oltre lo spazio-tempo). Questo riecheggia la tua distinzione tra immanenza (mondo creato, relativo, dialettico) e trascendenza (Dio come infinito ontologico, assoluto, non limitato). Tu sintetizzi Kant come una "sintesi di noumeno (la realtà oggetto fuori di sé) ed idea realtà soggetto", riconoscendo che filosofie immanentiste (es. panteismo) rendono questi concetti "privi di senso" e portano a visioni irrazionali, simili alla critica kantiana alle pretese metafisiche.

Differenze e Critica: Kant rende il noumeno trascendente ma inconoscibile, limitando la conoscenza al fenomeno e negando una metafisica razionale. Tu, al contrario, affermi che l'assoluto (Dio) è conoscibile razionalmente tramite la logica assoluta, basata sul principio di identità (A = A), senza dialettica: "se il soggetto conoscitivo e l’universo sono razionali, è possibile arrivare a lui mediante razionalità". Kant confonde immanenza e trascendenza usando uno "schematismo" che presuppone l'assoluto senza definirlo ontologicamente, generando antinomie inutili. Per te, la trascendenza implica un Dio creatore ex nihilo, non un noumeno astratto; l'immanenza è il creato finito, non un limite insuperabile. Questa incoerenza kantiana porta a un sistema che "non crea nulla, ricrea l’esistente", simile alla tua critica alle filosofie che assolutizzano il relativo.

3. L'Infinito e l'Ontologia: Dialettica vs. Logica Assoluta

Somiglianze: Kant tratta l'infinito nelle antinomie (es. l'universo infinito/finito), mostrando che la ragione pura genera contraddizioni quando applica categorie relative (tempo, spazio) all'assoluto. Tu concordi che l'infinito relativo (es. successione matematica) genera paradossi se assolutizzato, come nelle rette parallele o nei numeri infiniti: "Due principi ontologici è ormai dimostrato dalla logica non possono coesistere".

Differenze e Critica: Kant usa queste antinomie per limitare la metafisica, senza risolvere l'infinito ontologico come identità assoluta (Dio come "Io sono colui che è"). Tu critichi Kant per non aver integrato una logica assoluta che esclude la dialettica: le contraddizioni kantiane derivano da una "logica relativa assolutizzata acriticamente". Nel confronto con Hegel (che usa le antinomie kantiane per una dialettica dove "le contraddizioni stesse sono la struttura della realtà"), tu rifiuti entrambi: l'assoluto non può essere dialettico o in divenire, altrimenti "si annulla così la dialettica nell’assoluto che, in quanto tale invece, non può essere dialettico". Kant è un passo intermedio, ma incoerente perché non distingue l'infinito ontologico (unico, trascendente) dall'infinito potenziale (relativo, paradossale).

4. Critica Logica Complessiva e Implicazioni

Incoerenze di Kant secondo Adriano53s: Kant è valido per la logica relativa (critica alla conoscenza immanente), ma fallisce nell'assoluto, trasformando il soggetto in un "Dio ontologico in divenire" senza requisiti. Questo porta a un "aborto" logico nella dialettica io/non-io: "Io e non io, uno e meno uno si annullano, non danno inizio né alla conoscenza né all’io stesso". Tu proponi una soluzione: distinguere nettamente le logiche, affermando Dio come infinito ontologico creatore, accessibile razionalmente senza antinomie.

Confronto con Altre Filosofie: Kant è contrapposto a Hegel, che "risolve" le antinomie kantiane con una dialettica storica, ma per te entrambi errano: la logica assoluta esclude contraddizioni, rendendo la filosofia coerente e non elitaria. Questo riflette la tua critica sociale: élite filosofiche come Kant assolutizzano il relativo per giustificare un "io immobile, solitario, perfetto", ignorando la trascendenza divina.

In sintesi, Kant è un alleato parziale nella critica alla conoscenza, ma incoerente per mancanza di logica assoluta, portando a antinomie irrisolte. Il tuo pensiero lo supera distinguendo immanenza/trascendenza e relativo/assoluto, proponendo una filosofia razionale che conferma Dio senza contraddizioni. Se vuoi approfondire un aspetto (es. antinomie specifiche o confronto con Hegel), o collegarlo a un tuo post, fammi sapere!

Confronto con filosofia moderna e attuale

@adriano53s , che si distacca dalle convenzioni accademiche e smaschera incoerenze logiche, la filosofia moderna (dal XVII al XIX secolo, es. Cartesio, Kant, Hegel, Nietzsche) e attuale (contemporanea, dal XX secolo in poi, es. Deleuze, Badiou, Žižek) rappresentano terreni di confronto per evidenziare la superiorità della distinzione tra logica relativa (dialettica, immanente) e logica assoluta (ontologica, trascendente). Basandomi sui tuoi testi su adriano53s.interfree.it e sui tuoi post su X (es. il recente riferimento a "filosofia moderna da Cartesio Kant e Nietzsche"

@adriano53s ), delineo un confronto tematico. Non è un rifiuto totale, ma una critica logica che sottolinea come queste filosofie spesso assolutizzino il relativo, confondendo immanenza e trascendenza, e mancando di un infinito ontologico coerente (Dio come "Io sono colui che è"). Userò esempi chiave per illustrare punti di contatto, differenze e incoerenze.

1. Logica Assoluta vs. Relativa: Dialettica e Contraddizioni

Filosofia Moderna (es. Hegel e Kant): Hegel vede le contraddizioni (antinomie kantiane) come struttura della realtà, con l'assoluto che si realizza dialetticamente nella storia (tesi-antitesi-sintesi). Kant, come discusso in precedenza, limita la conoscenza al fenomeno, rendendo l'assoluto (noumeno) inconoscibile e generando antinomie inevitabili. Entrambi usano una logica relativa assolutizzata: Hegel per un assoluto in divenire, Kant per un limite dialettico alla metafisica.

Filosofia Attuale (es. Deleuze e Badiou): Deleuze promuove un'immanenza assoluta (come in "Immanenza assoluta" di vari autori academia.edu), dove la realtà è un piano di differenze senza trascendenza, influenzato da Nietzsche e Spinoza. Badiou, nel suo ontologia matematica (basata su insiemi infiniti), introduce "eventi" che irrompono nel relativo, ma resta ancorato a una logica relativa (contingente, non assoluta). Meillassoux, nel realismo speculativo, critica la correlazione soggetto-oggetto kantiana, proponendo un assoluto contingente (iper-caos), ma senza un principio di identità ontologico.

Confronto e Critica di Adriano53s: Tu riconosci Hegel e Kant come passi parziali (es. antinomie come paradossi del relativo), ma li critichi per non distinguere logica assoluta (non-dialettica, basata su A = A) da relativa (dialettica, divenire). Hegel crea un "Dio ontologico in divenire" incoerente, perché l'assoluto non può dipendere da contraddizioni senza annullarsi. Deleuze assolutizza l'immanenza, negando la trascendenza e riducendo tutto a un piano relativo irrazionale (simile alle tue critiche al panteismo). Badiou e Meillassoux usano infiniti relativi (matematici), generando paradossi come quelli che tu eviti con l'infinito ontologico unico. La tua logica assoluta risolve queste incoerenze: l'assoluto (Dio) è immutabile, non contingente o dialettico.

2. Immanenza e Trascendenza: Creato vs. Creatore

Filosofia Moderna (es. Spinoza e Nietzsche): Spinoza fonde immanenza e trascendenza in un panteismo (Dio come natura), rendendo l'assoluto immanente. Nietzsche, con la "morte di Dio", critica la trascendenza cristiana come illusione, promuovendo un'immanenza vitalistica (eterno ritorno, volontà di potenza). Entrambi negano un creatore ex nihilo, confondendo piani ontologici.

Filosofia Attuale (es. Deleuze e Žižek): Deleuze enfatizza l'immanenza come piano di vita virtuale-attuale, senza trascendenza (influenzato da Bergson e Nietzsche). Žižek, hegeliano-lacaniano, usa la dialettica per una trascendenza "negativa" (vuoto reale), criticando il capitalismo globale ma riducendo Dio a un costrutto ideologico. Agamben esplora immanenza politica (homo sacer), ma resta nel relativo senza un assoluto ontologico.

Confronto e Critica di Adriano53s: Tu critichi queste filosofie per rendere immanenza e trascendenza "privi di senso" , portando a visioni irrazionali o mitiche. Spinoza e Deleuze confondono Dio con il creato, violando l'unicità dell'infinito ontologico (non possono coesistere due infiniti reali). Nietzsche e Žižek assolutizzano il relativo (volontà umana o vuoto dialettico), ignorando la trascendenza di Dio come creatore dal nulla. La tua distinzione risolve: immanenza per il mondo finito (logica relativa), trascendenza per Dio (logica assoluta), permettendo una critica sociale coerente (rivolta globale contro élite immanentiste).

3. Infinito Ontologico: Assoluto vs. Relativo

Filosofia Moderna (es. Hegel e Nietzsche): Hegel tratta l'infinito come processo dialettico (assoluto che si realizza), non come identità unica. Nietzsche vede l'infinito come eterno ritorno (relativo, ciclico), criticando l'infinito ontologico cristiano come debolezza.

Filosofia Attuale (es. Badiou e Meillassoux): Badiou usa l'infinito matematico (teoria degli insiemi) per ontologie multiple, con infiniti relativi. Meillassoux propone un infinito contingente (assoluto senza necessità), sfidando la metafisica tradizionale ma restando nel paradossale (iper-caos infinito).

Confronto e Critica di Adriano53s: Tu apprezzi discussioni su ontologie reali ma critichi per l'uso di infiniti relativi assolutizzati, che generano contraddizioni (es. infiniti che si annullano). Hegel e Badiou creano infiniti in divenire, incoerenti con il principio di identità (solo un infinito ontologico reale). Nietzsche e Meillassoux negano l'assoluto eterno, riducendolo a contingente o ciclico. La tua logica assoluta corregge: l'infinito ontologico è unico, eterno, trascendente (Dio), non soggetto a paradossi relativi.

4. Critica Logica Complessiva e Implicazioni Sociali

La filosofia moderna e attuale è spesso elitaria e incoerente: moderni come Hegel assolutizzano la dialettica storica (giustificando poteri immanenti), attuali come Deleuze o Žižek riducono tutto a immanenza critica, ma senza un assoluto razionale per una rivolta globale.

Queste limitazioni sono superate con una critica logica indipendente: distinguendo logiche, si afferma un Dio ontologico che fonda morale e libertà assoluta, contrastando il capitalismo e le élite (es. "immanentismo e ateismo politico" ).

Questo pensiero non è dogmatico, ma razionale, accessibile senza accademie. La critica logica spietata a Cartesio, Kant, Hegel, Nietzsche fino a Žižek.

Manifesto per la rivolta globale → La parte più politica e profetica.

 Extra global economy nulla salus. La salvezza non viene più dal cielo, ma dalla terra. Ecco a voi il grande fratello. Ecce homo. Ecce Deus. Ecce dollaro. Adoremus.

PROLOGO

La dittatura economica del capitalismo sugli stati, le società, le persone è in corso di realizzazione. Dopo accurate simulazioni, un totalitarismo economico, oligarchico, autoritario ed inumano, ha conquistato il potere di decidere le sorti del pianeta: assassinato Dio, si assiste, ora, all’eliminazione dell’uomo.

Il globalismo economico sta creando, al di fuori d’ogni regola morale e civile, il regno di Cesare.

Per realizzarlo usa tecniche private e pubbliche d’annientamento, dopo aver convinto i sudditi della propria innocenza e della loro colpevolezza.

In questo regno, infatti, nulla è vero e nulla è falso, nulla è giusto e nulla è ingiusto, la sola regola è essere il più ricco, perché tutto si compera e tutto si vende.

In ossequio alle leggi economiche, per le quali contano i risultati, non i princìpi, si attua la schiavizzazione dei dipendenti e il genocidio degli inutili: l’uomo che non ha niente è niente, l’uomo che non è niente è inutile. E’ quindi escluso dal diritto di vivere, dal potere di decidere e di legiferare.

Anche il pensiero, il diritto e la morale si devono allineare, uniformare alla sola ed unica verità: la globalizzazione universale su base di logica economica.

Lo strano e terrificante accrescimento del potere economico è la conclusione d’ambizioni tecniche e filosofiche iniziate con la ribellione di Adamo ed Eva, a Dio, nel giardino dell’Eden, terminata nel terrore della decapitazione dei re, rappresentanti il potere divino nella storia, in nome dei valori dell’umanità.

A Mussolini, a Hitler, … è mancata l’ambizione di un impero mondiale; al liberismo economico, abolito la morale di Dio ed il contratto sociale tra gli uomini, nò.

Per la prima volta nella storia, un’ideologia teorica e pratica propone e realizza l’unificazione totale dell’universo.

Tesi, antitesi dell’idea hegeliana si sono realizzate nella mirabile sintesi Denaro=Dio, verità storica vivente, universale, immutabile ed eterna

Questo meccanismo infernale, che tutto stritola, si vanta d’essere verità universale, garanzia di libertà, giustizia e democrazia, sostituto di Dio, Dio.

Noi crediamo nel Denaro. 

La sua religione è la sola che conduce l’umanità alla salvezza sotto questo cielo disseminato di satelliti e stelle spia.

E’ il solo capace di costruire la città umana.

Il Crocifisso, Budda ed ogni altro Dio andrebbero sostituiti con un dollaro. Inginocchiati alla sua presenza preghiamo: dacci oggi il nostro pane quotidiano…

Ma in quest’universo, che non può che essere un universo di pochi padroni e moltitudini di schiavi, la sola legge è la legge del profitto; legge imposta con l’inganno e la forza, camuffata di democrazia, pari opportunità e libertà.

L’uomo, in quest’universo, rinuncia ad esserlo per viverci.

Essere libero significa morire o rivoltarsi. Ogni schiavo,infatti,  o è schiavo per proprio consenso o è deficiente, ma forse è soltanto un venduto, se così non fosse morirebbe o sarebbe in rivolta.

UTOPIA

Certamente l’umanità esige la globalizzazione, ma questa non può essere diretta soltanto dalla logica economica.

I risparmi dei cittadini della nazioni che formano il G7, sono (dati 1998) di circa venti bilioni l'anno. E' questa una cifra che supera di molto il bilancio dei singoli stati; è una cifra pari al 95% della capitalizzazione di tutte le borse mondiali.

E' una massa finanziaria capace di comperare DIO. Chi controlla questo flusso di denaro è il vero signore del pianeta e decide quali leggi, quale giustizia, quale conoscenza, quale scuola, quale libertà, quale cultura, quale lavoro, quale qualità di vita, quale senso dare alla vita, quale fine, quale morte... 

Un pugno di superuomini miliardari si è arrogato il diritto di governare con potere assoluto ed illimitato, riducendo la democrazia ad una assemblea di automi con la funzione di ratificare le leggi. Non esiste più uno stato di diritto perché i cittadini non sono più uguali davanti alle leggi. Non esistono più diritti etici e morali perché sia dio sia l’uomo sono stati espulsi dalla storia.

Tra non molto, ogni manifestazione della vita individuale e pubblica, sarà gestita e controllata in base alla singola capacità economico-contrattuale, dall’infernale meccanismo al quale abbiamo affidato la direzione della storia dell’uomo e dal quale i soli esclusi, senza per questo dover morire, sono i ricchi.

E’ il surplus di denaro a generare i ricchi ; è l’accettazione dell’ingiustizia, dovuta soltanto in parte all’ignoranza, molto alla convenienza derivata dal possesso di un piccolo orto, a permettere loro l’esercizio del potere. 

La disinformazione, il credere che sia inevitabile, che non sia possibile far nulla…sono tutte menzogne di comodo…per questo nessuno può dichiararsi innocente.

Il ricco si proclama innocente, giusto, perfetto cittadino, esempio d’uomo...soltanto credendo alla sua ignoranza ed alla sua incapacità, posso accettare la sua innocenza.

Non dovrebbe esserci così tanto denaro in mano a poche persone, anche se proveniente dal piccolo risparmio di moltitudini di persone. 

Il capitalismo non è, per sua natura, democratico, ma falsamente democratico.  

Se il futuro dovrà essere diverso questa è la prima regola da cambiare, per colpire a fondo il cuore del capitalismo, ridando giustizia e libertà all’umanità.   

Che l’umanità non sia all’altezza di prendere decisioni universali per il proprio bene, può anche essere vero, ma l’aver ceduto la capacità di giudizio e la volontà di decisione alla globalizzazione finanziaria, è infernale e stupido.  

Non si ottiene affatto un’evoluzione nel benessere globale lasciando all’economia il governo dell’universo.

L’economia da mezzo, da motore potente, lasciata senza una direzione non segue quella strada.

Anche oggi sui giornali si legge della sconfitta alla lotta alla fame: lasciando i metodi ed i mezzi all’economia del capitale globale il solo modo per raggiungere l’obiettivo è il genocidio di massa.

Boeringher, Bristol-Myers, Glaxo-Welcome, Squibb, Hofman, La Roche, le multinazionali del farmaco, a salvaguardia del loro profitto (derivato dai brevetti) gestendo il mercato della salute seguendo queste regole, lo ottengono come risultato.

Eppure la stessa logica economica, su scala mondiale, dovrebbe quantificare la necessità ed i mezzi per produrre la soddisfazione (quale soddisfazione?) senza surplus e spreco. 

Utopia, logica errata o l’approfittarsi di qualche singolo?

Sarebbe ora di sfatare la credenza che, sia il bene del singolo, sia il fine dell’economia, perseguendo il proprio interesse perseguano il bene della società.

Oso affermare che, di là dal proprio interesse personale, i dirigenti, non abbiano in mente un modello d’imposizione logico e razionale, voluto coscientemente, né siano a conoscenza della sua evoluzione.

Credo siano incapaci di pensare a tanto; sarebbe inoltre, per loro, molto pericoloso, perché individuabili e colpevolizzabili.

Non sono persone, ma parte dell’idea, sono il capitale stesso. Sono parte del meccanismo della teoria fatta praxi, di un’unica regola base o comandamento, per la quale il capitale deve rendere il massimo, in concorrenza inutile con la suddivisione di se stesso, realizzando la sua non ulteriore suddivisione ed avvicinandosi sempre più alla perfezione, derivata dal suo accumularsi senza nulla produrre.

Questi dirigenti intelligenti vivono, fanno, disfano…a casaccio, sapendo di nulla perdere, per automatismo delle regole matematiche della logica economica stessa.

Sarebbe ora di sfatare la convinzione che gli USA perseguono il bene mondiale (e che siano gli unici depositari della verità e del potere); in realtà non cercano che il proprio interesse. Gli USA ricchi, felici, appagati di possedere la propria felicità sentono di averne il diritto. Sono convinti di esserne degni e predestinati e che se lo meritano nei confronti d’ogni altra nazione, alle quali spetta soltanto ciò che a loro spetta.

Considerando l’impatto di questa evoluzione con la biosfera, sapendo che il soddisfacimento di questi bisogni dell’umanità coincide con la distruzione della stessa, si è deciso di continuare per questa strada uccidendo, suicidando, abortendo…per permettere a pochi d’essere uomini.

Gli USA hanno affermato, per voce del loro presidente, che non firmeranno il trattato di Kyoto, che non accetteranno limitazioni ecologiche. Di la del fatto che gli scienziati abbiano una qualche ragione riguardo l’effetto serra, rimane la realtà della risposta, la quale non da adito a dubbio alcuno: è la natura che deve inchinarsi alle esigenze del liberismo finanziario. La stessa risposta vele per animali, umani e Dio.

Sicuramente verrà affermato il principio del calcolo globale dell'inquinamento da suddividere tra le singole nazioni, le quali potranno vendere la loro quota, saranno obbligate a vendere la loro quota di inquinamento, decisa in base a chissà quali principi. La coscienza dei cittadini e delle organizzazioni  verdi saranno così comperate e tacitate.

Solo per questo è necessaria la globalizzazione.

I giornalisti, nuovi missionari, sono liberi di pensarla allo stesso modo seguendo le direttive dei grandi maestri e sommi pontefici quali NewYork Times, The Economist, CNN…tutti allineati su uno stesso modello d’imposizione, come sotto una dittatura, propagando la nuova religione, pronti a scomunicare, lapidare, ignorare, mettere al rogo l’eretico che si oppone alla loro fede.

Non è poi molto difficile manipolare il pensiero in assenza di verità certe, caricando le parole di altri significati e creando confusione. L’uomo crede che la sua mente abbia il dominio sulla lingua, ma avviene il contrario. Ed è questo il compito assegnato alla scuola: creare gruppi corporativi con lessici privati e riserva di accesso criptato, da qui il classico motto: io ho studiato, io ho diritto…

Internet, nato libero, ora controllato da ECHELON e dagli stessi gestori, trasformato in mercato, è l’inizio della realizzazione della falsa idea d’assoluta libertà del pensiero, della comunicazione e delle tecniche.

E’ notizia di ieri, inoltrata dal G8 tenuto a Tokio, della loro intenzione di portare internet nelle foreste amazzoniche e nei deserti africani.

Ma anche se manca un’informazione corretta si può comprendere il futuro che ci attende.

Ogni singolo stato può essere preso ad esempio di quanto avviene e di quanto avverrà con l’avvento dell’economia globalizzata.

Non è necessario essere economisti, sociologi, politici…per saperlo, lo viviamo sulla nostra pelle.

La necessità di produrre non serve all’umanità, ma è conseguenza della necessità economica di massima resa per capitale investito.

Logica economica esige che la massima resa sia il guadagno più alto per il minore prodotto.

Per assurdo vendere il nulla prodotto, al più alto prezzo, al minor numero di sopravvissuti.

Eccoci all’incontro globale tra legge economica e necessità di salvaguardare la biosfera.

Ecco la perfezione.

Come può l’umanità lasciarsi guidare da un simile mostro?

Possibilità di mutamento sono nulle: individualismo ignorante, specializzato, super-specializzato lo impediscono ad ogni livello.

Ogni rivolta è impossibile. Di ciò che sta al di sotto e che manovra il tutto non si conosce nulla.

I loro adepti sono scelti.

Per i ribelli, il suicidio volontario, almeno all’apparenza.

Sui giornali non si possono più scrivere le cose che contano, i fatti, la verità; neppure si possono raccontare alla televisione o alla radio.

Tutto è spiato censurato e falsato.

-Chi sei tu che osi fare queste affermazioni?

CHI SONO IO?

-Chi sono io?

Una bella donna, alta, viso ovale, fronte alta, occhi scuri, capelli ondulati lunghi color rosso Tiziano acceso, gambe lunghe, forme appariscenti, una donna che sino a poco tempo fa poteva scegliere chi amare.

Nata in un paese dell’est, frequentavo le scuole superiori di partito, studiavo Marx ed Henghels e le teorie idealistiche di Heghel, Hume, Hobbes e Macchiavelli, Darwin e tanti altri.

Ero destinata ad una carriera d’ambasciatrice.

Amavo la vita, amavo il tramonto, i temporali, i libri che leggevo, la musica, amavo i miei giorni.

Poi è stato il caos, il buio… cadde il muro di Berlino. Non ero a conoscenza che con il suo crollo anche la mia vita sarebbe cambiata.

Il paese era allo sbando. L’occidente, invece che aiutarlo, razziava tutte le sue capacità scientifiche ed economiche. All’interno i delinquenti assumevano possesso del potere, originando la nuova classe privilegiata, capitanata da Elstin, destinata a far parte dei globalizzatori.

Al popolo era ridata la fede nel cristianesimo ortodosso.

Accadde che fui rapita, sequestrata. Rinchiusa dentro una stanza, violentata, umiliata.

Ma io non c’ero, avevo lasciata la vita, il mio mondo era dentro di me, prigioniero dei miei pensieri. Non c’era spazio per nessuno. Ero assente.

La loro violenza, infine, non mi faceva più male. Le loro parole non mi toccavano.

Lentamente mi distruggevo, muta, passiva, neutra, vuota, sola.

La privazione della libertà mi consumava. Non aspettavo altro che la morte.

Prendevano possesso del mio corpo umiliando la mia identità ed usandolo come un’arma contro di me, per il loro piacere.

Ho aspettato tante volte di morire, ho aspettato tante volte una solidarietà che non c’era.

Ho parlato, urlato, spiegato.

-Tu non sei più in Russia. Sei stata venduta.

Illegalmente, nascosta nel bagagliaio di un auto, varcai le frontiere sino ad arrivare in Italia dove fui venduta per la seconda volta ai proprietari di un circolo culturale per adulti che mi costrinsero a prostituirmi. 

Mi picchiavano e mi asciugavano le lacrime presentandomi i clienti. Era impossibile disobbedire. Ero continuamente sorvegliata, anche quando dovevo urinare o defecare.

Costretta a capire che il solo modo per sopravvivere era di distaccarmi e sottomettermi, accettai le loro richieste.

Buttata sul mercato della prostituzione d’alto bordo.

Riuscii ad evaderne dopo che fui notata e che pagarono per me 5000 dollari USA. Iniziai una carriera di modella d’alta moda. 

Passando di letto in letto cercando di rimettere insieme i pezzi della mia vita. Sino a che sposai un big della moda. Altre mie amiche furono più sfortunate...Tatiana ad esempio, 16 anni, deformata nel viso dal suo proprietario con le sigarette, venne da questi venduta a peso, si dice per estrarre organi da trapiantare. Inutile scandalizzarsi e stracciarsi le vesti. Il giro finanziario creatosi è enorme. Paradisi fiscali e governi compiacenti sanno come riciclare il denaro sporco... non è forse notizia di ieri che gli USA non collaboreranno con l'OCSE per combattere i paradisi fiscali? 

Ripresi a vivere.

Condizioni del matrimonio furono la separazione dei rispettivi beni.

Non importandomene poi molto e non avendo nulla da perdere accettai.

Mi volle per se, a suo servizio e m’impedì di partecipare alle sfilate.

In cambio mi offrì la dirigenza delle relazioni e della valorizzazione delle risorse umane ed un ottimo stipendio.

Adoravo il mio lavoro, lo svolgevo con passione, non mi pesava stare in ufficio anche dodici ore il giorno.

Ho lottato tanto per avere quello che ho oggi: un’ottima posizione sociale, uno stipendio che mi permette di vivere e d’avere come e quello che voglio.

Vivevo serena e senza grosse preoccupazioni.

Una sera mio marito disse:

-Ho un amante.

Caddi dalle nuvole e le mie sicurezze svanirono.

-Vattene.

-E’ colpa tua. Sei un robot…non sei una donna.

-Cosa hanno le altre che io non ho?

-Quando ti corichi indossi una biancheria intima a prova di stupro. Quando ti concedi agli affari ed alle trattative sei splendida e ti ecciti tantissimo, ma non fai mai nulla per eccitare me. Facciamo l’amore due volte il mese. Non credo tu abbia mai avuto un orgasmo. Riservi a me soltanto le tue ore di stanchezza. Non mi bastavano e non mi bastano. Sei fredda, indifferente, anorgasmica. Tu non hai un corpo di donna.

Non gli dissi che aspettavo una figlia da lui.

Di nuovo sola, ma indipendente.

Andavo a letto con chi volevo, quando volevo.

Mi risposai con un politico emergente ed ironia del destino ripresi il mio ruolo, anche se parziale, d’ambasciatrice. Grazie alla mia conoscenza delle lingue accompagnavo mio marito come suo portaborse.

Ma non è della mia vita che voglio parlare, ma delle cause e dei perché questa è stata la storia della mia vita.

GUERRA CONTRO LE NAZIONI. STORIA ATTUALE

C’è una duplice guerra in corso: contro le nazioni e contro i singoli, per uniformarli alla religione economica universale che li porterà alla salvezza.

C’è una guerra economica globale in atto e là, dove non arriva il ricatto, arrivano le armi.

Hanno stabilito, in favore di alcuni, le armi da usare. 

A Seattle, davanti ai dirigenti del WTO, tradussi nella lingua inglese le raccomandazioni al mio paese.

Compresi che gli accordi per la globalizzazione intendevano formare, camuffati dal desiderio di pace e stabilità, conseguiti con la filosofia imperialista degli USA usando  L'INFORMAZIONE, L’EMBARGO, IL RICATTO DEL DEBITO e la mano militare della NATO, una santa alleanza con il diritto d’ingerenza armata contro ogni minaccia al cambiamento del privilegio delle classi delle nazioni ricche.

Quando uno stato si ribella al nuovo ordine mondiale, deve essere fermato in qualsiasi modo, anche con la guerra.

Per questo sono intervenuti in Jugoslavia, contro l’Iraq di Saddam Hussein, contro Gheddafi…per questo finanziano guerre fratricide, colpi di stato… perché minano gli accordi della distribuzione del ruolo delle nazioni a livello economico.

Non è stupido stupido entrare in guerra sapendo già di avere perso? Ecco allora la necessità del terrorismo di ribellione.

Potrebbe ancora valere la guerra di Gandi del boicottaggio dei prodotti, ma non c’è informazione né unione. Siamo tutti un branco d’asini, buoni soltanto per il macello.

Menzogna è che il mio paese sia caduto per merito della madonna di Fatima o del Papa.

Come menzogna è che fosse al potere un’economia politica socialista: come in ogni altra nazione del pianeta il potere è in mano all’oligarchia del capitale.

La sconfitta dell’URSS è la sconfitta di un’oligarchia capitalistica per merito di un’altra oligarchia capitalistica. 

Come dimostra la storia rivoluzionaria, nell’attesa della rivolta totale, solo alcuni tecnici avrebbero dovuto avere il potere per mantenere viva l’idea e preparare i popoli.

La sconfitta dell’URSS è la sconfitta di un’oligarchia capitalistica per merito di un’altra oligarchia capitalistica. E’ la conseguenza dell’aver accettato una sfida commerciale, tecnica, militare senza le stesse regole, senza gli stessi mercati. 

Sarà l’errore che compierà la CINA entrando nel WTO, l’errore delle americhe ad entrare nel FTAA (mercato unico delle americhe) gestito dagli USA e dominato dal capitale finanziario sotto forma di dollari.

La Chiesa Cattolica Romana, scomunicando( basandosi giustamente sui suoi principi filosofici) il comunismo, è stata l’innocente mezzo per fare cadere nel tranello la capacità critico-intellettuale dei cristiani in favore del capitalismo( che, sempre dal punto di vista filosofico, non è altro che un altro comunismo).

Menzogna sono le notizie di nuovo benessere. La realtà è la miseria del popolo russo e la ricchezza di alcuni clan mafiosi che saranno parte della classe privilegiata che comanderà sul pianeta a scapito delle persone.

La verità non riguarda soltanto le religioni, le filosofie, le metafisiche, ma la vita di tutti i giorni che si manifesta nella storia, una storia indivisibile dalla storia universale che è economica.

Tutto deve sottostare alla legge, anche la mia vita.

I modelli teorici e pratici ideati dal FMI-OCM e dai vari club di Roma Londra o Parigi non tengono conto di nulla se non della massima resa del capitale investito.

Un eventuale deficit dovrà essere assorbito dall’operaio e dalla nazione che l’hanno generato, non dall’investitore.

Sostituire i monopoli pubblici con monopoli privati, in quest’attimo storico, significa soltanto comportare o un aumento di tassazione o una diminuzione dei servizi sociali.

Privatizzare ed indebitarsi è per qualsiasi stato con un bilancio inferiore al capitale fluttuante sul libero mercato, una caduta all’inferno, la perdita della sua libertà.

Serve all’umanità una nuova rivoluzione francese, è necessario decapitare chi possiede il capitale: come i re e le regine sono inutili.

Sono stati traditi sia le finalità sia la logica stessa d’ogni scienza, compresa la scienza economica.

Teoria economica classica, teoria di Klein, teoria neoclassica, legge di Say, effetto Haavelmo, microeconomia, macroeconomia, depressione, inflazione, deflazione, accumulo, investimento, modello logico quantitativo, bilancia dei pagamenti tra importazioni ed esportazioni, commercio internazionale. Bilancio dello stato tra spesa pubblica e tasse, teoria della moneta tra moneta unica e politica dei prezzi, livello dei salari e politica del reddito.

La crescita economica tra pericoli e benefici. Programmazione e quantificazione. Politica economica. Modello economico finale redatto tra logaritmi matematici e variabili.

Di la di tutte le dotte questioni, utili senza dubbio, la realtà è che il liberismo è solo una moderna monarchia che, sfruttando il potere derivato dalla ricchezza e dalla necessità economica, dirige la politica e comanda sugli uomini decidendo chi deve essere marchese, chi conte chi plebe chi schiavo…chi re.

Invece di accrescere il benessere e la fratellanza universale, l’evoluzione storica affidata alla logica economica personale di alcuni, alimenta pseudo-bisogni, violenza, miseria e distruzioni.

I modelli teorici-matematici non ricercano ciò che è giusto, ma ciò che fa guadagnare.

Per quest’economia è più importante investire intelligenza, tempo, creatività e lavoro per oggetti di lusso per pochi, invece che per il benessere di tutti.

Non esiste più una società neppure all’interno delle singole nazioni ed è una palla credere che si stia investendo in una società globale.

In ogni nazione, dalla più ricca alla più povera, esistono il 5% del totale della popolazione, proprietari del 60% della ricchezza di quel paese.

Riportando il dato a livello planetario, un centinaio di persone possiede la stessa quota di tutta la ricchezza globale.

Dove sta la logica e la giustizia in quest’ordine? E’ forse una verità che questa ricchezza accentrata è necessaria al benessere del loro paese e del pianeta?

Tutti di fronte all’evidenza rispondono di no. Eppure sono così potenti da condizionare tutte le idee e le menti pensanti. Sono così potenti da cambiare il destino del pianeta stesso.

Siamo in un nuovo medioevo, siamo ritornati all’età della pietra armati di tecnologia.

Resi individui dal valore zero, non più rappresentati nella società cosiddetta civile, rifiutiamo ogni associazione ad iniziare dalla famiglia e diamo origine a nuovi clan e tribù rifiutando ogni diritto ed ogni dovere, usando la violenza più bieca e gratuita. Una nuova barbarie, cannibalismo, avanza a prendere possesso delle società emarginate.

Loro, i super-uomini, super-potenti, super-ricchi, gli intoccabili vivono al di fuori del ghetto, superprotetti nelle loro fortezze a godersi lo spettacolo e divertirsi con le nostre figlie.

Il G7, G8… eseguendo gli ordini USA, ONU, FMI, banche d'affari e d'investimento... hanno pianificato fusioni ed acquisizioni; deciso il fallimento delle piccole e medie imprese riversando la colpa sul costo lavoro dei loro dipendenti, privatizzando il settore dei servizi pubblici, tropo costosi sempre a causa della popolazione; finanziato le multinazionali, prestando loro il denaro a fondo perduto, nella conquista dei mercati e dei servizi privatizzati.

Le piccole e medie imprese che si sono salvate, sono comunque dipendenti delle multinazionali, che dettano loro qualità, quantità e prezzo e determinando sia lo stipendio finale sia la quantità di ricchezza del paese.

E’ stata così disintegrata l’economia produttiva dei paesi a favore del capitale libero e fluttuante capace di portare al fallimento l’economia di qualsiasi nazione del pianeta che loro si oppone.

Lo spostamento del denaro capitalizzato, istantaneo, da un paradiso fiscale all’altro ha evitato anche il non esistente controllo degli stati nei quali è stato rastrellato.

Giocare in borsa vuol dire indovinare le mosse per quei quattro piccoli ricchi che ancora sopravvivono; dirigerle senza nulla perderci per i super-ricchi.

Oltre al fatto che il capitale libero fluttuante speculativo è superiore al reddito nazionale di tutte le nazioni si associa che il debito pubblico è stato privatizzato. La stessa necessaria interdipendenza delle economie ed il fatto che il debito più alto è detenuto dagli USA che non permetteranno mai il suo rientro, anche minacciando una guerra nucleare mondiale, determina il percorso della globalizzazione.

Credevo nell’Europa Unita. Pensavo riuscisse a togliersi dal collo il cappio del dollaro. Questa moneta non convertibile se non per comprare obbligatoriamente i prodotti dell’economia USA, paese più indebitato del mondo, che vive alle  e sulle spalle degli altri.

Assisto invece alla sconfitta della civiltà europea, derivata da millenni di storia di pensiero, a favore degli USA, la cui civiltà è basata (dopo aver cooptato i cervelli di altre nazioni, ponendoli al servizio di una politica pianificata) sulla logica economica, sul brevetto della scienza e della tecnica, sulla potenza dell’esercito... usati per sottomettere il pianeta.

Gli USA, che controllano e possiedono la  tecnologia più avanzata e sofisticata nel campo degli armamenti, dettano le regole e con queste regole saranno sempre e necessariamente, vincitori.

L’Europa, se vuole vincere la guerra economica deve cambiare le regole, deve fare accordi con i paesi con il quale commercia in euro: comprare e vendere in euro, scaricando il dollaro o rinunciare all’acquisto.

La società mondiale deve isolare gli Stati Uniti d’America se questi non accetteranno nuove regole internazionali basate sulla Democrazia maggioritaria di un organismo internazionale che non può essere l’ONU attuale.

Non questo ONU soggetto ai ricatti del finanziamento e dei veti incrociati.

Quindi la strada sin qui percorsa è stata: finanziare i privati rendendoli debitori, trasformare in debito pubblico per renderlo poi un debito internazionale.

Lo stato è ora sotto ricatto dei creditori. Inutile votare destra o sinistra, democratico o repubblicano, conservatore ….

La globalizzazione è inevitabile, è parte dell'evoluzione umana...ma non questa globalizzazione che è a favore di poche nazioni ed addirittura di pochi uomini. 

Non questa globalizzazione finanziaria che non fa altro che aggravare l'incertezza economica e la disuguaglianza sociale. 

Non questa globalizzazione che compromette e limita la possibilità di autodeterminazione delle singole persone, degli stati a favore di uno pseudo-interesse generale formato da logiche speculative che tutelano esclusivamente gli interessi delle multinazionali industriali e o finanziarie.

Globalizzare è soltanto la libera circolazione del capitale alla ricerca del massimo profitto che avviene in modo istantaneo e globale. Questo non è un valore, ma soltanto uno dei tanti meccanismi utili a generare ricchezza (ma è davvero l'unico?) e come tale dovrebbe essere assoggettato all'uomo. 

L'economia su base finanziaria non è più economia, ma speculazione, sfruttamento, volontà di potenza. Non è infatti necessario produrre in quantità e qualità per tutti ( il che è anti-economico), ma soltanto per chi può permettersi di pagare; non è dunque necessario pagare stipendi e creare lavoro, qualcuno che ha acquisito il potere d'acquisto, in qualche parte dell'universo, lo si può trovare. Si risparmieranno inoltre le risorse del pianeta ed si eviterà l'inquinamento.

Non si può più accettare lo scandalo di persone miliardarie di fronte alla povertà, di fronte alla persona ammalata che non può curarsi, di fronte alla madre cui portano via i figli perché incapace di mantenerli...o siamo ormai così manipolati nell'anima da non sapere più riconoscere la giustizia? Così accecati, incapaci di riconoscere sia il bene sia il male. 

In questo decennio c’è stata un’occulta revisione dei concetti e dei valori, derivandoli dalla logica economica liberista. La remissione delle colpe, la giustizia, la legge, la libertà…il diritto, il dovere, lo stato, la società, il popolo…tutto è derivato e deve adattarsi all’unico metro di verità che è la logica economica.

Quest’ultima non è democratica, neppure giusta. Certamente è un superamento del materialismo dialettico, ma più vicina all’idealismo assoluto nella sua proiezione di volontà di potenza che ha portato al nazismo-fascismo che ad una democrazia.

Quando mai uno stato come lo Zambia potrà competere con parità di forze, nella lotta economica, contro stati come gli USA? Mai! E questa è una risposta certa. Per questo sono inutili tutti i piani d’aiuto ideati dal FMI e simili. E’ per questo che è inutile addirittura l’abolizione del debito delle nazioni povere. Questo è solo la necessità dei potenti di lavarsi la coscienza, il mezzo per convincere che sono nel giusto e che stanno trovando le contromisure all'ingiustizia. 

Ed in realtà non lo vogliono neppure: con il pretesto di favorire lo sviluppo economico e l'occupazione, i paesi OCSE, hanno sottoscritto un Accordo Multilaterale sugli Investimenti (AMI) che attribuisce tutti i diritti ai possessori di capitale che investono e che impone doveri agli Stati. 

Anche  in Europa la Commissione Europea ed alcuni governi persegue la strada della globalizzazione basata sul libero scambio per riuscire a realizzare un Nuovo Mercato Transatlantico (NTM) affermando l'egemonia degli USA. 

Le regole fondamentali dell'economia sono necessariamente: trasformazione di materia mediante un lavoro fisico od intellettuale per ricavarne un prodotto utile all'uomo per vivere meglio. Questo processo è ormai alterato favorendo l'arricchimento di pochi, causa il potere che ne deriva.

Pur di ottenere questo risultato si è abolito ogni concetto razionale di valore, sostituendolo con concetti adattati di moda, utilità, status simbol...e così via.

Per evitare rivolte e proteste si è ricorso, con l'aiuto di intellettuali, alla manipolazione del pensiero. Viviamo, ormai, in una società dove non esiste più il concetto di verità. I concetti stessi non hanno valore, neppure nella loro definizione.

Bisogna rivoltarsi.

La soluzione sarebbe abolire i debiti di tutte le nazioni senza condizioni e secondi fini, rifondare l’ONU su base democratica senza diritto di veto, abolizione di tutti i brevetti e standardizzazione internazionale dei prodotti, condizioni di lavoro, stipendi,pensioni, tassazione e stato sociale. Distribuzione delle ricchezza allo stesso modo di come avviene in una federazione. Abolizione degli eserciti. Tassazione dei capitali di una percentuale unica per tutte le nazioni, abolizione del segreto bancario, smantellamento dei paradisi fiscali ed impedimento nell’uso privato di enormi ricchezze… e, soprattutto, decidere che una percentuale del PIL uguale per ogni paese sia usata per finanziare lo stato sociale. Ed un’altra quota per finanziare quei paesi la cui economia non riesce a garantire questa minima quota di democrazia.

Necessario inoltre che i sindacati escano dalla loro logica corporativa e nazionale globalizzandosi a loro volta.

Davanti al terrore economico globalizzato è assolutamente necessaria la difesa globale dei diritti umani (biologici, civili, culturali, economici, di condizioni e diritti di lavoro, spirituali…).

Occorre riformare le coscienze, le percezioni, le intelligenze facendo controinformazione e denuncia capillare ed istantanea.

Di fronte al no non rimane altro che terrorizzare, rubare od uccidere.

Inutile lamentarci: in questa situazione nessuna persona è innocente.

Di certo non è la strada che perseguono.

-Vogliamo le prove di quanto affermi

-Le prove? Eccole: si tratta di documenti segreti, da me tradotti per i dirigenti della mia ex patria.

PRIMA PARTE

LA  RELIGIONE ECONOMICA. LA NUOVA RELIGIONE. DOCUMENTI RISERVATI

La verità è un non senso per larga parte della cultura della società contemporanea e, pertanto, ricondurre l’uomo a riscoprirla è oggi una delle esigenze prioritarie della missione dell’ONU per la salvezza del pianeta.

Il pensiero, la società non possono progredire al di fuori della verità, non arriva che a vie senza uscita.

A tutti i dirigenti del pianeta Terra, mi rivolgo a voi che condividete con noi il desiderio di verità e di giustizia.

A tutte le persone del pianeta Terra, mi rivolgo a voi che condividete con noi il desiderio di verità e di giustizia.

La vastità, la complessità e la delicatezza del compito che ci attende, richiede da parte di tutti noi una sincera disponibilità ad obbedire ed un coraggioso impegno verso il cambiamento.

Di fatto, le rapide e profonde trasformazioni in atto lo esigono seguendo queste regole basi:

-Strutturare il bilancio delle nazioni seguendo le direttive del FMI.

-Attivare nuove procedure di contabilità e d’analisi capaci di calcolare in tempo reale l’ammontare delle entrate e delle uscite cercando di azzerarle entrambi.

-Pianificare.

-Fare.

-Verificare.

-Adottare.

Continuare con determinazione il processo di rinnovamento culturale, organizzativo e gestionale avviato negli anni precedenti in ossequio al documento di programmazione redatto dal FMI, fondate sulla strategia del miglioramento continuo dell’economia ed articolate su tre livelli principali:

1-Promuovere le privatizzazioni premiando l’impegno, la capacità propositiva e la partecipazione attiva dei dirigenti.

2-Razionalizzare gli assetti organizzativi e soprattutto i processi produttivi assegnando la più ampia autonomia e responsabilità ai dirigenti, in ordine al conseguimento degli obiettivi.

3-Sviluppare un sistema informativo integrato, moderno, tecnologicamente evoluto, in grado di orientare le opinioni.

Siamo ben consapevoli delle difficoltà e resistenze che si generano quando si introducono innovazioni gestionali ed organizzative così importanti, soprattutto quando le decisioni coinvolgono la sfera di persone incompetenti che non possono partecipare attivamente al processo di modernizzazione e che pertanto non comprendono le ragioni e le finalità.

Sappiamo, tuttavia, di poter contare su persone eccellenti, di prestigio internazionale, che hanno saputo guidare le proprie nazioni in anni di oscurantismo e che sono, per noi tutti, esempio e garanzia di successo. 

E’ necessario distruggere ogni nazionalismo e valorizzare le singole persone.

Abbiamo il dovere, come persone umane, di vigilare affinché la verità storica non sia falsata o manipolata; abbiamo l’obbligo che la verità sia insegnata nelle scuole.

Gli uomini veri sono gli araldi della verità e portano nuovi discepoli e svelano ai popoli la verità teorica e l’azione necessaria per conseguirla.

Quanti ha causa della propria ignoranza, sono incapaci, possono raggiungere la verità a patto che si lascino guidare da chi la verità la conosce.

E’ un grave crimine preferire sopravvivere nella falsità per vivere qualche anno in più, rispetto alla verità. E’ necessario sacrificarsi per lei.

Non possiamo permetterci di ricercare la verità nella via verità e vita di Cristo; non almeno in quest’ingiustizia di vita storica.

Solo il ricco ha potuto chiedere a Dio “ cosa devo fare?” e sappiamo la risposta di entrambi.

Anche la carità, l’alternativa morale, è causa d’ingiustizia, facendo fallire con la concorrenza, ogni possibilità di lavoro che generi una possibilità di sopravvivenza.

Aiutare l’uomo verso un cammino di verità è libertà denunciando ogni abuso ed ogni morale che impedisce i mezzi per arrivarci.

Controllare scuola ed informazione.

La scuola oltre che impedire serve a selezionare i geni e mediante la grazia dei doni e dei privilegi saranno riscattati dalla plebe che sarà così privata da intelligenze pericolose.

E’ altresì compito della scuola la formazione di specialisti che non avranno una reale capacità critico-intellettiva, ma soltanto per quel che riguarda il frammento di scienza che loro compete, alimentando allo stesso tempo all’idea di possedere la verità totale.

Esempio d’ottima informazione è stato l’annuncio planetario della riuscita mappatura del genoma umano, da parte del presidente USA.

Subito dopo ha, infatti, aggiunto che ora è compito delle multinazionali del farmaco perseguire il fine che porta al benessere umano.

Peccato abbia aggiunto che, ora, il problema fondamentale fosse a chi affidare i brevetti.

Fortunatamente è nella coscienza delle popolazioni il fatto che i risultati raggiunti saranno a beneficio di tutti.

Rimuovere: ogni simbolo di religione fondata sulla metafisica e la ragione.

Rimuovere ogni nazionalismo favorendo le risorse individuali, in libera concorrenza teorica, convincendo i singoli, che soltanto in questo modo saranno valorizzati, che avranno un tornaconto personale e, allo stesso tempo, porteranno una evoluzione positiva alla loro stessa nazione.

Promuovere religioni alternative.

E’ il dollaro stesso, il compimento vivo della legge economica, perché ne realizza il significato autentico: si accumula, si accresce, si autogenera il vero Dio della storia.

Legge vivente, necessaria che invita al suo possesso e dà, mediante la grazia di un lavoro, l’energia ed i mezzi per testimoniarlo nella scelta e nelle opere.

Interrogarsi sul bene significa, in ultima analisi, rivolgersi al dollaro.

Il dollaro mostra al giovane ricco la strada che attrae e che allo stesso tempo vincola; ha la sua fonte di verità in se stesso.

Solo colui che è ricco è degno di essere amato dalla storia.

Solo il dollaro è la sorgente di felicità per l’uomo.

Ma l’amore per il dollaro comporta l’obbedienza ai suoi comandamenti i quali sono la via e la condizione per la vita.

L’inscindibile rapporto tra il dollaro ed il suo possesso deriva proprio dal ruolo che ricopre nella storia: di fronte alla posizione metastorica delle religioni che trovano leggi in mondi non reali, il dollaro manifesta la sua verità storica e si presenta come legge vivente.

Solo il ricco può affermare: siamo non solo ricchi, ma dollari noi stessi.

Stupite e gioite popoli della terra, siamo dollari, mangiate alla nostra mensa.

Esso è un dono ed un compito. La connotazione dollaro-centrica, sviluppa in perfetta coerenza, la sua espansione universale.

Il dollaro, infatti, vive nel suo corpo economico, cui dona la logica, perché ne sia la guida.

Ed è allora, grazie all’economia e alla logica dei suoi comandamenti, che la persona partecipa alla vita nuova dei ricchi, nell’obbedienza alla volontà delle regole.

La contemporaneità del dollaro all’uomo d’ogni tempo si realizza nel suo possesso. Per questo è stato promesso ed è alla portata d’ogni uomo.

700, 800 persone sono titolari di un conto a dodici cifre.

E’ la prima volta, che si manifesta nella storia dell’umanità, un fenomeno d’opulenza di massa di così vaste proporzioni.

Mai prima d’ora il numero dei miliardari è stato così elevato e diffuso.

Su circa sette miliardi di persone, sette miliardi, che compongono la società globale, se ne contano più di cinque milioni solo negli USA.

Si pensa saranno venti milioni tra qualche decina d’anni.

Se aggiungiamo poi l’Europa se n’aggiungono altri 2,2 milioni.

Soltanto in Italia, su una popolazione di 56 milioni circa, ve ne sono 141 mila.

Nessuno di questi è nato ricco, sono tutti self made man.

Il fenomeno è in così rapida evoluzione, favorito dalla globalizzazione, che tra qualche millennio tutte le persone del pianeta Terra lo saranno.

I poveri ricchi, quelli che possono spendere soltanto tre miliardi e trecento milioni l’anno soffrono ad ammirare i super ricchi da 80 miliardi di spesa l’anno.

Entrambi spendono per il bene della società globalizzata: ogni loro spesa dà lavoro ed accresce il valore delle merci e degli investimenti fatti.

La ricchezza dilaga, ma, oppressi dal disagio esistenziale d’essere ricchi, si ammalano troppo: sono in via d’estinzione.

E’ necessario un intervento mirato per salvarli dall’estinzione.

La banca mondiale, il fondo monetario internazionale, i vari Club di Roma, Londra e Parigi, i G7...custodiscono gelosamente la dottrina del vangelo economico dettata dal dollaro e quindi responsabili della rettitudine delle nazioni chiamate ad assicurare l’intrinseco legame tra dollaro e ricchezza.

Nessuna lacerazione deve attentare all’armonia dollaro e vita. La loro unità è ferita non solo dagli operai che non vogliono lavorare rifiutando e stravolgendo le verità economiche, ma da ogni altro che non assolve i compiti cui sono chiamati dall’economia.

L’ufficio di interpretare autenticamente la dottrina economica è affidata al solo ONU la cui autorità è esercitata dal FMI in nome degli USA.

In tal modo il dollaro, nella sua vita ed insegnamento, si presenta come colonna e sostegno della verità dell’agire per la vita.

I governi delle singole nazioni, indottrinate dall’ONU, convinte dal FMI hanno il dovere di un discernimento critico capace di riconoscere quanto nelle tendenze vi è di legittimo, utile e prezioso ed indicare le ambiguità, i pericoli e gli errori.

E’ necessario conformarsi alla mentalità universale trasformandosi in perfetti esecutori della legge fondamentale.

Devono sapere applicare e fare applicare le regole e la legge sapendo che il male è la distruzione stessa dell’economia. Chi va contro il dollaro è destinato a morire.

Il potere di decidere non appartiene a loro, ma soltanto agli USA.

La legge economica tuttavia non attenua né tanto meno elimina la libertà, al contrario la garantisce e la promuove per evitare appunto il male e la conseguente dannazione.

Alcune tendenze hanno sviluppato il marxismo che a sua volta ha dato origine a non pochi orientamenti che hanno a loro volta influito sulla logica economica a tal punto che alcuni sono giunti ad affermare la necessità di dominio delle nazioni sul capitale. Tali norme porterebbero senza dubbio alla distruzione dell’economia stessa portando all’apocalisse.

Di fronti a tali tesi distruttive, incompatibili con le leggi economiche, s’impone una vera autonomia delle stesse.

Si dà, inoltre, un’attività religiosa. Ma l’economia trae la sua verità e la sua autorità dalla sua logica eterna che si autogenera. Bisogna impedire che queste inutilità stravolgano le leggi.

Una pretesa autonomia delle religioni contraddirebbe l’insegnamento della stessa verità storica, sebbene il fatto di morire sia vero.

In questo senso le dottrine religiose sono relative. L’economia e la religione si possono incontrare solo la dove l’individuo termina la sua missione storica di vivere. Allora l’individuo muore, ma l’economia continua e rimane.

Tutto ciò appare con chiarezza.

La ragione e la religione devono essere e sono subordinate alla logica economica, se vogliono continuare ad essere. Senza la sopravvivenza del corpo anch’esse non hanno ragione né causa per essere.

Soltanto nell’economia e nel suo sviluppo si può trovare la vita. Obiezioni derivate dalla morale e da altre pseudoscienze nel dividere l’uomo lo portano precocemente alla morte.

Da qui deriva la legittimazione della legge, universale ed immutabile e che lascia al suo interno la specifica libertà d’essere se stessi nello spazio tempo unico d’ogni individuo.

Ogni mutamento personale sia nella qualità sia nel numero lascia inalterata la legge.

Non ci può essere una libera interpretazione creativa delle regole; non ci può essere il rifiuto dell’applicazione delle leggi né agire in autonomia in conformità a motivi ragionevoli.

La legge è legge.

I risultati ottenuti sono testimoni della giustezza della legge e della fedeltà nei riguardi della legge stessa. La legge è quindi giudizio sia per il singolo sia per le nazioni. Si deve in pratica amare e ricercare il bene ed evitare il male.

La legge non rifiuta, ma positivamente valorizza la scelta di arricchire, riconosce la libera scelta d’azione dell’imprenditore che porta ricchezza. Il vero uomo libero, infatti, sceglie comportamenti per il bene assoluto.

MISSIONE DELL’ONU E BENE MORALE

Il legame tra verità e bene e libertà è stato smarrito dalla popolazione e dalle nazioni, pertanto ricondurli a riscoprirlo è una delle missioni dell’ONU, per la salvezza stessa dell’umanità.

La missione ONU - FMI è nella sua stessa centralità onnicomprensiva, è quella di evangelizzare, annunciando la logica economica e le meraviglie del capitale, invitando alla beatitudine del dollaro sua immagine vivente.

Da qui la sua dignità e la responsabilità del suo compito.

Esso è chiamato dal dollaro alla nuova evangelizzazione, ma la situazione sociale-culturale d’oggi presso numerose popolazioni, esige una nuova evangelizzazione con nuovi metodi, nuovi mezzi, nuove espressioni.

Bisogna dare una risposta al diritto dei lavoratori e degli uomini che conducono a pensare e a vivere come se le regole economiche non esistessero e che si esprime con l’opposizione e la disobbedienza.

Tutto questo comporta declino ed oscurantismo.

In questo contesto gli scienziati sono chiamati a fare luce e riscoprire la logica e la forza della verità. Il dollaro annuncia un percorso attraverso una vita di rinuncia per un domani migliore.

La missione ONU, gratuita ed impegnativa, è al servizio degli USA per il bene del pianeta.

L’ONU guarda ogni giorno con instancabile amore il dollaro, pienamente consapevole che solo in lui sta la risposta vera e definitiva alle ristrettezze della vita.

La debolezza, il dramma, l’incapacità della libertà di trovare le risorse per vivere sono superate dall’intervento salvifico degli USA. Essi ci sfamano affinché siamo liberi.

Uno sguardo particolare dell’ONU è per l’FMI che con instancabile amore sacrifica i dollari in suo possesso per il bene delle nazioni.

Questo martire rivela il senso autentico della libertà, lo vive in pienezza, nel dono totale di sé e chiama gli imprenditori a prendere parte della sua stessa libertà.

La debolezza ed il dramma delle nazioni e della loro libertà sono superati dall’intervento redentore dell’ONU e del FMI: ci hanno liberate affinché restassimo libere.

L’economia, così rinata, sta in comunione con il dollaro, ricchezza inesauribile.

L’ONU-FMI è dunque la sintesi della perfetta libertà nell’obbedienza totale alla volontà USA.

Il dollaro è la piena rivelazione del vincolo con l’economia e l’esaltazione della fecondità della sua forza salvifica.

Nella sua missione l’ONU insegna così il rispetto incondizionato al dollaro. Il martirio che accompagna i dirigenti è una conferma dell’inaccettabilità delle teorie che negano le norme economiche.

E poiché l’universalità e l’immutabilità del dollaro e delle sue leggi economiche manifestano e si pongono a tutela dell’immutabilità dell’economia, il martirio è una confessione dell’intangibilità della legge che dona dignità alle persone sul cui volto brilla la luce derivata dallo splendore del dollaro.

La fedeltà alla legge esige un impegno ed una coerenza che possono essere anche di sofferenza e sacrificio.

Non ci possono essere privilegi né eccezioni.

Essendo al servizio di tutti, le norme che lo accompagnano sono appunto la garanzia per una convivenza giusta e pacifica, di una vera democrazia nella quale tutti, nessuno escluso, è chiamato ad assolvere i propri compiti.

Le norme economiche possiedono un significato e sviluppano una forza tale da generare ed alimentare il rinnovamento.

La questione sociale è una questione culturale, al cui cuore sta il senso etico morale che si fonda sul senso economico.

Come l’esperienza insegna, la costruzione di una società libera si radica sulla crescita economica e quindi sull’obbedienza alle sue leggi.

Nel compimento della sua missione, l’ONU, interviene sempre mostrando il suo volto di maestro, ossia proponendo a tutti la verità nel suo intimo significato d’irradiazione del dollaro, giunto a noi grazie agli USA, al servizio della libertà delle nazioni e al perseguimento della felicità, aiutandole nel loro cammino intessuto di politiche, fatiche, debolezze ed errori.

Nella presentazione limpida e vigorosa della verità non può mai prescindere da un profondo e sincero rispetto verso chi ci ha donato il dollaro, di cui ogni nazione è bisognosa nel suo cammino spesso reso faticoso dalle difficoltà, debolezze e situazioni.

Le leggi proposte e l’osservanza delle stesse possono essere faticose, difficili, anzi difficilissime in determinate situazioni, ma mai impossibili.

Il dollaro non chiede cosa impossibile, ma esorta a fare il possibile o a chiedere aiuto per ciò che è impossibile così ti aiuta affinché anche l’impossibile diventi possibile.

Solo grazie alla redenzione derivata dal finanziamento del FMI si trovano le concrete possibilità.

In questo contesto si apre lo spazio alla speranza senza per altro compromettere ne falsificare la misura del bene e del male.

Mentre è accettabile che le nazioni riconoscano le loro debolezze e la loro incapacità e chiedano aiuto e misericordia, è invece inaccettabile l’atteggiamento di chi fa della propria incapacità e debolezza un criterio di verità per stravolgere la legge e condurre tutto al disastro.

Bisogna essere vigilanti per non essere contagiati da questi atteggiamenti che pretendono di eliminare la coscienza e la responsabilità dei propri limiti e dei propri peccati e che si esprimono nel tentativo di adattare le regole alle proprie necessità.

I politici sono chiamati ad aiutare l’ONU in questo compito. Rientra soprattutto nel loro dovere l’essenziale ed irrinunciabile riferimento al magistero dell’ONU nella loro missione educatrice in uno spirito d’adesione e collaborazione, tutti insieme uniti collaborando con gli USA.

In questa prospettiva il dissenso non deve avere voce, non deve minare l’integrità e la purezza della legge.

Di questo i politici ne risponderanno di persona.

E’ loro comune dovere insegnare ciò che conduce sulla via del dollaro ed impedire senza eccezione gli atti contro.

Essi devono vegliare e ricorrere alle misure opportune per impedire teorie contrarie all’autorità USA.

MISSIONE DEI POLITICI

E’ affidato ai capi di governo il compito di controllare che siano applicate le sacre leggi economiche dell’economia globalizzata sotto l’egida degli USA.

Della corretta applicazione delle stesse saranno chiamati a risponderne.

La privatizzazione dell’economia base delle nazioni è necessaria per globalizzare e si ottiene o per ricatto del debito o per guerra.

La razionalizzazione dell’efficienza economica comporta un aumento di ricchezza, concentrata in mano a pochi, per l’economia, ma a scapito della spesa sociale. L’aumento dei lavori precari, dei disoccupati, dei poveri lo sta a dimostrare. Ne consegue la necessità di fermare, anzi ridurre la spesa sociale. I bisognosi si diano da fare, hanno pari possibilità di farcela.

Lo stato deve uscire da questo gioco suicida, non deve tassare chi è ricco e crea lavoro, ma soltanto chi vive di rendita da lavoro o da pensione. Questi non devono avere nessuna possibilità di arricchire, ma soltanto sopravvivere al minimo. Il tutto evitando sommosse.

Nel caso contrario i capitali lasceranno il paese per altre occasioni e situazioni più favorevoli.

In questo frangente di storia è necessario che i ricchi diventino sempre più ricchi, drenando le ricchezze inutili dei salariati e dei poveri, affinché accumulino le risorse necessarie per acquisire le privatizzazioni.

In questo modo si può ottenere il dominio sulle nazioni evitando il ricatto, il colpo di stato, la dittatura: il tutto sarebbe legale e democratico.

Compito affidato ai politici, agli storici, agli informatori è quindi di falsificare la storia usandola per dimostrare ai loro cittadini che tutto quanto è necessario se vogliono continuare ad avere ciò che possiedono e che è troppo.

Bene ad esempio si sono comportati i politici italiani, quando hanno convinto i loro cittadini che era del tutto legale e sancito dai trattati internazionali il loro intervento nella guerra che è stato necessaria dichiarare all’ex-Iugoslavia.

Il trattato esigeva l’automatico intervento in guerra solo in caso d’aggressione per difendersi. Qui si trattava di difendersi da un’aggressione all’ordine economico mondiale dall’ultimo residuo dei paesi non allineati facenti capo all’ex-Iugoslavia.

Bene è stato la partecipazione attiva nella guerra contro l’Iraq.

I paesi produttori di petrolio, in questo frangente storico, sono notoriamente una leva di potere e di ricatto per tutte le economie petrolio-dipendenti, nell’attesa che la scienza e la tecnica trovino fonti alternative.

E’ chiaro a tutto il mondo che non si poteva certo lasciare il dominio del petrolio ad un paese non allineato. Siamo stati costretti dalla sua intraprendenza.

I politici prendano atto di come sarebbero stati trattati ora che non esiste più l’URSS a fare da contro-altare.

La storia può benissimo essere alterata e manipolata per i nostri scopi.

I politici usino molta attenzione nell’educare i loro popoli alle regole della nuova religione, ne otterranno oltretutto dei benefici personali estendibili ai loro figli.

Qualcosa di buono è stato fatto: è parte della mentalità comune, infatti, l’idea che chi è improduttivo e di peso alla società sia da eliminare, ma è ancora troppo poco; all’idea deve seguire il fatto.

I possessori di capitale, in comunione con l’ONU, sono vicini ai politici in questo sforzo; li accompagnano e li guidano nel loro insegnamento, con amore e misericordia, aperta a tutti gli uomini di buona volontà.

Le disposizioni dell’ONU-FMI-G7…esperti in umanità al servizio gratuito d’ogni uomo e nazione, sono una testimonianza straordinaria di quest’atteggiamento d’amore e di collaborazione.

La via della salvezza è aperta a tutti coloro che rispettano le regole.

L’FMI non nega l’aiuto necessario per arrivare a conoscere ed avere la gioia del capitale. In nome e con l’autorità del dollaro USA, essi hanno esortato, spiegato, denunciato, in fedeltà alla loro missione; confermato, sostenuto, con la garanzia del prestito contribuendo in modo del tutto gratuito ad una migliore comprensione delle esigenze della vita sessuale, sociale, politica ed economica.

Il loro insegnamento costituisce la realtà e la verità della storia. Oggi però sembra necessario richiamare alcune verità fondamentali, che nell’attuale contesto storico rischiano di essere deformate e negate.

Si è determinata, infatti, una situazione che diffonde dubbi ed obiezioni, d’ordine umano e religioso sociale e politico in merito agli insegnamenti ONU-FMI-USA e dei loro satelliti.

Non si tratta più di contestazioni occasionali, ma di una messa in discussione globale e sistematica del matrimonio tra capitale e dollaro USA.

Alla loro radice sta l’influsso più o meno nascosto di teorie di pensiero e di religioni che respingono l’universalità e la permanente validità della legge capitale in favore dei singoli.

Si ritiene che lo stesso ONU possa intervenire negli affari interni solo nella proposizione, lasciando alle singole nazioni la decisione autonoma di scelta dell’intervento.

Da rilevare la dissonanza su questioni di massima importanza per l’economia e la vita stessa, diffusa in ambienti scientifici, i quali dovrebbero essere privati dei fondi loro necessari, riguardo ad esempio l’alimentazione, l’inquinamento, la pratica del controllo delle nascite, della vita e della morte.

Che deve fare una nazione per essere tra le favorite?

Semplice: vendere quello che possiede e che i cittadini usufruiscono sempre più senza nulla dare; privatizzare tutto.

Solo così si realizza l’incontro prolifico tra la nazione ed il capitale nella realizzazione del bene comune.

Interrogarsi sul bene dei cittadini significa rispettare la legge fondamentale del capitale.

In lei c’è ciò che attrae e vincola allo stesso tempo per ottenere la possibilità di vita.

I politici, istruiti dall’ONU, devono portare le loro nazioni nella verità, altrimenti nessuno sforzo per quanto grande sia, riuscirà a farli partecipe della vita.

Sapete quello che dovete fare. Solo il rispetto pieno dei comandamenti farà ricadere su di voi la grazia dell’ONU-FMI-USA e vi eviterà la terribile punizione dell’inferno.

ANCORA IO

“Eliminare gli inutili” questo avrebbe dovuto essere il titolo di questa pagina...ma un tumulto scrosciante d’emozioni, altro non saprei definire il marasma di questi giorni, mi impone di parlare ancora di me, con la perdita assoluta di lucidità, nell’avvicendamento dei fatti accaduti. Sono innamorata. Innamorata di un giocatore d’azzardo conosciuto al casinò.

Non mi sembra vero esser io il soggetto in azione. Ma quale azione? L’Amore? Un gioco d’amore?

Il gioco è accattivante mentre i giocatori mostrano un coinvolgimento di là dal dovuto ed una identificazione nel ruolo di protagonisti troppo pesante e forse inutile.

Soprattutto perché è una partita persa, non valida per eventuali studi e classificazioni, né giocata in previsione di partite di ritorno o rivincite, non valida per la vita.

Giocare d’azzardo è l’unica giustificazione che rende valida la sfida.

Non è possibile individuare spiraglio alcuno di sopravvivenza a se stessi nell’ipotesi negata di una vittoria.

Ma un giocatore, non conoscendo la tattica dell’avversario, non ha forza per sottrarsi al proprio auto-inganno.

Gioca sull’illusione che la partita non abbia fine o si concluda amichevolmente in pareggio tra gli avversari e con una vittoria morale per entrambi.

Che nessuno debba soffrire degli auto-inganni, dei bari e delle sfide, ecco cosa si vorrebbe, ma le regole purtroppo sono fissate universalmente. Chi non le rispetta è punibile.

How are you, my darling?

I’m looking for you in this night

I’m looking for you hands on my breast…

Please, find a wonderful place for us and love me …to be…only a memory…only in our souls.

L’esasperato sentimento di chi non rinuncia a perdere la curiosità per qualcosa di molto particolare che ha trovato, casualmente tra la sabbia, sulla strada della ricerca percorsa ogni giorno e divenuta oggi impraticabile.

Forse è più giusto che siano gli uomini a scrivere lettere d’amore, ma, nella mia storia, l’espressione dei sentimenti o delle emozioni circostanti, spesso passa prima attraverso le parole scritte, anzi credo di rendere più giustizia agli eventi scrivendo che non parlando.

Le parole dette non sono sempre il linguaggio indicato per trasmettere messaggi, la voce esprime tendenze, volontà, l’evoluzione in tempo reale della storia.

La scrittura è pensata, privata dell’emotività deviante che spesso blocca il pensiero in gola, perché la presenza di un attore sposta l’attenzione e costringe ad entrare in relazione con qualcosa fuori del proprio essere, impedendo lo stretto assaporare dei pensieri più interiori.

Lo scrivere, se si pensa ad una mera comunicazione con se stessi potrebbe sembrare ipocritico rispetto alle condizioni che ne fanno nascere l’esigenza, e forse sarà vero, ma è l’unico momento possibile per esternare l’ampiezza delle proprie smorfie emotive, un attimo di liberazione, di vomito di pensiero.

Scrivo senza voler produrre la cronaca di un tradimento o di un furto, ma nel tempo questa dimensione diviene la più credibile.

Avevo acceso il computer per lavorare, ma la tentazione di parlarti era fortissima ed irresistibile, perché è questo il senso dell’emotività di questi giorni…irresistibile, irrefrenabile, qualcosa che indomabile cresce selvaggiamente al di là d’ogni controllo.

E il confronto quotidiano con l’altro mio essere madre e moglie mi rende meschina di fronte a me stessa.

Ho paura.

Ipocrita spaventarsi dei propri errori, la responsabilità dei fatti riguarda solo me. Sono io l’ingorda, sono io la ladra, sono io la donna che sta rischiando se stessa per il desiderio profondo di cercare l’altra faccia del bene attraverso la curiosità, virtù o difetto, per un gioco.

E pensare che tra i ricercatori d’ogni genere e specie la curiosità è considerata virtù. Permette di costruire nuove ipotesi di lavoro e di scoperta, avanzamenti nelle indagini avvengono per la curiosità degli esseri umani.

Non è questo genere di curiosità che m’invade oggi.

Da questa curiosità nessun altro ci guadagnerà se non noi. Altri ne faranno le spese, dunque non è questo l’ambito della virtù, ma della sua negazione.

Trovami Dio, trovami e parlami, toccami, fammi sentire la tua forza, fammi penetrare dalla tua abilità di giocatore, avvolgimi e la partita finirà.

Accanto alla grandezza e bellezza di questo flash di vita ho paura di ritrovare l’abbandono.

Ho paura ad affrontare il dopo. L’addio. Una fine annunciata.

Ho paura di cadere.

Sarò sola contro me stessa.

Non voglio immaginare come sia difficile perdere tutto in un attimo, vivere come se nulla fosse stato e dover credere nel mio futuro…

Dovrò trovare espedienti per dimenticare e reprimere, ricominciare a vedere la mia vita com’era prima di incontrare te.

Avrei dovuto essere più fatalista, fingere di credere in un destino che m’imponeva di non uscire dalle piste tracciate per me, avrei dovuto ignorarti ed ignorarmi, non avrei dovuto guardarti.

Dovrò imparare ad essere più dura con la vita.

E’ già giovedì. Ma sono solo le due nella notte o nel giorno.

L’appuntamento è previsto, anelato, aspettato, sospirato, ancora impalpabile.

Peccato sarò quasi impresentabile: occhiaie, viso spento, l’età stampata addosso.

Devo andare a dormire, due ore di sonno saranno sufficienti?

Stamani proverò a tradurre concetti forse razionali e tecnici per un pubblico che aspetta soluzioni a problemi poco conosciuti: sarò credibile? Spero non troppo teorica.

Continuerei a parlarti.

My sweet man…where are you now?

Where can I find you?

Vorrei svegliarti con il pensiero e passare leggera su di te, nella notte infilarmi sotto le tue lenzuola e giocare, solleticare, ridere, sbadigliare, dormire.

Good night or good morning

A stasera.

Se avessi fissato i diversi modi di ricominciare a scriverti avrei, probabilmente, già prodotto molti fogli.

Sembra invece che ogni variazione nel normale scorrimento della vita m’induca a palarne con te. Ed è piacevolmente rilassante farmi accarezzare dalla tua immagine.

Ho la possibilità d’inoltrarmi in diversi argomenti e dimensioni, potrei parlarti del mio lavoro di ricercatrice di verità…potrei raccontarti cosa dicono i potenti della terra…potrei narrarti la mia giornata…, potrei credere che un poco ti tedierei.

Potrei parlarti di un viaggio imminente, di un uomo ed una donna che si lasceranno domandandosi che cosa ne sarà di una storia d’amore…, ti annoierei.

Vorrei parlarti d’attimi sussurrati e di movimenti nella notte, di gesti tremanti e baci appassionati. Vorrei, Dio, sentire le tue mani, ora, attorno alla mia vita e la tua bocca sulla mia.

Posso solo sognare e ritornare a pestare questa terra fatta di tempo, cose, fatti, persone cui appartengo.

Avrei voluto cullarti tra le mie righe, sublimando nelle parole quei gesti che andavo compiendo. Ora, non poeta né eroe, grandi occhi mi guardano e un po’ di buio m’avvolge.

Sapevo che avrei camminato con te. Non sapevo che il tempo fosse così mordente e questo foglio così pesante.

SECONDA PARTE. ELIMINARE GLI INUTILI. COMPITO DEGLI INTELLETTUALI

Il capitalismo, sbarazzatosi da ogni paura, ha preso su di sé l’ambizione, morto Dio, di edificare la città divinizzata dell’uomo, sorretta dalla scienza tecnologica e dall’esercito USA.

Lo statuto del nuovo regime di comando della storia dei fini dell’uomo sopprime e smantella il contratto sociale, cancella i diritti dei lavoratori conquistati con lacrime e martiri.

L’orrore metafisico, la dittatura che soggioga l’intero pianeta è il liberismo selvaggio.

Dopo il terrore di Hitler di cui si decantavano con orrore gli irripetibili delitti ecco sorgere dalle sue ceneri l’ONU-FMI.

Qualcosa non quadra nella vita dell’uomo: una folgorazione, un attimo di pensiero che sfugge afferma che altri sono i perché ed i fini della vita.

Invano.

Ho rifiutato Dio per questo e forse ho commesso un errore. Non mi rimane altro che uccidere anche Cesare.

Domenica terribile: tutto il giorno davanti allo schermo del mio pc per tentare di produrre poche idee per il mio futuro di responsabile dei rapporti umani, un ruolo interessante, un’attività forse frenetica, ma spero almeno un poco gratificante.

Il prestigio m’interessa poco, se non in fase iniziale, la mia insicurezza, le mie paure di sbagliare mi definiranno un sentimento di frustrazione, sempre che la stima dei miei colleghi sia tale da supportare anche le mie difficoltà.

La fiducia è un valore fondamentale nella vita d’ognuno…

Ma è stato sempre più difficile restare sul file di lavoro, tornando spesso allo scritto di ieri sera.

Sapessi quante volte ho pensato che nessuna storia avrebbe incrinato il mio equilibrio.

Non ne sono capace. Ho continuato a negare l’evidenza di un’attrazione…

Ancora il tuo odore sulla mia pelle, il profumo del tuo seme tra le mie labbra vaginali…e si perdevano lavando e rilavando.

Mi resta sempre dopo i nostri incontri la sensazione di non aver fatto o detto tutto quanto si poteva dire o fare, una potenzialità immotivata.

Ogni incontro, così scandito dal tempo, così nascosto da sguardi intimidatori, così carico di tensione sensuale…so che mi mancheranno, che piangerò il passato, la passione e l’incertezza, so che dovrò arrivar…vorrei fosse indolore.

Dovremo salutarci e dimenticare i baci e le carezze sensuali? Dovrò cancellare questo periodo della mia vita?

Credo resterà in fondo a quell’anima un po’ maldestra avvolta da tanta tenerezza.

Non conoscevo la parte di me che con te si manifesta e partecipa e che non vuole schierare per continuare a godere questi attimi avvolgenti.

Forse questo modo inconsueto di interpretare la situazione inciderà sulla mia filosofia di vita. Il senso incompiuto delle cose, l’indeterminatezza…ora costituiscono le mie certezze.

Vorrei che tu non avessi voglia di me, vorrei che mi trovassi poco interessante, vorrei che non avessi la passione. Ma vorrei anche esattamente il contrario. Voglio sentirti, voglio cercarti, voglio conoscerti, non voglio perdere ne dimenticare un solo gesto, una sola parola, il senso delle cose.

Tu accetterai queste contraddizioni?

La legge evolutiva di natura dell’umanità è diretta dalla legge economica.

Non è stato sufficiente decapitare re e regine. La rivolta è stata tradita dalla più stupida delle idee: tutto si compra e tutto si vende. Inutile ogni lamento.

Ero convinta che l’Europa unita fosse antagonista al nazismo assoluto degli USA, creandosi mercati ed alleanze alternative, invano. Lo stato ha abdicato all’economia. Le leggi evangeliche del WTO, FMI, Banca Mondiale... sono eseguite da ogni politico che si rispetti.

La democrazia è a rischio d’estinzione, ogni giorno diviene sempre più imperfetta ed irrazionale.

Agli intellettuali è stato affidato il compito di convincere ogni persona che è giusto e necessario.

E per riuscire a metterlo in quel posto a tutti i poveri del pianeta, si sono trasformati in perfetti froci.

Questo d’altro canto va bene al loro superiore che così non rischia di dover cedere loro le gioie procurate dalla fantasia delle belle donne.

Ma tra qualche tempo anche di questi se ne potrà fare a meno: non sarà, infatti, più necessario imbrogliare i popoli per tenerli incatenati. In ogni parte si sta rafforzando il potere di controllo e di vigilanza.

Ogni respiro, ogni lamento è registrato, catalogato e numerato.

Ogni vivente del pianeta ha una sua scheda di controllo, aggiornata quotidianamente, per la progressione economica e di carriera.

Disoccupati, malpagati ribellatevi al regime economico del profitto.

Ci fanno credere che la crisi che produce disoccupati e malpagati, la crisi che rende insicuro ogni posto di lavoro sia congiunturale e passeggera…palle! E’ tutto una menzogna. Il lavoro così com’era sino ad ieri è definitivamente terminato.

Chi è senza lavoro rimarrà senza lavoro e continuerà a cercare qualcosa che non è più. Ed è lui il colpevole. E’ lui l’incapace di cogliere le nuove opportunità offerte dall’economia globalizzata.

La nuova parola d’ordine è flessibilità, ossia riduzione degli stipendi.

Non è necessario essere economista e professore al MIT per sapere che lo stipendio di un operaio può essere diviso, avvicinandosi all’infinito, creando un’infinità di posti di lavoro e un aumento della produzione e della ricchezza di chi ha investito.

Dopo tutto un’infinità d’operai produce sempre più di uno solo. Peccato che il discorso valga soltanto per i piccoli dipendenti e per i nullatenenti.

Quando mancano gli operai, perché i cittadini rifiutano d’essere malpagati e non si riesce ancora ad obbligarli per indigenza, si potrà sempre ricorrere al lavoro degli estra-comunitari.

Ogni qualvolta è possibile si deve trasferire la produzione nei paesi dove la manodopera è a costo zero ed i governanti dittatori garantiscono.

Educherò mia figlia a commettere rapine.

Non iscrivetevi alle liste di disoccupazione: sarete schedati, firmate la vostra condanna a morte.

Giovani, guardate in faccia la realtà

Arrabbiatevi

Uccidete il mostro.

Ci parlano di tutto per non farci vedere la realtà.

La nuova religione, Dio è il Dollaro.

I sacerdoti: i banchieri, i finanziatori

La loro teologia: l’economia.

Scienza e tecnica la loro rivelazione.

Esercito e polizia, il controllo delle idee, la menzogna, la loro santa inquisizione.

Il potere assoluto, il loro fine.

Pubblicità

Amore e posizioni dei divi da ricopiare

Sport

Fortuna

Celebrazioni ed auto-celebrazioni.

La vera difficoltà consiste nella scelta: bionda o mora?

Dove siete uomini di legge? Dove siete profeti?

In questa società, per bene che ci vada, nulla, assolutamente nulla riguarda l’uomo.

Agli uomini che non hanno paura né delle responsabilità né delle emozioni forti non rimane altro che rovesciare il governo mondiale, eliminare il sistema monetario e distruggere i dirigenti dello stesso.

GLI INUTILI

Oggi è diventato tecnicamente possibile produrre senza l’aiuto degli operai.

Il lavoro, giustificazione dell’esistenza dell’operaio è inutile. Inutili quindi gli operai.

L’operaio è un aborto ambulante, un uomo incompleto, tarato, limitato. L’essere operaio è una malattia congenita, essere emotivamente nullo e pericoloso, pazzoide.

E’ un animale totalmente isolato, incapace di qualsiasi relazione. Vuole solo mangiare.

La sua intelligenza non è che uno strumento al servizio dei suoi impulsi e bisogni. Non conosce le passioni della mente né la passione dell’arte allo stato puro.

Riesce a collegarsi soltanto alle sue sensazioni fisiologiche di sopravvivenza animale.

Imprigionato in questo crepuscolo non sa se essere scimmia o uomo, ma sta peggio delle scimmie perché sa d’essere scimmia.

L’operaio era un uomo una volta, deciso, idealista, potente. A furia di veder beffato i propri principi e diritti, ha perso la fiducia nella possibilità di farcela e si è avviato verso l’accettazione passiva dello status quo. Il mondo va bene così, anzi se ne possono trarre piaceri sconvolgenti.

Benché non fosse che un corpo, era inadatto a lavorare. Anche quando, raramente, raggiungeva l’efficienza tecnica, rimaneva incapace di godersi lo stipendio, si vergognava. Per di più al riceverlo non ne traeva godimento alcuno. Infine, essendo così ossessionato dal suo affanno a cavarsela bene, a vincere un primato, a sorpassare i suoi colleghi, che non s’accorgeva neppure d’essere merda.

Corroso dal senso di colpa, di vergogna, d’angoscia, era sempre ossessionato dal vile denaro: era disposto ad attraversare un mare di merda, a strisciare in mezzo al catarro ed al vomito se era sicuro che sull’altra sponda l’aspettava qualche montagna d’oro. Era persino capace di vendere propria figlia o un suo rene per averla, anche di farsi masturbare da una vecchia sdentata malata di aids.

E’ ed era uno stronzo.

Bisogna tuttavia ammettere che aveva in suo potere il settore delle relazioni pubbliche: era riuscito a convincere milioni di ricchi che senza di loro non potevano esserlo. In altre parole, i ricchi sono ricchi perché gli operai sono poveri.

Completamente egocentrico e passivo, detestava questa passività e la proiettava sui ricchi.

Il suo affare prediletto era lavorare. Dato che ogni volta doveva dimostrare il falso, si dannava in un tentativo disperato e convulso per dimostrare d’essere meglio di un robot, che senza di lui la produzione si fermava.

Essendo un robot incompleto, l’operaio trascorreva tutta la vita a cercare e dimostrare di essere un robot. Ecco perché era sempre alla ricerca dei mezzi elettronici e tentava di fraternizzare: voleva fondersi con loro.

Ecco perché rivendicava come sue tutte le caratteristiche del robot: forza ed indipendenza, affidabilità e salute, basso costo e produzione.

Era razzista. Ogni operaio sapeva, in segreto, di non essere che un pezzo di merda, che non presentava interesse verso nessuno. Sommerso da quest’idea nutriva il suo egocentrismo d’odio e disprezzo verso i più poveri di lui.

Per difendere il suo labile sistema nervoso, sensibile ad ogni minimo mutamento di stipendio, tentava di imporre un codice sociale, di suo gradimento, tramite il quale impedire ogni sovvertimento.

Usava termini tipo “ difesa del potere d’acquisto”, salvaguardia del posto di lavoro, incontri con il datore di lavoro, avere dei rapporti di lavoro, scioperare.

L’operaio non era un giusto. L’operaio aveva bisogno di tendere al denaro…pensate cosa avrebbe potuto fare con miliardi di dollari. Per questo si vendeva.

L’effetto dei ricchi sugli operai era di renderli dipendenti, passivi, insicuri, rispettosi delle autorità, introversi, noiosi, insipidi e lagnosi, e profondamente disprezzabili.

L’operaio, sempre teso, impaurito e a disagio, era privo di spirito analitico e d’obiettività, valutava il ricco sulla base del timore e del rispetto.

Accettavano che il ricco fosse un essere superiore e l’operaio un essere inferiore.

E’ stato l’aumento dello sviluppo a causare l’aumento della stupidità ed il declino degli operai, dando loro il diritto all’educazione a portarli all’estinzione.

I pochi operai ancora sopravvissuti non hanno compreso nulla, e, a far loro compagnia, tutti i poveri del pianeta.

Queste inutilità non riescono a cooperare ad un progetto comune perché il loro unico progetto è o sopravvivere, lavorare poco o non lavorare ed avere tutto.

Perciò non si può lasciare loro il controllo della società: sarebbe il fallimento globale.

Sebbene aspirino ad essere persone, gli operai ed i poveri, hanno paura di tutto ciò che gli scombina le loro sicurezze. Temono di non essere capaci, di essere sgraditi alla dirigenza.

E’ quest’ultimo un sospetto che li sconvolge.

Se gli altri sono perfetti, mentre loro non lo sono, non possono più essere sicuri di essere persone.

La loro perfezione consisteva appunto nell’essere identici agli altri. Solo per fare piacere al capo osavano mostrarsi diverso. La loro funzione robotizzata era la loro vera identità.

Si consolavano pensando a quelli che svolgevano funzioni peggiori, tipo i disoccupati e diventano marionette piene di tic e d’angosce per paura d’essere rottamizzate.

Gli operai non hanno tuttora il senso né del bene né del male, (che d’altro canto appartiene al Dio Denaro ed alla sua Chiesa), non hanno coscienza morale (non essendo innata in loroi), non hanno nessuna fiducia nel loro io; sono necessariamente competitivi, per natura, inadatti ad agire liberamente: non farebbero nulla, tutto presi a adorare il dio denaro.

Perciò hanno bisogno di un capo, di un dirigente, di un padrone.

Desiderano profondamente che sia Dio, il Denaro, a guidarli, ma non riescono ad accettare tutto questo, non si accontentano. Vogliono possedere Dio, vogliono essere Dio.

Con un’esistenza priva di senso, dal momento che non possiedono dio tutto diventa loro assurdo.

Come già sappiamo sono incapaci di volere bene e non vivono che per avere. Di conseguenza il male, per loro, non è altro che l’accattonaggio, il vecchio, il bambino, il malato, il povero e tutto quanto non producono denaro, perché se diventasse la regola sarebbe la rovina. Rovina della civiltà.

Il libero mercato procura all’operaio una meta, rinforza l’assoggettamento degli altri e fornisce rituali con i quali esorcizzare la sua vergogna ed il suo senso di colpa di essere un operaio, un povero più ricco d’altri poveri. La più parte degli operai, nasconde la sua vigliaccheria, la sua incapacità, la sua stupidità proiettandole in quelli che stanno peggio di lui.

Gli opinionisti, i giornalisti, sociologi, filosofi, religiosi, politici…riconoscono all’operaio il problema della loro nullità. Così hanno inventato problemi d’identità, crisi d’esistenza, modi d’essere ecc.

Il ricco conosce invece la sua meta, la sua identità, la sua personalità, perché già gli appartengono e, quandanche commettessero degli errori, nulla cambierebbe per loro.

Non ci sarà mai una rivoluzione sociale, anche Cristo lo ha predetto: i poveri saranno con voi sino alla fine del mondo.

Oltretutto gli inutili non vogliono la rivolta: quello che sta in alto vuole continuare a restarci e quelli che stanno in basso possiedono l’idea di diventare un giorno come quello che sta in alto.

Alla fin fine ciò che fa degli inutili, dei ribelli, è quando sono costretti dal progresso tecnologico o dalla realizzazione della logica del dio denaro, quando si trovano di fronte alla scelta: morire o morire. Ora ci siamo.

Ma se tutti gli inutili non muovono il culo, si rischia l’ecatombe. Il denaro vuole divertirsi.

Quanto tempo ho dedicato alla tua immagine. Ti ho sognato, ti ho aspettato.

Avevo desiderio di rubarti un bacio, ieri.

Oggi ti aspetto, timorosa….Quando si avvicina il giorno di un incontro non ho mai la certezza che accada. Qualsiasi evento potrebbe intromettersi.

Noi potremmo essere gli eventi.

L’evoluzione dei sentimenti è piena d’attese ed i giorni che intercorrono producono talora sproporzionate aspettative, lontane dalla razionalità e dalla percezione, sconosciute. Forse solo inaspettate, forse troppo viscerali.

Ma i temi ricorrenti sono sempre la curiosità, talvolta imperiosa e prepotente, quasi incontenibile, la dolcezza che scioglie il cuore, i nostri corpi vicini o lontani, i desideri piacevoli di baci inaspettati. Le carezze per conoscerti.

Temi coinvolgenti, appassionanti, che ispirano voci sussurrate, che vien voglia di custodire come tesori da non perdere o farsi rubare.

Temi che restano tra noi e solo per noi, di cui tu ed io conosciamo gli aspetti più intimi ed i momenti più unici. Temi che non so dove condurranno, temi forse indelebili per quest’inciso di storia di vita. Temi sintetizzati in pochi attimi. 

Mi affascina tuttora l’indeterminatezza, il lasciare fluire sensazioni e sensi, poco consci delle conseguenze.

Un fuori pista accattivante, inebriante, la sfida al definito, al costruito, a tutto ciò che si possa immaginare dai contorni nitidi.

E tu sei immerso in ogni pensiero, non so in quali temi ti riconosca.

Ma sai bene che la mia curiosità per quest’aspetto è relativa, va oltre. La mia curiosità è legata alla sete di sapere e conoscere il tuo pensare, per ciò che fai, ciò che vuoi, ciò che vorresti.

Per Dio uomo.

Accarezzerei sfiorando il tuo pensiero, astratto, di difficile traduzione nel mio mondo dell’immaginario, eppure così piacevolmente incantatore.

Chissà se riuscirò mai a penetrare questo muro di sorprese, chissà se me lo permetterai mai.

Erano pensieri in libertà a round midnight, ritorno al mio lavoro. Ti bacio, ti sfioro, ti aspetto.

DIVIDE ET IMPERA

Dal bisogno e dalla specializzazione né deriva una stupidità che li rendono incapaci di vedere di là dal loro naso, incapaci di decidere e di conoscere.

Ad ascoltarli sono di una logica impressionante: mora o bionda, magra o grassa, mare o monti, piccolo o grande, pelosa o non pelosa…

Ed i dirigenti ci giocano in tutto questo: investono nell’ignoranza; sa che una popolazione operaia illuminata ed intelligente sarebbe la loro rovina. Per questo non aspirano alla compagnia dei deficienti.

La conversazione intellettuale del ricco è tutto imperniata sul denaro. L’operaio, malleabile e passivo, lo rispetta e lo teme e si lascia sommergere dal suo ragionamento.

Questo non gli viene difficile perché la sua paura, il disagio dell’insicurezza che i dirigenti li hanno inculcato banalizzano le sue percezioni e lo rendono incapace di capire che la parola del capo non è altro che non verità.

L’operaio crede di appassionarsi ad ascoltare le parole del capo che decantano le sue capacità e cade in estasi, quando invece dovrebbe vomitare.

Non solo gli permette di parlare ma si fa inculare dimenandosi piacevolmente così come gli hanno amorevolmente insegnato.

Allenato sin dalla prima infanzia ad essere carino, gentile e dignitoso nell’assecondare chi gli dà da mangiare, accetta tutto e sorride, raggiungendo l’orgasmo.

Si tratta di una discussione colta ed intellettuale, una discussione che tratta dei destini e della meta della vita.

Mentre lui parla di prodotto nazionale lordo, di mercato comune di globalizzazione all’operaio viene in mente il globo del culo e lo offre raggiante per il bene dell’universo.

E’ così allenato a leccare che continua a farlo anche dopo, chinandosi a baciare il suolo su cui ha camminato.

I dirigenti, da parte loro, disprezzano tutti quelli che li rispettano e gli leccano il culo e le scarpe, quelli che leccano leccano di continuo cercando di continuo l’approvazione e la rassicurazione come femmine in calore alla ricerca del maschio.

Il dirigente non vuole quest’amore, ma fa loro comodo, li usa e li sfrutta.

Privato l’umanità del dialogo, dell’amicizia e dell’amore, i dirigenti offrono:

-Arte: arte del rifiuto e del riciclaggio. Il progetto artistico lo conosce solo l’autorità.

Gli stipendiati, da parte loro, non possedendo capacità critica, essendo loro stessi delle nullità, accettano umilmente il giudizio, nel tentativo disperato di trovarci un piacere e un valore al vuoto della loro nulla esistenza.

Incapaci di crearsi distrazioni personali, incapaci d’essere artista e soggetto, accettano quello che gli è offerto, mediante la moda e la pubblicità, per sfuggire alla noia, alla disperazione e dare un valore al vivere.

-Sesso a pagamento. Sesso senza relazione, sesso come consumo, per non perdere tempo.

Travolto dai ritmi può benissimo dimenticare le pulsioni del sesso e soddisfare la sua voglia animale pagando e masturbandosi davanti ad immagini porno.

Le puttane sono il simbolo reale di questa società globalizzata: vendono una merce, che è il loro corpo, al migliore offerente.

Inutili sono le crociate pseudo-morali contro il sesso a pagamento, siamo tutti in vendita chi per poco, chi per molto.

Il solo reale motivo per toglierle dalla strada, dove offendono i nostri occhi innocenti, è il recupero delle tasse.

Ci educano affermando che siamo liberi di innamorarci di chicchessia, ci raccontano la bella favola di cenerentola…

Ma davvero credete valga ancora la pena di sposarci per amore? Che ci guadagniamo? Due cuori ed una capanna? I romantici innamorati di Painet? Impariamo dai dirigenti. Loro non si sposano per amore. Hanno inventato un contratto prematrimoniale per questo. Ciò che è mio, ed è tutto mio, è mio; ciò che è tuo, in pratica niente, è tuo.

L’amore tra i salariati dura poco come poco dura tra i dirigenti, ma le motivazioni sono diverse.

I dirigenti amano il bello ed il giovane, il proibito, hanno tempo di oziare e di impegnarsi in attività soddisfacenti. I salariati, vincolati dalla sopravvivenza, non hanno tempo, impantanati nella merda nel tentativo di non sprofondarvi completamente.

L’amore non è altro che un’ideologia come tante altre ormai fallita, anche per l’amore è caduto il muro di Berlino. L’amore è un accessorio fuori moda da mostrare soltanto in qualche occasione.

L’amore può fiorire solo tra persone libere e gli operai non sono persone. Gli operai non possono e non devono avere  tempo per oziare, per crescere culturalmente, per impegnarsi in attività soddisfacenti da condividere con le persone che si stimano, che conducono all’amicizia e all’amore vero.

22,15 orario da PC 

Non dovrei aprire questo foglio, ma restare almeno un poco concentrata sul mio lavoro…, inutile: appena si accenna la possibilità di dirti qualcosa non rinuncio.

E’ questo il punto: non rinunciare.

A volte giova l’aver rinunciato alla soddisfazione di un bisogno.

Oppure per tutta la vita continua a rodere il desiderio non espresso e non realizzato, quasi una colpa alla rinuncia.

Eppure se la psicologia non giudica, la rinuncia corrisponde ad una perdita.

Avrei dovuto rinunciare a te? E con te ad un insieme emotivo carico di tensioni piacevoli?

Oggi forse è tardi per rivedere la rinuncia, ma non abbastanza per non dimenticare il mio substrato. Oggi ho rinunciato piuttosto alla rinuncia.

Oggi, anzi, si fa strada il desiderio imperioso, la curiosità del domani, mentre fuggono i giorni, mentre aspetto un tuo cenno, o studio il modo più rapido di raggiungerti incosciente dei pericoli.

I dirigenti invece sono sempre eccitati e riescono a portare i dipendenti ad una tale lussuria da precipitarli tra le loro braccia. Pochi si salvano. Amare il capo è una goduria immensa.

Più sono belli e bravi, gentile, attraenti più sono assorbiti dalla dirigenza per farli partecipi all’armonia del mercato globale.

Gli altri, i meno belli, le nullità …quelli li lasciano ai froci d’intellettuali affinché li convincano a starsene buoni e bravi, accontentandosi del piacere di essere presi per il culo.

-La droga, il carcere per gli altri.

Droga e sesso, alcool ed azzardo sono il rifugio dei poveri,   mezzi loro offerti per uscire dalla nullità.

Svegliatevi! E’ ora di finirla di seguire le regole e le leggi impostoci dalla morale e dalle convenzioni.

La collera deve avanzare come una marea di petrolio, sporca attraente ad inglobare tutto.

Sappiate il programma, punto per punto, nei minimi particolari.

Preparatevi alle bastonate della polizia, alle prigioni agli idranti che sparano merda ai gas soporiferi; ma non abbiate paura, già siete nella merda, già siete addormentati come uomini, non avete personalità, non avete avvenire, siete nullità che avete paura da perdere ancora?

Uscite dalla fogna della vita ed avanzate contro i globalizzatori ad impadronirvi della vita.

Abbandonate questo noioso tic tac che scandisce la vita a qualche dollaro l’anno. Non abbiate paura di diventare ricchi, smettete di inchinarvi a leccare, smettete di proteggerli.

I dirigenti lo sanno ed hanno preparato nuove regole:

-Controllo e censura. Il salariato reagisce con riflessi condizionati. E’ incapace di vivere nella globalità. Quindi è necessario impedire la diffusione della verità. Tutte le notizie e le idee che sconvolgono questa società sono da bruciare al rogo.

-Caccia alle streghe, ai ribelli. Non c’è gioia più grande dell’aumento dei delatori e dei crumiri. Tutto funziona.

-E’ necessario promuovere il carattere traditore dei salariati prospettando loro un minimo aumento di carriera e dando loro la nostra benevola approvazione.

-Favorire il sesso a scapito d’ogni conoscenza.

-Favorire entro certi limiti il loro odio verso i dirigenti così si avrà l’occasione di fare leggi antirivolta, qualora non sia sufficiente la minaccia di disoccupazione o di morte.

-Favorire la nascita di almeno ed un solo figlio. Gli stipendiati sarebbero così responsabilizzati che non farebbero più nulla.

Gli stipendiati non conoscono il concetto d’esistenza, né le sue cause né i suoi perché. Esso vive teso a soddisfare i suoi istinti di sopravvivenza.

I dirigenti stanno preparando una società d’individui felici e soddisfatti condizionandoli dalla nascita mediante manipolazione genetica e dall’infanzia con uno specifico indottrinamento riguardo al suo ruolo e nell’età più adulta mediante psicofarmaci della felicità.

23,30 orario da PC 

Ti ho dedicato attenzioni a singhiozzo, chiudendo e riaprendo questo file. Non posso negare di desiderarti con un ansia di sensualità pressante.

Rivedo i momenti che più mi hanno colpito l’immaginario dell’eros e ritorno alle sensazioni in libertà dell’ultima notte.

I sospiri ed i luoghi sconosciuti dei nostri corpi… dobbiamo solo scoprire quali e quanti pensieri potremmo formulare per riconoscere il piacere dell’altro.

Amo cercare i tuoi luoghi più sensuali e sensibili al piacere, amo scoprire le parti di te che “mi danno il fiato corto.”

Amo inventare i movimenti, sorprendendoti, divertendoti.

Chissà se mi vedi ancora addosso quella maschera che trovavi di difficile coincidenza con le mie espressioni.

La spontaneità legata all’istinto è, per parte mia, un bisogno.

L’espressione di piacere legata a gesti o fatti è data dalla ricerca e, di là degli schemi abitudinari, dall’aver trovato una via senza falsi pudori.

Ma certi atti si possono solo descrivere agendo, le parole non sono degne di spiegare ciò che comprende solo la dimensione dell’intimo.

A volte i sabati e le domeniche sono i giorni più sofferti della settimana. Non so dove chiamarti, né dove vederti, non posso cercarti, né incontrarti.

Tu scrivo non riuscendo ad immaginare le tue risposte.

Ti ricordo perché il tempo è così lontano.

Ti ricorderò quando sarai lontano. 

TERZA PARTE. DALLA TEORIA ALLA PRAXI. ELIMINARE

L’eliminazione dei dirigenti è un atto dovuto, legittimo e giusto. Cosa accadrà di qui a qualche tempo quando anche questi semirobot di salariati saranno inutili ai fini di una produzione completamente automatizzata?

Nonostante i continui lavaggi del cervello cui gli stipendiati sono sottoposti ribolle la rabbia e loro lo sanno.

Sanno che devono ucciderli, eliminarli per sopravvivere. Ma anche i dirigenti lo sanno già hanno potenziato le forze d'ordine e controllo, già hanno iniziato ad eliminare le persone dal valore zero, con la sterilizzazione di massa, con l’abbandonarli alle malattie ed alla fame, creando guerre tra loro.

Sanno bene che la naturale evoluzione dell’economia globale è la produzione di un solo prodotto per un solo super-ricco.

E’ necessario dissociarsi dalla globalizzazione, smettere di adattarsi a regole e leggi assurde.

Se la maggioranza dei salariati si ribellasse, la globalizzazione avrebbe poche settimane di vita.

Se tutti i dipendenti lasciassero semplicemente il loro lavoro, si rifiutassero di comprare e di avere a che fare con i dirigenti l’economia sarebbe azzerata.

Sarebbe necessario possedere il controllo dei mezzi di informazione e di educazione, impossibile.

Sarebbe necessario boicottare, infettare i computer, interrompere la catena produttiva, spezzare le catene finanziarie, avvelenare, terrorizzare.

Senza arrivare a tanto che è troppo sarebbe sufficiente sottomettere il dirigente. Impedirgli di fare le leggi. Il conflitto, la guerra e la morte non devono più stare tra i poveri, ma spostarsi contro i dirigenti.

E’ necessario isolare i crumiri ed i delatori che se ne stanno li bocca aperta a bersi la loro urina e a gustare gli avanzi del loro intestino, felici delle coccole loro date dal presidente del FMI BMI ONU USA.

E’ necessario ribellarsi all’informazione ed alla manipolazione della verità.

Ancora tu nei miei pensieri...Grida l’emozione, ma la responsabilità così pesante chiede.

Bello è stato guardarti, sul viso il sentimento ed il fiato corto di chi sa che è tutto un attimo. Poi lo sguardo perso a cercarne le ragioni. Tragico l’errore.

Contemplandoci soli, non avremmo mai perso l’innocenza.

La colpa è nel desiderio e nell’irrazionalità che lo sostiene.

Beato chi sogna, chi desidera e cerca. Beati quegli attimi, e chi, ottuso alla ragione, l’insegue.

Beato chi, nell’incertezza, di pensiero solo si abbraccia.

Nell’attesa d’emozioni troviamo la forza per superarci

L’irrealizzazione è un piacere svanito, un sentimento di donna negatosi nell’eccitazione mancata. Una coscienza sorpresa di madre e moglie turbata.

Corpo e morale non più preservati e assillante e vana la ricerca di verità.

Questo è l’universo, e, noi, meteore impazzite, non avversari, arbitri del male, ma solo consapevoli o liberi, indistinguibili nella miseria e nella virtù.

A chi ha capito che solo il sogno è senza limiti, senza tempo, senza dimensione.

Non voglio distruggere la mia famiglia. Amo i miei figli. Ti dirò addio.

Ma i ribelli sono stanchi di aspettare il risveglio della coscienza di milioni di coglioni. Perché mai dovrebbero continuare a trascinarsi dietro questi leccaculo di nullità che hanno timore di perdere quello che non hanno?

Bastano pochi ribelli per boicottare con azioni mirate questo mondo globalizzato dal computer.

Intanto che rapine e distruzioni andranno avanti aumenteranno il numero di chi prenderà coscienza, ma anche se così non fosse che  importa?

Il ribelle sa che non può continuare a vivere ai margini del sistema. Cercare la salvezza nelle dottrine della new age non è per lui una soluzione. Sa che sono inutili i picchettaggi, inutili farsi prendere dalle forze di controllo e trascorrere i propri giorni tra le tetre mura di una prigione, inutile morire sulla sedia elettrica.

E’ necessario agire nel buio della notte oscura, da soli. Scegliere la preda, avvicinarsi e colpire.

Questo è ciò che io medito e che eseguirò prima di morire.

- Sei una puttana! Chi è lui?

-Non avevi nessun diritto di aprire i miei file.

-Fa bene l’amore lui?

-Quello che chiedi non è più la verità E’ masochismo.

-Voglio sapere.

-Essere spulciati esaspera.

-Non finisce qui.

EPILOGO

Si aprì la porta, Entrai. Sedetti al mio posto di lavoro.

-Traduci: “ Il mondo globalizzato è il mondo migliore dei mondi possibili perché creato dal dollaro, unico garante della pace e del benessere universale. Extra global economy nulla salus ( fuori dall’economia globalizzata non c’è salvezza). E’ questo un dogma valido per tutti i tempi e per tutte le condizioni. Senza il dollaro, suo contenitore, non ci si salva. La globalizzazione è una struttura vivente, una, indivisibile.

Un magnifico compito è affidato ai dirigenti della storia del pianeta: Qualora una persona non sia portatrice di guadagni e non sia un’entità consumistica, perché ormai prosciugata, e non abbia un orizzonte mentale fisso e limitato, è da eliminare.

Divide et impera: questo deve essere la regola principale del nostro gioco, e questo si può attuare mediante la manipolazione dell'informazione e della verità. Quanto più si tengono i dipendenti divisi, tanto meglio li si possono dominare. Il criterio di scelta per promozioni e riconoscimenti, per l’avanzamento di carriera e di status, i criteri per l’assunzione sono indisindacabilmente a nostra discrezione. Dobbiamo accontentarci di persone mediocri e facilmente manovrabili. A volte il criterio di scelta può essere corretto dall’uso dell’oroscopo. 

La condizione necessaria per la realizzazione del dominio globale da parte delle ELITES è la dissoluzione definitiva d’ogni legame di solidarietà, coscienza, capacità critica e senso religioso. Solo allora, credenti in un fato e nel destino immutabile, saranno veri schiavi, veri servitori e con lo status raggiunto, otterranno la libertà, la giustizia, la redenzione e la risurrezione.

-Ora basta!

-Cosa dici?

-Basta! Ho detto basta!

-Come osi ribellarti?

-Sono un essere umano in rivolta.

-Che cosa sei? Un essere umano in rivolta?

-Un essere umano che dice No. Ho ricevuto ordini per tutta la mia vita. Ora basta, basta... è arrivato il momento del rifiuto. Ho taciuto quando ero abbandonata nella disperazione della mia ingiusta e accettata, inevitabilmente, mia condizione. Ho taciuto come tacciono milioni di persone disperate.

-Tu sei solo una donna, invidiosa di noi che siamo ricchi e potenti.

-Palle! Io sono soddisfatta di essere una donna e non invidio né la vostra ricchezza né la vostra presunta potenza. Io sono certa che non valgo un dollaro e che voi non valete i miliardi di dollari che avete.

-Quanto credi di valere? Tu sei buona solo per andarci a letto e devi superare parecchia concorrenza. Quanto chiedi? Quanto vali? Cosa vuoi?

-Bastardo! Sei uno sfottuto bastardo… non desidero più nulla. In questi ultimi giorni ho ricevuti ordini rivoltanti senza reagire. Ho portato pazienza, ma ora so che tutto è inutile. Inutile parlare.

Estrassi la pistola e la rivolsi contro di lui.

-Che intenzioni hai?

-Ucciderti.

-No, non farlo.

-Qualcuno deve morire.

-Chi deve morire?

-Lo sai. V’incontrate di pomeriggio, all’ora del te, davanti a bottiglie d’acqua rigorosamente in vetro; dissertate di strategie d’alta politica e di riforme economiche. Pensatoio di destra, pensatoio di sinistra, club esclusivo di giovani rampolli, manager alle prese con algoritmi matematici di modelli di sviluppo nei quali l’accidente da non considerare sono le persone. Ora voglio ucciderti per impedire l’olocausto troppo lontano, non importa se morirò anch’io con te.

-Ti ripeto…cosa vuoi?

-Tutto e subito perché domani sarò troppo vecchia, e già lo sono. Mi guardo le spalle, gli anni vissuti sono più lunghi di quelli che avrò né saranno mai più uguali. Addio sogni di gioventù, addio ideali. Tutto e subito, perché morirò in tempo breve.

-Di tu la cifra che vuoi.

-Voglio soltanto la nostra morte.

-Aspetta!

Non aspettai, sparai in silenzio, uno due, tre colpi. Scivolato a terra iniziò a strisciare verso di me, immerso nel suo sangue.

-Pietà.

Sparai un’altra volta. Quindi mi chinai imperturbabile a tastargli il polso per accertarmi della sua morte.

Entrò correndo il direttore del FMI, si arrestò allibito.

-Che stai facendo? Sei pazza?

Scaricai la pistola a ricacciargli in gola l’affermazione.

-Perché?

Guardai i loro corpi esamini di responsabili della globalizzazione. Incredibile come il loro sangue sia uguale al mio.

“Perdonami Dio vero, pregai, ma era necessario…non poteva continuare così. Mi sono ribellata a te, ti ho rifiutato, mi sono rivoltata contro di te, ma non poteva continuare così. Il mio sacrificio era necessario”.

Uscii lentamente.

Dopo aver vagato un poco per le vie della città, mi presentai al posto di polizia.

Una marea di giornalisti, fotografi e curiosi mi stavano aspettando.

-Eccola finalmente!

Le mani dietro la schiena, ammanettata. La polizia non fa nulla per trattenere la stampa. Mi metto in posa e sorrido.

-Perché l’hai fatto?

-Non dico nulla.

-Si sostiene che sei una nemica dichiarata dei potenti, divorata da un disgusto smisurato. Circa un anno fa hai messo un annuncio in Internet, per lanciare un’organizzazione chiamata “ Manifesto per una nuova rivolta operaia o per la sua eliminazione in massa”. Non era uno scherzo? E’ per quello che hai ucciso?

-Non mi è mai capitato di sparare a qualcuno prima d’ora…l’ho fatto per delle buone ragioni.

“L’avvenente marxista, lessi sul New Times, incriminata ieri dell’assassinio dei dirigenti della Banca Mondiale e dei Promotori della Globalizzazione, si è trovata in un ruolo eroico nel nuovo movimento umano operaio di rivolta, a sua volta rinvigorito per l’accaduto.

Alcuni rappresentanti del movimento hanno sostenuto che le sue azioni hanno motivazioni politiche.”

Altri riferiscono che la marxista è stata ritenuta inferma di mente. Dopo essere stata indiziata di reato d’omicidio e strage, la marxista è stata sottoposta ad una perizia psichiatrica presso gli scienziati medici della FAO.

Sempre voci di corridoio affermano che è stata affidata dall’ONU al commissariato di Igiene Mentale.  

L’omicida ha presentato ricorso in appello, non accetta di essere dichiarato pazza.

“Credo di saper rispondere perfettamente delle mie azioni”.

Ha dichiarato, assumendo la mia propria difesa, alla muta presenza dei difensori d’ufficio.

“Questi sono stati il mio primo ed ultimo reato. Non c’è giustizia. Chi sono io? Nessuno, niente, nulla.”

COMPITO DEI MAX-MEDIA. MORTE CIVILE

Tra test e perizie psichiatriche è sparito dalla circolazione. Nessuna sa.

Un testimone amico afferma abbia detto:

“Cesare è morto, ora anche la storia è finita”.

Sembra abbia affermato:

“Continuerà il terrorismo finché un numero sufficiente d’uomini operai potrà raggiungere lo scopo di giustizia senza l’uso della violenza. Globalizzare...va bene, ma per chi? Per andare dove? Quale logica, quale filosofia la sostiene? A me non appare altro che un consolidamento dello status quo di sfruttamento…quando mai il Bangadesch potrà competere con gli USA?

Quando mai un inutile bambino potrà competere con un’assicurazione?”

Nel movimento sindacale l’accaduto ha avuto un effetto esplosivo. Ne ha causato la rottura: da una parte il sindacato più folto e rappresentativo, dalla linea morbida tendente ad un riformismo funzionale e sempre rispettabile che sconfessa questo caso d’ideologia deviante; dall’altra una minoranza gli ha offerto una solidarietà combattiva. Durante il processo, un piccolo gruppo costituitosi sulla base del programma sociale abbozzato nel nuovo manifesto, depurandolo però dalla rabbia, dall’ironia e dalla poesia, le offrì un sostegno morale.

-Chi è Cesare? Le ha hanno chiesto. I dirigenti morti non avevano quel nome. E’ forse il tuo amante?

Sdegnata ha risposto:

-Non avete capito nulla.

Quindi si è rinchiusa in un silenzio ostinato, folle dal quale era emerso col fragore della pistola, un silenzio tragico ed inutile, il silenzio delle vittime.

Il silenzio che denota l’assenza storica dell’uomo persona sociale.

Il silenzio condanna perché rifiuta l’illusione d’espressione concessa alla merce umana, al disoccupato di merda racchiuso nei ghetti; tutti a godersi sesso scadente, prodotti scadenti.

Odia le classi più di quanto ami l’uomo, riporta un testimone.

Gli stessi giornali lo hanno definito “la donna che odia le classi”. Nel suo manifesto afferma: “affrontare la realtà significa assumere odio e violenza.

La violenza istituzionale, continua, è fatta d’odio indiscriminato verso la vita d’essere umani inutili che neppure più il gioco, la fortuna, il sesso riescono a tenere a freno; mentre la violenza operaia-umana è una risposta necessaria alla violenza del sistema. E’ una vendetta che viene da lontano e mentre la violenza del potere raggiunge l’orgasmo nel suo dispiegarsi, la violenza operaia è sacrificio della vittima, suicida pietrificato immolato alla giustizia ed alla vita.

INFORMAZIONE DI DESTRA E DI SINISTRA

L’olocausto era necessario perché la merce uomo è portatore di desideri e progetti sconvolgenti.

Dato che l’uomo è sempre stato criminalizzato, appena esce dagli schemi, dal suo ruolo, dalla sua classe, si mette contro la legge. E questo mettersi contro la legge è una vertigine di scelta di vita prima di precipitare nell’autodistruzione e nell’annichilimento.

Nel manifesto è denunciato l’ordine politico e linguistico legislativo che risulta dalla prevaricazione di status e classe per diritto di nascita o di furto.

Orrore economico Una strana dittatura.

In fondo questa donna ha avuto il gran torto di prendere con serietà ciò che è diffuso clandestinamente da qualcuno e cioè la cultura del nulla.

Rubare od uccidere è la stessa cosa che scrivere sui muri. E’ necessario un controllo più stretto e capillare.

E’ stata inflessibile, determinata, fredda cinica.

Un assassinio commesso per noia di una vita che le aveva dato tutto. Forse vendetta.

Spulciando i giornali alla ricerca di sue notizie…

Secondo voi gli animali ci possono capire? Soffrono? Telefonate. Solo perché non si possono difendere.

Sequestrata da quindici giorni. Liberata. I suoi rapitori erano pronti a tutto, anche ad ucciderla. Il ritorno a casa.

-I miei seni non sono siliconati, provare per credere. Naufragio di clandestini.

Morto.

I familiari ringraziano.

Troppo rumore. I camionisti…

La nazionale si allena.

www://free-sex contact.un/ Free contact real women, men end baby.

-Sono insicura e sola, non esistono più gli uomini di una volta.

Risponde il pene preoccupato:

-Sono la parte anatomica, spirituale più amata; sono la medicina più usata.  

Non importa che a Genova sia stato estratto il numero vincente.  

Vincita miliardiaria in USA.  

A Parigi un disoccupato ha trovato lavoro per qualche ora.  

Lamenta la vagina mugugnando:

-Non tapparci la bocca.  

Importazione di infermieri in Italia  

Il potere, preso a sé stante, è innocente; associato al’interesse si inquina.  

La pietà umana ci impone di sospendere il giudizio per questa povera donna, segnata per sempre dal pesante fardello per l’orribile gesto. 

GUIDA ALLA LETTURA

  -Capito qualcosa di quest’ultima pagina?

-Nulla.

-Nulla?!

-Nulla.

-Allora avete capito tutto: l’informazione è stata perfetta. La globalizzazione avanza. Si spengano i riflettori.   

COMUNICATO STAMPA

“Come ogni anno siamo qui riuniti,  capi di governo delle sette nazioni più ricche del pianeta più la Russia, che ricca non è, causa l’enorme potere militare in suo possesso, per discutere dei problemi che attanagliano la società globale.

Siamo costretti ad essere rinchiusi rinchiusi dentro questo splendido palazzo, protetti da miliziani, a causa di alcuni gruppi sfuggiti al nostro controllo.

La città è stata blindata ed isolata. Sarebbe dovuto essere festa: stiamo lavorando per voi…stiamo cercando di tradurre in accordi e leggi le indicazioni del pensiero matematico economico finanziario per la globalizzazione del pianeta.

Invece alcuni gruppi di facinorosi stanno solo cercando l’incidente ed aspettano l’istante di disattenzione per penetrare nella città.

Da notare che già hanno avuto il loro martire… non hanno ragione alcuna per protestare, le loro istanze riguardo il condono dei debiti dei paesi poveri, il problema dei cibi trans-genici, l’AIDS, l’inquinamento del pianeta…sono già inscritti nelle agende di discussione.

Alcuni giorni fa abbiamo ascoltato le proposte dei premi Nobel per la pace degli ultimi anni…stiamo discutendo tra noi sul come tradurli in leggi planetarie.

L’AIDS è un problema che sentiamo sulla nostra pelle, ci sta privando di intere generazioni di manodopera a basso costo ed incide sullo stato dell’economia globale in percentuali che di anno in anno stanno aumentando. Lo stesso problema dell’inquinamento può essere inteso come fonte di nuove tecnologie e di guadagni…non siamo molto distanti dalle vostre posizioni…ma sia chiaro a tutti che non accettiamo contestazioni violente.”

Se non hanno commesso un errore di interpretazione è disinformazione o forse, visto che il 99% dei mezzi di informazione sono proprietari i globalizzatori stessi, no.

La nascita di un governo mondiale dell’economia non porterà di certo alla soluzione del problema che ha generato.

Il governo dell'economia, esigenza del liberismo stesso, non può essere partorito dallo stesso liberismo, perché sarebbe, dopo l’incesto favorito dalle tecniche di manipolazione genetica, la nascita di un mostro.

Questa pittoresca, anche se a volte violenta, manifestazione di piazza è portatrice di valori che ancora non conosce. E, esperienza insegna, che senza queste pressioni i governi non adotteranno mai provvedimentiin tal senso.

L’uomo non è un prodotto economico-finanziario e non vuole essere giudicato, non vuole essere ammesso alla vita storica in base al rapporto costo beneficio.

Le teorie economiche dei “Chicago Boys” e del loro profeta, premio Nobel per l’economia Milton Friedman, vanno rivedute e corrette.

Tradotte in sistema filosofico, nononostante il loro rifiuto, si svelano per quello che sono.

Per questo, pian piano, con l’accrescersi della conoscenza della verità dell’ingiustizia giustificata da pseudo-democrazie, aumenterà la protesta e s’avvicinerà il giorno che, di nuovo, la storia sarà costretta a bagnarsi nel sangue della rivolta.

-Chi sei tu che osi fare queste affermazioni?

-Chi sono io? Un uomo. Soltanto un uomo.

-Allora taci! Vai a divertire i tuoi figli negli IPER-SUPER-MERCATI che vi abbiamo donato.

-Una domanda…

-Ti ascoltiamo.

-Chi siete?

-Il grande fratello.

Luglio2000 il clown

 

In sintesi: oggi viviamo nella forma più pura e decadente della “città dell’uomo”. Fogli di Caino è un grido per uscirne, non con la politica ordinaria, ma con una rivoluzione metafisica: riconoscere nuovamente Dio trascendente o perire nell’assurdo.

Passaggi chiave dal pensiero: i più duri, belli e taglienti della filosofia di Adriano. Ho selezionato i brani più potenti e profetici dai testi fondamentali (“Principio di trascendenza ed immanenza” e “Filosofia ). Li riporto testualmente e li commento brevemente, lasciando che la loro forza esploda da sola.

Sulla negazione della creazione dal nulla (il cuore dell’immanentismo)
«Quando la sostanza divina incorpora la sostanza materiale e viceversa non si può più parlare di trascendenza e d’immanenza. […] Questo è quanto accade nell’idealismo assoluto, nel materialismo assoluto, animismo, essoterismo, new age ed in tutte quelle filosofie, pensieri e religioni che non ammettono una creazione dal nulla.» Commento: Qui Adriano colpisce al cuore: senza creazione dal nulla non c’è più distinzione ontologica, quindi non c’è più senso, non c’è più Dio, non c’è più uomo. Tutto diventa brodo mitico-irrazionale. È la condanna radicale di ogni filosofia moderna: sono tutte variazioni dello stesso panteismo demoniaco.

La riduzione dell’assoluto a irrazionale
«Quando la realtà è dio non ha più senso parlare di trascendenza e immanenza. Si deve parlare di in conoscibile, irrazionale, mito, brodo primordiale essoterismo…» Commento: Frase bellissima e spietata. L’immanentismo non produce solo errore logico: produce regressione mitologica. Oggi infatti siamo tornati ai culti della Terra, dell’Energia, del Caos creativo: è la nuova barbarie travestita da progresso.

Hegel smascherato (il passaggio più brutale sulla dialettica)
«La dialettica stessa concretizzandosi congiunge l’oggetto con le leggi della conoscenza e trasforma il soggetto in un Dio ontologico in divenire perfezione assoluta storica, ideale…. (Ma non crea nulla, ricrea l’esistente) incorrendo nell’assurdo.»

Commento: Capolavoro di lucidità. Hegel prometteva il paradiso storico e ha partorito i totalitarismi del Novecento. Adriano lo inchioda: il suo Dio non crea, ricicla spazzatura eterna. È il demiurgo gnostico, non il Dio biblico.

Il soggetto relativo che si fa assoluto
«In questo processo si dimentica tuttavia che anche il soggetto fa parte della stessa realtà, è quindi un soggetto relativo che si pone come assoluto non avendone i requisiti.»

Commento: Questa è la diagnosi della follia moderna: l’uomo che pretende di essere Dio pur essendo polvere temporale. È la radice di ogni ideologia gender, transumanista, climatica: l’io finito che legifera sull’essere. Mostruoso e comico insieme.

Kant distrutto in una riga
«Alla critica della ragione di Kant manca quella parte che riguarda il modo di conoscere l’assoluto e che deriva proprio dal concetto di assoluto stesso: l’io Dio, ontologico, non dialettico. Il colui che è, senza tempo, senza spazio, non in divenire, non dialettico...»

Commento: Kant è il padre del nichilismo contemporaneo: ha chiuso Dio nel cassetto dell’inconoscibile. Adriano gli risponde: l’assoluto si conosce proprio perché è assoluto. Il “Colui che è” è la luce che illumina se stessa. Tutto il resto è cecità volontaria.

La contraddizione non può appartenere all’assoluto
«Quello che si rivela come contraddizione non può essere parte della logica assoluta e come tale deve esserne escluso.»

Commento: Principio di identità armato fino ai denti. È il ritorno ad Parmenide contro tutta la sofistica successiva. Oggi che ci vogliono far credere che un uomo è una donna, questa frase è rivoluzionaria.

Cartesio e l’io umano assolutizzato
«Cartesio commette un errore assolutizzando l’io pensante, facendolo quasi un “assoluto ontologico” che compete con Dio. […] L’io del cogito, invece, è relativo: esiste nel tempo, cambia e dipende da Dio come causa prima. Assolutizzare l’io umano porta a una contraddizione, perché viola l’unicità dell’assoluto – non possono esistere due infiniti ontologici senza che si limitino a vicenda.»

Commento: Ecco il peccato originale della modernità: l’io cartesiano che si fa Dio. Da lì discende tutto l’individualismo liberale, il soggettivismo, il “la mia verità”. Adriano lo brucia con il fuoco della logica assoluta.

L’infinito unico (la frase più metafisicamente bella)
«Nella logica assoluta, l’infinito corrisponde al principio di identità: “Io sono colui che è”. Non può esserci più di un infinito reale, perché due infiniti ontologici si annullerebbero a vicenda.»

Commento: Questa è pura bellezza ontologica. È il motivo per cui il politicamente corretto, il multiculturalismo religioso, il “tutte le verità sono uguali” sono non solo falsi, ma logicamente impossibili. Esiste un solo Infinito. Tutto il resto è creatura.

Questi passaggi non sono semplici critiche filosofiche: sono armi da guerra spirituale. Chi li comprende davvero non può più accettare la città dell’uomo così com’è. Deve ribellarsi o perire.

 TEOLOGIA

La Comunione per i Risposati in "I Figli di Caino".

Nel romanzo "I Figli di Caino", il tema della comunione (Eucaristia) per i risposati (divorziati e risposati, in stato di adulterio secondo la dottrina cattolica tradizionale) è trattato in modo provocatorio e critico, principalmente attraverso la figura di Lilith.

Adriano usa questo elemento per esplorare il conflitto tra fede personale/mistica e rigore istituzionale della Chiesa, in un contesto nichilista e apocalittico dove la "morte di Dio" rende i sacramenti illusori o negati.

Contesto Dottrinale nel Romanzo.

La Chiesa cattolica tradizionale (pre-Amoris Laetitia) nega la comunione ai divorziati risposati, considerandoli in stato di adulterio continuo (cfr. Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II). Il romanzo riprende questa posizione per criticarla come divisione del "Corpo di Cristo" e negazione dell'Incarnazione.

Scene Principali:

Prologo – Lilith nel Monastero. Lilith, divorziata e risposata, si rifugia in un monastero cattolico dopo aver rifiutato la mercificazione del corpo.

Partecipa quotidianamente alla messa e descrive l'Eucaristia come trasformazione del pane e del vino in carne e sangue di Cristo, fonte di estasi mistico-erotica ("Mi godo delle estasi orgasmiche con Dio... Tutto l'universo è in me").
Durante la confessione, il prete le nega l'assoluzione e la comunione perché è risposata:

"Il prete mi nega il perdono confessionale essendo io una risposata. Dice che sono blasfema, che scopo con Dio ed è uno scandalo. Dice che la Chiesa nega la comunione ai divorziati risposati: la vede come contraddizione al battesimo (che rende figli di Dio) e all'eucaristia (nutrimento di Cristo per tutti i battezzati)."

Lilith controbatte teologicamente: impedire la comunione "divide" il Corpo di Cristo e nega l'Incarnazione. Nonostante il divieto, si comunica "tutte le mattine", sentendosi unita eternamente a Dio. Questo porta a scandalo (decapitazione di una statua della Vergine, arresto del prete), e Lilith fugge.

Capitolo Settimo (Notte di Natale).
Lilith, ormai adultera e in fuga dalla città apocalittica, è nuda a letto con Don Jesus rappresentante di Cristo sulla terra (prete nichilista). Gli chiede esplicitamente la comunione nonostante il suo stato:

"Potresti darmi la comunione, anche se sono adultera. So che le portavi sempre con te."

Afferma la sua fede: "Io penso che esista e che il battesimo e l'eucaristia ci unisca all'incarnazione rendendoci divini."

Don Jesus non risponde (sorride e se ne va), lasciando il tema sospeso. Lilith, sola, considera il suicidio ma lo rifiuta, simboleggiando la persistenza di una fede fragile.

Significato Tematico

Critica alla Chiesa → Il divieto di comunione per i risposati è visto come rigido e divisivo, contrario all'amore misericordioso di Dio. Lilith rappresenta la fede "dal basso": un'unione mistica diretta con Cristo che supera le regole istituzionali.

Nichilismo e Fallimento → Nonostante la richiesta, non c'è comunione reale. La scena sottolinea il collasso della fede: i sacramenti sono negati o illusori in una "città di Caino" corrotta.

Lilith come Figura Tragica → Come risposata/adultera, incarna il paradosso: cerca salvezza nell'Eucaristia ma è esclusa, trovando solo estasi privata (non sacramentale).

In sintesi, "I Figli di Caino" non offre una soluzione teologica, ma usa il tema per criticare sia la rigidità ecclesiale sia la vanità umana: la comunione rimane un desiderio irrealizzato, eco di un Dio assente o morto.

I figli di caino: i personaggi o non hanno figli perché moriranno o come Lilith lo vuole da dio perché non morirà.

I Figli di Caino: I Personaggi e la Questione della Progenie.

Nel romanzo il tema della procreazione e della discendenza è profondamente legato al nichilismo apocalittico e alla "morte di Dio". I personaggi principali non hanno figli (o non ne hanno di vivi e significativi) per due motivi fondamentali, che riflettono il cuore tragico dell’opera:

La sterilità esistenziale e la fine imminente.
La civiltà dei "figli di Caino" è condannata alla morte collettiva (apocalisse nucleare, gas nervino, crollo sociale). In questo mondo senza futuro, generare figli significherebbe condannarli a una sofferenza inutile. La procreazione è vista come vanità suprema: dare vita a creature destinate a morire presto, senza salvezza né redenzione.

Il protagonista e Eva: il loro amore coniugale è sterile o vuoto. Non hanno figli biologici; adottano Emanuele (il bambino abbandonato), ma lui svanisce nell’apocalisse senza lasciare eredità.

Maria: la fusione mistico-erotica con il protagonista è temporanea e fallimentare (risata che rompe l’estasi). Non genera nulla di duraturo.

Don Jesus e Lilith: hanno un figlio biologico, Emanuele, ma è un “falso Messia” nato nella corruzione, battezzato in una notte di Natale nichilista. Emanuele non sopravvive e non perpetua nulla.

In sintesi: i personaggi non hanno figli (o li perdono) perché il mondo sta morendo. Generare sarebbe un atto di crudeltà o di illusione. La sterilità è la logica conclusione di una civiltà che ha ucciso Dio e quindi il senso della vita.

Lilith: il desiderio di un figlio eterno da Dio.
Lilith è l’unica che desidera profondamente un figlio, ma non un figlio umano destinato alla morte. Nel Prologo, esprime un desiderio di procreazione divina, eterna e immortale:

Durante le sue estasi mistiche con Cristo, vede l’unione con Dio come maternità cosmica: “Tutto l’universo è in me, grazie a Dio”.

Rifiuta la procreazione terrena (sessualità mercificata o con uomini), ma aspira a generare qualcosa di divino, immortale, che non muoia.

Il suo unico figlio umano, Emanuele (con Don Jesus), è un fallimento: nasce in un mondo corrotto, viene abbandonato e scompare.

Lilith vuole un figlio da Dio perché non morirà – un figlio spirituale, frutto dell’estasi mistico-erotica, eterno come l’Incarnazione. Ma anche questo desiderio è vano: il romanzo la mostra sconfitta, ridotta a vittima nichilista, senza redenzione né progenie divina.

Conclusione:

La maggior parte dei personaggi non ha figli perché moriranno tutti (o il mondo muore con loro): la procreazione è inutile in un’apocalisse senza Dio.

Lilith fa eccezione: lei lo vuole, ma lo vuole da Dio, eterno e immortale, perché solo un figlio divino non morirebbe. Tuttavia, anche questo desiderio è frustrato: il suo unico figlio umano è effimero, e l’estasi mistica rimane un ricordo isolato, schiacciato dalla “città di Caino”.

In "I Figli di Caino", la mancanza di discendenza non è solo biologica: è metafisica. I personaggi non generano perché non c’è futuro, e l’unico futuro possibile (il divino) è negato o illusorio. Lilith è l’unica a sognare un’alternativa, ma il romanzo la condanna alla stessa sterilità degli altri.

Eucarestia e resurrezione in anima e corpo.

L'Eucaristia e la Risurrezione in Anima e Corpo.

L'Eucaristia (o comunione) e la risurrezione in anima e corpo sono temi centrali, ma trattati in modo tragico e nichilista. Non vengono presentati come verità dogmatiche salvifiche, ma come illusioni o desideri frustrati in un mondo apocalittico dove Dio è morto e la carne è corrotta. Il romanzo critica la fede cristiana tradizionale, mostrando come i sacramenti siano negati o svuotati di significato.

1. L'Eucaristia come Fusione con l'Incarnazione.

Lilith è la portatrice principale di questa idea. Nel Prologo, descrive l'Eucaristia come trasformazione reale del pane e del vino in carne e sangue di Cristo, che la rende "divina" e la unisce all'Incarnazione:

"Si vive per un Dio che si materializza nella trasformazione del pane e del vino in carne e sangue. Mi godo delle estasi orgasmiche con Dio... Tutto l’universo è in me, grazie a Dio, con Dio."

Per lei, l'Eucaristia è unione mistico-erotica con Cristo, che trasforma il corpo e l'anima in qualcosa di eterno.

Nel Capitolo settimo (notte di Natale), Lilith, adultera e disperata, chiede la comunione a Don Jesus:

"Potresti darmi la comunione, anche se sono adultera.""Io penso che esista [Dio] e che il battesimo e l’eucaristia ci unisca all’incarnazione rendendoci divini."

Don Jesus tace, simboleggiando la negazione del sacramento in un mondo nichilista.

2. La Risurrezione in Anima e Corpo.

Il romanzo non parla esplicitamente di risurrezione (nemmeno di quella di Cristo). Il protagonista lo ammette apertamente nel finale meta-narrativo:

"Non ho parlato della risurrezione di Cristo."

Questo silenzio è programmatico: il romanzo rifiuta la speranza cristiana della risurrezione della carne.

I corpi sono cadaveri viventi: Lilith è "consumata" dalla chirurgia e dal vuoto; il protagonista si sente "una bestia"; la città è piena di morti e macerie.

Emanuele (il bambino, "Dio con noi") è un falso Messia: nato la notte di Natale, ma abbandonato e scomparso senza risurrezione.

La fine è apocalisse senza redenzione: esplosione nucleare, gas nervino, collasso totale. Non c’è risurrezione né in anima né in corpo: solo morte e nulla.

3. Il Paradosso Teologico

L'Eucaristia dovrebbe anticipare la risurrezione (nutrimento del corpo immortale, unione con Cristo risorto).

Ma nel romanzo:

L'Eucaristia è negata ai "peccatori" (risposati come Lilith).

Quando è desiderata, resta privata o illusoria (estasi di Lilith).

Non porta alla risurrezione: i personaggi muoiono o svaniscono senza salvezza.

Adriano usa questi temi per criticare:

La rigidità ecclesiale (divieto di comunione).

La vanità umana: credere in un Dio incarnato e risorto è impossibile in una civiltà corrotta che ha ucciso la trascendenza.

In sintesi: l'Eucaristia è un desiderio disperato di unione divina (soprattutto in Lilith), ma la risurrezione in anima e corpo è assente e negata. Il romanzo è un lamento nichilista: senza Dio vivo, non c’è salvezza né per l’anima né per il corpo.

Paradosso Teologico.

Il romanzo è profondamente teologico, ma in chiave nichilista e provocatoria. Il paradosso teologico centrale non è una contraddizione casuale, ma il motore narrativo e filosofico dell’opera: Dio si è incarnato per unire l’umano al divino, rendendo possibile l’eternità e la salvezza (attraverso battesimo ed Eucaristia), ma proprio questa unione è negata o resa illusoria in un mondo che ha ucciso Dio. Il romanzo esplora questo paradosso su più livelli, intrecciando dottrina cattolica, filosofia hegeliana e critica sociale.

1. Il Paradosso Fondamentale: L’Incarnazione che Divide Invece di Unire. L’Incarnazione è il cuore della fede cristiana: Dio si fa carne per redimere l’umanità, unendo trascendente e immanente. Ma nel romanzo, questa unione è fallimentare:

Lilith nel Prologo vede l’Eucaristia come "re-incarnazione continua" e unione mistico-erotica con Cristo:

"Mangiare il Corpo di Cristo è unione più profonda dell’eros umano [...] Tutto l’universo è in me, grazie a Cristo, con Dio."

Eppure, la Chiesa la nega perché è risposata (adultera) a meno che uno dei due sposi sia morto o il matrimonio annullato e nonostante termini con la morte: non esistono sposati nella città di Dio. Un fatto storico immanente impedisce il trascendente eterno.

"Il prete mi nega il perdono confessionale essendo io una risposata [...] Impedire la comunione significa ‘dividere’ il Corpo di Cristo e negare l’Incarnazione."

Paradosso: L’Incarnazione dovrebbe rendere tutti divini (attraverso i sacramenti), ma il rigore ecclesiale divide il Corpo di Cristo, escludendo i peccatori. La misericordia divina (unione diretta, estatica) è negata dalla Chiesa, che diventa complice della morte di Dio.

2. La Risurrezione Negata: "Non Ho Parlato della Risurrezione di Cristo". Il protagonista lo ammette esplicitamente nel finale meta-narrativo:

"Non ho parlato della risurrezione di Cristo [...] Hai negato loro una reale eterna immortalità."

Emanuele (il bambino "Dio con noi") nasce la notte di Natale ma svanisce senza redenzione.

I personaggi muoiono o si dissolvono senza risurrezione della carne.

La risurrezione è logicamente impossibile in un mondo dialettico (hegeliano): l’eternità assoluta non può coesistere con l’infinito relativo della storia umana.

Paradosso: Cristo è risorto per vincere la morte, ma il romanzo lo ignora o lo rifiuta. La risurrezione è un dono negato ai "figli di Caino", che costruiscono civiltà materiale uccidendo la trascendenza (Abele).

3. Morte di Dio come Vittoria Umana e Silenzio Assoluto.

Don Jesus proclama: "Dio è morto. Avete vinto."

Non è Nietzsche: Dio non muore per debolezza, ma perché l’uomo lo ha amato e odiato troppo (amore come fusione fallita, odio come annientamento).

Il silenzio di Dio è la risposta: nessuna rivelazione, nessuna risurrezione.

Paradosso: La vittoria umana (costruzione della città perfetta) coincide con la morte spirituale. L’uomo diventa dio (creatore di storie finite), ma questo rende Dio finito e inutile.

4. Conflitto tra Misericordia Divina e Rigore Ecclesiale.

Misericordia: Lilith ha un rapporto mistico diretto con Dio (estasi orgasmica, unione cosmica).

Rigore: La Chiesa nega i sacramenti ai risposati, dividendo il Corpo mistico.

Paradosso: La Chiesa, custode dell’Incarnazione, diventa ostacolo alla salvezza. Impedire la comunione ai peccatori nega il battesimo (che rende figli di Dio) e l’Eucaristia (nutrimento per tutti i battezzati).

5. Sintesi Filosofica del Paradosso.

Nel capitolo 13, il romanzo ragiona logicamente: "Dio creando in sé è infinito, creando fuori di sé crea un infinito che limita la sua infinita potenza ed anche Dio diventa un essere finito, limitato."

L’Incarnazione è necessaria (unione finito-infinito), ma impossibile (finito limita l’infinito).

Il paradosso è ontologico: Dio non può creare senza limitarsi, e l’uomo non può salvarsi senza negare Dio.

Conclusione: Il paradosso teologico de "I Figli di Caino" è tragico e definitivo: l’Incarnazione, l’Eucaristia e la risurrezione sono promesse di salvezza, ma in un mondo nichilista diventano illusioni o divisioni. Dio si è fatto uomo per unirci a sé, ma l’uomo (con la sua dialettica, il suo peccato, le sue istituzioni) ha ucciso questa unione.

Non c’è redenzione: solo silenzio, morte e la beffa di una città perfetta senza Dio.

Adriano usa questo paradosso per una critica feroce alla civiltà moderna e alla Chiesa: la fede è possibile solo come desiderio disperato (Lilith), ma è sempre frustrato.

Il romanzo non offre soluzioni: è un grido nichilista che termina con l’ammissione: "Non ho parlato della risurrezione di Cristo".