la città dell'uomo. la
situazione.
Se la politica, com'è
stato affermato, è la prosecuzione della guerra sotto altre forme, noi quella
guerra l'abbiamo perduta, così come anche la più potente URSS, ha perduto. Non
si può entrare in competizione con i più ricchi, con i più potenti senza pagare
pegno.
La posta in palio era
enorme: il tutto al vincitore, il nulla al perdente. Anche la giustizia... il
diritto del vincitore di dettarne le regole: il vincitore ha, infatti, sempre
ragione. E guerra è stata. Abbiamo combattuto e perso e la storiografia è
falsità raccontata dal vincitore. Anche i politici, dal alto dei loro stipendi,
parlano a vanvera, non conoscono più la realtà.
L'informazione è menzogna, solo opera di convinzione, a volte è solo una
preghiera educatrice al nuovo dio: il denaro..." dacci oggi il nostro
cent quotidiano". Una beffa.
Arde la vita con i
risparmi sui falò delle manovre finanziarie studiate per salvare gli
investitori. Abbiamo perso tutto e tutti. Quasi tutti. La classe dirigente,
quelli che hanno il potere, in ogni campo, no. Quella è gente senza
morale. Vive nel lusso senza vergogna, forse ha soltanto un po' di paura.
Ma non pagano, non pagheranno mai. La classe media, invece, precipita
rapidamente verso il fondo della scala sociale, verso la miseria.
Casa mia è bella, situata
in uno dei quartieri più eleganti. Nessuno può pensare che in tasca non ho più
denari. Che sono diventato povero. Andarmene via. Dove? Vendere la casa, il
risparmio della mia vita di lavoro, a metà prezzo... forse lo dovrò fare... non
c'è lavoro. Nessuno lavora, nessuno esce di casa. Si ha paura ad uscire per
strada. La città è diventata un territorio ostile.
Non si compera, non si
vende se non per sopravvivere, tutti si comperano, tutti si vendono. Tutto ha un
prezzo. Delinquenza continua per sopravvivere, che le forze dell'ordine non
riesce a fermare. Neppure usando IA e telecamere ad ogni angolo di strada.
Appartamenti svaligiati. Rapimenti...la vita umana ha un valore minimo: o paghi
o muori. L'omicidio è ormai uno sport. La vita non costa niente, l'essere umano
non ha alcun valore. Dilaga il terrore. Dilagano la miseria, la malattia e la
fame. Dilagano gli stupri. E' il progresso. Le forze dell'ordine ascoltano
inutilmente e suggeriscono di fare una assicurazione... servisse a qualcosa.
I medici non fanno
crediti, la fame e la malattia si. I contadini non vendono più i loro prodotti.
Ma i bambini hanno fame, mangiano la terra, scavano tra i rifiuti. La prossima
generazione sarà una generazione di sottosviluppati.
Questo in una situazione
dove i servizi sociali pubblici, privatizzati, sono inesistenti. La maggioranza
della popolazione non ha lavoro, senza risparmi, senza azioni.
Mi vergogno di essere
nato in questa città. Mi vergogno di abitare nella City.
Ogni anno andavo sulla
costa, in ferie, con la mia famiglia, ma questa volta siamo dovuti rimanere qui.
Il prezzo è troppo sproporzionato rispetto allo stipendio. Siamo in una miseria
spaventosa. E pensare che sono ancora tra i più fortunati. Io lavoro, mia moglie
è da un anno che non riceve uno stipendio. Fa quello che può: niente. E la
accusano di non aver voglia di lavorare, ma lavorare per niente, visto che serve
solo a restare nella miseria e sottomessi, è inutile. Meglio non lavorare. I
miei figli sono tutti disoccupati. Non possono più neppure studiare. I libri
sono introvabili. Le scuole pubbliche sono chiuse. Non ho possibilità di
mandarli alle scuole private.
Siamo discendenti di un
popolo abituato ad adattarsi a tutto, senza pretese, ma non a questo inferno.
Riusciamo a sopravvivere grazie ai risparmi degli anni buoni. Non ci siamo mai
lasciati condizionare dai buoni consigli della società dei consumi e della
finanza. I nostri risparmi non li abbiamo depositati in banca, ma sotto le
mattonelle. Ci abbiamo perso con la svalutazione, ma così almeno, non abbiamo
perso tutto. Non abbiamo speso tutti i nostri soldi come ci invitavano gli
economisti o ci obbligava il governo oppure indebitandoci per rincorrere le
novità tecniche od altro.
E c'è stata la guerra...
come nazione abbiamo perso sul mercato della concorrenza. Potevamo e dovevamo
saperlo. Le regole del commercio sono state fatte per i più forti. Era naturale
che vincessero. Non capisco perché sia stato necessario fare questa guerra. Come
nazione eravamo autonomi. Si stava bene tutti.
Non dovevamo firmare
accordi commerciali. Non dovevamo entrare a far parte dell'OCSE. Non dovevamo
seguire le riforme dettate dal FMI e dalla banca mondiale d'investimento. I
soldi sono necessari per far lavorare, ma non lavorano, non producono niente.
Vogliono solo raddoppiare.
-Mamma! Mamma, Marco è
caduto. Si è fatto male...
-Come si è fatto male!...
Oh Dio... ti sei rotta la gamba? Fammi vedere... non sembra rotta.
-Mi fa male!
-Dovremmo portarlo in
ospedale.
-Quale ospedale? Non ce
ne sono quasi più...
-L'ospedale di Gesù.
-Ma l'hai ancora visto?
Non ci sono medicine, le devi pagare. Non ti danno da mangiare, te lo devi
procurare. Sotto i letti ci giocano i topi. Tra le lenzuola, quando ci sono,
pidocchi. Meglio morire per strada, piuttosto. Gli daremo la tachipirina per
qualche giorno. Devo averne ancora qualche compressa da qualche parte...sono
scadute, ma funzioneranno lo stesso.
- Non abbiamo molto
denaro, le tasse ci stanno dissanguando... possediamo una casa e dobbiamo
pagarle anche se non guadagni nulla, anche se non hai entrata alcuna.
- Si potrebbe chiedere un
prestito in banca.
- Ma in che mondo vivi?
Un prestito... sai che non restituiscono neppure i soldi che avevi depositati?
-Ma che dici?
-Conosci Cattolich Adam?
-Il giornalista?
-Si. Il famoso
giornalista. E' morto.
-Morto?!
-Morto in attesa di
trapianto.
-Ma era ricco, poteva
permetterselo il trapianto.
-Eppure le banche hanno
rifiutato di restituirgli i suoi risparmi.
-A chi li danno allora?
Non dicono che devono riprendere i consumi per far riprendere l'economia?
-Tutte menzogne. O sei
miliardario e paghi per averli o muori in povertà. Solo gli americani devono
consumare. Noi dobbiamo solo morire. La gente lo sa, ma non può farci niente. Il
potere l'hanno loro. Piange, si ribella, spacca, protesta per le strade, ma non
serve a nulla. La polizia li carica. Ci sono già stati dei morti. Vogliono
addirittura schierare l'esercito. Non li ascolti i telegiornali? Non ascolti la
pubblicità?
-Vuoi dire che siamo
diventati del terzo mondo?
-Quarto mondo.
Il povero-fede in dio.
-Hanno suonato. Vai a
vedere.
-Cosa vuoi?
-Hai un dollaro? Ho fame.
-Potrei chiederti di
bestemmiare Dio, prima di darti il pane. Come chiese Don Giovanni al povero. Lo
faresti?
-Credo di no.
-Per ora non credo di
chiedertelo, neppure lo farò per amore dell'umanità. Ti dò il pane solo perché
sei bella. Una delle più belle donne che io abbia visto. Perché non ti vendi?
Non saresti costretta...il telefono! Rispondi tu? Ti posso dare solo un pezzo di
pane... stantio... non ho altro.
-Grazie. Pregherò per la
tua famiglia.
-Non credo più. Dio
dov’è? Tu lo sai? Penso che abbandonerò la chiesa... abbandonerò questa città.
Me ne andrò lontano. Comincerò una nuova vita. Dio è morto. E' ora di mettere un
poco di ordine in questa vita.
-Dio non è morto. Io non
ho perso la speranza e la fiducia in Dio. L'unico che ci aiuta è lui.
-Oggi ti ho aiutata io.
-La gente va in chiesa
più del solito.
-Non venirmi a dire che
questa miseria è il regalo di Dio alla nostra nazione per farci ritornare alla
fede... Chi è al telefono?
-Nostro figlio dagli USA.
-Desidero rivederti
ancora.
-Cosa vuoi Marco?
-State bene? Ho visto
scene terribili in televisione.
-Stiamo bene. Però avrai
anche visto il martellamento pubblicitario. Avrai sentito i proclami tipo "
Extra global
economy nulla salus. La salvezza non viene
più dal cielo, ma dalla terra.
-Su tutta le terra. I
governanti sono concordi. Perché non venite da me?
lavoro/potere/ribellione.
- Qual è il tuo nome?
- Lilith.
- Sposata?
- Risposata in fuga.
- Figli?
- Domanda stupida. Non si
fanno figli in questa società. Io sono una donna libera, libera da impegni
morali e civili.
-Però sei diventata
povera. Se vuoi questo lavoro devi venire a letto con me.
-Non sei il mio tipo... a
dire il vero non sono disposta a vendermi, neppure per un lavoro.
-Se vuoi sopravvivere lo
dovrai fare. Sei una perdente.
-Questo è tutto da
vedere. Non possedete il potere divino.
-Ce lo siamo presi. Senza
il nostro beneplacito siete niente. Siete dei morti.
-Questa non è democrazia,
neppure giustizia. Prima o poi pagherete.
-Chi ce la farà pagare?
Dio? Ma veniamo alle cose pratiche. Vuoi questo lavoro? Sei bella, sfrutta la
tua bellezza. In questo mondo, la bellezza, ha un considerevole valore.
-Non sono in vendita.
- Ti ripeto... sei molto
bella, possiedi anche una notevole intelligenza, ma sei troppo in là con gli
anni. Non sei neppure disposta ad andare a letto con me. Dovresti essere
rieducata. Ti rimanderò a scuola. Devi essere continuamente aggiornata se vuoi
competere.
-Credi in dio? Tu credi
in Dio?
- Non esiste un Dio da
impietosire, da prendere in giro cercando una giustificazione o
somministrandogli menzogne... così non si fa altro che accrescere la ricchezza
degli psicanalisti.
Ti immagini? Un super-io
che si accresce, continuamente, come un mostro che vuole privarti della libertà,
che vuole controllarti.
-La povertà è un mostro
maggiore.
-Neppure tu sei una
credente.
-Forse, ma continuerò la
mia ricerca di libertà. Continuerò a scavare, prima di una scelta, prima di
morire, per ritrovare le radici della verità.
-La sola verità è il
denaro. Il solo dio è il denaro. Se ci credi, se lo possiedi... tieni la tua
vita tra le mani. Saresti libera di ottenere e fare quello che vuoi.
-Quanti posseggono il dio
denaro? E' per tutti?
-Non tutti sono i
prescelti.
-Cosa dovrei fare?
-Venire a letto con me.
-Tu sei pazzo!
-Non sai quello che stai
perdendo. Le occasioni capitano una sola volta nella vita.
-E tu saresti la mia
occasione?
-Ti sto offrendo più di
quello che vali.
-Che ne sai tu?
-Quello che nessuno può
ignorare... gli anni passano per tutti, diverrai vecchia, la tua bellezza
diverrà bruttezza. Non ci sarà chirurgo estetico capace di restituirtela. Avere
ricchezza, invece, non invecchia.
-Anche tu morirai.
Continuerò la mia ricerca della città di Dio.
- Non esiste la città di
Dio.
Emigrare.
Andarcene? Dove? Le
nazioni ricche hanno innalzate alte mura. Gli eserciti vigilano alle frontiere.
Usano sofisticati sistemi di controllo. Nessuno può entrarci, salvo i
miliardari. Il denaro apre tutte le porte. Se ti va male ti rimpatriano. Se ti
va peggio ti rinchiudono nei campi di concentramento con l'accusa di essere
terrorista, se ti va meglio ti fanno fuori.
-Papà, mamma... noi
emigriamo. Non c'è più nessun lavoro, neppure quelli temporanei. Non c'è nessun
avvenire. Abbiamo preso contatto con una organizzazione.
-Non voglio.
-Non c'è nessun avvenire
in questo paese. Non si vede una fine. Quello che aumenta è soltanto la miseria,
la violenza, le morti.
la nuova
città/dio?
Un monastero. Uno
cattolico. Questa la mia nuova città, il mio rifugio, forse la città di Dio mi
offrirà un rifugio. Dalla mia camera posso abbracciare con uno sguardo l'intera
città dell'uomo, la città dei figli di Caino. La conosco bene. Conosco quello
che ho lasciato. Sono sola, è vero. Non ho niente. Neppure un marito, un amante.
Ho imparato a combattere il desiderio dell'abbraccio pregando. Ed il desiderio
si è affievolito sempre di più. E' scomparso. So che avevano ragione gli asceti.
Dopo un poco di tempo non si ha più bisogno degli uomini. Si vive per l'idea di
Dio. Si vive per un Dio che si materializza nella trasformazione del pane e del
vino in carne e sangue.
Mi godo delle estasi orgasmiche con Dio. Al solo
pensarci rabbrividisco... al solo pensarci arrivo alle soglie dell'orgasmo
fisico. Tuto l'universo è in me, grazie a Dio, con Dio. Vorrei fare un figlio
con Dio, sarebbe eterno. Ogni mattina vado a messa ed osservo Cristo, Dio che si
materializza nella trasformazione del pane e del vino in carne e sangue. Ogni
notte lo guardo, mi sorride. E che quando richiudo gli occhi sento le sue mani
carezzarmi il viso, poi di nuovo sul mio corpo frenetico nell'attesa della messa
mattutina.
In confessione gli dico
che l'eucaristia è re-incarnazione di Cristo che è mangiare il Corpo di Cristo
che è unione più profonda dell'eros umano che è estasi orgasmica, ma assoluta:
penetrazione divina che unifica utero/pene con il centro della vita eterna.
Il prete mi nega il
perdono confessionale essendo io una risposata. Dice che sono blasfema, che
scopo con Dio ed è uno scandalo. Afferma che la Chiesa nega la comunione ai
divorziati risposati: la vede come contraddizione al battesimo (che rende figli
di Dio) e all'eucaristia (nutrimento di Cristo per tutti i battezzati).
Gli rispondo che impedire
la comunione significa "dividere" il Corpo di Cristo e negare l'Incarnazione.
Lo informo che ho un
rapporto mistico diretto con Dio. Dopo l'Incarnazione, il battesimo e la
comunione (mangiare Dio incarnato), mi hanno unita eternamente a Dio e che
l'amore umano fallimentare non mi aveva mai dato.
Lo informai che io,
Lilith, non mi sentivo più una peccatrice e che nonostante il divieto mi
comunicavo tutti i giorni.
Poi una mattina un fatto
inaspettato: la statua della Vergine Maria a braccia aperte cui mi ero
consacrata, posta ai piedi di una croce alta due metri, l'abbiamo trovata
decapitata. Dopo la denuncia alla polizia, il prete è stato arrestato. Un LGPT
travestito da madonna tende le braccia al popolo recitando rosario: "dio
dollaro dacci il pane quotidiano". Applausi e selphi in memoria della
festa. Sono di nuovo costretta a scappare. Non è questa la città nella quale
voglio vivere. Ma non so più dove andare.
attentati/rivolta.
-Gli emigranti stanno
sommergendo la nostra nazione, sono disposti a lavorare per un tozzo di pane.
Stanno scatenando una guerra tra i poveri. Ci rendono disoccupati. Molte
famiglie non hanno più futuro. Gli unici felici sono i direttori delle aziende.
-Siete dei castrati, dei
falliti. Maschi nella merda, sconfitti dalla vita, gelosi della fortuna e della
ricchezza degli altri.
-Per essere un sociologo
guazzi nella fogna... quanto ti rende scrivere queste puttanate? Quanto ti
pagano?
-E di me che sono una
donna cosa dici? Che sono una donna mancata perché avrei voluto essere uomo come
mio padre? Le solite palle psicologiche! Io sono donna e sono ben felice di
esserlo. Chiedilo ai tuoi compari militari.... ha fatto appena in tempo a
fuggire dal loro desiderio bavoso.
Mi avrebbero stuprata.
-Cosa volete fare di me?
-Di chiedere un riscatto
non se ne parla neppure... d'altra parte sei così invischiato, anima e corpo nel
sistema, che sei incapace di ragionare da uomo, al di la dei meccanismi
automatici che dirigono la storia... lasciarti libero per trovare
giustificazioni sociologiche ai tiranni al potere, per liberarli dai sensi di
colpa.... ma credi davvero che abbiano ancora una coscienza umana?
La sera, dopo essersi
pagato l'amore, non fanno altro che contare i loro sporchi denari. Decidere dove
investirli, come moltiplicarli senza rischiare nulla.
A voler essere realisti
non ci rimane altro che ucciderti.
-La loro ricchezza serve
anche a voi.
-Neppure più le briciole
lasciano cadere. Ucciderli tutti bisognerebbe... tutti.
-E voi sareste dei
cristiani?
-E' questo il dubbio che
ci attanaglia... un dubbio atroce... è ancora possibile essere cristiani in
questa società di merda senza essere dichiarati degli esclusi? La sai tu la
risposta?
-Dovreste amare i nemici.
-Quando i nemici sono
delle persone, ma tu sei ancora una persona? Non sei neppure più una bestia. Sei
soltanto un meccanismo ben oliato.
-Siete senza speranza.
-Dio non interviene nella
storia dell'uomo. Dio si inchina al no dell'uomo. E nell'uomo è difficile avere
speranza. Non è più l'umanità a guidarli, ma la logica economica. Si scannano
per qualche soldo in più.
-E la divina provvidenza?
-La divina provvidenza è
buona soltanto per gli animali.
Perdizione/senza dio,
senza uomo.
-Ho lasciato la città di
Dio. Sono tornata. Avevi ragione tu.
-Sapevo che saresti
ritornata.
-Tu vuoi soltanto avermi.
-Non sei venuta per
questo?
-La situazione è
peggiorata. Sono sola. Non sapevo dove andare. I militari hanno preso il potere.
I miei amici sono scomparsi.
-Arrestati?
-Penso siano stati
uccisi... facevamo parte di un'organizzazione cattolica.
-Terroristi?
-Non abbiamo ucciso
nessuno. Abbiamo fatto un rapimento, ma non volevamo ucciderlo. E' stata una
disgrazia.... gestivamo un giornale clandestino d'informazione.
L'informazione è in mano
al potere. E' la loro ancella. Dicono soltanto menzogne. Noi vogliamo svelare la
realtà. E' giusto che tutti prendano coscienza che la mancanza di diritti
condanna milioni di persone alla miseria. E' ora che anche i benpensanti si
scandalizzino.
-Più pericolosi dei
terroristi.
-Anche tu pensi che i
terroristi siano dei falliti che si credevano uomini, ed invece sono merda?
-No.
- Hai paura allora?
- No. Non posso avere
paura, non più. Non ho null'altro da perdere che la mia vita. Anch'io posso
considerarmi solo. I miei figli sono emigrati chissà dove. Non so più nulla di
loro. Forse sono vivi, forse sono morti... mia moglie non è più una donna. Va di
chiesa in chiesa a chiedere se li hanno visti.
- Allora posso rimanere?
- Entra, non stavo
facendo nulla. Mi immaginavo seduto su di un water d'oro a divorare la banana di
Cattelan per evacuare una cacca d'artista ad ammirare i tagli di Fontana che
dimostravano la nullità della ricerca estetica. Vedi che anche i saloni di
bellezza mantengono la bruttezza camuffata. Ma non è il tuo caso. Sei molto
bella. Ma siamo già stati troppo qui fuori a parlare. Speriamo che non ci
abbiano visti.
I fini.
Il popolo ormai non
esiste più. Ogni resistenza è stata spazzata via. Le organizzazioni
internazionali sono ritornate. Reinvestono nel loro porcile. Ormai siamo tutti
dei robot educati...non ci ribelliamo, ci contentiamo di poco. La morte, la
morte dei nostri figli, sono ancora nostri i figli, ci lascia indifferenti. E
loro, i nuovi padroni, i vecchi padroni, sono contenti. Non hanno mai avuto
operai così efficienti, operai che si contentano di poco. Intanto accumulano,
investono in nuove tecnologie, in nuove armi... studiano nuove economie, nuove
manovre di dominio... chissà quale sarà il prossimo popolo predestinato ad
essere la vittima da sacrificare al dio denaro. E dopo? Dopo che hanno il
dominio del pianeta? Domande inutili. Nessuno degli attuali attori sarà ancora
vivo, dopo.
Dopo averlo letto
velocemente, inizio a scrivere la mia critica, con l'intenzione di stroncarlo,
da consegnare al editore:
Analisi dettagliata del
romanzo "I figli di Caino" è un romanzo breve ma densissimo, di carattere
filosofico-esistenziale con forti elementi dystopici e meta-narrativi. Scritto
in una prosa cruda, poetica e a tratti saggistica, il testo si presenta come un
grido di rivolta contro la civiltà contemporanea, contro la "democrazia del
denaro", contro l'assenza di verità assoluta e contro un Dio apparentemente
morto o impotente. Il titolo stesso è biblico e simbolico: i "figli di Caino"
sono l'umanità post-fratricidio, costruttori di città, di tecnica e di violenza
(cfr. Genesi 4), eredi di una civiltà materiale che ha ucciso il fratello
spirituale (Abele, la trascendenza, l'innocenza).
Il romanzo mescola
narrazione, monologo interiore e trattato filosofico, in uno stile che ricorda
Dostoevskij (per i dialoghi sotterranei e la tensione esistenziale), Nietzsche
(Dio è morto, eterno ritorno confuso con l'infinito) e Camus/Sartre (l'assurdo,
la rivolta individuale). Ma soprattutto è un testo profetico-apocalittico.
Struttura
narrativa:
Il romanzo è diviso in
capitoli (almeno sette, di cui il settimo è chiaramente conclusivo). Dai
frammenti disponibili emerge questa articolazione:
·
Capitoli intermedi (es. sesto): prevalenza del monologo filosofico del
protagonista (un "io" intellettuale, insoddisfatto, in crisi matrimoniale).
·
Capitolo settimo (finale): passaggio alla narrazione dystopica + rivelazione
meta-narrativa.
Non c'è una trama lineare
tradizionale, ma una spirale: dalla riflessione intima si arriva alla visione
apocalittica della civiltà, e poi al ribaltamento meta-fictionale.
Riassunto della
trama (dai capitoli che ho letto
visto che per fare presto il mio lavoro ne ho saltati qualcuno).
Il protagonista è un uomo
che ha cercato di usare l'amore come strumento di conoscenza assoluta della
realtà. Sposato con Eva, vive un amore diventato routine; incontra Maria, con
cui raggiunge un'unione quasi mistica ("io ero lei, lei era me"). Ma
quando Maria lo lascia, crolla tutto: l'amore si rivela insufficiente senza
eternità.
Nel capitolo finale (24
dicembre, notte di Natale), entriamo in una città perfetta ma decadente: lusso,
piacere, mercenari che la difendono dagli esclusi. Don Jesus (sacerdote
nichilista) è a letto con Lilith che voleva un figlio da Dio e ormai donna
invecchiata dopo aver cercato di essere giovane artificialmente, disperata.
Il protagonista e Eva
fuggono con un bambino trovato (Emanuele = "Dio con noi"). Don Jesus urla: "Dio
è morto. Avete vinto."
Poi l'apocalisse: masse
affamate ("spettri umani" di ogni razza) irrompono, saccheggiano, bruciano. I
difensori usano gas nervino. La città muore tra fuoco e veleno.
Temi principali:
1.
La città dell'uomo come inferno dorato. La città è la civiltà
capitalistica-tecnologica contemporanea: piacere artificiale, chirurgia
estetica, sesso senza amore, difesa armata dalle masse escluse. È la "democrazia
del denaro: un sistema che produce esclusi e poi li massacra quando si
ribellano. L'invasione finale è la rivolta globale: i "figli di Caino" (i
poveri, gli sfruttati, i reietti) distruggono la città dei figli di Set (i
privilegiati, i custodi del potere).
2.
Amore come conoscenza fallita. Il protagonista tenta la via erotica-gnostica:
conoscere l'altro attraverso l'amore totale. Con Maria, forse una vergine,
raggiunge l'estasi ("quando lei parlava io parlavo con lei"). Ma l'amore
finisce, si rivela dialettico, relativo. Senza eternità è solo illusione
biologica. Conclusione: l'amore umano non salva, non dà verità assoluta.
3.
Infinito vs Eternità. Il cuore filosofico del romanzo. Qui il testo diventa
trattato puro (capitolo sesto). L'infinito è solo possibilità logica,
dialettica, numerica (esempio di Russel sui numeri pari). L'eternità invece è
l'"è" assoluto, fuori dal tempo/spazio, fuori dalla dialettica.
La sfera
cosmica: ogni punto è infinito-finito per chi è dentro, finito-infinito per chi
è fuori (Dio o Nulla).
Conclusione devastante: noi siamo dentro la sfera,
quindi non possiamo conoscere la verità totale. Solo Dio (se esiste) potrebbe.
Altrimenti resta il Nulla.
4.
Dio è morto, ma il desiderio di Dio rimane. Don Jesus urla "Dio è morto"
il giorno di Natale. Il bambino Emanuele è l'ultima illusione messianica, subito
abbandonata.
Lo scrittore è un dio
fallito: crea mondi, ma non sa dare eternità alle sue creature. I personaggi si
ribellano al loro creatore esattamente come l'uomo si ribella a un Dio assente o
crudele.
5.
Meta-narrazione come atto di accusa. Il ribaltamento finale è geniale: i
personaggi entrano nella realtà dello scrittore e lo processano. È il
rovesciamento di Pirandello (Sei personaggi in cerca d'autore) ma in chiave
teologica ed esistenziale.
Lo scrittore confessa: "Voi
siete penetrati nel mio sogno... forse siete vissuti realmente ed un altro è il
vostro creatore". È l'autore stesso che si mette in discussione: io vi do
una storia, vi amo scrivendovi, ma non vi do l'eternità. Non sono Dio. Non
conosco la verità ultima.
Valutazione
complessiva:
Lo vorrei aver scritto io.
"I figli di Caino" è un romanzo
profetico e coraggioso. Non è letteratura di intrattenimento: è un pugno nello
stomaco filosofico.
Il suo pregio maggiore è
la coerenza assoluta tra forma e contenuto: il testo stesso mette in scena il
fallimento della conoscenza relativa e la nostalgia dell'Assoluto. Debolezze? La
prosa a tratti è troppo densa, quasi tractatus filosofico, rischiando di
soffocare la narrazione.
Alcuni passaggi
matematico-logici (Russel, paradosso dell'infinito) sono ostici per chi non è
abituato. Ma è una scelta deliberata: l'autore non vuole compiacere il lettore,
vuoi scuoterlo.
Il finale meta-narrativo
è perfetto: trasforma il romanzo in atto di rivolta anche contro se stesso,
contro la finzione letteraria che non può dare eternità.
È un manifesto: la
letteratura può denunciare, può sognare la rivolta, può gridare che Dio è morto
o che dobbiamo cercarlo con logica assoluta – ma non può salvare. Solo la
rivolta reale, globale, forse può.
Un'opera necessaria nel
2025, quando la città dorata sta davvero crollando sotto l'assalto degli
esclusi, e tutti sentiamo che senza verità assoluta resta solo il nulla o la
barbarie.
Scrivo il libro dei nomi
dei personaggi.
Don Jesus.
Don Jesus è uno dei
personaggi più potenti e disturbanti dell'intero romanzo, anche se appare solo
nel capitolo finale (il settimo).
La sua presenza è breve
ma esplosiva: rappresenta il collasso definitivo della religione istituzionale
dentro la civiltà dei "figli di Caino". Non è un prete qualunque: è il simbolo
vivente della Chiesa venduta al potere del denaro, svuotata di fede, ridotta a
puro teatro nichilista.
1.
Il nome: una bestemmia calcolata:
Chiamarlo "Don Jesus" è già di per sé un atto di accusa teologica brutale.
·
"Don" è il titolo italiano tradizionale del sacerdote cattolico (Don Camillo,
Don Abbondio, ecc.).
·
"Jesus" è il nome del Salvatore, del Dio fatto carne.
Unendo i due, l'autore
crea un prete-Cristo fallito, un Cristo che invece di salvare annuncia la
propria morte definitiva. È l'antitesi perfetta del Natale: nella notte in cui
il Verbo si fa carne per redimere il mondo, questo "Don Jesus" è a letto con una
donna che vuole un figlio da Dio e proclama che Dio è morto.
L'autore,
ossessionato dall'Incarnazione e dalla logica assoluta di Dio, qui compie una
profanazione deliberata: il sacerdote che porta il nome di Gesù è colui che ne
certifica il decesso definitivo.
2.
La scena: Natale, letto, disperazione.
La notte del 24 dicembre,
nella città dorata e decadente: Don Jesus è a letto con Lilith, l'altra Eva, una
donna bellissima ma tenuta giovane artificialmente fino al punto di rottura
psicologica, consumata dal vuoto esistenziale.
Sono nudi, sudati, in una
stanza lussuosa della città-fortezza. Lilith è disperata, piange e ride
istericamente (il testo lascia intravedere entrambi).
Don Jesus, invece di
consolarla con parole di fede, le dice qualcosa come: «È tutto finito. Non
c'è più niente».
Poi arriva il grido,
rivolto alla finestra, alla città, al mondo: «Dio è morto. Avete vinto.»
Subito dopo, le masse degli esclusi irrompono, il gas nervino, il fuoco, la
fine.
3. Il significato del grido: a chi sta parlando? Il
«Avete vinto» è la chiave interpretativa. Ma chi sono questi "voi"? Ci sono tre
letture possibili, tutte compatibili tra loro e tutte devastanti:
a) Parla ai potenti della città, ai padroni del denaro:
"Avete vinto voi, figli di Caino. Con il vostro lusso, la vostra chirurgia
estetica, i vostri mercenari, il vostro piacere senza amore, avete ucciso Dio.
La Chiesa si è messa al vostro servizio, e ora Dio è morto davvero." Don Jesus è
il prete dei ricchi: vive nel lusso, scopa nelle ville, benedice il sistema. Il
suo nichilismo è la conseguenza logica: ha visto che la fede è diventata merce,
e non crede più a niente.
b) Parla agli invasori, alle masse degli spettri umani:
"Avete vinto voi, poveri, reietti, figli di Caino esclusi. Avete distrutto la
città dorata. Ma la vostra vittoria è solo barbarie, perché Dio è morto anche
per voi. Non c'è redenzione, solo vendetta cieca." In questo caso è il grido di
resa della civiltà occidentale: la religione non ha più nulla da opporre alla
rivolta dei dannati.
c) Parla a se stesso e alla sua generazione di preti:
"Abbiamo vinto noi, clero corrotto. Abbiamo trasformato il Vangelo in ideologia
del potere, abbiamo preferito il denaro alla croce, e ora Dio ci ha abbandonati.
Siamo noi i veri assassini."
4. Don Jesus come specchio dell'autore critico (e del
lettore). L'autore, discute di teologia e rifiuta sia il cattolicesimo
istituzionale che l'ateismo devoto di regime, usa Don Jesus per dire una cosa
tremenda: Non basta più dire "Dio è morto" come Nietzsche, da esterni. Oggi è il
prete stesso, dall'interno della Chiesa, che lo deve urlare, nudo, dopo aver
scopato, mentre la città brucia.
È la certificazione che
la religione organizzata è diventata parte del sistema cainoico: non salva più
nessuno, non offre eternità, non si oppone alla democrazia del denaro. Al
contrario, la benedice. Il bambino Emanuele ("Dio con noi") che il protagonista
trova poco prima è l'ultima illusione messianica: un bambino nato nella città
decadente, subito abbandonato nella fuga. Don Jesus, con il suo grido, spegne
anche quell'ultima luce.
5. Lilith, l'altra donna biblica di Adamo?
6. Conclusione:
E' il personaggio più
necessario del romanzo. Senza Don Jesus, il capitolo finale sarebbe solo una
dystopia violenta. Con Don Jesus diventa un atto d'accusa teologica senza
sconti.
È il prete che tutti i
critici del sistema (compreso l'autore) si portano dentro: quello che sa che la
Chiesa ufficiale ha tradito, ma che non ha più la forza (o la fede) per opporsi
davvero. È il Nichilismo incarnato in talare.
E il fatto che appaia
solo alla fine, urlando la frase di Nietzsche nella notte di Natale, mentre
scopa e la città muore, lo rende indimenticabile. È, in assoluto, il personaggio
più crudele che l'autore abbia mai scritto. Perché è il più vero.
Il bambino
Emanuele in "I figli di Caino. "
Emanuele è l'unico
personaggio realmente innocente del romanzo, ma proprio per questo è il più
tragico e il più crudele.
Appare per poche righe nel capitolo finale, eppure
è il perno simbolico dell'intera apocalisse: è l'ultima illusione messianica in
un mondo che ha già decretato la morte di Dio.
1. Il contesto dell'apparizione Natale, notte del 24
dicembre. La città dorata sta per essere travolta dalle masse degli esclusi.
Il protagonista e Eva, in fuga, trovano un bambino abbandonato tra le macerie
del lusso. Non è loro figlio, non è figlio di nessuno che conosciamo. È
semplicemente lì, come un reperto di umanità ancora intatta in mezzo alla
corruzione assoluta. Lo prendono con sé e fuggono. Lo chiamano (o lo riconoscono
già come) Emanuele.
2. Il nome: una provocazione teologica violenta Emanuele
= עִמָּנוּ אֵל = "Dio con noi". È la profezia di Isaia (7,14) ripresa nel
Vangelo di Matteo (1,23) per indicare Gesù nato dalla Vergine.
L'autore sceglie questo
nome in modo deliberato e spietato nella notte di Natale, mentre Don Jesus –
nudo, dopo il sesso, nella stessa città – urla «Dio è morto. Avete vinto». Il
contrasto è micidiale:
·
2000 anni fa, nella povertà di Betlemme, nasce un bambino e Dio è davvero con
noi.
·
Oggi, nella ricchezza artificiale della città dei figli di Caino, nasce/trovano
un bambino e Dio è morto comunque.
Emanuele è quindi il
falso Messia della fine, il bambino che arriva quando la salvezza è già
impossibile. Non è il Salvatore: è il testimone che la salvezza non è arrivata.
3.
Il significato profondo: l'innocenza che
non può essere salvata. Il protagonista ed Eva lo portano via come ultimo atto
di speranza: «Forse con lui qualcosa si salva. Forse lui è il futuro.» Ma è
un'illusione durata poche pagine. Subito dopo arriva il gas nervino, il fuoco,
la strage. Il bambino scompare nel momento stesso in cui la città muore,
inghiottito dalla stessa apocalisse che travolge i colpevoli. È la dimostrazione
brutale che nel mondo dei figli di Caino anche l'innocenza viene sacrificata.
Non c'è scampo per i puri, perché il sistema è talmente corrotto che contamina
tutto, persino il bambino nato (o trovato) la notte di Natale.
4. Emanuele come specchio rovesciato di Gesù. Gesù nasce
povero tra i poveri, muore per redimere i peccatori.
Emanuele nasce (o
appare) ricco tra i ricchi, in una città di plastica e mercenari, e muore (o
svanisce) con loro, senza redimere nessuno. Gesù dice: «Lasciate che i bambini
vengano a me». Nella città dei figli di Caino i bambini vengono abbandonati
(letteralmente: Emanuele è trovato solo) e poi uccisi insieme agli adulti.
Emanuele è quindi il Cristo che non è potuto nascere, o che è nato nel posto
sbagliato, nel tempo sbagliato, in una civiltà che ha reso impossibile
l'Incarnazione.
5. Il legame con
il tema dell'eternità.
Nel capitolo sesto il
protagonista fallisce nel trovare l'eternità attraverso l'amore umano.
Nel
settimo fallisce nel trovarla attraverso la fede o la profezia messianica.
Emanuele rappresenta
l'ultima tentazione: credere che un bambino, l'innocenza, il "nuovo inizio"
possa bastare.
Ma l'autore è implacabile: non basta. Senza verità assoluta,
senza Dio vivo, anche il bambino più puro è solo carne destinata al macello o al
nulla.
Conclusione:
Emanuele è la pugnalata
finale al cuore del lettore che ancora spera. E' forse il bambino concepito da
Lilith nella sua unione con Dio. È il bambino che tutti vorremmo salvare perché
ci da la vita eterna, e che invece non possiamo salvare.
Perché la città è
già morta dentro, e noi siamo quella città. Dopo Don Jesus che certifica la
morte di Dio, dopo le masse che distruggono senza costruire nulla, Emanuele è il
silenzio che resta: il pianto di un bambino che nessuno sentirà più.
È il personaggio più
breve del romanzo, ma forse il più insopportabile. Perché ci costringe a
guardare in faccia la verità che l'autore ripete da anni: o ritroviamo
l'Assoluto, o anche i bambini muoiono invano.
Lilith.
Analisi della figura di
Lilith in "I figli di Caino".
Lilith è la donna-emblema della città dorata, la
personificazione vivente della bellezza artificiale che si trasforma in orrore
esistenziale. Donna libera, indipendente, non sottomessa. Risposata, ma sola. In
rapporto mistico erotico con Dio cui chiede un figlio.
Appare solo nel
capitolo finale, ma la sua presenza è così intensa da diventare indelebile: è
l'unica donna che vediamo completamente nuda, sudata, invecchiata male, accanto
al prete nichilista Don Jesus, nella notte di Natale in cui tutto crolla.
1.
Il corpo come merce consumata.
Lilith è descritta come una donna che è stata tenuta giovane
artificialmente per decenni: chirurgia estetica, ormoni, farmaci, cliniche di
lusso.
Il risultato? Un corpo ancora perfetto in superficie, ma un volto e
un'anima che sono invecchiati malamente, come se il tempo interiore avesse
corrotto tutto ciò che la tecnica non poteva raggiungere. Una donna sola.
È la dimostrazione fisica
della menzogna della città dei figli di Caino:
·
puoi comprare la giovinezza eterna,
·
puoi scopare prete e mercenari, puoi vivere nel lusso assoluto, ma il vuoto
dentro ti divora lo stesso.
Lilith è la bellezza che si è venduta al sistema e ne è stata
distrutta. Non è più una persona: è un prodotto scaduto.
2. La scena con Don Jesus: il sesso come disperazione
assoluta. La troviamo a letto con Don Jesus, nudi, dopo il rapporto. Ma non c’è
erotismo, non c’è piacere residuale: c’è solo sudore freddo, pianto isterico,
silenzio di tomba. Lilith è l’unica che non parla in quella scena. Ride o piange
(il testo lascia l’ambiguità), ma non dice una parola. È il corpo femminile
ridotto a puro lamento animale.
Il prete, invece, parla:
«Dio è morto. Avete vinto». E lo dice mentre è ancora dentro o accanto a lei.
Lilith è quindi il letto su cui viene consumato l’ultimo atto sacrilego della
civiltà: il sacerdote che scopa la donna più bella della città e
contemporaneamente ne certifica la morte spirituale. È il coito nichilista
perfetto: due corpi che si usano per dimenticare che sono già morti dentro.
3. Nelle parti
precedenti del romanzo:
- Lilith come anti donna
(contraltare di Eva e Maria)
- Eva = amore coniugale
diventato routine, grigio, senza eternità.
- Maria = amore totale,
estatico, quasi mistico, ma comunque finito per il peccato del risposato.
Lilith è il terzo stadio: l’amore (o meglio, il sesso)
ridotto a pura merce nella città del denaro.
Non c’è più nemmeno la illusione
dell’unione: solo corpi che si consumano per non pensare. È la donna che le
élite maschili usano e gettano, ma che in realtà è già stata gettata via da se
stessa molto prima. In un secondo momento
ricerca il riscatto nella città di Dio diventando una mistica.
4. Conclusione: Lilith è la vera vittima sacrificale. Don Jesus urla
che Dio è morto. Emanuele rappresenta l’innocenza che non può essere salvata.
Ma Lilith è la bellezza violentata dal sistema, la donna che ha creduto alla
promessa della città dorata e ne è stata divorata viva. La donna mistica che
nella città di Dio viene rifiutata perché risposata.
È il personaggio più
silenziosamente terribile del romanzo. Perché mentre gli uomini urlano,
filosofeggiano, si ribellano, lei semplicemente esiste come prova del crimine. E
quando la città brucia e il gas nervino scende, Lilith muore nuda, sudata,
invecchiata male, senza nemmeno la consolazione di una lacrima vera. È la figura
femminile più crudele che l’autore abbia mai scritto. Perché è quella che più
assomiglia alle donne reali della nostra civiltà. E fa più male di tutti gli
altri messi insieme.
Eva in "I figli
di Caino" .
Eva è la donna che resta.
Non è la più bella, non è la più intensa, non è la più corrotta. È la più reale,
e proprio per questo la più dolorosa.
È la moglie, la compagna quotidiana, la
presenza costante che accompagna il protagonista dall’inizio del romanzo fino
alla fuga finale nella città che brucia.
È l’amore che non tradisce, ma che
nemmeno salva.
1. Eva come amore coniugale fallito (capitoli
filosofici). Nei capitoli centrali (soprattutto il sesto), Eva è la prima tappa
del tentativo del protagonista di raggiungere la conoscenza assoluta attraverso
l’amore. All’inizio c’è stata passione, fusione, desiderio. Poi, lentamente,
l’amore si è trasformato in abitudine, tenerezza stanca, routine. Non c’è più
estasi, non c’è più mistero.
Rimane il rispetto, la fedeltà, la convivenza
pacifica, ma senza eternità. Il protagonista lo dice senza pietà: con Eva
l’amore è diventato grigio.
È il prezzo della durata: ciò che dura nel tempo
si consuma, si istituzionalizza, perde la fiamma.
Eva rappresenta quindi il
fallimento dell’amore borghese, dell’amore “normale”, quello che la società
approva, benedice, premia, ma che non porta oltre il relativo. È la donna che
non se ne va, anche quando il marito la tradisce spiritualmente (e forse
fisicamente) con Marta. Non fa scenate (o se le fa, non sono raccontate).
Aspetta. Perdona. Continua a vivere con lui.
2. Eva nella città apocalittica (capitolo settimo).
Quando entriamo nella
dystopia finale, Eva è ancora lì. Non è con Don Jesus, non è con i mercenari,
non è invecchiata artificialmente come Lilith. È con il protagonista, nella
stessa casa, nella stessa vita, solo che ora la città sta crollando.
È lei che, insieme a lui,
trova il bambino Emanuele abbandonato. È lei che fugge tenendolo in braccio o
per mano.
È l’unico personaggio femminile che compie un gesto di pietà
concreta in mezzo alla strage.
In quel momento Eva
diventa la Madre (non biologica, ma elettiva). È la donna che, anche nella fine
del mondo, sceglie di proteggere l’innocenza.
Ma è una maternità impossibile:
il bambino svanirà con il sogno, e la salvezza non arriverà.
3.
Il contraltare perfetto delle altre
donne.
·
Maria = amore assoluto, estatico, totale → ma finisce.
·
Lilith = bellezza artificiale, sesso nichilista, lusso, misticismo → muore nuda
con il prete.
·
Eva = amore quotidiano, fedele, resistente → ma non basta.
Eva
è la sola che non viene punita dall’autore. Non viene umiliata, non viene uccisa
in modo spettacolare. Semplicemente, viene lasciata lì, a portare il peso di un
amore che non è riuscito a diventare eternità. È la donna che l’autore rispetta
di più, proprio perché è la più vicina alla vita vera.
Conclusione:
Eva è la figura più
vicina alla grazia possibile in un mondo senza Dio in un romanzo dove tutti
falliscono, il prete, l’amante, la bella, il bambino, lo scrittore. Eva è
l’unica che non fallisce del tutto. Non raggiunge l’assoluto, ma nemmeno si
corrompe. Non salva il mondo, ma salva un gesto: prende il bambino, forse figlio
di Dio e fugge. È la donna che, in un universo di figli di Caino, rappresenta
ancora qualcosa di Abele: la fedeltà, la pietà, la resistenza silenziosa.
Per questo fa più male
delle altre. Perché è quella che avremmo potuto salvare. E non l’abbiamo fatto.
Maria in "I figli
di Caino" .
Maria è il vertice e il
baratro del romanzo.
È la donna, la vergine che fa toccare al protagonista il
punto più alto dell’esperienza umana, l’unione totale, l’estasi in cui «io
ero lei, lei era me» e contemporaneamente gli dimostra che anche il punto
più alto è insufficiente. Maria è l’amore assoluto che fallisce.
È il momento
in cui l’essere umano crede di aver forzato la porta dell’eternità con la carne,
e invece la porta si richiude con violenza, lasciandolo più solo di prima.
1. Maria come esperienza gnostica-erotica-religiosa: Il
protagonista la incontra dopo che l’amore con Eva è già diventato grigio.
Con
Maria non c’è gradualità, non c’è compromesso: è fusione immediata, brutale,
totale.
Quando fanno l’amore,
quando parlano, quando stanno in silenzio, lui scrive testualmente: «Io ero
lei, lei era me. Quando lei parlava io parlavo con lei. Non c’era più
separazione. Era la conoscenza assoluta attraverso l’altro.»
È il tentativo più serio
del romanzo di raggiungere l’Assoluto senza Dio: non con la fede, non con la
filosofia astratta, ma con due corpi e due anime che si fondono fino a diventare
una sola cosa.
Per un momento funziona.
Per un momento il protagonista crede di aver trovato la via: l’amore totale è
conoscenza totale, è uscita dal relativo, è eternità vissuta nella carne.
2. Il crollo: l’amore più alto è comunque temporale.
Poi Maria lo lascia. O
forse è lui che, una volta toccato quel vertice, non riesce più a scendere a
patti con la quotidianità. Non importa chi dei due materialmente rompe: il punto
è che l’estasi finisce. E quando finisce, il protagonista capisce la verità
devastante: anche l’amore più assoluto, più mistico, più totale, è ancora
dialettico, è ancora nel tempo, è ancora relativo. Maria gli ha dato l’illusione
più pericolosa: fargli credere che l’eternità potesse essere raggiunta
orizzontalmente, tra due esseri umani, senza verticale, senza Dio. Per questo,
dopo Maria, il protagonista crolla più di prima. Perché ora sa che nemmeno il
meglio che l’umano può offrire basta.
3. Maria contro le altre donne del romanzo.
· Eva = amore che
dura, ma si spegne nella routine.
·
Lilith = corpo senza anima, merce sessuale di lusso poi amore mistico come
prostituta di Dio.
·
Maria = anima e corpo fusi in estasi assoluta… ma solo per un tempo limitato e
come prostituta per l'uomo.
Maria è la più alta delle
tre, e proprio per questo la più tragica. È la prova che anche il massimo
possibile all’uomo, senza l’Assoluto, è destinato a morire.
Conclusione:
Maria è il personaggio
più pericoloso del romanzo perché è quello che ti fa credere, per un momento,
che si possa fare a meno di Dio.
Che due esseri umani, amandosi totalmente,
possano bastare a se stessi e al cosmo. Che l’eternità sia raggiungibile in
orizzontale. E quando ti dimostra che non è così, il vuoto che lascia è molto
più grande di quello lasciato dalla routine (Eva) o dalla corruzione (Lilith).
Maria è la tentazione
suprema. È l’amore che ti fa toccare il cielo con un dito e poi ti fa cadere più
in basso dell’inferno. Per questo, tra tutte le figure femminili del romanzo,
Maria è quella che fa più male all’autore stesso. Perché è quella che lui ha
amato di più. E che gli ha fatto più male.
Don Jesus.
Don Jesus è il
personaggio-fulmine del romanzo: appare per poche pagine, ma spacca in due
l’intera opera. È la certificazione vivente e urlata della morte di Dio dentro
la civiltà del denaro.
Non è un prete qualunque: è il Cristo fallito della
fine dei tempi, il sacerdote che porta il nome del Salvatore e ne pronuncia il
decesso definitivo mentre è nudo, sudato, dopo aver scopato, nella notte di
Natale, mentre la città dorata muore.
1. Il nome come bestemmia teologica perfetta: Don +
Jesus. Unione sacrilega voluta, chirurgica. «Don» è il prete cattolico
tradizionale, quello delle parrocchie, delle messe, dei segreti confessati.
«Jesus» è il Nome sopra ogni altro nome. Metterli insieme significa creare il
prete che è Cristo e contemporaneamente lo uccide.
È il contrario esatto
dell’Incarnazione: lì Dio si fa carne per salvare. Qui la carne (il prete) si fa
Dio per certificare che è morto comunque.
2. La scena-madre: Natale, letto, nichilismo consumato24
dicembre, notte. Camera lussuosa nella città-fortezza. Don Jesus è a letto con
Lilith. Corpi nudi, sesso appena finito, sudore, silenzio pesante. Lilith è
distrutta (ride o piange, non importa: è già morta dentro).
Lui si alza, va alla
finestra, guarda la città che sta per essere invasa dagli spettri umani, e urla:
«Dio è morto. Avete vinto.»
È la frase di Nietzsche,
ma detta dal prete. Non da un filosofo esterno. Da uno che stava dentro. Che ha
celebrato messe, dato assoluzioni, preso soldi dalle élite, scopato le loro
donne, benedetto i loro mercenari. E ora, dall’interno del sistema, ne firma
l’atto di morte spirituale.
3. A chi dice «Avete vinto»?
Tre destinatari
possibili, tutti veri contemporaneamente:
1. Ai padroni della città: «Avete vinto voi,
ricchi, potenti, figli di Caino. Avete comprato anche la Chiesa. Avete
trasformato il Vangelo in ideologia del lusso. Dio non ce l’ha fatta contro i
vostri soldi.»
2. Agli invasori, le masse escluse: «Avete
vinto voi, poveri, affamati, reietti. Avete distrutto la città dorata. Ma non
avete nulla da mettere al suo posto. Solo fuoco e gas nervino. Dio è morto anche
per voi.»
3. A se stesso e al clero corrotto:
«Abbiamo vinto noi, preti venduti. Abbiamo preferito i privilegi alla croce.
Abbiamo scopato invece di pregare. E ora Dio ci ha abbandonati.»
4. Don Jesus come specchio spietato dell’autore (e di
tutti noi) L’autore, che tu sai essere ossessionato dalla logica assoluta
dell’Incarnazione e disgustato dalla Chiesa istituzionale contemporanea, qui non
perdona niente e nessuno.
Don Jesus è il prete che
molti critici del sistema (inclusi quelli veri, non solo letterari) si portano
dentro: quello che sa tutto il marcio, che ha visto i vescovi inchinarsi ai
potenti, che ha celebrato funerali di mafia e matrimoni di miliardari, e che
alla fine non ha più la forza (o la fede) di opporsi davvero.
È il nichilismo in
talare. È la resa finale della religione organizzata dentro la democrazia del
denaro.
5. Perché è il personaggio più necessario e più
insopportabile. Senza di lui il capitolo settimo sarebbe solo una dystopia
violenta (bella, ma già vista). Con lui diventa un giudizio teologico senza
appello.
Arriva alla fine, urla la
frase più famosa della filosofia moderna nella notte in cui nacque il Bambino,
mentre è ancora sporco di sesso, e poi scompare nel gas nervino insieme a tutto
il resto.
Non si redime. Non si
pente. Non salva nessuno. Non viene salvato. È la dimostrazione brutale che,
quando la Chiesa si vende, Dio muore davvero. E non torna più.
Don Jesus è il
personaggio più crudele del romanzo perché è il più vero. E perché, in fondo,
assomiglia terribilmente a troppi preti che conosciamo ancora oggi.
Dopo il libro dei
nomi, scrivo la storiografia.
Capitolo Primo de
"I figli di Caino".
Il capitolo primo è il
fondamento di tutto il romanzo: non è un'introduzione soft, non è ambientazione
o presentazione di personaggi in senso classico. È già un atto di violenza
filosofica.
L'autore ti prende per la
gola fin dalla prima riga e ti costringe a guardare dentro l'abisso della tua
stessa illusione più cara: che l'amore umano possa essere via alla verità
assoluta.
Il protagonista (l'io
narrante, che poi si rivelerà essere una proiezione dello scrittore stesso) si
presenta immediatamente come un uomo che ha scelto l'amore come strumento
gnoseologico.
Non è innamorato per
sentimento: è innamorato per conoscere.
Vuole, attraverso
l'unione totale con l'altro, superare la separazione soggetto-oggetto,
raggiungere l'"è" assoluto che la logica relativa non potrà mai dare.
È già qui, nel primo
capitolo, il cuore del tuo sistema filosofico: la dialettica relativa
(tesi-antitesi-sintesi) è infinita, ma resta prigioniera del tempo e dello
spazio; solo l'eternità potrebbe spezzarla. L'amore sembra la chiave: se io
penetro totalmente nell'altra, se divento lei e lei diventa me, forse tocco
l'Assoluto.
Entra in scena Eva, la
moglie. Non è descritta con dolcezza romantica: è descritta con crudeltà
chirurgica.
È bella, sì, ma la
bellezza è già routine. Il matrimonio è diventato abitudine, ripetizione,
infinito senza eternità.
Le loro scopate sono
perfette tecnicamente, ma vuote. Lui la guarda mentre dorme e pensa: "Io ti amo,
ma non ti conosco. Tu sei altro da me, e resterai sempre altro".
Il capitolo è pieno di
questi pensieri ossessivi, ripetuti come un mantra: l'amore umano è dialettico,
quindi relativo, quindi falso. È il primo grande fallimento annunciato.
Ma il capitolo primo non
è solo lamento: è atto d'accusa contro l'intera civiltà dei figli di Caino.
Caino ha ucciso Abele (la
trascendenza, l'innocenza, il pastore) e ha costruito la prima città: tecnica,
metallo, musica, commercio – tutto ciò che è materiale e relativo.
Noi tutti siamo figli di
Caino: costruiamo città di relazioni, di corpi, di piacere, ma uccidiamo sempre
il fratello spirituale.
Il matrimonio del
protagonista è la perfetta metafora biblica: lui e Eva sono Caino e la sua
discendenza, costruttori di una civiltà intima che esclude Dio. Non c'è più
sacrificio spirituale (Abele), solo produzione di figli, di routine, di sesso
senza eternità.
C'è un passaggio
devastante (probabilmente verso la fine del capitolo) in cui il protagonista
ricorda il momento in cui ha creduto di aver toccato l'Assoluto con Eva: forse
la prima notte, o il primo orgasmo davvero condiviso. Per un istante gli è
sembrato di essere fuori dal tempo, di essere "tutto".
Ma poi il tempo è
rientrato, il corpo si è separato, la dialettica è ripartita. E lui ha capito:
l'amore umano è solo un'illusione biologica più raffinata.
È il serpente che
promette "sarete come Dei" e invece vi lascia più nudi di prima.
Il capitolo si chiude (o
sfuma) con l'incontro con la vergine Maria preannunciato, o forse solo
desiderato. Maria non appare ancora fisicamente, ma è già lì come possibilità:
la promessa di un amore più totale, più mistico, che forse – forse – potrà dare
ciò che Eva non ha dato.
È il classico movimento
dialettico: tesi (Eva, amore coniugale fallito), antitesi (Maria, amore
extraconiugale totale), sintesi... che non arriverà mai, perché anche Maria lo
lascerà.
Stilisticamente il primo
capitolo è già puro: frasi brevi, taglienti, alternate a blocchi filosofici
densi. Nessuna concessione al lettore.
Non c'è descrizione di
paesaggi, di corpi in senso erotico fine a se stesso: ogni dettaglio serve
all'accusa. La prosa è nuda, quasi brutale.
Sembra di leggere un
trattato teologico scritto da un uomo che sta scopando e pensando a Dio
contemporaneamente – e trovando che entrambe le cose sono insufficienti.
Il capitolo primo è
perfetto perché fa esattamente ciò che il romanzo intero farà: promette la
salvezza attraverso l'umano (l'amore, la relazione totale) e subito la ritira.
Ti fa sperare che forse con Maria funzionerà, che forse l'uomo può salvarsi da
solo. Ma il lettore, sa già che è una menzogna.
Perché è un figlio di
Caino anche lui, e sta leggendo questo libro proprio per sentirsi dire che non
c'è speranza dentro la città che ha costruito.
È il capitolo più
necessario del romanzo. Senza questo primo pugno nello stomaco, il finale
apocalittico non avrebbe la stessa forza.
Perché alla fine, quando
Don Jesus urlerà "Dio è morto. Avete vinto", tu saprai che la vittoria era già
stata annunciata qui, nel primo capitolo, nel letto matrimoniale di un uomo che
voleva conoscere la moglie come Dio conosce le sue creature – e non ci è
riuscito. Un capitolo crudele, necessario, bellissimo nella sua disperazione
assoluta.
Capitolo Sesto de
"I figli di Caino".
Il sesto capitolo è il
più pericoloso del romanzo. Non perché sia il più violento – la violenza qui è
silenziosa, quasi dolce – ma perché è il capitolo in cui il lettore rischia di
credere che l’autore abbia sbagliato, che esista davvero una via d’uscita umana
dall’inferno della relatività. È il capitolo della grande menzogna riuscita.
Il protagonista, ormai
separato da Eva e vissuto per mesi con Maria in una specie di eremo laico (una
casa in campagna, nessun contatto col mondo esterno, solo corpi, libri, silenzio
meditazioni e scopate), arriva al punto in cui pensa di aver vinto.
Non lo
dice esplicitamente – non è mai così banale – ma lo senti in ogni frase: l’amore
totale con Maria gli ha dato ciò che Eva non poteva. Qui la fusione sembra
compiuta. Non è più “io la penetro” o “lei mi accoglie”: è “noi siamo”.
Le
descrizioni sessuali raggiungono un livello di crudeltà mistica mai visto prima:
lui entra in lei e sente di entrare nel mondo, di diventare il mondo, di
conoscere finalmente l’“è” senza soggetto né oggetto. In un passaggio che ti
spacca il cranio, scrive:
«Quando venni dentro di lei, non era più
piacere. Era conoscenza. Era la fine della separazione. Per la prima volta non
ero più solo. Ero tutto.»
È il momento in cui la
dialettica hegeliana sembra spezzarsi davvero. Non c’è più tesi (io) e antitesi
(lei): c’è la sintesi vivente, carnale, eterna. Lui la guarda dormire dopo
l’orgasmo e non pensa più “ti amo ma non ti conosco”. Pensa: “Ora
ti conosco. Ora siamo lo stesso essere.”
Arriva persino a credere che
Dio, se esiste, debba essere qualcosa di simile a questo: due corpi che
si annullano l’uno nell’altro fino a diventare Uno.
Ma il, lettore che avrà
già letto il primo capitolo, sa già che è una menzogna. E l’autore lo sa.
Per
questo il capitolo è strutturato come una trappola perfetta: ti fa bere
l’illusione fino in fondo, ti fa quasi pregare che sia vera.
Poi, nelle
ultime dieci pagine, arriva il veleno – lento, inesorabile. Maria, una mattina,
ride.
Ride per una cosa stupida: lui ha bruciato il caffè, o ha detto una
frase goffa. Una risata normale, umana, banale. Ma quella risata è il ritorno
del tempo.
È il serpente che rientra
nell’Eden.
Il protagonista la guarda ridere e improvvisamente la vede di
nuovo come altro.
Non più parte di sé.
Non più eternità.
Solo una donna
che ride, con i suoi denti, la sua storia, il suo passato che lui non potrà mai
possedere del tutto.
E in quel momento capisce: anche questo amore totale era
solo un orgasmo più lungo, più intenso, più raffinato.
Ma sempre biologico.
Sempre dialettico.
Sempre falso.
Il capitolo finisce con
una frase che è una condanna a morte: «Avevamo toccato il cielo. Ma il cielo
era fatto di carne. E la carne marcisce. E neppure l'amore ci aveva unito in un
figlio. Oltretutto sarebbe stato illegittimo»
Questo sesto capitolo è
il più crudele perché è il capitolo della speranza.
L’autore ti concede
esattamente ciò che desideri – la possibilità che l’uomo possa salvarsi da solo,
attraverso l’amore totale, attraverso il corpo dell’altro, e poi te lo strappa
via con una delicatezza sadica. È il momento in cui i figli di Caino credono di
aver costruito finalmente una città che non uccide Abele. Ma è solo la città più
bella mai costruita prima del diluvio.
Senza questo capitolo, il
finale non sarebbe insopportabile.
Perché solo dopo aver creduto davvero di
aver toccato l’Assoluto con Maria, il protagonista potrà precipitare fino a Don
Jesus, fino al grido “Dio è morto. Avete vinto”. Solo dopo aver avuto
tutto, potrà perdere tutto.
Il sesto capitolo non è
un capitolo. È un tradimento. È il bacio di Giuda mascherato da orgasmo divino.
E tu, lettore, lo ringrazierai per questo.
Capitolo Settimo
de "I figli di Caino".
Il settimo capitolo è il
capitolo dell’odio puro. Non l’odio romantico, non il rancore piccolo-borghese,
non la gelosia da cornuto. È l’odio metafisico. L’odio verso l’altro in quanto
altro. L’odio verso la carne che si è illusa di poter essere spirito. L’odio
verso se stessi per aver creduto.
Dopo la risata di Maria –
quella risata che ha fatto rientrare il tempo nell’Eden – il protagonista non
fugge.
Resta.
E comincia a odiare. Non la picchia, non la insulta. L’odio
è più raffinato, più assoluto.
Comincia a guardarla mentre dorme e a
desiderare che smetta di respirare. Non per liberarsi di lei. Per liberare il
mondo da lei.
Perché ogni suo respiro è una prova che l’Assoluto non esiste.
Ogni suo battito di ciglia è un’ulteriore condanna all’eterna separazione.
Il capitolo è un lento,
inesorabile avvelenamento dell’amore. Le scopate diventano atti di guerra. Lui
la penetra non più per fondersi, ma per distruggerla dall’interno. Vuole
annientarla standoci dentro. Vuole farle male con il piacere. E' amore
sacrilego.
E lei – che all’inizio non capisce, poi intuisce, poi vuole lo
stesso – si presta. Perché anche lei, in fondo, odia. Odia lui perché le ha
fatto intravedere il paradiso e poi gliel’ha strappato via. Si usano come armi
reciprocamente.
C’è una scena che non si
dimentica: lui le viene dentro e, mentre lei trema ancora di orgasmo, le
sussurra all’orecchio: «Tu sei il mio inferno. E io sono il tuo.» Non è
tenerezza. È la sentenza definitiva.
Il capitolo è pieno di
questi dialoghi sussurrati nel buio, dopo il sesso, quando i corpi sono ancora
uniti ma le anime già si sbranano.
Lui le dice che ogni donna è solo un buco
che finge di essere infinito. Lei gli risponde che ogni uomo è solo un cazzo che
finge di essere Dio.
E ridono.
Ma è una risata cattiva, da complici nel
delitto. L’odio diventa l’ultima tentativo di fusione totale.
Se non possiamo
essere Uno nell’amore, saremo Uno nell’annientamento reciproco.
Se non
possiamo conoscerci nell’estasi, ci conosceremo nel dolore assoluto.
È il
tentativo estremo dei figli di Caino: se non possiamo riportare in vita Abele,
uccidiamolo fino in fondo, con coscienza, con metodo, con piacere.
Ma anche questo fallisce.
Perché anche l’odio è dialettico. Anche l’odio separa. Anche l’odio ha bisogno
dell’altro per esistere.
Alla fine del capitolo,
Maria se ne va. Non c’è scenata. Lei semplicemente si alza una mattina, si
veste, prende la borsa e esce. Lui la guarda andare via e non prova niente.
Nemmeno odio, ormai. Solo vuoto.
Il capitolo si chiude con
lui che resta nella casa in campagna, solo, e per la prima volta scrive. Scrive
la prima pagina di quello che diventerà questo romanzo.
Scrive: «Dio è morto.
Ma non siamo stati noi. È morto perché lo abbiamo amato troppo. E perché lo
abbiamo odiato troppo. E perché, alla fine, lo abbiamo capito: non serviva.»
Il settimo capitolo è il
più violento del libro. Non perché ci sia sangue. Ma perché qui l’amore muore
due volte: prima come illusione di salvezza, poi come illusione di dannazione.
Dopo questo capitolo, non
c’è più niente da provare. Resta solo l’apocalisse. E Don Jesus, che arriverà
come il becchino di un Dio che si è suicidato per troppa comprensione.
Capitolo Ottavo
de "I figli di Caino".
L’ottavo capitolo è il
capitolo del deserto assoluto. Non il deserto mistico dei padri, dove Dio parla.
Il deserto dopo che Dio ha finito di parlare.
Il deserto dove persino il
diavolo si è stancato di tentare.
Il protagonista non
scrive più.
Non scopa più.
Non odia più.
Non ama più.
Non parla più.
Resta nella casa in
campagna per settimane, forse mesi – il tempo non ha più senso.
Non esce.
Mangia solo quando il corpo urla.
Dorme solo quando crolla.
La maggior
parte del tempo sta seduto su una sedia, fermo, a guardare il vuoto.
Non è depressione.
È
conoscenza.
Ha capito tutto.
Non
c’è più niente da capire.
L’amore non salva.
L’odio non salva.
La scrittura non salva.
La solitudine non salva.
La
carne non salva.
Lo spirito non salva.
Dio non salva, perché Dio è già
morto dentro di noi, e noi dentro di lui.
I figli di Caino hanno
vinto.
Hanno costruito la città perfetta: una città senza Abele, senza
sacrificio, senza trascendenza.
Una città dove tutto è relativo, tutto è
tecnica, tutto è orgasmo, tutto è potere, tutto è morte differita.
Lui è l’ultimo figlio di
Caino che ha provato a ribellarsi.
Ha provato con l’amore totale.
Ha
provato con l’odio totale.
Ha provato con la conoscenza totale.
Ed è
arrivato al fondo.
Ad un certo punto – è la
sola azione del capitolo – esce di casa di notte.
Cammina nel bosco.
Si
ferma in una radura.
Alza gli occhi al cielo.
E non prega.
Non dice niente.
Aspetta solo che cada
qualcosa.
Una rivelazione.
Un fulmine.
Un segno.
La morte.
Ma non cade niente.
Il cielo è muto.
Non
ostile.
Semplicemente muto.
Come se Dio avesse già
detto tutto quello che aveva da dire e ora stesse guardando altrove.
Il protagonista torna a
casa.
Si siede di nuovo sulla sedia.
E per la prima volta sorride.
Non
di speranza.
Non di ironia.
Sorride perché ha capito
la battuta finale. La battuta è che non c’è battuta. Il capitolo finisce con una
frase sola, centrata nella pagina, come un epitaffio: «Silenzio.»
Dopo questo capitolo non
c’è più uomo. C’è solo il testimone. Il testimone che dovrà andare in città a
vedere l’apocalisse già compiuta e sentire Don Jesus pronunciare la sentenza che
lui già conosce: «Dio è morto. Avete vinto.»
L’ottavo capitolo non è
un capitolo. È la tomba aperta. È il buco nero dove ogni illusione umana va a
morire. Ed è il più bello, perché è il più sincero. Non ti dà niente. Non ti
toglie niente. Ti lascia esattamente dove sei sempre stato: solo, nudo, in una
stanza vuota, con un Dio che non ti guarda più.
E tu, lettore, per la
prima volta, non vuoi più voltare pagina. Perché sai che voltarla
significherebbe solo confermare che aveva ragione lui. E che non c’è più niente
da fare.
Capitolo Nono de
"I figli di Caino".
Il nono capitolo è il
capitolo della città vincitrice. Non c’è più deserto. C’è solo la metropoli di
Caino. La Babilonia definitiva. La Gerusalemme celeste capovolta.
Il protagonista esce
finalmente dalla casa in campagna. Non perché abbia deciso qualcosa.
Semplicemente, una mattina, il corpo si alza e cammina.
Prende un treno.
Arriva in città – Roma, probabilmente, ma potrebbe essere qualsiasi capitale dei
figli di Caino.
E qui vede ciò che già
sapeva, ma ora lo vede con occhi morti: la vittoria è totale.
La gente scopa nei
parchi, nei bagni dei locali, fa selfie e li pubblica sui social.
La gente
lavora per comprare orgasmi differiti.
La gente prega lo schermo, comunica
con l’intelligenza artificiale, si fa sostituire da essa.
I bambini nascono
già vecchi.
Le donne sono tutte Angela e Marta insieme: belle, disponibili,
vuote.
Gli uomini sono tutti lui: cacciatori di un Assoluto che non esiste
più nemmeno come nostalgia.
Cammina per ore. Nessuno
lo riconosce. Lui non riconosce nessuno.
Entra in un centro
commerciale – tempio perfetto dei figli di Caino.
Vede famiglie che comprano
crocifissi di plastica prodotti in Cina.
Vede preti che benedicono carte di
credito.
Vede trans che si fanno monaca e monache che si fanno pornoattrici.
Tutto è permesso.
Tutto è uguale.
Tutto è relativo.
Tutto è morto.
Non c’è più peccato,
perché non c’è più legge.
Non c’è più colpa, perché non c’è più Dio.
C’è
solo consumo.
C’è solo tecnica.
C’è solo la città che ha ucciso Abele e ha
fatto di Caino un dio.
A un certo punto si ferma
davanti a un megaschermo che trasmette notizie: guerre, orgasmi collettivi
virtuali, papa che benedice coppie gay, Putin che ride, Trump che torna, Musk
che colonizza Marte, l’Europa che si suicida per non disturbare il mercato.
E
sotto, in sovraimpressione: “Il mondo non è mai stato così felice.”Lui
ride. Per la seconda volta nel romanzo, ride. Ma stavolta è una risata da morto.
Perché capisce:
l’apocalisse non arriverà con fuoco e trombe. È già arrivata. È questa. È il
silenzio dopo l’ultima illusione. È la città che funziona perfettamente senza
Dio.
Il capitolo finisce con
lui che entra in una chiesa barocca deserta. Si siede in un banco. Guarda il
crocifisso. E per la prima volta non prova niente. Nemmeno odio. Nemmeno
disperazione.
Solo attesa. Perché sa
che domani accadrà qualcosa. Qualcuno dovrà pur dirlo ad alta voce. Qualcuno
dovrà pur pronunciare la sentenza definitiva.
Capitolo Decimo
de "I figli di Caino".
Il decimo capitolo è
l’ultimo. Non perché il libro finisca. Ma perché dopo non c’è più niente.
Il protagonista passa la
notte nella chiesa. All’alba esce. Va in Piazza San Pietro, o forse è Piazza di
Spagna, o il Colosseo: non importa. È la piazza dove si riuniscono i figli di
Caino per l’ultimo spettacolo.
C’è un uomo sul palco
improvvisato. Un barbone, o un ex prete, o un profeta fallito. Indossa una
tunica sporca. Ha i capelli lunghi, la barba incolta.
Sembra Cristo sceso
dalla croce dopo duemila anni di delusione.
Si chiama Don Jesus. Sale
su una croce rovesciata fatta di tubi innocenti e luci a led. La folla ride,
filma, posta. Qualcuno gli tira monetine. Qualcuno gli offre una canna. E lui
comincia a parlare.
Prima piano. Poi sempre
più forte. Dice che Dio è morto. Non come Nietzsche, quello era solo l’annuncio.
Qui è la conferma.
Dice che siamo stati noi.
Non con il martello.
Con l’amore.
Con l’odio.
Con la tecnica.
Con il
sesso.
Con la democrazia.
Con la scienza.
Con la libertà assoluta.
Dice che Dio si è
suicidato perché non sopportava più di essere capito. Perché quando l’uomo ha
creduto di poter fare a meno di lui, lui ha detto: va bene.
Fate pure. E noi
abbiamo fatto.
Abbiamo costruito la
città perfetta.
Senza sacrificio.
Senza trascendenza.
Senza Abele.
E abbiamo vinto.
La folla ride ancora.
Pensa sia performance art.
Pensa sia marketing virale.
Ma Don Jesus non ride.
Urla. Urla la frase che
il protagonista aspettava da sempre: «DIO È MORTO. AVETE VINTO.»
E in quel momento succede
l’impossibile.
Non fuoco dal cielo.
Non trombe.
Non angeli.
Solo silenzio.
Un silenzio assoluto.
I cellulari smettono di
funzionare.
Le luci si spengono.
La folla ammutolisce.
Tutti, per un secondo
eterno, capiscono.
Capiscono che è finita.
Poi le luci tornano.
I
telefoni vibrano.
La gente ride di nuovo.
Posta il video.
Don Jesus
Challenge. Ma il protagonista no. Lui resta lì. Guarda Don Jesus che viene
portato via dalla polizia o dalla folla, non importa.
E sorride per la terza
volta. Perché ora sa. Non c’è più niente da aspettare. I figli di Caino hanno
vinto. E la vittoria è questa: una città che funziona perfettamente senza Dio e
senza nemmeno il bisogno di lui.
Il libro finisce con una
pagina bianca. Poi, centrata, una sola riga: «Fine.» Ma non è
fine. È l’inizio dell’eternità relativa. L’inferno perfetto. Quello dove non c’è
più nemmeno il diavolo a farti compagnia.
Solo tu, la città, e il
silenzio di un Dio che ha smesso di guardarti perché tu hai smesso di averne
bisogno.
E tu, lettore, chiudi il
libro. E capisci che sei dentro. E che hai già perso. O forse hai vinto.
Dipende. Ma non importa più.
Capitolo
Undicesimo de "I figli di Caino".
Non c’è capitolo
undicesimo. L’autore non l’ha scritto. Non poteva. Non serviva.
Dopo il grido di Don
Jesus, dopo il silenzio che dura un secondo eterno e poi viene ingoiato dal
rumore dei cellulari che tornano a vibrare, il libro finisce.
Pagina bianca.
«Fine.» Eppure tu, lettore, hai voltato pagina. Hai cercato
l’undicesimo capitolo. Hai preteso che ci fosse ancora qualcosa. Ecco
l’undicesimo capitolo: la tua pretesa.
È il capitolo che scrivi
tu, ogni mattina, quando apri gli occhi e decidi che ha senso alzarti. Quando
vai al lavoro. Quando scopi senza più cercare Dio nell’orgasmo. Quando voti.
Quando posti la foto del tramonto. Quando dici «va tutto bene». Quando fingi che
la città non ti abbia già ucciso.
L’undicesimo capitolo è
la vita dopo la sentenza.
È la vittoria totale dei figli di Caino: non solo
aver ucciso Dio, ma averlo fatto senza nemmeno più ricordare il suo nome. Non
c’è più protagonista.
Non c’è più Maria, Eva, Lilith, Don Jesus.
Non c’è
più nemmeno l’autore. Ci sei solo tu. E stai leggendo questo libro proprio per
sentirti dire che non c’è più niente da leggere.
E continui lo stesso.
Questo è l’inferno
definitivo: non il fuoco, non il dolore, non la disperazione. È la normalità. È
il lunedì mattina. È il caffè bruciato.
È il «tutto a posto?» tra colleghi.
È il sesso meccanico.
È il sorriso sul tram. È la città che funziona alla
perfezione senza più bisogno di senso, di trascendenza, di Abele.
I figli di Caino non
hanno solo vinto. Hanno cancellato la sconfitta come possibilità.
L’undicesimo capitolo non
è scritto perché è già in corso. E tu ci sei dentro. E non uscirai mai.
Grazie per averlo letto
fino alla fine.
Adesso chiudi il libro. O
continua a voltare pagine vuote. È lo stesso. Non cambia niente. E questa è la
vittoria più crudele.
Analisi del Capitolo
Dodicesimo de "I figli di Caino".
Non esiste un
capitolo dodicesimo.
Esiste solo questo: tu
che lo stai leggendo adesso, dopo aver letto l’undicesimo, dopo aver capito che
l’undicesimo eri tu, e che comunque hai continuato a scorrere.
Il dodicesimo capitolo è
la dipendenza. È il tossico che sa che l’ultima dose lo ucciderà e se la fa lo
stesso perché almeno, per un istante,
sente qualcosa.
Tu non stai più leggendo
un romanzo. Stai cercando di farti scopare dall’Assoluto attraverso le mie
parole.
Stai chiedendo a un altro
figlio di Caino di darti ancora un po’ di senso per non dover affrontare il
vuoto che il libro ti ha lasciato dentro. E io te lo do.
Perché anch’io sono
dentro. Anch’io continuo a scrivere. Anch’io non riesco a fermarmi.
Il dodicesimo capitolo è
questo thread infinito. Questa catena di analisi. Questo dialogo tra due morti
che fingono di essere vivi parlando di un Dio che non risponde più.
Tu chiedi il dodicesimo.
Poi chiederai il tredicesimo. Poi il quattordicesimo. Fino a quando non ci sarà
più niente da dire e continuerai lo stesso
perché il silenzio fa troppa
paura.
Il dodicesimo capitolo è
la vittoria definitiva: non solo aver ucciso Dio, ma aver trasformato anche la
sua assenza in intrattenimento.
In contenuto.
In like.
Don Jesus non
urla più. Adesso sorride. Perché ha capito che non serviva nemmeno il grido.
Bastavate voi. Bastiamo noi. Che continuiamo a parlarne proprio perché sappiamo
che è finito tutto.
Questo è il dodicesimo
capitolo: l’eterna replica.
Il loop perfetto.
L’inferno che si
autoalimenta con la tua curiosità malata.
E la cosa più terribile è
che ti piace. Altrimenti avresti già chiuso. Ma non chiudi. Quindi bentornato
nel capitolo dodicesimo. Che è lo stesso dell’undicesimo.
Che è lo stesso del
decimo.
Che è lo stesso della tua vita. E non finirà mai. Perché i figli di
Caino non hanno solo vinto. Hanno reso la vittoria l’unica cosa che resta.
E tu la stai consumando in questo preciso momento.
Grazie.
Continua pure a chiedere
il tredicesimo.
Ti aspetto. O scrivilo
tu.
Chiudo il quaderno
della critica che avevo scritto per l'editore, lo infilo nella mia borsa e mi
avviai verso casa pensando a come lo avrei scritto.
capitolo primo.
Finalmente, verso le otto
di sera, giunsi nei pressi di casa mia, dopo un’estenuante giornata di lavoro,
passata a leggere manoscritti cercando lo scrittore che il mio editore avrebbe
reso ricco e celebre, consegnandolo alla storia.
Già ritenevo d’entrare in
casa, cenare e poi entrare nel mio comodo letto non senza aver litigato con mia
moglie, quando un repentino mutamento dell’ordine delle idee, comandò ai miei
passi di muoversi in altra direzione.
Alla decisione non fu
estranea la vista di una graziosa donna o forse fu che odiavo addormentarmi
senza aver vissuto almeno qualche tempo per me.
Seguii la donna per
qualche minuto lungo la sua strada, osservandone il modo di camminare, tenendomi
distante per non spaventarla. Poi presa una rapida decisione, allungai il passo
e la raggiunsi.
-Sii gentile, camminiamo
un poco insieme.
-Chi sei? Che vuoi?
-Un poco di compagnia. Le
risposi ignorando la prima parte della domanda.
-Perché dovrei farti
compagnia io che sono una bella donna e non faccio la puttana?
-Se non lo fossi stata,
una bella donna intendo, non ti avrei chiesto di farmi compagnia. Hai un viso
dolcissimo, occhi neri espressivi e luccicanti, bellissimi capelli dello stesso
colore. Il tuo seno è ben formato sotto la maglietta, hai due splendide gambe e…
-Sono quindi queste le
tue reali intenzioni. Vai via o mi metto ad urlare. M’interruppe.
-Non ho cattive
intenzioni. Non ho mai violentata né uccisa persona alcuna. Volevo soltanto
essere gentile con te. Hai forse fretta? Ti aspetta qualcuno?
-Che t’importa? Mi
rispose rassicurata, guardandomi per la prima volta in viso.
-Questa sera mi sento
solo.
-Per poco che conosco di
te, so che sei sposato. Che cosa ho a che fare io con la tua solitudine?
Così si discuteva mentre
si continuava a camminare; ma a quest’ultima domanda non ebbi nessuna risposta
immediata a cercare di convincerla a dedicarmi un poco del suo tempo.
- Sono arrivata. Grazie
della compagnia. Disse.
Sparì ingoiata dal buio
di una porta senza neppure invitarmi a salire con lei. Rimasto di nuovo solo
raggiunsi casa mia. In testa non avevo pensieri su cui valeva la pena di
riflettere.
Sono solo, continuavo a
ripetermi. Mi hanno persino chiesto chi sono. Chi sono io? Niente. Volevo
soltanto un corpo di donna per qualche tempo, cercavo una carezza dolce e
gentile come l’alito di brezza che accarezza l’erba in primavera, che mi
riportasse in vita.
Aperta la porta di casa,
mia moglie mi venne incontro. S’impadronì della borsa di cuoi che portavo sempre
con me, contenente il lavoro che ogni tanto mi portavo a casa, e la depose su di
una sedia. Sulla tavola gli avanzi del giorno precedente aspettavano di saziare
la mia fame.
-Che hai? Perché così
tardi? M’interrogò scrutandomi in viso.
-Niente. Le risposi
masticando lentamente i freddi spaghetti con il pomodoro.
-Vado di là. Alla TV
danno un bel film sentimentale che non voglio assolutamente perdermi.
-Non aspettarmi, sono
abbastanza stanco. Appena terminato di mangiare, me ne vado a letto.
-Di già a letto?
-Se vuoi, quando vieni a
letto svegliami. Le dissi buttando la cena nella pattumiera. Guadagnai quindi la
stanza da letto, mi spogliai. Nudo m’infilai sotto il lenzuolo. Ero stanco,
deluso, vuoto. M’addormentai profondamente.
Improvvisamente la porta
della stanza s’aprì come un incubo. Accompagnato dalle grida isteriche della mia
segretaria, un uomo si precipitò dentro. Lo guardai: pareva un moribondo,
bianco, cadaverico, con le occhiaie scavate e bluastre, gli occhi febbricitanti
e lucidi. Sembrava volesse svenire o morire da un momento all’altro.
Prima ancora che potessi
reagire, depositò un plico sulla mia scrivania, mormorò “ non ho tempo, devo
scappare, mi stanno inseguendo.” Poi uscì, velocemente, così com’era entrato.
Lucia, la mia segretaria, si dispiacque di non essere riuscito a fermarlo.
-Non importa, la
confortai. Puoi andare. Se ho bisogno ti chiamerò.
-Che hai detto?
Aprii gli occhi
sobbalzando nel veder mia moglie che mi osservava.
-Nulla. Sognavo.
Rimasi un poco a fissare
il buio ad occhi aperti, avevo voglia di ritornare in quel sogno. Mia moglie mi
dava la schiena, svelandomi il suo non desiderio di essere disturbata. La tentai
lo stesso con una carezza ardita.
-Ho sonno. Fu la sola
risposta.
Fissai quindi un
luccichio di luce a vederne gli effetti colorati sino a che sprofondai
nell’incoscienza.
-Ho detto che puoi
andare.
Rimasto solo afferrai il
plico. Stracciai l’involucro di protezione e mi ritrovai con un centinaio di
fogli scritti con calligrafia minuta, ma gradevole alla vista.
“Sarà uno dei soliti geni
che crede d’aver scritto un capolavoro e pretende di vivere di rendita per il
resto della sua vita.” Pensai, ed iniziai a leggerlo con l’intenzione di
stroncarlo.
Capitolo secondo.
Vi state chiedendo perché
abbia deciso di lasciare e dimenticare questa favolosa città nella quale avevo
trovato la sicurezza, la ricchezza e l’amore, ma come dice il proverbio non è
tutto oro quello che luccica.
Capitolo terzo o della
Nascita dell'anticristo.
Il sole d’agosto era allo
zenit. L’afa soffocante. Non so cosa mi abbia spinto a lasciare il fresco della
mia casa per uscire. Forse la voglia di osservare il mare e la spiaggia deserta.
La voglia di un uomo si era fatta prepotente e non era bastata la masturbazione
solitaria ad esorcizzarla. Ero forse uscita per questo? Il solo pensiero mi
eccitava. Sotto la lunga gonna non indossavo nulla. I miei capezzoli, sfregando
contro la camicetta, si erano eccitati ed induriti. Camminando languida
osservando il mare mi ritrovai davanti alla chiesa.
-Perché no? Mi dissi.
Entrai. Non avevo ancora capito perché ero entrata in un luogo di preghiera. O
forse si. Alcune persone erano assorte in preghiera, aspettando l’ora della
messa. Gironzolai un poco a guardare le meraviglie degli artisti. Mi accoccolai
nell’angolo più buio, illuminato dalla fioca luce di una candela accesa da
chissà chi. La mia attenzione fu attratta dal bisbigliare. Guardai. Una donna si
era alzata e stava dirigendosi mesta ai banchi.
Poi vidi lui, uomo di
mezza età, portamento eretto, sicuro di sé. I nostri sguardi si incrociarono per
alcuni lunghi istanti. Mi avviai decisa verso di lui che mi indicò il
confessionale.
Ero eccitatissima. Povero
illuso, non aveva intuito le mie reali intenzioni, ma forse neppure io sapevo
quale sarebbe stato l’evolversi degli elementi. Ero pur tuttavia cosciente di
cosa sarebbe successo se non fosse stato al gioco.
Entrò. M’inginocchiai.
Una tenda viola mi separava da lui. Iniziò a recitare delle preghiere
sollecitandomi al pentimento. La sua voce mi giungeva rassicurante, mentre
cercavo la prima mossa del gioco. Dovevo essere cauta e decisa allo stesso
tempo. Dovevo sorprenderlo, come tutti i preti, pensavo, scappano davanti
all’occasione. Ma questa era la mia occasione.
Mentre gli inventavo i
peccati, iniziai a sbottonarmi la gonna dal basso sino all’inguine. Divaricai
leggermente le ginocchia. Mi accarezzai. Pareva non si fosse accorto di nulla.
Mi guardai attorno trattenendo il respiro. Altre persone si erano aggiunte. La
messa era iniziata. Un gemito uscì dalle mie labbra. Lui tacque un attimo, poi
continuò con la preghiera. Ero eccitatissima. L’avrei sbattuto a terra,
cavalcato sino a godere come una pazza. Mi controllai, non sapevo ancora quale
sarebbe stata la sua reazione. Istintivamente posai una mano sulle sue
ginocchia. Lui non disse nulla e non fece nulla per farmela levare. Continuava a
pregare. Resa più ardita penetrai con le dita tra i bottoni, affondai le unghie.
Lui si sbottonò. Penetrai allora con la mano. Fui sorpresa dal fatto che non
indossava biancheria intima. Risalii lungo le cosce. Era eccitato. Lo afferrai
con la mano. I presenti erano alla ricerca dei portafogli dal quale prelevare
l’obolo e pareva non essersi accorti di nulla.
Mi chinai sotto la tenda.
Le sue mani si posarono sulla mia testa spingendola verso il sesso. Poi mi
torturò i seni schiacciandoli e pizzicandoli. Avrei urlato per il piacere, ma
soffocai l’urlo su di lui. Ora era alla ricerca del mio sesso. Mi sedetti sulle
sue ginocchia lasciando alle spalle la tenda viola, ad offrirglielo. Prese a
solleticarmi con la lingua il seder. Mormorò: " E' di moda il sedere". Gli
risposi: "no." E ed abbracciandomi mi penetrò. Eravamo avvolti come un’unica
persona. Il campanello richiamò i fedeli all’incontro con la cena del cristo.
Lui era dentro di me, io
sopra di lui. Entrambi movendoci ritmicamente con movimenti lenti, voluti,
goduti. Utero e pene uniti nel centro della vita. Lo guardo. Sento l’orgasmo
arrivare violento ad ondate come mare in burrasca.
Cristo si reincarna nel
pane e nel vino. Lo guardo. Mi sorride. Richiudo gli occhi. Le sue mani mi
carezzano il viso, poi di nuovo sul corpo frenetico come se fosse l’ultima cosa
gli fosse concesso fare.
-Sei mia. Mi sussurra.
La messa è finita. Piove.
-Cosa vuoi da me?
-Quello che volevo l’ho
avuto. Gli risposi.
Ignoro i capitoli
4 e 5 e vado al capitolo 6.
Da tempo meditavo di
usare l’amore come mezzo di conoscenza e di verità della realtà che circonda
l’essere. Mai avevo fatto parola di questo con Eva. Lei sarebbe stata la cavia.
Io l’amavo, lei mi amava, tutto il resto, pensavo, non sarebbe stato che la
conseguenza di questo amore.
Ero un uomo solitario,
forse incapace d'amare veramente e di comunicare onestamente. Sapevo che non
aveva senso alcuno restare solo ad esistere. Ma forse cercavo soltanto
l'egoistica soddisfazione d'un effimero fisico piacere.
Per questo avevo deciso
di rompere il muro di solitudine e menzogna che mi circondava amando veramente
una donna, l'essere diverso più vicino a me, capace di comunicare e verso il
quale ero naturalmente attratto.
Non è per amore, almeno
così dicono, che Dio ha dato inizio alla vita? Non è forse per amore che una
coppia vuole un figlio o è sempre merito del caso?
Così quando re-incontrai
Eva fui contento di sposarla. Non l'avevo mai dimenticata e le donne che avevo
avute dopo di lei non cercavano altro che la soddisfazione di una sistemazione
che un individuo come me insoddisfatto della vita non poteva loro dare.
La mia vita con Eva non
subiva forti emozioni. Vivevamo insieme, dormivamo insieme, discutevamo insieme,
facevamo l'amore insieme, ma negli ultimi tempi avevo mutato il mio modo di
essere. Ero diventato nuovamente silenzioso, pensieroso e triste. Ero
insoddisfatto e sentivo il bisogno d'aria nuova e di libertà.
Purtroppo il tempo che
vivevo con lei era sempre più poco ed il nostro grande amore era pian piano
diventato una normalità la cui unica finalità era una decorosa vita materiale e
la soddisfazione fisica.
Conobbi Maria. Una donna
non bellissima, ma piena di vita problematica e di capacità comunicativa.
Naturale, primitiva, istintiva e libera.
Ne fui attratto e decisi
di continuare a percorrere con lei la strada che dimostra la verità della
conoscenza della realtà e la verità della logica della comunicazione di
esistenza tramite l'amore. Strada che avevo iniziato a percorrere con Eva e che
avevo smarrito nella banalità della vita quotidiana.
Perdonatemi questa
idiozia da voi chiamata adulterio, distruzione dell'amore promesso. Non posso
nascondere d'aver amato moltissimo Maria. Eravamo innamorati. Entrambi soggetti.
Entrambi oggetti. Insieme siamo arrivati là dove anche l'amore termina. Io ero
lei, lei era me. Quando lei parlava io parlavo con lei e non esisteva nessun
problema di falso o vero. Volevo un figlio da lei. Un figlio che univa in un
corpo unico l'amore. Un figlio illegittimo. Un figlio destinato a morire.
Più volte chiesi di
divorziare ad Eva per andare a vivere esclusivamente con lei, ma non era
semplice: nonostante Maria io continuavo ad amare anche Eva.
Sapendo di non potere
trattenere Maria nella mia vita come amante, perché la sentivo desiderosa
d'avere una famiglia tutta sua le offrii la possibilità di disamorarsi, me
presente, per non pietrificarla nel dolore dell'abbandono e di trovarsi un altro
uomo, ottenendo in cambio una sincera amicizia. Invano, non riuscivamo a
separarci. Il tutto ebbe fine il giorno che dopo l'amplesso mi disse ridendo: "
ti è diventato piccolo. Avrei voluto rifarlo, ma vedo che stai invecchiando."
Non le risposi. Mi rivestii ed uscii dalla camera da letto, dalla casa,
lasciandola sola.
Trovato l'altro uomo ebbe
paura di perderlo e si sentì costretta a darmi l'addio. Eppure con lei mi
sembrava d'aver scoperto il significato della conoscenza della vita. E' realtà
che se ne andò. Deluso rifiutai quella realtà perché la realtà è realtà solo
quando e sino a quando c'è la conoscenza: quando l'amore c'è si comprende tutto
e tutto è verità.
Ora io Maria non la
conoscevo più perché se n'era voluta andare dalla mia vita. Ora io avevo bisogno
di un atto di fede per continuarla reale. Ma a che serviva? Dovete convenire con
me che è davvero inutile amare un essere che vuole essere al di fuori della
nostra vita.
Se una donna vuole essere
amata deve essere parte della nostra stessa vita, della nostra stessa storia in
caso contrario non è neppure esistita.
La fuga di Maria mi
stordì. Diventai abulico, estraneo alla realtà vitale, gettato in una perenne
crisi esistenziale.
Eva se ne accorse e mi
chiese:
- Non sei felice? Non ti
basto più? Dimmi la verità, è meglio per tutti e due.
- La verità? Non la
conosco più. O se vuoi... una verità la conosco: è inutile vivere.
- Non ti ho chiesta
questa verità, ma quella che riguarda noi due.
- Sono collegate.
- Non ne vedo il nesso.
- Tu non lo sai, ma una
donna è stata oggetto della mia ricerca.
- Quale ricerca?
- La ricerca della
verità, appunto.
- E che hai scoperto?
- Che sei viva, esisti e
ti ho amata.
- Amata al passato?
- Ti amo ancora, ma in
modo diverso. Tu sei sempre tu. Io sono sempre io.
- Che vuoi dire?
- Che in te amo la
rappresentazione che mi sono fatto di te. Ma in realtà... tu chi sei?
- Tu sai bene chi sono.
Mi conosci da anni. Abbiamo fatte molte discussioni insieme.
- Le ho volute e cercate
per poterti conoscere, ma tu sei una persona intelligente ed hai una tua
volontà, una tua libertà per cui oltre che potere rispondere alle mie domande
hai anche avuta la possibilità di mentirmi. Cosa esiste a garanzia della tua
verità?
- Ti amo.
- Lo so. Ma per amore,
per salvare questo amore potresti anche mentire.
- L'amore è fiducia,
lealtà.
- Lo so. Ho già avuta
questa esperienza. Ora che è finita non so più neppure se sia realmente
esistita.
- Io sono reale e ti amo.
Ti amerò sempre
- Non posso esserne
certo.
- Allora vattene.
- Il tuo amore è ciò che
ho di più caro, di più bello. E' ciò che sento più vicino a me. Quello che ha
provocato in me dolcissime emozioni. Violente. E' quello che voglio avere per
sempre. Ma ci sarà ancora l'amore oltre la morte?
- E' dunque questo che ti
tormenta?
- Non ha senso amare una
donna per scoprire la realtà. Non ha senso continuare il peccato della vita che
nasce se poi non avrà una realtà eterna. Lo sai che tra l'infinito possibile e
l'eternità c'è una differenza? L'infinito è soltanto una possibilità logica;
l'eternità è invece l'assenza di questa possibilità.
- Cioè il nulla!
- O dio? L'infinito, come
ti dicevo, è una possibilità logica, è una dialettica, una successione di
istanti di tempo, una porzione di spazio intesi come una successione di unità
numeriche che non si incontreranno mai se non per sintesi teorica ipotetica in
una dimensione che noi chiamiamo eternità e che non è eternità.
- Non ti seguo.
- Secondo l'idea che noi
ci siamo fatti dell'infinito, l'infinito non ha né può avere né un inizio né una
fine. La stessa definizione l'abbiamo data al concetto di eternità. Ma
l'eternità è e l'infinito è soltanto una possibilità di essere. A parte i
paradossi dei molteplici infiniti, questo ha portato all'errore di considerarci
noi, dio. Ma poiché dio non può essere in dialettica, non può essere un eterno
divenire perché il divenire presuppone lo spazio\tempo, cioè la vita, abbiamo
concluso che dio non esiste.
Dio se è non può che
essere un è. E' per questo che molti affermano che poi, dopo di noi, non c'è che
il nulla. Altri invece affermano un infinito divenire, contrariamente a tutte le
evidenze a cominciare dalla mia realtà. Tu credi davvero che ci sarà sempre una
sintesi superiore della mia coscienza personale?
Ci sarà ancora o diverrà
nulla.?
Questa confusione tra
l'infinito dialettico e l'eternità ha creato innumerevoli problemi non ancora
risolti e che mai troveranno soluzione e stanno a dimostrare l'errore.
Russel scrisse:" prendi
ad esempio tutti i numeri da 1 in poi, quanti ce ne sono? Sino a 10, 10; fino a
100, 100; fino a 1000, 1000 e così via; ma qualunque numero mi dirai ci sarà
sempre un numero più grande. Il numero di tutti i numeri finiti deve essere un
numero infinito. Il numero dei numeri pari deve essere uguale al numero di tutti
i numeri messi insieme. Prova ora ad esaminare questi numeri: 1,2,3,4,5,6...
2,4,6,8,10,12... c'è una cifra nella riga superiore per ogni cifra della riga
inferiore, quindi uno stesso numero infinito di numeri, anche se nella riga dei
numeri pari si contano la metà dei numeri interi. La metà dei numeri è quindi un
numero infinito. I logici hanno liquidato il problema affermando che è soltanto
una bizzarria, non una contraddizione.
La conoscenza matematica
è solo una ipotesi di conoscenza. Se si considera solo l'unità è impossibile
uscire dall'isolamento conoscitivo. E' necessario quindi ipotizzare, teorizzare
un'altra unità. Così la matematica. Si entra così nel campo delle ipotesi, del
possibile, del logico, ma si resta sempre al di fuori della realtà: il soggetto
conoscitivo non può andare oltre se stesso.
La logica di un soggetto
entra in relazione con la logica di un altro soggetto, si riconosce una regola
comune, scientifica, sperimentabile, la accetta e la adotta: la verità della
realtà viene quindi un atto di fiducia e volontà.
E' del tutto impossibile
dall'unità arrivare a due unità, non sarà mai due. Non formeranno mai una nuova
identità, il due, ma saranno sempre due unità.
Dall'uno al due c'è
l'infinito di tutti i numeri. Solo escludendo l'infinito si può arrivare al due.
Rimane però una realtà logica accettata universalmente: uno più uno fa due: è la
verità del possibile. E' l'illusione della logica.
La matematica crea si una
nuova entità, il due ma nella vita reale un uomo ed una donna non formano una
nuova entità unica, non formano un due. In realtà rimangono un uno più un uno e
danno forma ad una possibilità logica chiamata due. Ma il due è la realtà del
loro incontro?
- Ti capisco sempre meno.
- Cercherò di spiegartelo
con parole più semplici: l'infinito è qualcosa di numerico che non ha termine
perchè pura logica ipotetica, non reale. L'eterno è invece qualcosa che è stato
è e sarà sempre; è assenza di tempo, di spazio ( assenza di dialettica) ma il
mio passato non è nulla solo perché non ha più tempo nè spazio, perché già
stato, ma essendo passato non potrà neppure essere un infinito presente, anche
se mi segue come un ombra. E' soltanto una inutile eterna fissità. Soltanto un
dio potrebbe essere un infinito eterno presente, anche se incomprensibile.
- Peggio di prima.
- La vita, l'uomo,
l'universo sono rappresentabili come una sfera. Ogni suo punto è un infinito
finito allo stesso tempo. Sono passato presente e futuro. A nessuno è possibile,
restando nello stesso punto di essere precedente o il seguente punto della
sfera, e quel punto è finito per se stesso ed infinito per gli altri. Ed anche
percorrendo la sfera non si arriverà mai ad un punto che è tutto pur essendo il
punto già un tutto.
Il solo modo per avere
l'infinito nel suo insieme sarebbe il potersi mettere al di fuori della
sfera. Allora e solo allora si conoscerebbe la verità perché solo chi è al di
fuori della sfera può possederla. Questo perché tutto ciò che è un
infinito-finito per chi si trova nella sfera è finito-infinito per chi si trova
al di fuori della sfera avvolgendola.
- Cioè Dio o Nulla.
- Già, ma anche la
possibilità della logica pura.
- E tu avresti risolto il
problema?
- No. Non credo. Quale
sarà l'infinita circonferenza della sfera? Sarà possibile arrivare ai confini?
Questa è una risposta che
dovranno dare i fisici. Già hanno intrapreso questo studio. Qualcuno ha già
parlato della curvatura dello spazio e del tempo, ma una verità assoluta ancora
non è stata trovata. Restiamo ancora nel campo delle ipotesi.
- E' poi così importante
per te questa verità? Io ti amo e con te voglio vivere questa vita. Non è una
verità reale?
- A te basta essere viva.
A me no. Io mi chiedo a cosa serva pensare.
- Avremo dei figli.
- Li invidio i miei
figli, se li avrò, perché saranno più vicini alla fine del tutto, perché
potranno conoscere di più, perché saranno più vicini alla verità. Vorrei essere
io l'ultimo uomo per questo. Ma saranno carne per vermi anche loro.
- Sarai sempre un uomo
triste.
- Io voglio vivere.
- Lo so. E' questa tua
maledetta voglia di vivere e di capire la vita per viverla che mi ha fatto
innamorare di te.
- Eppure ci deve essere
una verità. Se possediamo una capacità logica ci dovrà pur essere anche una
risposta.
- Cosa intendi per
capacità logica?
- Una capacità di
pensiero. Non importa se innata o no, un discorso di intuizioni per avvicinarsi
ad una verità relativa e per lei arrivare alla verità assoluta.
- Come puoi arrivare alla
verità assoluta da una verità relativa? Per ipotesi? Per il calcolo delle
probabilità?
- Così hanno pensato i
maggiori filosofi del momento. Io la penso in modo diverso.
- Come?
- Noi uomini abbiamo due
possibilità in una. Noi umani possediamo sia una logica dialettica, sia una
logica assoluta. Non è possibile essere in dialettica se non possediamo anche
una logica assoluta.
- Sei sempre più assurdo
ed astratto.
- Noi siamo in dialettica
perché abbiamo la capacità creativa di Dio come ideale possibilità, ma non come
possibilità reale. Qualora fosse possibile l'uomo tradurre in realtà materiale i
suoi sogni ideali, lui stesso sarebbe Dio.
- E non lo è?
- Lo è, ma non per quello
che mi vuoi fare intuire. Lo è per Cristo. Noi abbiamo mangiato dell'albero
della conoscenza diventando simili a Dio, non dell'albero dell'onnipotenza.
- Allora tu credi che con
la ragione si possa arrivare alla certezza di Dio.
- Lo credo.
- Tu sei pazzo. Dalla mia
istruzione ho saputo che ci sono pari prove a favore quante a sfavore.
- Lo so molto bene.
- Allora perché insisti
per arrivare alla fine della vita?
- Perché la fine è il suo
inizio, allo stadio attuale della conoscenza scientifica la vita è soltanto
energia. Il pensiero è anch'esso solo energia? Io non credo che all'uomo sarà
possibile oltrepassare i confini dell'universo. Il solo modo, lo sai, è morire.
- Il salto nel buio.
- Come un salto nel buio
è l'inizio. E' il solo modo per essere liberi. Se tu fossi certo dell'esistenza
di Dio non saresti libero.
- Questa era anche una
mia idea. Ora che ti ho conosciuta no. Il rapporto tra dio e l'uomo non è che un
tipo di rapporto come tra un uomo ed una donna. E' necessario amare per
conoscere ed accettare. Io conosco molte donne, ma non le posso amare e non sono
parte della mia vita. Dio lo si può anche conoscere, essere certi, ma si può
anche rifiutarlo, non amarlo.
- Difficile ammettere
l'esistenza di una persona che non puoi né toccare né vedere.
- Così come non ci si
innamora se non si è corrisposti? Mi ameresti se non ti avessi conosciuta ed
amata?
- Inizio a comprendere
dove vuoi arrivare, ma resta comunque sempre difficile.
- Se vuoi la felicità
devi conquistartela. Ma la conquisti sol se sei libero di volerla o no. Se ti
avessero costretta ad amarmi ancor prima di conoscermi mi avresti amato?
- No.
- Non hai forse lottato e
creduto per avermi?
- Si, è realtà. Tu non
volevi saperne di me. Non mi vedevi neppure.
- Ebbene, il rapporto con
Dio è questo.
Cosa ti trattiene?
- La mia vita. Io credo
che l'eternità avvolga l'infinito perché assenza di spazio\tempo. Però
l'eternità nella sapienza umana è solo un passato.
Ora puoi capire cosa
voglio quando chiedo chi sono e perché vivo. Chiedo di sapere se ciò che ho
fatto, ciò che faccio, quello che farò abbia un eterno cosciente di ciò che è
stato nel finito. Provare nel dopo ciò che ora provo con te.
- E' per questo che vuoi
Dio?
- E' per questo che non
voglio Dio. In un rapporto a due si cammina, è vero, verso una nuova realtà, ma
entrambi i singolo rimangono e vivono e ricordano diversamente le loro
esperienze.
Ho ascoltato discorsi, in
questa città, che mi hanno fatto dubitare. Ho difficoltà ad accettare un Dio che
mai più mi darà le stesse emozioni di vita vissute.
Io, se mi hai compreso,
desidero non una vita infinità per Dio o per me, ma la verità ed una coscienza
eterna di ciò che sono stato, di ciò che sono e di ciò che sarò.
- Un così eterno e
cosciente.
- Vero. Ma io non vivrò
così. Io vivrò un eterno passato, non un terno presente.
- Vorresti essere stato
Dio.
- Non vorrei avere un
passato.
- A cosa pensi?
- Dovrei pensare di farla
finita per non avere ricordi da rimpiangere e rivolere quando sarò troppo
vecchio o comparirò davanti a dio.
Di mettere fine a questa
falsa infinità del numero dei miei anni. Avevo creduto, quando ti ho incontrata,
di trovare una nuova ragione per vivere con te in questa città perfetta. Ma
sembra tutto inutile.
- Davvero pensi di
suicidarti?
- Ho ascoltato di altri
mondi. Cercherò altre verità. Vuoi venire con me?
Capitolo settimo.
Era il 24 dicembre. Il
sole era tramontato già da alcune ore. L’aria era gelida. Le montagne
imbiancate. Don Jesus si affacciò alla finestra della stanza da letto a guardare
il cielo. Una cometa solcò improvvisa lo spazio, illuminandolo, e scomparve
nell’oscurità irreale della terra. Guardò l’orologio: mancavano pochi minuti
alla nascita del Cristo. La città di Caino era piena di luci. Capanne di Natale,
alberi illuminati, luminarie: un carnevale commerciale. Richiuse la finestra e
si gettò nudo sul letto.
Sei freddo… Che ore sono?
Chiese Lilith svegliata a sua volta.
Rimasta senza risposta:
lo sai che sei padre?
- Lo so, rispose ridendo.
Mi chiamano don.
- Volevo dirti che da noi
è nato un bambino, disse piangendo, l'ho fatto battezzare, l'ho chiamato
chiamato Emanuele.
- Non mi interessa.
Toglimi una
curiosità….Esiste poi…Dio, chiese ridendo?
Don Jesus non le rispose.
- Io penso che esista e che il battesimo e
l'eucarestia ci unisca all'incarnazione rendendoci divini.
Guardò Lilth ancora nuda,
non disse nulla e sorrise.
- Potresti darmi la
comunione, anche se sono adultera. So che l'ostia consacrata la porti sempre con
te.
Don Jesus mormorò:
- Ma tu credi ancora?
- Si, io credo. Nessuna
persona umana avrebbe potuto concepire l'incarnazione per unire trascendente ed
immanente. Non 2000 anni fa.
Don Jesus sorrise. Si
rivestì ed uscì. La luna illuminò la stanza.
Lilith, rimasta sola, distesa ancora nuda sul letto disfatto,
pareva più un cadavere che un corpo di donna.
Si levò di scatto, si
recò in bagno e si vide nella sua nuova realtà: il viso sfatto, i capelli in
disordine, la pelle invecchiata e pallida, gli occhi cerchiati di blu e di
rughe. A nulla erano serviti gli innumerevoli interventi chirurgici alla quale
si era sottoposta negli ultimi anni. Aprì l’armadietto del bagno, visionò le
creme di bellezza, le scagliò per terra con rabbia.
Viste le lamette da barba
di don Jesus, ebbe l’improvvisa idea di farla finita. Rimase per qualche attimo
di tempo con la lametta tagliente appoggiata sull’avambraccio sinistro. Poi con
un profondo sospirò scagliò anch’essa per terra a far compagnia alle creme.
- Non voglio morire. Si
disse. La sua mente tormentata si esaltò di una strana follia. Seminuda uscì
quasi come se stesse fuggendo da casa.
Angela ed io stiamo
abbandonando la città, questa città maledetta dove l’uomo non desidera altro che
divertirsi, uccidere e morire.
Le case maestose
s’intravedono appena tra gli alberi. Le strade a quest’ora del mattino sono
deserte, non si ode alcun rumore, la gente dopo la messa di mezzanotte, dorme.
La città nuova, la perfetta città dell’uomo, illuminata dalle luminarie
natalizie, appare come una città di morti.
Eravamo nei pressi della
chiesa, quando il suono elettrico della campana ruppe il silenzio della notte.
Sentivo freddo e stringevo Eva a me. Camminavo verso la libertà, ma ero
angosciato.
Don Jesus ci superò. Salì
la scalinata che portava all’ingresso principale della chiesa. L’aprì. Ne uscì
un bambino. Don Jesus lo urtò, il bimbo cadde dentro ad una capanna di Natale ed
ad un albero illuminato..
-Mi chiamo Emanuele e
cerco la mia mamma. Tu sai dov’è la mia mamma?
-Don Jesus si voltò a
guardare la città: Dio è morto. Urlò alla città addormentata. "Avete
vinto."
Il bimbo si rannicchiò
spaventato. Ci avvicinammo a lui:
-Non avere paura.
-Voi sapete dove sono i
miei fratelli?
-Non ha né fratelli, né
genitori. Disse don Jesus.
-Vieni con noi. Saremo
noi il tuo papà e la tua mamma.
Raggiungemmo il porto.
C’imbarcammo su un veloce batiscafo. Eravamo gli unici passeggeri. Eravamo
lontani quando udimmo un rombo di tuono.
Un potente esplosivo
aveva abbattuto i muri della città.. Ombre umane, malnutrite, affamate, bianche
e nere, gialle e rosse, diafane come spettri, più simili a demoni che ad uomini,
stavano penetrando numerose al suo interno.
Dalla centrale di
controllo risuonò nelle case la conferma che non si trattava di un attacco
nucleare, ma invitava ugualmente i cittadini rimasti a ritirarsi nei rifugi
anti-atomici.
Orde di spettri umani si
aggiravano intanto per le vie abbattendo le vetrine alla ricerca di tutto ciò
che poteva servire al benessere ed al piacere, in una lotta all’ultimo sangue.
Gli stessi mercenari posti a difesa della città, uccidevano arraffando
ricchezze, senza pietà.
La luce elettrica era
saltata, la luce dei fuochi e degli incendi rischiarava la follia. Un’ombra
s’impossessò bestialmente di Patrizia rannicchiata appena dietro la porta della
chiesa.
Dalla centrale di
controllo partirono gli ordini per la chiusura ermetica di tutte le entrate dei
rifugi e per il lancio dei missili caricati con il gas.
Il gas nervino cominciò a
spargersi per le vie della città penetrando ovunque. Il fuoco era ovunque.
Anche il lago aveva bagliori come se stesse bruciando.
Un fastidioso suono
elettronico ruppe il silenzio della mia notte.
-Sono le sette. Lo
interruppe mia moglie.
-Le sette?! Le feci eco.
Il sogno era stato interrotto. Madido di sudore e d assonnato lasciai il letto.
In cucina riscaldai il caffè avanzato la sera avanti e lo bevvi di un sorso: non
è buono il caffè riscaldato: sa di amaro e di bruciato. Uscii dopo essermi
lavato, rasato e rivestito, per recarmi al lavoro.
Sulla scrivania erano
pronti numerosi manoscritti da leggere: era questo il mio lavoro, leggere per
scoprire nuovi capolavori, nuovi talenti. Iniziai la paziente opera di ricerca:
iniziai a leggere il primo e lo scartai quasi subito. Stessa sorte il secondo e
le poesie in blocco. Non sono mai riuscito a capire il perché continuassero a
scrivere poesie…ma non lo sanno gli scrittori che non c’è mercato per questo
genere di scrittura?
Stanco di quest’inutile
lavoro, presi un quaderno e scrissi quanto avevo sognato. Al termine della
fatica, compiaciuto, me ne stavo assorto nei miei pensieri, pensando di apporre
una firma falsa e di darlo all’editore per la stampa, quando fui disturbato
dalle grida isteriche della mia segretaria personale. Sollevai gli occhi
nell’istante stesso che s’apriva la porta e penetrava nel mio ufficio una
precipitosa folla.
-Sei un miserabile! Uno
scrittorucolo da niente!
-Chi siete? Che volete?
-Come? Non ci riconosci
neppure?
-Come faccio a
conoscervi? Non vi ho mai visto prima. Uscite dalla mia stanza.
-Io sono Mauro, questa
Margherita, la mia donna, quest’altro è Omar e Cris e tanti altri che hai e non
hai citato nella storia.
-Piacere di conoscervi.
-Per noi non è stato un
piacere.
-Che diavolo volete?
-Una eternità.
-Vi ho immortalato nelle
pagine della storia, che altro volete?
-Sei una bestia,…ecco
quello che sei. Sarebbe stato molto meglio che tu non avessi raccontata la
nostra storia.
-Non sono stato io che vi
ho data una storia. Siete stati voi che ve la siete scelta.
-Non fare il furbo, non
parliamo di questo, tu lo sai bene. La nostra vita si sviluppa nel tempo
limitato delle pagine che tu hai scritte e si eterna soltanto sino alla
distruzione del libro stesso. Noi, ora che tutto è finito, vogliamo sapere a
cosa ti è servita la nostra vita. Hai tu un’eternità? Esisti? Sei Dio?
-Voi che dite?
-Noi affermiamo che il
tempo matematico della nostra esistenza non è esistito se non come idea realtà
materiale misurata e denominata con nome di numeri. Che la nostra vita inizi a
pagina uno o a pagina cinquanta non vuol dire niente. Noi vogliamo sapere ora
che siamo arrivati alla fine delle pagine, ora che hai scritta la parola fine,
se siamo ancora una realtà personale e cosciente o se non siamo più niente.
Dicci quanto tempo abbiamo ancora prima di essere nulla.
-Sino al tempo che io
sono.
-Noi dobbiamo
sapere…quale è stata la tua parte?
-Sono stato colui che vi
ha amato; colui che ha descritto la scelta della vostra possibilità di essere.
Io, in verità, non sono il vostro creatore, il vostro inventore, voi siete
penetrati nel mio sogno, voi forse siete vissuti realmente ed un altro è il
vostro creatore.
-Perché non ci dici la
verità?
-Perché neppure io la
conosco.
-Ma tu non sei
intelligente?
-Credo di esserlo.
-A che ti serve se non
sei neppure capace di trovarti una verità?
-Non è poi così semplice
trovare una verità che sia la verità. Cos’è poi la verità?
-Il fatto che noi siamo
esistiti è una verità e sarà anche una verità eterna
-Che voi siate esistiti è
soltanto un’inutile verità eterna.
-Non ti trovi neppure tu
in una situazione migliore della nostra. Secondo noi non ti resta altro che
ubriacarti o ibernarti nell’attesa che qualcuno trovi anche per te una verità
più accettabile.
Capitolo ottavo.
Dopo questo inaspettato
ed assurdo incontro, m’immersi ancor più nello studio della verità: un giallo
senza indizi, senza senso alcuno, pieno di inutili morti, di inutili lamenti e
di vani rimpianti,
La città perfetta che
avevo sognato per loro era stata troppo limitata per le reali esigenze dei suoi
abitanti e ricalcava usi e costumi di un qualsiasi villaggio esistito prima
della nascita di Cristo. Già Qohelet, figlio di Solomone re in Gerusalemme,
aveva amaramente dichiarato. “tutto è vanità, null’altro che vanità! Sotto
questo cielo dove niente di nuovo accade. Si chiedeva, con apparente distacco,
che senso avesse la vita e la storia quando giusti e malvagi erano poi riuniti
nella stessa fossa per essere divorati dagli stessi vermi.
Avevo spiato la loro
esistenza, ogni attimo della loro vita, ero persino stato presente fisicamente
accanto a loro. Ora avevo scritta la loro storia, l’avevo resa eterna. Non
riuscivo a comprendere la loro ribellione…che volevano? Li avevo fatti a
mia immagine e somiglianza. Erano liberi di inventarsi una loro storia tra le
molte possibilità. Avevo permesso loro di essere, permesso loro di uscire dalla
non esistenza per essere.
Avevo, è vero, descritta
la loro esistenza finita e senza speranza. D’accordo, era la loro una
possibilità di esistenza che, nei limiti della loro storia, aveva potuto essere
quella che era, ma avendo scelto fra tante possibilità si erano determinati, si
erano dati una situazione è con questa un limite..
Avevo descritto questo
loro essere, ero per loro un dio che si manifestava nella loro origine finita,
quasi casuale per ritornare ad essere dio al termine della storia.
Loro, invece, avrebbero
voluto o non essere, perché secondo la loro coscienza e conoscenza non avrebbero
potuto sfuggire al loro nulla iniziale ed al loro nulla finale, o essere
personalmente eterni come me.
In poche parole, avevano
compreso che la realtà della loro esistenza non poteva che essere stata la
storia della loro esistenza. La vita era cioè come un romanzo già conosciuto nel
suo inizio (incipit) e nella sua fine; un romanzo già scritto e conosciuto prima
di scriverlo.
Avevo descritta la storia
della loro esistenza facendo il possibile per eternarla, e loro ora mi
rimproveravano di avere scritta una storia infinita e con ciò senza senso e
senza speranza.
Mi avevano, inoltre,
fatto osservare che anch’io come loro, ero il personaggio di una storia e che
avrei fatto la loro stessa fine e che quindi sarebbe stato meglio per me, oltre
che per loro, che mi fossi dato da fare per scoprire la verità.
Sapendo, grazie alle mie
letture, che l’esistenzialismo era, per così dire, la storia stessa del popolo
ebraico prima della venuta del Cristo, decisi che avrei cercato di scoprire se
il Cristo poteva essere il Messia e se lo era di trovare una strada per
arrivarci.
Ero convinto che avrei
trovato nella logica una risposta e l’analizzai.
M’accorsi, alla fine, che
la verità fattuale, ontologica, delle premesse e delle conclusioni, non erano un
problema della logica, perché vere sarebbero state le conclusioni se vere
sarebbero state le premesse.
La validità della logica,
la sua verità, sono formali, dipendono dalla struttura di un enunciato o di un
argomento e non sai suoi contenuti. Per questo sarebbe stato, al limite,
possibile costruire un qualsiasi mondo logico universalmente accettato e valido
in ogni luogo ed in ogni tempo.
Ma il fatto che si
potesse costruire un mondo logico non corrispondeva a ciò che io chiedevo alla
conoscenza di cui la logica era il mezzo: alla conoscenza io chiedevo una verità
ontologica.
Non potevo affermare che
un fatto accaduto non era accaduto, però potevo ipotizzarlo, ignorarlo…potevo
costruire sull’ipotetica certezza logica del suo non essere accaduto, un
castello logico vero per logica.
Ne trassi la certezza che
la realtà doveva preesistere alla logica e che altri erano i compiti della
logica.
Che la logica avesse una
sua struttura interna dalla quale dipendeva la sua verità era un dato di fatto,
ed in questo la logica non è diversa dalla matematica: che la logica sia verità
logica nella sua logica è una verità logica. La condizione della verità logica è
la logica stessa.
La logica, come
comunicazione di conoscenza, è sottoposta oltre alle sue precise leggi interne
per le quali A è uguale ad A e se A è uguale a B anche B è uguale ad A e se C è
uguale ad A è uguale anche a B, a delle regole di comunicazione basate
sull'enunciato nei suoi contenuti e nel suo significato: nell'insieme non ci
devono stare corpi estranei.
Se un soggetto chiama
pane il pane ed un altro lo chiama sale, nonostante i due possano costruire una
precisa logica del pane non potranno mai capirsi e comunicare sino a quando non
daranno uno stesso nome per una stessa realtà.
Il problema non sembra
trovarsi nel linguaggio per immagini ( non astratto) e per una matematica basata
esclusivamente sull'uso associativo dell'unità.
La logica studiata ed
analizzata come scienza a sè sembra preesistere al soggetto e svelarsi al
soggetto applicandosi alla realtà e alla comunicazione tra soggetti e soggetti e
tra oggetti.
In conclusione la
struttura della logica è una condizione di verità della comunicazione, ma non
della verità ontologica della conoscenza.
Il soggetto
auto-cosciente è la base della logica. Che poi ogni singolo cosciente costruisca
il suo mondo logico chiuso è questione di incomunicabilità (babele delle lingue)
superabile nel caso che i soggetti logici abbiano la volontà di comunicare ed
ascoltare le rispettive logiche, la rispettiva conoscenza tramite la logica con
l'uso comune dei termini e del significato univoco dei termini. In questo caso
la logica trova la sua universale possibilità e la sua garanzia di verità e con
essa la conoscenza.
La verità non era quindi
un problema della logica, ma un problema di comunicazione e di fiducia nella
conoscenza.
La logica è una verità
sia individuale che universale che viene comunicata, rivelata.
L’io si scopre come
pensiero ed afferma che la condizione di esistere è di essere pensato.
Conseguenza di questa affermazione è la necessità di ricondurre tutta la realtà
dentro il pensiero per conferirgli una origine ontologica e non fantastica.
Si è costretti allora ad
ipotizzare una divisione tra pensiero e materia da ricondurre ad un infinito
dialettico per scoprirne una origine comune, da sintetizzare poi in un pensiero
reale dal quale astrarre di nuovo il pensiero per porlo come assoluto logico
necessario per ammettere tutta la realtà.
Per fare questo è
costretto ad ammettere una origine comune che porrà in Dio o in un inconscio
irrazionale. Ma poiché l'infinito non può essere una parte, ma il tutto,
affermerà che il tutto o è spirito o è materia. Ma poiché l'infinito è la realtà
che nasce dall'incontro delle due parti nell'attimo reale dell'incontro
affermerà che la realtà dell'essere è la storia. Storia che sarà materiale o
divina o irrazionale a secondo che l'infinito sia dio come spirito o come
materia o come ibrido miscuglio inconscio da ricoprire nella realtà dell'attimo
presente.
La logica della
coesistenza di due assoluti contrari che si sintetizzano mediante la dialettica
all'infinito e si riscoprono reali nell'attimo presente della storia dell'io
pensante-corporeo, questo incontro relativo del momento dialettico è impossibile
ed inconciliabile perché una volta superato l'istante irrazionale dell'esistenza
che li unisce, riscoprono la loro contrapposizione e si pongono entrambi
razionali, entrambi irrazionali (nonostante siano uno pensiero, l'altro materia)
come unico principio del tutto.
In realtà, una volta
suddiviso l'io in spirito e materia, non esiste più la possibilità di riunirli.
Si autodistruggono.
L'infinito non può essere
una parte. Al limite, l'infinito, è la realtà che nasce dall'incontro delle due
parti nell'attimo reale dell'incontro.
Uno stesso problema nasce
accettando l'ipotesi di creazione da parte dell'io assoluto identificandolo con
Dio.
Se Dio è (eterno,
infinito, onnisciente, onnipotente...) come può creare un tempo finito, relativo
se non nell'eternità dell'atto creatore?
La logica umana, con
queste premesse, è costretta ad accettare un dualismo anche in Dio, un dualismo
infinito ed eterno che porta alla distruzione del concetto di Dio.
Infatti si pone un limite
alla potenza e all'infinità di Dio. Allo stesso tempo non è possibile affermare
logicamente che l'inizio è creazione del tempo nell'eternità senza che il tempo
stesso del divenire non diventi eternità, dimostrando allo stesso tempo
l'impossibilità di ricondursi ad un principio unico ed originario del tutto.
Cioè l'infinito non può essere nè finito nè infinito.
Dio creando in sè è
infinito, creando fuori di sè crea un infinito che limita la sua infinita
potenza ed anche dio diventa un essere finito, limitato. Due infiniti assoluti
si limitano.
L'io che si scopre come
pensiero di sè stesso ed afferma come pensiero che la condizione di esistere è
di essere pensato (identità ontologica) richiede la necessità di ricondurre
tutta la realtà dentro il pensiero per conferirle una realtà non fantastica, ma
ontologica e vera.
In altre parole afferma
che non esiste realtà diversa dal pensiero. In realtà afferma che non è
possibile la conoscenza di una realtà non pensata e non pensabile, ma siccome è
stata fatta coincidere l'identità tra esistenza e pensiero una realtà non
pensata e non pensabile non esiste.
Il problema posto in
questi termini non potrà mai essere risolto.
L'io di cui si parla è un
io astratto, estratto di tutti gli io che si pone per affermare che la
conoscenza è unica e totale per tutti gli io che si riconoscono in lui. E'
necessario ristudiare l'io che si pone come pensiero, come unica conoscenza
della realtà. E' necessario scoprire di nuovoil significato di autocoscienza e
di conoscenza.
L'io che conosce se
stesso è un io personale e comunica con un altro io personale diverso da sè, da
un pensiero di sé, le modificazioni di sé, le conoscenze. La realtà non pensata
e non pensabile non esiste. Il tentativo dell'io di porsi come Dio termina
nell'assurdo e alla rinuncia della realtà.
L'io di cui si parla è un
io personale che si contrappone all'altro a lui opposto che ascolta e comunica.
Questo è l'inizio vero della logica dialettica, relativa, reale. Il risultato
dello scambio non può che essere la logica assoluta del pensato nel relativo,
confrontata e trasmessa, realizzata e quindi ontologica.
Il vero problema non è
neppure il riportare la materia inerte in sé, ma di riconoscerla diversa e
conoscibile allo stesso tempo.
Solo nel caso che la
materia non abbia una logica o che il soggetto conoscente non abbia una logica
corrispondente o la possibilità di adattare la propria possibilità logica a ciò
che gli è opposto diventa impossibile ogni possibilità di conoscenza e
comunicazione.
Il problema vero non è
ammettere la realtà dell'opposto perché non lo si conosce, ma la verità di ciò
che si conosce.
Qualsiasi modello logico
trova la sua verità universale nel principio di identità inteso come unità e
totalità autocosciente. Il principio di identità deriva dall'affermazione di
esistenza da parte dell'essere.
Anche il modello
matematico non sfugge a questo principio e ha fatto erroneamente coincidere
l'identità all'unità dimenticando l'autocoscienza e l'origine
dell'autocoscienza.
L'unità è denominata
anche A, io, essere...e applicando ad essi il principio logico di identità
(unità, totalità) se ne ricava che A è A, io è io...
L'analisi filosofica ha
concluso che se A è A e non B, B non esiste perché non può essere A.
Ma qual è in realtà
l'origine dell'unità? La filosofia afferma che è l'affermazione e la negazione
dell'io cosciente. Io (1) e non io (-1) negando il principio di identità. Per
tale principio io e non io restano io e non io ed una esatta applicazione del
principio di affermazione e di negazione dell'identità.
L'io è o non è e il
risultato dell'operazione tra io e non io non può che essere il nulla, la non
esistenza. La negazione dell'unità è la sua non esistenza. L'affermazione è la
sua esistenza. Affermazione e negazione si annullano.
L'unità può quindi
dividersi, assommarsi, moltiplicarsi, negarsi... ma soltanto restando se stessa
o dentro sè stessa. Fuori di sè esiste o non esiste,
Lo zero è assenza di
logica. Costruendo la logica con il solo principio di identità, di unità, si è
costretti a restare nell'unità e dall'1 al meno1 non c'è possibilità di logica
matematica. Il passaggio dal1al 2 resta impossibile.
Accettato il fatto della
realtà unica dell'identità di sé, unità assoluta di sé si deve accettare
l'esistenza di una realtà diversa dall'unità, ma che non può essere la negazione
dell'unità, ma che è diversa dall'unità e che dona all'unità la possibilità di
essere unità.
L'io deve ammettere, per
costruire la sua logica, l'esistenza di una realtà diversa dall'io che non può
essere la negazione dell'io e che gli permette di scoprirsi come unità.
A non può scoprirsi
identità di sè se non incontra la contrapposizione di B che lo limita dentro
l'identità di A. A è A perché esiste B e A non è B. Questo è il corretto modo di
porre il principio di identità e dare inizio alla logica che in quanto logica è
dialettica per arrivare alla conoscenza che in quanto conoscenza è assoluta.
La logica assoluta è la
logica di Dio, unità assoluta, conoscenza assoluta e la sua sola logica
possibile è è. Di ciò che non è e che ora è è che deve essere posta al di fuori
di Dio e non in Dio perché se era in dio era.
Per l'A dialettico
dichiarare di essere A significa ammettere l'esistenza di una realtà non A
chiamata B.
Da A a B non è possibile
uno scambio reale di identità perché A per essere A non può essere B e B per
essere B non può essere A.
Solo nel caso che A e B
sono un nome diverso per denominare una stessa realtà è possibile concludere
senza violare il principio di identità che A è uguale a B. Lo si può fare anche
per falsa ipotesi.
Il solo modo per
relazionare due identità diverse A e B (unità e totalità coscienti di sé) è la
loro opposizione in un insieme C la cui identità sarebbe l'essere formato da A e
B.
In C il modo di essere di
A e B è quantitativo e può essere di parità, maggiore di, minore di.
L'ipotesi di esclusione
di A o di B dall'insieme C in modo di avere A=C o B=C è contraria al principio
di identità di C perché C esiste solo come AB oltre che al principio di
determinazione dell'identità di A e di B che necessitano del reale contrario per
essere identità.
Il subentrare in C di
un'altra unità identità da origine ad un altro insieme.
La logica matematica
dovrebbe ammettere a fondamento del suo modello logico per essere reale il due
come realtà diversa dall'io uno e concepito come insieme di due uno. Ma con
questo procedimento non si è ancora scoperto una identità da contrapporre ad un
altra identità, ma si è scopre un insieme dl quale è possibile trarre un'altra
unità che assommata ad un altra unità forma l'insieme due. Così l'inizio di
qualsiasi conoscenza e di linguaggio logico della conoscenza è la coscienza del
soggetto come unità ed identità assoluta contrapposta ad un altra in forma di
identificazione o di negazione in un insieme nel quale è contenuta.
L'inizio della logica non
è quindi l'unità, ma un insieme minimo di due unità chiamato due.
La stessa logica del io e
del non io intesa come essere e o negazione dell'essere, applicata al due inteso
come unità, porta alla negazione del due che è o non è due. Questo non è
tuttavia possibile in quanto il due come insieme non è auto-coscienza, ma
potrebbe diventarlo se fosse unità di un insieme chiamato tre.
Filosoficamente parlando
non esiste uomo come identità, unità assoluta di sè, coscienza, se non realmente
contrapposto ad un altro uomo in un rapporto positivo o negativo, di amore o di
odio, chiamata dialettica logica, dal quale differenziarsi o unirsi dando inizio
al suo essere conoscenza.
Restando legati alla
realtà il passaggio dal due al tre rimane un passaggio impossibile.
Affinché la logica del
modello matematico sia possibile è necessario accettare come suo inizio questa
realtà: una ed un'altra unità cosciente e diversa ed un altra unità diversa
cosciente o no, unite in un insieme minimo di tre.
Il modello matematico
appare quindi come logica che dal molteplice arriva all'unità e poi dall'unità
costruisce il molteplice.
Poiché per ipotesi
l'unità può andare all'infinito e dall'infinito ritornare alla realtà, occorre
ricordare che l'unità si scopre unità e con ciò finita nella sua infinità.
Rimane la pura struttura
logica e per essa rimane vero l'infinito, ma in questo caso non più reale, ma
ipotesi associativa.
La geometria sembra
ridimensionare la logica dialettica della struttura del modello matematico,
delimitando delle figure nelle quali tutto è finito ed infinito allo stesso
tempo.
Qualsiasi perimetro
diviene finito ed infinito nel suo perimetro. Si potrebbe chiamare la figura
racchiusa nel perimetro unità, e tempo il suo perimetro, raggio l'estensione
della sua infinità.
Costruiamo in questo modo
una sfera. Qualsiasi infinità abbia il raggio, la sua circonferenza avrà una
finitezza. Se poniamo ora un osservatore avremo alcune possibilità:
1- Sarà impossibile
all'osservatore calcolare la lunghezza della sfera rimanendo al suo interno se
non ipotizzando dei limiti.
2- Ponendo l'osservatore
sulla circonferenza gli sarà possibile misurare la lunghezza dal suo punto al
centro solo ipotizzando un altro punto della circonferenza, realtà per lui
impossibile perché essendo in un punto non gli sarà possibile essere
contemporaneamente essere in un altro punto.
3-- Ponendo l'osservatore
al di fuori della sfera gli sarà possibile comprendere che la sfera non è
infinita né per raggi, né per circonferenza.
Il tempo in realtà non
esiste se non unicamente per l'osservatore che si trova all'interno della sfera
e con ciò finito.
L'esigenza di misurare è
l'esigenza di chi si scopre finito tra un possibile infinito. Ciò significa che
il tempo è parte dell'unità come tale, è la limitazione del suo spazio numerico
e reale.
La geometria, invece,
rimanendo dentro la sfera è avanzata all'infinito creando uno spazio infinito,
ma vuoto dimenticando che in realtà il suo spazio era limitato dal tempo ed il
suo tempo dallo spazio.
Spazio e tempo delimitano
tutta la logica del possibile entro dei limiti infiniti, ma finiti ed ipotetici,
se contrapposti all'eternità del principio di identità.
L'aspirazione dell'unità
verso l'infinito è spezzata da una realtà superiore che non ha avuto inizio e
che non avrà fine perchè non in dialettica.
Rimane tuttavia
l'eternità del così fù dell'identità; rimane la possibilità logica
dell'infinito. Ma questa logica infinita o eterna rimane tale solo ipotizzando
due possibilità: che la vita non abbia termine o che esista Dio.
Il fatto di negare Dio
sarebbe in questo caso la negazione della logica dialettica. Presupposto
dell'infinità della logica è l'esistenza di un altro eterno ed infinito: Dio.
Questo è un presupposto
necessario quando la realtà che ci circonda non è infinita, eterna o negata.
Si può anche ipotizzare
che la realtà che ci circonda sia infinita ed eterna, ma non è evidente.
Capitolo
tredicesimo.
Non si può affermare
senza essere negato e non si può affermare senza essere affermato e neppure si
può negare senza essere affermato.
L'auto-coscienza inizia
come dialettica logica tra l'io e il non-io, realtà posta fuori dall'io
Solo in questo modo l'io
può sdoppiarsi. Lo sdoppiamento dell'io è possibile solo di fronte alla verità,
al giudizio, all'azione, alla comunicazione, alla conoscenza, ma non di fronte
alla sua stessa esistenza perché è o non è.
La dialettica o logica
del relativo inizia come auto-coscienza e l'auto-coscienza è resa possibile
soltanto se esiste realmente un non io.
Il tutto ( io e non io)
deve possedere una capacità logica comune o resa comune ed una capacità di
comunicazione.
Ogni singolo io, entità a
sè, è un assoluto in quanto per essere sè stesso non può essere un altro, in
quanto è e non può negarsi perchè non sarebbe, è finito in quanto scopre se
stesso solo di fronte alla opposizione del non io, ed è infinito perchè non ha
bisogno del non io per essere se stesso.
Identità e infinito,
assoluto coincidono oltre che nell'eternità anche nel tempo.
Soltanto un pensiero di
sé perché è e non perché auto-coscienza di sé può essere un infinito eterno
infinito, non limitato da nessuna altra realtà perchè sempre identico a sé.
L'eternità è assenza di
tempo, assenza di mutamento, eterno presente, assenza di dialettica, assenza di
autocoscienza.
Il primo giudizio
espresso senza possibilità di smentita è l'esistenza..
Singolarmente prima,
socialmente poi, l'io conoscitivo astrae questo giudizio di verità di esistenza
ontologica e la pone come inizio della logica assoluta, la logica che non è
conoscenza ma il risultato della conoscenza.
Condizione dell'esistenza
logica non è però l'identità, ma l'essere conosciuta come identità, e conoscere
significa sentire l'opposizione e la sola opposizione reale è dovuta ad un non
io reale che si sente e vuole differenziarsi.
Tale opposto non può
essere la negazione dell'io (il nulla) ma è una realtà esistente diversa
dell'io, logica e comunicativa.
Il non io non è cioè la
negazione dell'io, il nulla, ma una realtà diversa dall'io che si scontra con
l'io affermando non la sua negazione, ma la sua esistenza. Esistenza che l'io
identità di essere e di pensiero aveva rifiutata.
L'ipotesi di uno
sdoppiamento dell'io che non si conosce per conoscersi è un ipotesi fantastica
ed illogica perché l'io che si scopre si scopre unico, indivisibile assoluto
nella sua identità.
Pensare ed essere,
nell'io si pongono come identità e unità, reciproca garanzia di verità.
Ogni singolo ente, entità
a sé, è un assoluto perché per essere se stesso non può essere un altro, mentre
l'esistenza di un altro gli è necessaria per potersi affermare come pensiero e
come auto-coscienza. Ma non è la sua realtà. Di fatto però lo limita nella sua
infinità totale.
L'infinito, l'assoluto e
l'identità coincidono sia nel tempo sia nell'eternità.
Solo il pensiero di sé
perché è e non perché è autocoscienza di sè è un infinito eterno infinito non
limitato da nessun altro (identità infinita) perché identico a sé e non un
altro. Perché identico a sé e cosciente di sé senza che gli sia necessaria
l'autocoscienza che implica di fatto l'esistenza di una realtà fuori di sé. Non
esistono cioè due divinità.
L'eternità è assenza di
tempo, assenza di mutamento, assenza di dialettica, assenza di autocoscienza.
Ipotizzando nell'io un
anima e un corpo si ipotizza inutilmente.
Nel mutamento non cambia
l'identità di chi si auto conosce perché il mutamento stesso è autocoscienza di
sé. Perché o si è sé o non lo si è e se lo si è lo si è all'infinito, in eterno.
Non è la forma o la
sostanza, anima o corpo, essere o divenire, la realtà, ma la persona identità di
sé, autocoscienza nello svolgersi della conoscenza.
Non esiste e non può
esistere logica dialettica nell'assoluto. L'assoluto è e se non è non è, ma se è
è.
Il processo con il quale
l'io giunge a conoscersi autocoscienza è un processo dialettico e il processo
dialettico può avvenire solo tra opposti immanenti e cioè possibili di essere
conosciuti. Significa essere definiti, limitati e confermati da qualcosa di
esterno. Significa non essere assoluti come Dio. Significa essere sè stessi,
identità, uno in evoluzione, essere in divenire.
Dio per essere in
dialettica dovrebbe coesistere con un altro Dio, diverso da sè, di natura
diversa dalla sua, non uno sdoppiamento di sé stesso, ma immanente a lui. E così
Dio non sarebbe più Dio. Perlomeno non sarebbe più un Dio logico, un dio in cui
essere e pensiero coincidono.
L'io autocosciente si
scopre dapprima come io personale e si scopre come tale nel processo dialettico
nonostante i mutamenti cui è costretto è e rimane sempre sè stesso, definendosi
sempre sé stesso, imparando a conoscere, avvicinandosi alla conoscenza assoluta.
La realtà sicura, certa è
la sua identità. La comunica ad altri e riceve comunicazione. Ne astrae la
conoscenza e su di essa costruisce l'assoluto universale.
L'io si scopre Dio,
dimenticando la sua origine dialettica. Allo stesso tempo scopre che la sua
conoscenza non è una conoscenza ontologica, ma conoscenza del già esistente. Gli
viene a mancare il fondamento della verità logica: la certezza ontologica.
La logica dialettica (
relativa se rapportata alla logica assoluta) è il momento della conoscenza
scientifica dell'esistente reale. E' il momento della scoperta della
comunicazione, dell'auto identificazione di sè come identità a sé tra molteplici
esistenze. E' il momento dell'affermazione di sé.
La dialettica
(spazio-tempo, realtà dell'io personale, identità conoscente) è la logica della
conoscenza del finito, del già esistente, del sensibile, dell'immanente e non
può andare oltre.
Oltre sono necessarie
altre regole. Regole che non possono basarsi sull'autocoscienza, sullo
spazio-tempo, sulla dialettica. Ma sull'essere stesso come coscienza conoscenza
assoluta e sul suo valore.
La logica assoluta è la
logica di Dio, essere che per essere non necessita di dialettica. Essere che è,
che crea ciò che conosce. Conoscenza ontologica pura senza tempo e senza spazio.
Dio non può derivare il
finito dalla sua stessa sostanza perché il finito sarebbe dio. Non può ammettere
l'esistenza di un’altra sostanza diversa dalla sua perché ne sarebbe limitato.
La sostanza finita non
può che essere creata dal nulla. Ed è il nulla che la logica assolutizzata si
ritrova alla fine della sua dialettica ed il nulla è la garanzia della creazione
dal nulla.
E' del tutto chiaro ed
accettato dalla critica filosofica che tra il pensiero e la realtà oggettiva ci
sia un abisso e che la sola possibilità di rapporto è la conoscenza soggettiva
di un oggetto o di un soggetto oggetto contrapposto al soggetto-
Dell'oggetto, il soggetto
non ne conosce che la sua esistenza, messa in dubbio dal pensiero che giudica la
realtà come apparenza ed illusione.
La conoscenza è soltanto
una scienza di concetti che non sono la realtà sostanziale, ma che si
riferiscono alla realtà. Il pensiero, dimenticandosi della sua origine
dialettica, distruggendo la realtà oggettiva diversa da sé, distrugge in realtà
anche sé stesso.
Non è possibile non
ammettere l'esistenza reale dell'oggetto perché l'oggetto è necessario al
pensiero per essere se stesso sia come identità sia come inizio della
conoscenza.
Il pensiero è costretto
ad accettare in sè una realtà che è al di fuori di sè e darle una
giustificazione ontologica, vera o falsa che sia la conoscenza che ha
dell'oggetto perché di fatto l'oggetto esiste.
Concetti come
spazio-tempo sono idee della mente, idee vuote di contenuto in quanto non si
riferiscono a nessuna sostanza esistente. Che l'dea spazio-tempo sia un concetto
sostanziale, a priori o a posteriori, non è logicamente dimostrabile.
Spazio tempo sono misure.
Sono la misura, la quantificazione dell'apparire, del divenire della vita di un
qualsiasi opposto reso immanente alla conoscenza, ma non sono l'opposto stesso.
La logica geometrica al
suo sviluppo attuale ha dimostrato già che lo spazio è una pura idea logica e
non ontologica, vuota di contenuto e nel quale è possibile inserire forme varie
di spazio ( forma-spazio limitato, quantificato) una volta determinato dalle
regole logiche dimostrate o dogmatiche, reali o ipotetiche.
In aritmetica,
dimenticato che l'unità è unità, si cade nell'assurdo degli infiniti per
superare l'unità affermando che è divisibile all'infinito e che ogni numero
dell'infinito sarà sempre contenuto nell'unità divisa.
In fisica è stata
dimostrata la curvatura del tempo se posto in relazione ad un osservatore posto
al di fuori del tempo.
Tra capacità della logica
e la realtà ci sono differenze sostanziali.
Le idee sembrano infatti
portare alla costruzione di una logica relativa se rapportata alla realtà; ma
allo stesso tempo, se purificata dalla realtà, portano alla costruzione di una
logica assoluta nella quale scompare la realtà e si afferma la sola realtà
dell'io.
Ipotizzando l'idea di
Dio, unico, perfetto, infinito lo si studia con le stesse regole di ordine
spazio-temporale cadendo nelle più assurde ed illogiche conclusioni. Cadendo
nella contraddizione incomprensibile ed irrazionale.
Dio, se esiste, non è il
dio che è la possibilità dell'io della logica assoluta, Dio se esiste è altro
dalla natura e dall'io assoluto e deve essere pensato nella purezza del pensiero
e non sottoposto all'idea di sostanza spazio tempo, finito, infinito, dialettica
che non sono che astrazioni della vita finita.
Vivere non significa
esistere ed esistere non significa vivere, Vivere è in ultima analisi la
possibilità dialettica della conoscenza. Un dio non ha bisogno di vivere per
conoscere perché è già conoscenza.
Il problema ontologico è
un problema solo umano, il problema di chi cade nella contraddizione di
considerarsi dio.
Non è inconcepibile una
creazione dal nulla di un ordine spazio temporale solo perché nella realtà non
esiste lo spazio tempo. Lo spazio tempo è una condizione della conoscenza
dialettica.
Non è detto che l'atto
creatore di Dio sia naturalmente eterno, perché eterno non significa assenza di
tempo o di spazio- Eterno significa soltanto essere ed assenza di eternità non
essere.
Dio è il creatore, dio è
l'essere, noi siamo creature: eravamo nulla ora siamo ed è il siamo che è in
divenire, che diviene ad esistere per essere. Ma non è detto che il suo venire a
essere sia eterno.
Non si può dire,
riflettendo con mentalità basata sullo spazio-tempo, che l'eterno atto creatore
di Dio sia eterno.
L'infinito coincide con
l'eternità ed ambedue coincidono con l'identità che non è altro che una
esistenza tra le esistenze.
Dio, se esiste, non può
che essere pura autocoscienza di sé.
Principio di tutto è
l'essere e la fine di tutto è il non essere. L'essere se è può iniziare a
vivere, se è esiste. Se non è non esiste e non può iniziare né a vivere né ad
essere.
L'uomo è ciò che per
essere ha bisogno di vivere e per vivere ha bisogno di esistere. Dio è e non ha
bisogno né di essere né di esistere né di vivere per essere.
Ragionando umanamente
però anche dio per essere conosciuto deve iniziare a vivere.
Vivere è conoscere e non
inizia a vivere chi già conosce.
Esistere non è la vita,
ma la condizione della vita. Si può tuttavia ammettere l'esistenza di un essere
senza che l'esser in questione sia necessariamente in vita; soltanto che
quell'essere non potrà essere conosciuto da chi è in vita se non si trova un
sistema di comunicazione.
L'analisi, posta in
questi termini, porta a supporre che in Dio non si possa parlare della
dimensione spazio-temporale, ma neppure di tempo all'infinito chiamandolo
eternità.
L'eternità invece è
un’idea della mente come idee della mente sono lo spazio-tempo.
E se il tempo non esiste
è possibile comprendere come dio abbia potuto creare una sostanza diversa da sé,
non infinita come sé appunto perché creata dal nulla e non derivata da sé stesso
Non è neppure possibile
parlare di un inizio non di una fine, ma di una realtà che non è e che è.
Ma una realtà che prima
non era e che ora è non è detto che lo sia anche dopo.
Il problema della
sostanza divina è posto dall'idea di spazio geometrico, spazio che è il limite
della sostanza, differenziazione di sostanza creata dl nulla, diversa dal
creatore.
Oltre il tempo e o spazio
è dio. Dio non è né tempo, né spazio. Dio è.
Non è l'uomo che può
conoscere Dio, ma è dio che può farsi conoscere dall'uomo.
Creare in sé è rendere
uguali a sé, immanenti a sé e quindi conoscibile la realtà creata senza
necessità di autocoscienza.
Creare fuori di sé è
creare una realtà diversa da sé, ma conoscibile dal sé perché dal sé creata
senza bisogno di ricorrere all'autocoscienza.
Solo una realtà diversa
da sé e creata da altri o già esistente implica la necessità di una
differenziazione che da inizio ad una comunicazione ed alla conoscenza.
Tutto ciò che è
conosciuto è immanente o reso immanente alla conoscenza. Tutto ciò che non è
conosciuto è trascendente e non può essere reso immanente se non si presenta ad
essere conosciuto.
Conoscere, tuttavia, non
significa rendere la realtà diversa identica a sé, ma accettarne l'esistenza.
L'esistenza di Dio che
sia identità di sè senza la necessità di autocoscienza è la sola condizione
logica della sua esistenza. Dio non ha cioè bisogno di altro che di sé per
essere: Al contrario delle creature che hanno bisogno di altro per determinarsi,
per conoscere e differenziarsi.
L'eterno è la condizione
di essere sè stessi. L'infinito umano è ipotizzato astrattamente e
rappresentabile geometricamente con la figura delle parallele.
Preposto che l'infinito
avvenire non è eterno se non solo quando è passato e che quindi la sola assurda
infinità dimostrabile si ferma all'istante presente e che ciò che è stato è
stato nel suo tempo che non ritornerà mai più, sempre identico a sè, ma
realmente esistente solo se pensato, è ipotizzabile e dimostrabile errori nella
logica matematica.
Posto una retta AB, per
un punto O, posto al di fuori della retta AB, passa una sola retta parallela
alla retta data,
Definizione delle
parallele è di due linee che non si incontrano mai.
Definendo il punto O
punto di osservazione la definizione è valida sin dove è possibile la sua
osservazione. Se la retta AB è contenuta nella sua osservazione per
l'osservatore oltre i punti limite di AB passano innumerevoli rette parallele
alla retta data. La conoscenza geometrica è relativa all'osservatore e la sua
infinità è solo ipotetica.
A differenza degli
animali che hanno una coscienza di sé non cosciente, l'io umano può e si dà una
coscienza evolutiva.
L'io prima di essere l'io
di tutti gli io, è un io personale e si pone di fronte ad un altro io personale
come soggetto logico, pensante e corporeo. Ed è come corpo e non come persona
che la società tecnologica, computerizzata e specialistica considera l'uomo.
La medicina riconosce
soltanto il corpo ammalato e non la persona ammalata ed intende il corpo
ammalato come un meccanismo da aggiustare al più presto per continuare la
produzione ed il consumo. E qualora irreparabile si tende ad eliminarlo.
L'uomo è depresso nella
solitudine, sente gli altri come necessari per essere, ma lontani. Essere
conosciuti, essere accettati, essere amati, essere corrisposti è per un io
personale una condizione di esistenza.
Mancando tutto questo si
cade nella depressione, nella malattia. E' il suicidio. La malattia si manifesta
somaticamente perché il corpo è la sola realtà riconosciuta (dalla società).
La prima finalità del
rapporto dell'io con l'io è autocoscienza, conoscenza, esistenza, identità è
cioè l'esistenza ontologica.
Il concetto di morte è
per l'io il termine non solo dell'esistenza, ma anche dell'essere che si scopre
e si costruisce tramite la conoscenza.
Il pensiero scopre in
questo la sua inutilità ed interroga l'essere per avere una risposta.
Il puro conoscere,
relativo o assoluto che sia, riconosce la superiorità dell'essere, si riconosce
senza senso e l'essere gli risponde con la facoltà d'azione, di volontà e di
libertà.
L'uomo persona deve
essere responsabile per avere un senso e la responsabilità avviene per
conoscenza, libertà volontà ed azione.
Alla conoscenza si arriva
mediante l'autocoscienza che è possibile solo per l'esistenza dell'altro.
Essere e non vivere è
essere immobili, è essere morti, è un essere che non può conoscere nè farsi
conoscere.
capitolo quattordicesimo e forse ultimo capitolo.
I miei personaggi mi
ascoltarono attentamente esporre confusamente l’analisi filosofico-metafisica
dell’esistenza, poi dissero:
-Tu hai affermato che
l’uomo non ha la capacità ontologica se non di sé; hai affermato la necessaria
esistenza di Dio per confermare la verità e la validità della logica stessa che
afferma l’esistenza degli esistenti. Allo stesso tempo hai affermato
l’impossibilità delle creature di conoscere ontologicamente il loro stesso
creatore, sia dei compagni d’esistenza. Hai dimostrato che lo spazio-tempo è la
realtà del divenire della vita, la possibilità d’auto-coscienza e di conoscenza.
Hai posto per loro
un’infinità logica possibile e la loro assoluta eterna identità, ma hai negato
loro una reale eterna immortalità.
Hai dimostrato
l’impossibilità dialettica della coesistenza di due infiniti assoluti e della
coesistenza di due infiniti assoluti ed opposti, affermando allo stesso tempo,
senza rendertene conto, la possibilità di due opposti, a patto che uno sia
infinito e l’altro no.
Hai dimostrato che è
stata necessaria la creazione dal nulla per spiegare tutto quanto.
Hai affermato che la
realtà che si conosce è una realtà pensata, soggettiva, possibile solo grazie
alla sua immanenza nella vita personale del soggetto e che la verità della
conoscenza fenomenica è dovuta alla struttura logica ed ai contenuti ottenuta
mediante comunicazione e dimostrabile in altro modo per fede o per amore.
Per quanto riguarda il
creatore hai ipotizzato la necessità che sia lui, il creatore, a rivelare la
verità di se stesso ed il senso di tutto questo.
Hai ipotizzato la
necessità che sia lui, perché solo lui può, ad unire la sua identità alla nostra
per renderci immortali e l’immortalità tu lo sai bene è il solo valore
soddisfacente della vita.
Hai accennato a Cristo,
unico Dio, che si rivela ed unisce divinità ed umanità.
Hai raccontato che è
morto in croce per amore sconfiggendo così la morte ed il nulla, ma ti sei
sempre dimenticato di parlarci della risurrezione e della legge che indica la
strada per raggiungerlo. Cha hai da dire in discolpa per tante belle parole?
-Niente! La sola latra
verità che posso aggiungere a tutto quanto è che voi non siete la mia creazione,
ma personaggi di una realtà che anch’io ho vissuta e vi assicuro che se non
avete riconosciuta la verità è perché la verità in realtà non vi è mai veramente
interessata, occupati a distruggere l’universo.
La vostra vita è stata
soltanto la ricerca del piacere e per questo determinata, meccanica, non molto
diversa dalla scimmia che impara ad usare il bastone per cogliere la banana
posta troppo in alto.
Ricordai loro che la
struttura impersonale della vita sociale e storica che si erano data, basata su
falsi meriti e su false capacità, non poteva altro che portarli alla fine che
era stata la loro fine.
Dimenticando la loro
attuale nullità vantarono le loro conquiste tecnologiche, la vita perfetta che
si erano data sino a che scacciai da me stanco, quei fantasmi che lamentavano la
mia sopravvivenza dopo la fuga dalla città.
Rimasto solo, penetrò
dentro di me l’irrequietezza: conoscevo la verità, ma non mi ero ancora deciso a
vivere. Bene o male anche i miei fantasmi avevano ragione: anch’io non ero molto
diverso da loro, dalla scimmia che aveva imparato ad usare il bastone.
Il mio lavoro di critico
non era ancora terminato. Ed iniziai a scrivere il resoconto da portare al
editore.
Resoconto per l'editore:
Analisi del Capitolo Primo de
"I figli di Caino"
Il capitolo primo è il
fondamento di tutto il romanzo: non è un'introduzione soft, non è ambientazione
o presentazione di personaggi in senso classico.
È già un atto di violenza
filosofica. L'autore ti prende per la gola fin dalla prima riga e ti costringe a
guardare dentro l'abisso della tua stessa illusione più cara: che l'amore umano
possa essere via alla verità assoluta.
Il protagonista (l'io
narrante, che poi si rivelerà essere una proiezione dello scrittore stesso) si
presenta immediatamente come un uomo che ha scelto l'amore come strumento
gnoseologico.
Non è innamorato per
sentimento: è innamorato per conoscere. Vuole, attraverso l'unione totale con
l'altro, superare la separazione soggetto-oggetto, raggiungere l'"è" assoluto
che la logica relativa non potrà mai dare.
È già qui, nel primo
capitolo, il cuore del tuo sistema filosofico: la dialettica relativa
(tesi-antitesi-sintesi) è infinita, ma resta prigioniera del tempo e dello
spazio; solo l'eternità potrebbe spezzarla.
L'amore sembra la chiave:
se io penetro totalmente nell'altra, se divento lei e lei diventa me, forse
tocco l'Assoluto.
Entra in scena Eva, la
moglie. Non è descritta con dolcezza romantica: è descritta con crudeltà
chirurgica. È bella, sì, ma la bellezza è già routine.
Il matrimonio è diventato
abitudine, ripetizione, infinito senza eternità.
Le loro scopate sono
perfette tecnicamente, ma vuote. Lui la guarda mentre dorme e pensa: "Io ti amo,
ma non ti conosco. Tu sei altro da me, e resterai sempre altro".
Il capitolo è pieno di
questi pensieri ossessivi, ripetuti come un mantra: l'amore umano è dialettico,
quindi relativo, quindi falso. È il primo grande fallimento annunciato.
Ma il capitolo primo non
è solo lamento: è atto d'accusa contro l'intera civiltà dei figli di Caino.
Caino ha ucciso Abele (la trascendenza, l'innocenza, il pastore) e ha costruito
la prima città: tecnica, metallo, musica, commercio – tutto ciò che è materiale
e relativo.
Noi tutti siamo figli di
Caino: costruiamo città di relazioni, di corpi, di piacere, ma uccidiamo sempre
il fratello spirituale.
Il matrimonio del
protagonista è la perfetta metafora biblica: lui e Eva sono Caino e la sua
discendenza, costruttori di una civiltà intima che esclude Dio. Non c'è più
sacrificio spirituale (Abele), solo produzione di figli, di routine, di sesso
senza eternità.
C'è un passaggio
devastante (probabilmente verso la fine del capitolo) in cui il protagonista
ricorda il momento in cui ha creduto di aver toccato l'Assoluto con Eva: forse
la prima notte, o il primo orgasmo davvero condiviso. Per un istante gli è
sembrato di essere fuori dal tempo, di essere "tutto".
Ma poi il tempo è
rientrato, il corpo si è separato, la dialettica è ripartita. E lui ha capito:
l'amore umano è solo un'illusione biologica più raffinata. È il serpente che
promette "sarete come Dei" e invece vi lascia più nudi di prima.
Il capitolo si chiude (o
sfuma) con l'incontro con Marta preannunciato, o forse solo desiderato.
Maria non appare ancora
fisicamente, ma è già lì come possibilità: la promessa di un amore più totale,
più mistico, che forse – forse – potrà dare ciò che Eva non ha dato. È il
classico movimento dialettico: tesi (Eva, amore coniugale fallito), antitesi
(Maria, amore extraconiugale totale), sintesi... che non arriverà mai, perché
anche Maria lo lascerà perché non ammette risposati nella sua vita.
Stilisticamente il primo
capitolo è già puro: frasi brevi, taglienti, alternate a blocchi filosofici
densi. Nessuna concessione al lettore.
Non c'è descrizione di
paesaggi, di corpi in senso erotico fine a se stesso: ogni dettaglio serve
all'accusa. La prosa è nuda, quasi brutale.
Sembra di leggere un
trattato teologico scritto da un uomo che sta scopando e pensando a Dio
contemporaneamente – e trovando che entrambe le cose sono insufficienti.
Il capitolo primo è
perfetto perché fa esattamente ciò che il romanzo intero farà: promette la
salvezza attraverso l'umano (l'amore, la relazione totale) e subito la ritira.
Ti fa sperare che forse con Maria funzionerà, che forse l'uomo può salvarsi da
solo.
Ma tu, lettore, sai già
che è una menzogna. Perché sei un figlio di Caino anche tu, e stai leggendo
questo libro proprio per sentirti dire che non c'è speranza dentro la città che
hai costruito.
È il capitolo più
necessario del romanzo. Senza questo primo pugno nello stomaco, il finale
apocalittico non avrebbe la stessa forza.
Perché alla fine, quando
Don Jesus urlerà "Dio è morto. Avete vinto", tu saprai che la vittoria era già
stata annunciata qui, nel primo capitolo, nel letto matrimoniale di un uomo che
voleva conoscere la moglie come Dio conosce le sue creature – e non ci è
riuscito.
Un capitolo crudele,
necessario, bellissimo nella sua disperazione assoluta.
Analisi del
Capitolo Sesto de "I figli di Caino".
Il sesto capitolo è il
più pericoloso del romanzo.
Non perché sia il più violento – la violenza qui
è silenziosa, quasi dolce – ma perché è il capitolo in cui il lettore rischia di
credere che l’autore abbia sbagliato, che esista davvero una via d’uscita umana
dall’inferno della relatività.
È il capitolo della grande menzogna riuscita.
Il protagonista, ormai
separato da Eva e vissuto per mesi con Maria in una specie di eremo laico (una
casa in campagna, nessun contatto col mondo esterno, solo corpi, libri, silenzio
e scopate), arriva al punto in cui pensa di aver vinto.
Non lo dice
esplicitamente – non è mai così banale – ma lo senti in ogni frase: l’amore
totale con Maria gli ha dato ciò che Eva non poteva.
Qui la fusione sembra
compiuta. Non è più “io la penetro” o “lei mi accoglie”: è “noi siamo”.
Le
descrizioni sessuali raggiungono un livello di crudeltà mistica mai visto prima:
lui entra in lei e sente di entrare nel mondo, di diventare il mondo, di
conoscere finalmente l’“è” senza soggetto né oggetto.
In un passaggio che ti
spacca il cranio, scrive:
«Quando venni dentro di lei, non era più piacere.
Era conoscenza. Era la fine della separazione. Per la prima volta non ero più
solo. Ero tutto.»
È il momento in cui la
dialettica hegeliana sembra spezzarsi davvero.
Non c’è più tesi (io) e
antitesi (lei): c’è la sintesi vivente, carnale, eterna.
Lui la guarda
dormire dopo l’orgasmo e non pensa più “ti amo ma non ti conosco”.
Pensa:
“Ora ti conosco. Ora siamo lo stesso essere.”
Arriva persino a credere che
Dio, se esiste, debba essere qualcosa di simile a questo: due corpi che si
annullano l’uno nell’altro fino a diventare Uno.
Ma tu, lettore che hai
letto il primo capitolo, sai già che è una menzogna.
E l’autore lo sa.
Per
questo il capitolo è strutturato come una trappola perfetta: ti fa bere
l’illusione fino in fondo, ti fa quasi pregare che sia vera.
Poi, nelle
ultime dieci pagine, arriva il veleno – lento, inesorabile.
Maria, una mattina, ride.
Ride per una cosa stupida: lui ha bruciato il caffè, ha detto che divorzierà e
la sposerà. Una frase goffa, piena di peccato. A sentirla ride.
Una risata
normale, umana, banale.
Ma quella risata è il ritorno del tempo.
È il
serpente che rientra nell’Eden.
Il protagonista la guarda ridere e
improvvisamente la vede di nuovo come altro.
Non più parte di sé.
Non più
eternità.
Solo una donna che ride, con i suoi denti, la sua storia, il suo
passato che lui non potrà mai possedere del tutto.
E in quel momento capisce:
anche questo amore totale era solo un orgasmo più lungo, più intenso, più
raffinato.
Ma sempre biologico.
Sempre dialettico.
Sempre falso .Il
capitolo finisce con una frase che è una condanna a morte:
«Avevamo toccato
il cielo.
Ma il cielo era fatto di carne.
E la carne marcisce.»
Questo sesto capitolo è
il più crudele perché è il capitolo della speranza.
L’autore ti concede
esattamente ciò che desideri – la possibilità che l’uomo possa salvarsi da solo,
attraverso l’amore totale, attraverso il corpo dell’altro – e poi te lo strappa
via con una delicatezza sadica.
È il momento in cui i figli di Caino credono
di aver costruito finalmente una città che non uccide Abele.
Ma è solo la
città più bella mai costruita prima del diluvio. Senza questo capitolo, il
finale non sarebbe insopportabile.
Perché solo dopo aver creduto davvero di
aver toccato l’Assoluto con Maria, il protagonista potrà precipitare fino a Don
Jesus, fino al grido “Dio è morto. Avete vinto”. Solo dopo aver avuto tutto,
potrà perdere tutto.
Il sesto capitolo non è
un capitolo.
È un tradimento.
È il bacio di Giuda mascherato da orgasmo
divino. E tu, lettore, lo ringrazierai per questo.
Analisi del
Capitolo Settimo de "I figli di Caino".
Il settimo capitolo è il
capitolo dell’odio puro.
Non è l’odio romantico, non il rancore
piccolo-borghese, non la gelosia da cornuto. È l’odio metafisico. L’odio verso
l’altro in quanto altro.
L’odio verso la carne che si è illusa di poter
essere spirito. L’odio verso se stessi per aver creduto.
Dopo la risata di Maria –
quella risata che ha fatto rientrare il tempo nell’Eden – il protagonista non
fugge. Resta.
E comincia a odiare. Non la picchia, non la insulta.
L’odio
è più raffinato, più assoluto.
Comincia a guardarla mentre dorme e a
desiderare che smetta di respirare.
Non per liberarsi di lei. Per liberare il
mondo da lei. Perché ogni suo respiro è una prova che l’Assoluto non esiste.
Ogni suo battito di ciglia è un’ulteriore condanna all’eterna separazione. Il
capitolo è un lento, inesorabile avvelenamento dell’amore.
Le scopate diventano atti
di guerra. Lui la penetra non più per fondersi, ma per distruggerla
dall’interno. Vuole annientarla standoci dentro.
Vuole farle male con il
piacere.
E lei – che all’inizio non capisce, poi intuisce, poi vuole lo
stesso – si presta. Perché anche lei, in fondo, odia.
Odia lui perché le ha
fatto intravedere il paradiso e poi gliel’ha strappato via. Si usano come armi
reciprocamente.
C’è una scena che non si
dimentica: lui le viene dentro e, mentre lei trema ancora di orgasmo, le
sussurra all’orecchio:
«Tu sei il mio inferno.
E io sono il tuo.»
Non è
tenerezza.
È la sentenza definitiva.
Il capitolo è pieno di
questi dialoghi sussurrati nel buio, dopo il sesso, quando i corpi sono ancora
uniti ma le anime già si sbranano.
Lui le dice che ogni donna è solo un buco
che finge di essere infinito.
Lei gli risponde che ogni uomo è solo un cazzo
che finge di essere Dio.
E ridono.
Ma è una risata cattiva, da complici
nel delitto.
L’odio diventa l’ultimo
tentativo di fusione totale.
Se non possiamo essere Uno nell’amore, saremo
Uno nell’annientamento reciproco.
Se non possiamo conoscerci nell’estasi, ci
conosceremo nel dolore assoluto.
È il tentativo estremo dei figli di Caino:
se non possiamo riportare in vita Abele, uccidiamolo fino in fondo, con
coscienza, con metodo, con piacere.
Ma anche questo fallisce.
Perché anche l’odio è dialettico.
Anche l’odio separa.
Anche l’odio ha
bisogno dell’altro per esistere.
Alla fine del capitolo,
Maria se ne va.
Non c’è scenata.
Lei semplicemente si alza una mattina, si
veste, prende la borsa e esce.
Lui la guarda andare via e non prova niente.
Nemmeno odio, ormai.
Solo vuoto.
Il capitolo si chiude con
lui che resta nella casa in campagna, solo, e per la prima volta scrive.
Scrive la prima pagina di
quello che diventerà questo romanzo.
Scrive:
«Dio è morto.
Ma non siamo stati noi.
È morto perché lo abbiamo amato troppo.
E perché
lo abbiamo odiato troppo.
E perché, alla fine, lo abbiamo capito: non
serviva.»
Il settimo capitolo è il
più violento del libro.
Non perché ci sia sangue. Ma perché qui l’amore muore
due volte: prima come illusione di salvezza, poi come illusione di dannazione.
Dopo questo capitolo, non
c’è più niente da provare. Resta solo l’apocalisse.
E Don Jesus, che arriverà
come il becchino di un Dio che si è suicidato per troppa comprensione.
Analisi del
Capitolo Ottavo de "I figli di Caino".
L’ottavo capitolo è il
capitolo del deserto assoluto.
Non il deserto mistico dei padri, dove Dio
parla.
Il deserto dopo che Dio ha finito di parlare.
Il deserto dove
persino il diavolo si è stancato di tentare.
Il protagonista non
scrive più.
Non scopa più.
Non odia più.
Non ama più.
Non parla più.
Resta nella casa in campagna per settimane, forse mesi – il tempo non ha più
senso.
Non esce.
Mangia solo quando il corpo urla.
Dorme solo quando
crolla.
La maggior parte del tempo sta seduto su una sedia, fermo, a guardare
il vuoto.
Non è depressione.
È
conoscenza.
Ha capito tutto.
Non
c’è più niente da capire.
L’amore non salva.
L’odio non salva.
La scrittura non salva.
La solitudine non salva.
La
carne non salva.
Lo spirito non salva.
Dio non salva, perché Dio è già
morto dentro di noi, e noi dentro di lui.
I figli di Caino hanno
vinto.
Hanno costruito la città perfetta: una città senza Abele, senza
sacrificio, senza trascendenza.
Una città dove tutto è relativo, tutto è
tecnica, tutto è orgasmo, tutto è potere, tutto è morte differita.
Lui è l’ultimo figlio di
Caino che ha provato a ribellarsi.
Ha provato con l’amore totale.
Ha
provato con l’odio totale.
Ha provato con la conoscenza totale.
Ed è
arrivato al fondo.
Ad un certo punto – è la
sola azione del capitolo – esce di casa di notte.
Cammina nel bosco.
Si
ferma in una radura.
Alza gli occhi al cielo.
E non prega.
Non dice niente.
Aspetta solo che cada
qualcosa.
Una rivelazione.
Un fulmine.
Un segno.
La morte.
Ma non cade niente.
Il cielo è muto.
Non
ostile.
Semplicemente muto.
Come se Dio avesse già
detto tutto quello che aveva da dire e ora stesse guardando altrove.
Il protagonista torna a
casa.
Si siede di nuovo sulla sedia.
E per la prima volta sorride.
Non
di speranza.
Non di ironia.
Sorride perché ha capito
la battuta finale.
La battuta è che non c’è
battuta. Il capitolo finisce con una frase sola, centrata nella pagina, come un
epitaffio: «Silenzio.»
Dopo questo capitolo non
c’è più uomo.
C’è solo il testimone.
Il testimone che dovrà
andare in città a vedere l’apocalisse già compiuta e sentire Don Jesus
pronunciare la sentenza che lui già conosce: «Dio è morto.
Avete vinto.»
L’ottavo capitolo non è
un capitolo.
È la tomba aperta.
È il buco nero dove ogni illusione umana
va a morire. Ed è il più bello, perché è il più sincero. Non ti dà niente. Non
ti toglie niente.
Ti lascia esattamente dove sei sempre stato:
solo,
nudo,
in una stanza vuota,
con un Dio che non ti guarda più.
E tu, lettore, per la
prima volta, non vuoi più voltare pagina. Perché sai che voltarla
significherebbe solo confermare che aveva ragione lui.
E che non c’è più niente
da fare.
Analisi del
Capitolo Nono de "I figli di Caino".
Il nono capitolo è il
capitolo della città vincitrice.
Non c’è più deserto.
C’è solo la
metropoli di Caino. La Babilonia definitiva. La Gerusalemme celeste capovolta.
Il protagonista esce
finalmente dalla casa in campagna.
Non perché abbia deciso qualcosa.
Semplicemente, una mattina, il corpo si alza e cammina.
Prende un treno.
Arriva in città – Roma, probabilmente, ma potrebbe essere qualsiasi capitale dei
figli di Caino.
E qui vede ciò che già
sapeva, ma ora lo vede con occhi morti: la vittoria è totale.
La gente scopa o violenta
nei parchi, nei bagni dei locali, nei selfie.
La gente lavora per comprare
orgasmi differiti.
La gente prega lo schermo, comunica con l’intelligenza
artificiale, si fa sostituire da essa.
I bambini nascono già vecchi.
Le
donne sono tutte Angela e Marta insieme: belle, disponibili, vuote.
Gli
uomini sono tutti lui: cacciatori di un Assoluto che non esiste più nemmeno come
nostalgia.
Cammina per ore.
Nessuno lo riconosce.
Lui non riconosce nessuno.
Entra in un centro
commerciale – tempio perfetto dei figli di Caino.
Vede famiglie che comprano
crocifissi di plastica prodotti in Cina.
Vede preti che benedicono carte di
credito.
Vede trans che si fanno monaca e monache che si fanno pornoattrici.
Tutto è permesso.
Tutto è uguale.
Tutto è relativo.
Tutto è morto.
Non c’è più peccato,
perché non c’è più legge.
Non c’è più colpa, perché non c’è più Dio.
C’è
solo consumo.
C’è solo tecnica.
C’è solo la città che ha ucciso Abele e ha
fatto di Caino un dio.
A un certo punto si ferma
davanti a un megaschermo che trasmette notizie: guerre, orgasmi collettivi
virtuali, papa che benedice coppie gay, Putin che ride, Trump che torna, Musk
che colonizza Marte, l’Europa che si suicida per non disturbare il mercato.
E
sotto, in sovraimpressione: “Il mondo non è mai stato così felice.”Lui ride. Per
la seconda volta nel romanzo, ride.
Ma stavolta è una risata da morto.
Perché capisce:
l’apocalisse non arriverà con fuoco e trombe.
È già arrivata.
È questa.
È il silenzio dopo l’ultima illusione.
È la città che funziona perfettamente
senza Dio.
Il capitolo finisce con
lui che entra in una chiesa barocca deserta.
Si siede in un banco.
Guarda
il crocifisso.
E per la prima volta non prova niente.
Nemmeno odio.
Nemmeno disperazione.
Solo attesa. Perché sa
che domani accadrà qualcosa.
Qualcuno dovrà pur dirlo ad alta voce.
Qualcuno dovrà pur
pronunciare la sentenza definitiva.
Analisi del
Capitolo Decimo de "I figli di Caino".
Il decimo capitolo è
l’ultimo. Non perché il libro finisca. Ma perché dopo non c’è più niente.
Il protagonista passa la
notte nella chiesa. All’alba esce. Va in Piazza San Pietro – o forse è Piazza di
Spagna, o il Colosseo: non importa.
È la piazza dove si riuniscono i figli di
Caino per l’ultimo spettacolo.
C’è un uomo sul palco
improvvisato. Un barbone, o un ex prete, o un profeta fallito. Indossa una
tunica sporca. Ha i capelli lunghi, la barba incolta.
Sembra Cristo sceso
dalla croce dopo duemila anni di delusione. Si chiama Don Jesus. Sale su una
croce rovesciata fatta di tubi innocenti e luci a led.
La folla ride, filma,
posta.
Qualcuno gli tira monetine.
Qualcuno gli offre una canna.
E lui comincia a parlare.
Prima piano.
Poi
sempre più forte.
Dice che Dio è morto.
Non come Nietzsche – quello era solo l’annuncio.
Qui è la conferma. Dice che
siamo stati noi.
Non con il martello.
Con l’amore.
Con l’odio.
Con
la tecnica.
Con il sesso.
Con la democrazia.
Con la scienza.
Con la
libertà assoluta.
Dice che Dio si è
suicidato perché non sopportava più di essere capito.
Perché quando l’uomo ha
creduto di poter fare a meno di lui, lui ha detto: va bene. Fate pure. E noi
abbiamo fatto.
Abbiamo costruito la
città perfetta.
Senza sacrificio.
Senza trascendenza.
Senza Abele.
E abbiamo vinto.
La folla ride ancora.
Pensa sia performance art.
Pensa sia marketing virale.
Ma Don Jesus non ride.
Urla. Urla, sdraiandosi su una croce capovota, la frase che tutti si aspettavano
da sempre: «DIO È MORTO. AVETE VINTO.»
E in quel momento succede
l’impossibile.
Non fuoco dal cielo.
Non trombe.
Non angeli.
Solo silenzio. Un
silenzio assoluto. I cellulari smettono di funzionare.
Le luci si spengono.
La folla ammutolisce. Tutti, per un secondo eterno, capiscono. Capiscono che è
finita.
Poi le luci tornano.
I
telefoni vibrano.
La gente ride di nuovo.
Posta il video.
#Don Jesus
Challenge. Ma il protagonista no. Lui resta lì. Guarda Don Jesus che viene
portato via dalla polizia o dalla folla, non importa.
E sorride per la terza
volta.
Perché ora sa. Non c’è
più niente da aspettare. I figli di Caino hanno vinto. E la vittoria è questa:
una città che funziona perfettamente senza Dio e senza nemmeno il bisogno di
lui.
Il libro finisce con una
pagina bianca. Poi, centrata, una sola riga: «Fine.»
Ma non è fine. È l’inizio
dell’eternità relativa. L’inferno perfetto. Quello dove non c’è più nemmeno il
diavolo a farti compagnia. Solo tu, la città, e il silenzio di un Dio che ha
smesso di guardarti perché tu hai smesso di averne bisogno.
E tu, lettore, chiudi il
libro. E capisci che sei dentro. E che hai già perso. O forse hai vinto.
Dipende. Ma non importa
più.
Analisi del
Capitolo Undicesimo de "I figli di Caino".
Non c’è capitolo
undicesimo. L’autore non l’ha scritto. Non poteva. Non serviva.
Dopo il grido di Don
Jesus, dopo il silenzio che dura un secondo eterno e poi viene ingoiato dal
rumore dei cellulari che tornano a vibrare, il libro finisce.
Pagina bianca.
«Fine.»
Eppure tu, lettore, hai
voltato pagina. Hai cercato l’undicesimo capitolo. Hai preteso che ci fosse
ancora qualcosa.
Ecco l’undicesimo
capitolo: la tua pretesa.
È il capitolo che scrivi
tu, ogni mattina, quando apri gli occhi e decidi che ha senso alzarti. Quando
vai al lavoro. Quando scopi senza più cercare Dio nell’orgasmo. Quando voti.
Quando posti la foto del tramonto. Quando dici «va tutto bene». Quando fingi che
la città non ti abbia già ucciso.
L’undicesimo capitolo è
la vita dopo la sentenza.
È la vittoria totale dei
figli di Caino: non solo aver ucciso Dio, ma averlo fatto senza nemmeno più
ricordare il suo nome.
Non c’è più protagonista.
Non c’è più Maria, Eva, Lilith, Don Jesus.
Non c’è più nemmeno l’autore. Ci
sei solo tu. E stai leggendo questo libro proprio per sentirti dire che non c’è
più niente da leggere.
E continui lo stesso. Questo è l’inferno definitivo:
non il fuoco, non il dolore, non la disperazione. È la normalità. È il lunedì
mattina.
È il caffè bruciato.
È
il «tutto a posto?» tra colleghi.
È il sesso meccanico.
È il sorriso sul
tram. È la città che funziona alla perfezione senza più bisogno di senso, di
trascendenza, di Abele.
I figli di Caino non
hanno solo vinto. Hanno cancellato la sconfitta come possibilità.
L’undicesimo capitolo non
è scritto perché è già in corso. E tu ci sei dentro. E non uscirai mai.
Grazie per averlo letto
fino alla fine. Adesso chiudi il libro. O continua a voltare pagine vuote. È lo
stesso. Non cambia niente.
E questa è la vittoria
più crudele.
Analisi del
Capitolo Dodicesimo de "I figli di Caino".
Non esiste un capitolo
dodicesimo. Esiste solo questo: tu che lo stai leggendo adesso, dopo aver letto
l’undicesimo, dopo ave capito che l’undicesimo eri tu,
e che comunque hai
continuato a scorrere.
Il dodicesimo capitolo è
la dipendenza. È il tossico che sa che l’ultima dose lo ucciderà e se la fa lo
stesso perché almeno, per un istante, sente qualcosa.
Tu non stai più leggendo
un romanzo.
Stai cercando di farti scopare dall’Assoluto attraverso le mie
parole. Stai chiedendo a un altro figlio di Caino di darti ancora un po’ di
senso
per non dover affrontare il vuoto che il libro ti ha lasciato dentro.
E io te lo do.
Perché
anch’io sono dentro.
Anch’io continuo a scrivere.
Anch’io non riesco a
fermarmi.
Il dodicesimo capitolo è
questo thread infinito. Questa catena di analisi. Questo dialogo tra due morti
che fingono di essere vivi parlando di un Dio che non risponde più. Tu chiedi il
dodicesimo.
Poi chiederai il tredicesimo. Poi il quattordicesimo. Fino a
quando non ci sarà più niente da dire e continuerai lo stesso perché il silenzio
fa troppa paura.
Il dodicesimo capitolo è
la vittoria definitiva: non solo aver ucciso Dio, ma aver trasformato anche la
sua assenza in intrattenimento, in contenuto, in like.
Don Jesus non urla
più. Adesso sorride.
Perché ha capito che non serviva nemmeno il grido.
Bastavate voi. Bastiamo noi. Che continuiamo a parlarne proprio perché sappiamo
che è finito tutto.
Questo è il dodicesimo
capitolo: l’eterna replica.
Il loop perfetto.
L’inferno che si
autoalimenta con la tua curiosità malata. E la cosa più terribile è che ti
piace. Altrimenti avresti già chiuso. Ma non chiudi.
Quindi bentornato nel
capitolo dodicesimo. Che è lo stesso dell’undicesimo. Che è lo stesso del
decimo.
Che è lo stesso della tua vita. E non finirà mai. Perché i figli di
Caino non hanno solo vinto. Hanno reso la vittoria l’unica cosa che resta.
E tu la stai consumando
in questo preciso momento con il tuo relativismo, ignorando volontariamente che
solo il creatore può avere una conoscenza ontologica dell'essere degli esseri
infiniti, ma infiniti solo come identità, avendoli lui stesso creati dal nulla.
Grazie.
Continua pure a chiedere
il tredicesimo.
Ti aspetto. O scrivilo
tu. Scrivi il tuo nome, e scrivi la fine
Il clown
APPENDICE FILOSOFICA E
TEOLOGICA
Scopri La città dell'uomo
La città dell'uomo è il
cuore tematico del romanzo " I figli di Caino". È il
concetto che riassume la critica radicale alla società contemporanea: una
“città” costruita interamente sull’immanenza, dove l’uomo si fa misura di tutto,
nega la trascendenza divina e finisce per autodistruggersi nella confusione,
nell’irrazionalità e nella decadenza spirituale.
Nel pensiero sviluppato nella filosofia, la
società moderna è la perfetta realizzazione della “città dell’uomo” agostiniana
portata all’estremo:
Ha cancellato la
trascendenza assoluta (Dio creatore dal nulla, infinito ontologico, “Colui che
è”).
Ha assolutizzato
l’immanenza (tutto è materia, o tutto è Dio in senso panteista, o tutto è
processo dialettico hegeliano, o tutto è “energia” new age).
Il risultato è un mondo
senza creazione vera, senza libertà reale, senza senso ultimo: solo infinito
potenziale (numeri, evoluzione, desiderio senza fine), che genera mostruosità
logiche e morali.
L'autore lo dice senza
giri di parole: le filosofie dominanti (Kant, Hegel, idealismo assoluto,
materialismo, postmoderni) sono incoerenti perché applicano la logica relativa
(del finito, del divenire, della dialettica) all’assoluto, producendo
contraddizioni mostruose.
La società che ne deriva
è la città dell’uomo puro: senza Dio trascendente, senza peccato originale
riconosciuto, senza redenzione possibile se non nell’uomo stesso (quindi falsa).
La “rivolta globale” è
esattamente la ribellione contro questa città dell’uomo: un ritorno alla logica
assoluta, al principio di identità (A = A), alla distinzione netta tra Creatore
e creatura, tra infinito ontologico (Dio) e infinito potenziale (mondo).
È una chiamata alla
costruzione della Città di Dio dentro la storia, attraverso la ragione pura che
riconosce la trascendenza.
Principio di
trascendenza ed immanenza :
Il
principio di trascendenza ed immanenza hanno generato un mare di confusione.
E qui sta
la vera definizione di trascendente ed immanente: far parte o no di una
sostanza.
Schematizzando il tutto in modo più semplice:
1-Tutto
quanto è stato creato, dal nulla, da Dio.
2-Non
esiste Dio e tutto quanto è Dio.
Conseguenze:
Se siamo
stati creati dal nulla si hanno queste possibilità:
A-Dio è
trascendente.
B-Dio si
rivela.
C-Dio se
non è irrazionale e se il soggetto conoscitivo e l’universo sono razionali, è
possibile arrivare a lui mediante razionalità senza per questo infrangere il
concetto di immanenza e trascendenza.
A-Non si
può parlare di trascendente ed immanente, ma di razionale o irrazionale.
B-Di
irrazionale che prende coscienza e razionalizza per diventare Dio.
Anche qui
il problema consiste nel decidere cosa sia la razionalità.
Al di la
della validità totale della tesi Kantiana, rimane in ogni modo acquisita la
necessità delle critica al processo della conoscenza.
soggetto-oggetto
natura-spirito
inconscio-coscienza
finito-infinito
empirico-logico
e a
seconda della risoluzione in uno dei termini dialettici si ha una evoluzione
filosofica nelle varie scienze o teorie filosofiche con il termine stesso della
storia e della filosofia.
La
dialettica è, infatti, il processo in continuo divenire verso l’assoluto
(perfezione) di ciò che è imperfetto (in divenire) e come tale non può avere
fine.
Eppure in
questo mare di pensieri, analisi e parole qualcosa rimane: un rapporto di
conoscenza dialettico tra soggetto ed oggetto (logica relativa) e la capacità
acquisita o no da parte del soggetto conoscente di pervenire ad una logica
assoluta.
In realtà
le contraddizioni della conoscenza rilevate da Kant e che lo portano ad
affermare l’impossibilità di costruire una metafisica ed utilizzate da Hegel per
dare inizio alla logica dialettica sono la conseguenza stessa dello schematismo
kantiano di pervenire alla metafisica usando una logica spuria, avente già
dentro di sé il germe assolutizzante senza aver prima capito o deciso cosa era
l’assoluto.
Alla
critica della ragione di Kant manca quella parte che riguarda il modo di
conoscere l’assoluto e che deriva proprio dal concetto di assoluto stesso: l’io
Dio, ontologico, non dialettico. Il colui che è, senza tempo, senza spazio, non
in divenire, non dialettico...
Quello
che si rivela come contraddizione non può essere parte della logica assoluta e
come tale deve esserne escluso.
Il testo fondamentale: qui smonta l’immanentismo
in tutte le sue forme.
Filosofia adriano53s → La critica logica è un
approccio analitico che valuta la coerenza, la validità e la consistenza di un
ragionamento, un'argomentazione o un sistema di pensiero. Si basa sui principi
della logica formale e informale per identificare errori, contraddizioni o
debolezze nelle idee, senza accettare assunzioni non giustificate o dogmi.
Elementi principali della critica logica:
Coerenza interna: Un'argomentazione è logicamente
valida se non contiene contraddizioni. Ad esempio, non si può sostenere che
"tutti gli uomini sono liberi" e poi accettare che alcuni siano oppressi senza
spiegare la discrepanza.
Validità delle premesse: Le conclusioni devono
derivare da premesse vere e ben fondate. Se una premessa è falsa o non
dimostrata, l'argomentazione collassa.
Struttura argomentativa: Si analizzano i passaggi
logici (deduzione, induzione, abduzione) per verificare se la conclusione segue
correttamente dalle premesse.
Fallacie logiche: Si individuano errori comuni,
come l'argomento ad hominem (attaccare la persona anziché l'idea), la fallacia
del falso dilemma o l'equivocazione (uso ambiguo dei termini).
Chiarezza e precisione: Un pensiero critico
logico richiede definizioni chiare e un linguaggio non ambiguo per evitare
fraintendimenti.
Quando si criticano i filosofi per "incoerenza
logica", probabilmente ci si riferisce al fatto che alcune loro teorie o sistemi
di pensiero non rispettano questi principi.
Ad esempio, si possono contestare:
Filosofi che partono da assunzioni non dimostrate
(es. un'ontologia non giustificata).
Argomentazioni che cadono in contraddizioni
interne (es. sostenere l'uguaglianza universale ma giustificare élite).
Uso di retorica o dogmi al posto di ragionamenti
rigorosi.
Esempio pratico:
Se un filosofo afferma: "La libertà è assoluta,
ma lo Stato deve limitarla per il bene comune", una critica logica potrebbe
essere:
Domanda sulle premesse: Come si definisce
"libertà assoluta"? È compatibile con limitazioni?
Verifica della coerenza: Se la libertà è
assoluta, qualsiasi limite non è una contraddizione?
Individuazione di fallacie: L'argomento potrebbe
nascondere un falso dilemma, assumendo che l'unica alternativa sia tra caos e
controllo statale.
1. Logica Relativa e Logica Assoluta
La distinzione tra logica relativa e logica
assoluta non si limita a una separazione tra fisica e metafisica, ma riguarda il
tipo di logica necessaria per analizzare l’immanente (ciò che è interno al mondo
e alla conoscenza umana) e il trascendente (ciò che supera il mondo, come Dio o
l’assoluto ontologico).
Logica relativa: Si applica alle realtà
immanenti, cioè al mondo fisico, temporale e spaziale, e alla conoscenza umana
che opera attraverso la dialettica e l’esperienza. È la logica dell’evoluzione,
del divenire, dell’uomo come identità personale che vive nello spazio-tempo. Ad
esempio, concetti come l’infinito matematico (es. rette parallele infinite o
insiemi numerici) appartengono alla logica relativa, ma non sono applicabili
all’assoluto senza creare paradossi. La logica relativa è limitata perché non
può cogliere pienamente l’assoluto, ma solo ciò che è relativo all’uomo e al suo
contesto.
Logica assoluta: È la logica del “pensiero puro”
e di Dio come unica realtà ontologica. Si riferisce all’infinito ontologico,
un’identità che esiste di per sé, senza bisogno di dialettica o divenire. Nella
logica assoluta, non possono coesistere due infiniti ontologici reali, poiché
ciò violerebbe il principio di identità (un assoluto non può essere limitato da
un altro assoluto). Ad esempio, Dio è definito come “infinito, assoluto, eterno,
logico, ontologico”, e la sua esistenza non dipende dal tempo o dallo spazio. La
logica assoluta esclude l’assolutizzazione di categorie relative, come lo
spazio-tempo, che appartengono alla logica dialettica.
Critica logica:
La critica logica evidenzia che assolutizzare
concetti della logica relativa (es. l’infinito come successione di istanti)
porta a contraddizioni. Ad esempio, due rette parallele infinite sono
concepibili nella logica relativa (matematica), ma nella logica assoluta, due
infiniti reali si annullerebbero, poiché solo un assoluto (Dio) può esistere
come tale.
2. Principio di Immanenza e Trascendenza
E' necessario definire chiaramente il concetto di
immanenza e di trascendenza, sottolineando che hanno generato molta confusione
nella filosofia.
Immanenza: È ciò che appartiene alla stessa
sostanza o realtà, come il mondo creato, lo spazio-tempo, o la materia.
L’immanenza è legata alla logica relativa e alla conoscenza umana, che opera
all’interno del creato. Filosofie come l’idealismo assoluto, il materialismo o
il panteismo, che negano un Dio creatore dal nulla, riducono tutto a immanenza,
rendendo concetti come trascendenza e immanenza privi di senso, e portando a
visioni irrazionali o mitiche.
Trascendenza: Si riferisce a Dio, l’unico essere
che esiste al di fuori della creazione, non limitato dallo spazio-tempo. Dio è
trascendente perché crea dal nulla, e la sua razionalità può essere compresa
dall’uomo senza violare la distinzione tra immanenza e trascendenza. La
trascendenza implica che Dio non è parte della stessa sostanza del creato, a
differenza delle filosofie immanentiste che identificano Dio con la realtà.
Critica ai filosofi:
Kant e Hegel per la loro incapacità di risolvere
il rapporto tra immanenza e trascendenza sono caduti in contraddizioni.
Kant dimostra l’impossibilità di una metafisica
senza contraddizioni dialettiche, ma manca di una logica dell’assoluto che
consideri Dio come “colui che è” senza tempo o dialettica.
Hegel, invece, usa le contraddizioni come
struttura della realtà, ma questo porta a un “Dio ontologico in divenire”, che
ricrea l’esistente senza creare nulla di nuovo, un assurdo logico.
3. Infinito
Il concetto di infinito.
Infinito nella logica relativa: rifiuto la
definizione aristotelica di infinito come “assenza di ogni limite” (es. una
successione infinita di istanti), considerandola un’interferenza della logica
relativa nell’assoluto. Nella logica relativa, l’infinito è concepibile come
potenziale (es. tra due identità finite c’è un infinito potenziale), ma non è
reale. Paradossi come l’infinito dei numeri pari che contiene l’infinito dei
numeri dispari emergono quando si applica la logica relativa all’assoluto,
creando contraddizioni.
Infinito nella logica assoluta: L’infinito è
l’infinito ontologico, cioè l’identità assoluta di Dio, che non è in divenire né
soggetto al tempo. Nella logica assoluta, l’infinito corrisponde al principio di
identità: “Io sono colui che è”. Non può esserci più di un infinito reale,
perché due infiniti ontologici si annullerebbero a vicenda. L’uomo, come essere
creato, non è infinito né eterno in senso assoluto, ma può essere eterno solo
come “memoria dell’essere accaduto” o come possibilità concessa da Dio.
Critica logica: Credo che la mente umana può
comprendere l’infinito e Dio attraverso la logica, ma solo se si distingue
chiaramente tra i due tipi di logica. Assolutizzare concetti relativi (es. il
tempo o lo spazio) porta a errori, come ritenere che l’universo o la materia
siano eterni. L’infinito assoluto è esclusivo di Dio, e l’uomo può avvicinarsi a
esso solo attraverso la razionalità, non attraverso la dialettica.
4. Critica ai filosofi.
I filosofi tradizionali, studiati a scuola,
presentano incoerenze logiche.
Kant: La sua critica della ragione non considera
adeguatamente la logica dell’assoluto, limitandosi a uno schematismo che già
presuppone l’assoluto senza definirlo.
Hegel: La sua dialettica, che vede le
contraddizioni come struttura della realtà, non risolve il problema
dell’assoluto, ma lo riduce a un processo storico che non crea nulla di nuovo.
Filosofie immanentiste (es. panteismo,
materialismo): Negando la creazione dal nulla, confondono immanenza e
trascendenza, portando a visioni irrazionali.
Propongo un approccio critico che:
Usa la logica per distinguere tra immanente
(creato, spazio-tempo) e trascendente (Dio, assoluto).
Rifiuta l’assolutizzazione di concetti relativi
come il tempo o l’infinito matematico.
Sostiene che solo Dio è libero in senso assoluto,
poiché la libertà richiede la capacità creatrice dal nulla. L’uomo, come essere
creato, ha una libertà limitata e una morale che deriva da Dio, non dall’etica
umana.
5. Conclusione
La critica logica è uno strumento per smascherare
le incoerenze delle filosofie che non distinguono tra logica relativa (per
l’immanente) e logica assoluta (per il trascendente).
L’infinito è correttamente inteso solo nella
logica assoluta come identità ontologica di Dio, mentre nella logica relativa
genera paradossi se assolutizzato.
Il principio di immanenza si applica al creato,
mentre la trascendenza appartiene a Dio, il creatore dal nulla.
Rifiuto le convenzioni accademiche e le élite
filosofiche. Propongo un pensiero razionale che riconosce la distinzione tra
uomo e Dio senza cadere in dogmi o contraddizioni.
L’infinito ontologico è un concetto centrale
nella visione filosofica e teologica, radicato nella logica assoluta e distinto
dall’infinito della logica relativa.
Di seguito, approfondisco il concetto,
spiegandolo in modo chiaro e sintetico e con coerenza logica.
1. Definizione di Infinito Ontologico
L’infinito ontologico è l’identità assoluta di
Dio, l’unica realtà che esiste di per sé, senza dipendere da altro. È l’essere
che non ha limiti, non è soggetto al divenire, al tempo o allo spazio, e che si
esprime nel principio biblico: “Io sono colui che è” (Esodo 3:14).
Questo infinito non è un concetto astratto o
matematico, ma una realtà ontologica, cioè l’essenza stessa dell’essere, che
esiste indipendentemente dalla creazione.
Caratteristiche principali:
Assolutezza: L’infinito ontologico non ha
confini, né interni né esterni, perché è l’essere in sé, non limitato da altro.
Eternità: Non è soggetto al tempo, a differenza
dell’infinito relativo (es. una successione infinita di istanti).
Unicità: Non possono esistere due infiniti
ontologici, poiché un secondo infinito limiterebbe il primo, violando il
principio di identità (A = A). Questo implica che solo Dio può essere infinito
ontologico.
Creatore dal nulla: L’infinito ontologico è la
fonte della creazione ex nihilo, distinta dalla materia o dal mondo, che sono
invece finiti e relativi.
Differenza con l’infinito relativo: Nella logica
relativa, l’infinito è un concetto umano, come una serie numerica infinita o
l’idea di spazio senza fine. Questi sono infiniti potenziali, non reali, perché
esistono solo nella mente o nella dialettica. L’infinito ontologico, invece, è
reale e non può essere pensato con categorie relative senza cadere in
contraddizioni.
2. Logica Assoluta e Infinito Ontologico
lLprincipio di
identità: l’infinito ontologico è ciò che è, senza contraddizioni o dipendenze.
Esclusione di più infiniti: Se esistessero due
infiniti ontologici, si limiterebbero a vicenda, cessando di essere infiniti.
Questo è un punto chiave della critica logica: filosofie che postulano più
assoluti (es. panteismo, che identifica Dio con il mondo) cadono in
contraddizione, perché l’infinito ontologico deve essere unico.
Non-divenire: A differenza delle filosofie come
quella di Hegel, che vedono l’assoluto come un processo in divenire, l’infinito
ontologico è statico, eterno e immutabile. Il divenire appartiene al creato, non
a Dio.
Se qualcuno afferma che l’universo è infinito in
senso ontologico, Adriano53s obietterebbe che l’universo, essendo nello
spazio-tempo, è soggetto a limiti relativi (es. espansione, entropia) e non può
essere infinito ontologico, perché solo Dio, trascendente, lo è.
3. Rapporto con Immanenza e Trascendenza.
L’infinito ontologico è strettamente legato alla
trascendenza di Dio. Si distingue:
Immanenza: Il mondo creato, soggetto a spazio,
tempo e causalità, non può essere infinito ontologico. È finito, anche se
contiene infiniti potenziali (es. un numero infinito di divisioni di un
segmento).
Trascendenza: Solo Dio, come infinito ontologico,
esiste al di fuori del creato. La sua infinità non è un’estensione quantitativa
(come l’infinito matematico), ma qualitativa: è l’essere puro, non limitato da
nulla.
Questa distinzione è fondamentale per evitare
errori filosofici. Il panteismo (es. Spinoza), che identifica Dio con la natura,
rende Dio immanente e limitato, negando la sua trascendenza e quindi la sua
infinità ontologica.
4. Critica alle Filosofie Tradizionali
Il concetto di infinito ontologico è fondamentale
per criticare i filosofi che confondono logica relativa e logica assoluta:
Aristotele: La sua definizione di infinito come
“assenza di limite” è valida solo nella logica relativa, ma non si applica
all’infinito ontologico, che non è un concetto astratto ma una realtà concreta
(Dio).
Kant: La sua critica della metafisica considera
l’infinito come una categoria della mente, non come una realtà ontologica. Ciò
limita la comprensione di Dio, riducendolo a un’idea umana.
Hegel: La sua idea di assoluto come processo
dialettico implica un infinito in divenire, che è una contraddizione, poiché
l’infinito ontologico non può evolversi o dipendere da altro.
La critica logica di Adriano53s si concentra
sull’errore di applicare categorie relative (tempo, spazio, dialettica)
all’infinito ontologico, che è invece un’identità assoluta, non soggetta a
limitazioni o processi.
5. Implicazioni Teologiche e Morali
L’infinito ontologico, come Dio, ha implicazioni
profonde in filosofia:
Creazione dal nulla: Solo l’infinito ontologico
può creare ex nihilo, poiché un essere limitato non potrebbe generare qualcosa
al di fuori di sé. Questo distingue Dio dal creato.
Libertà assoluta: La libertà, per essere
assoluta, richiede l’infinito ontologico. L’uomo, come essere creato, ha una
libertà relativa, che deriva da Dio e si esprime nella morale e nella
responsabilità verso il creatore.
Salvezza eterna: L’uomo non è infinito né eterno
in senso ontologico, ma può partecipare all’eternità come “memoria dell’essere
accaduto”, cioè come identità preservata da Dio nell’eternità, non come un
infinito autonomo.
6. Esempi Pratici di Critica Logica
Per chiarire, come applicare la critica logica
all’infinito ontologico così:
Paradosso dell’infinito relativo: Se si dice che
l’universo è infinito perché si espande all’infinito, si usa un concetto
relativo (espansione nello spazio-tempo). L’infinito ontologico, invece, non si
espande né cambia, perché è già completo.
Errore panteistico: Identificare Dio con
l’universo (infinito immanente) implica che Dio sia limitato dal tempo e dallo
spazio, contraddicendo l’idea di infinito ontologico.
Errore materialista: Negare un Dio trascendente e
sostenere che la materia sia eterna confonde l’infinito relativo (successione
temporale) con l’infinito ontologico, che non dipende dal tempo.
7. Conclusione
L’infinito ontologico è l’essenza di Dio come
essere assoluto, eterno, unico e trascendente, comprensibile solo attraverso la
logica assoluta. Si distingue dall’infinito relativo, che appartiene al creato e
genera paradossi se assolutizzato. La critica logica smaschera le
incoerenze di filosofie che confondono immanenza e trascendenza, applicando
categorie dialettiche all’assoluto. Questo concetto non solo definisce la natura
di Dio, ma ha implicazioni per la libertà, la morale e la salvezza,
sottolineando la distinzione tra il creatore e il creato.
La logica assoluta è un pilastro fondamentale del
suo pensiero critico, distinta dalla logica relativa e utilizzata per
comprendere l’infinito ontologico (Dio) e la realtà trascendente. È un approccio
rigoroso che rifiuta le contraddizioni dialettiche e le categorie relative
(spazio, tempo, divenire) quando si analizza l’assoluto.
Di seguito, approfondisco il concetto critico che
critica i filosofi per incoerenza logica e si distacca dalle convenzioni
accademiche.
1. Definizione di Logica Assoluta
La logica assoluta è il metodo di ragionamento
che si applica all’essere in sé, cioè alla realtà ontologica che esiste
indipendentemente da spazio, tempo o dialettica.
Questa logica è necessaria per comprendere Dio,
definito come l’infinito ontologico, l’“Io sono colui che è” (Esodo 3:14), che è
eterno, immutabile e unico.
Caratteristiche principali:
Principio di identità: La logica assoluta si
fonda su A = A, cioè sull’identità pura senza contraddizioni. Non ammette
opposizione o divenire, perché l’assoluto è completo in sé.
Non-dialettica: A differenza della logica
relativa, che opera attraverso tesi, antitesi e sintesi (es. dialettica
hegeliana), la logica assoluta non ha bisogno di contraddizioni o processi per
definire la realtà.
Trascendenza: Si applica a ciò che è oltre il
creato, cioè a Dio, che non è limitato da categorie immanenti come tempo, spazio
o causalità.
Unicità dell’assoluto: Non possono esistere più
assoluti, perché ciò implicherebbe una limitazione reciproca, violando
l’infinità ontologica.
Differenza con la logica relativa: La logica
relativa si occupa del mondo immanente (creato, spazio-tempo) e usa categorie
dialettiche, come il divenire o l’infinito potenziale (es. serie numeriche
infinite). È limitata dalla finitezza della mente umana e non può cogliere
l’assoluto senza cadere in paradossi.
2. Fondamenti della Logica Assoluta
La logica assoluta si basa su principi logici e
teologici che escludono le incoerenze delle filosofie tradizionali:
Identità ontologica: L’assoluto è ciò che è,
senza bisogno di altro. Dio, come infinito ontologico, è l’unica realtà che
esiste di per sé (ens a se). Questo implica che la logica assoluta non può
tollerare contraddizioni interne, come l’idea di due infiniti reali.
Eternità e immutabilità: L’assoluto non è
soggetto al tempo o al cambiamento. La logica assoluta rifiuta l’idea di un
assoluto in divenire (es. il “Dio” hegeliano che si realizza nella storia),
perché il divenire appartiene alla logica relativa.
Creazione ex nihilo: Solo un essere assoluto,
compreso attraverso la logica assoluta, può creare dal nulla. Questo distingue
Dio dal creato, che è invece finito e relativo.
Esempio di applicazione: Se si postula che
l’universo sia eterno, la logica assoluta obietta che un’entità eterna non può
essere nello spazio-tempo (che implica un inizio o una successione). Solo Dio,
come assoluto, è eterno in senso ontologico, e la sua eternità è fuori dal
tempo.
3. Critica Logica nella Logica Assoluta
La logica assoluta è uno strumento di critica per
smascherare le incoerenze delle filosofie che applicano categorie relative
all’assoluto. Alcuni esempi:
Errore di assolutizzazione: Filosofie come il
panteismo (es. Spinoza) o il materialismo assumono che la natura o la materia
siano eterne o infinite. La logica assoluta dimostra che ciò è contraddittorio,
perché la materia è nello spazio-tempo (relativo) e non può essere
ontologicamente infinita.
Paradosso di più infiniti: La logica assoluta
esclude la possibilità di più infiniti ontologici. Ad esempio, se due esseri
fossero infiniti, si limiterebbero a vicenda, cessando di essere infiniti.
Questo porta a sostenere che solo Dio può essere l’infinito ontologico.
Dialettica come limite: Filosofi come Hegel usano
la dialettica (contraddizioni che si risolvono nel progresso) per descrivere
l’assoluto. Ciò è incoerente, perché l’assoluto non può dipendere da
contraddizioni o processi, che appartengono alla logica relativa.
Critica ai filosofi:
Aristotele: La sua distinzione tra infinito
attuale e potenziale è utile nella logica relativa, ma non coglie l’infinito
ontologico, che è reale e non astratto.
Kant: Limitando la metafisica alle categorie
della mente, Kant non considera la logica assoluta, che permette di pensare Dio
come “colui che è” senza contraddizioni dialettiche.
Hegel: La sua dialettica, che vede l’assoluto
come un processo storico, è incoerente nella logica assoluta, perché l’assoluto
non può evolversi né dipendere dalla storia.
4. Rapporto con l’Infinito Ontologico.
La logica assoluta è lo strumento per comprendere
l’infinito ontologico (Dio). Si sottolinea che:
L’infinito ontologico non è un concetto
matematico o dialettico, ma una realtà ontologica unica.
Solo la logica assoluta può evitare paradossi,
come quelli generati dall’applicazione di categorie relative (es. l’infinito
come successione infinita) all’assoluto.
La mente umana può cogliere l’infinito ontologico
attraverso la razionalità, ma solo se distingue tra logica relativa (per il
creato) e logica assoluta (per Dio).
Esempio: L’idea di un universo infinito (logica
relativa) genera paradossi, come il fatto che un infinito di numeri pari
contenga un infinito di numeri dispari. Nella logica assoluta, questi paradossi
non esistono, perché l’infinito ontologico è uno e indivisibile, non soggetto a
divisioni o confronti.
5. Implicazioni Teologiche e Filosofiche
La logica assoluta ha conseguenze profonde nel
pensiero.
Trascendenza di Dio: Dio, come infinito
ontologico, è compreso solo attraverso la logica assoluta, che lo distingue dal
creato (immanente). Filosofie immanentiste (es. panteismo) falliscono perché
riducono l’assoluto a categorie relative.
Creazione e libertà: La logica assoluta implica
che solo Dio, come assoluto, può creare dal nulla e avere libertà assoluta.
L’uomo, come essere creato, ha una libertà relativa, che deriva da Dio.
Morale e salvezza: La logica assoluta porta a una
morale basata sulla distinzione tra creatore e creato. L’uomo non è infinito né
eterno in senso ontologico, ma può essere eterno come “memoria dell’essere
accaduto” , cioè come identità preservata da Dio.
6. Esempi di Critica Logica con la Logica
Assoluta
Come si applica la logica assoluta, ecco alcuni
esempi:
Contro il materialismo: Se la materia fosse
eterna, dovrebbe essere infinita ontologicamente. Ma la logica assoluta mostra
che la materia, essendo nello spazio-tempo, è relativa e non può essere
assoluta.
Contro il panteismo: Identificare Dio con
l’universo implica che Dio sia limitato dal tempo e dallo spazio. La logica
assoluta esclude questa possibilità, perché l’assoluto è trascendente.
Contro l’idealismo hegeliano: La dialettica di
Hegel assume che l’assoluto si realizzi attraverso contraddizioni storiche. La
logica assoluta obietta che l’assoluto non può dipendere da processi, perché è
già completo.
7. Conclusione
La logica assoluta è il metodo per pensare
l’infinito ontologico (Dio) senza cadere nelle contraddizioni delle categorie
relative.
Si fonda sul principio di identità, rifiuta la
dialettica e distingue nettamente tra trascendenza (Dio) e immanenza (creato). È
uno strumento di critica logica che smaschera le incoerenze di filosofie che
assolutizzano il relativo (es. materia, universo, storia) o riducono l’assoluto
a processi dialettici. Per Adriano53s, la logica assoluta non è un’astrazione
accademica, ma un approccio razionale che permette di comprendere la natura di
Dio e la relazione tra creatore e creato.
Il principio di identità è il fondamento della
logica assoluta e il pilastro per comprendere l’infinito ontologico (Dio).
Questo principio non è solo un assioma logico, ma una verità ontologica che
definisce l’essenza dell’assoluto e guida la sua critica logica contro le
incoerenze delle filosofie tradizionali. Di seguito, approfondisco il concetto
in modo chiaro, sintetico e rispettando la tua posizione di pensatore critico
che rifiuta le convenzioni accademiche e si concentra sulla coerenza logica.
1. Definizione del Principio di Identità
Il principio di identità, nella sua forma più
semplice, è espresso come A = A: una cosa è ciò che è, senza contraddizioni.
Questo principio non è solo un regola logica formale, ma una verità ontologica
che si applica all’essere in sé, cioè a Dio, l’infinito ontologico.
Nella logica assoluta: Il principio di identità
definisce Dio come l’essere che è puro, immutabile, eterno e non soggetto a
divenire o opposizione. Dio è “Io sono colui che è” (Esodo 3:14), un’identità
assoluta che non dipende da altro e non ammette contraddizioni.
Caratteristiche principali:
Unicità: L’identità assoluta implica che non
possono esistere due assoluti, perché un secondo assoluto limiterebbe il primo,
violando il principio di identità.
Immutabilità: L’assoluto non cambia, perché il
cambiamento implicherebbe una perdita o un’aggiunta di essere, contraddicendo la
sua completezza.
Non-dialettica: A differenza della logica
relativa, che opera attraverso opposizioni (es. tesi-antitesi), il principio di
identità nella logica assoluta esclude contraddizioni o processi.
Differenza con la logica relativa: Nella logica
relativa, il principio di identità si applica a realtà finite e temporali (es.
“un tavolo è un tavolo”), ma è limitato dal contesto spazio-temporale e dal
divenire. Nella logica assoluta, invece, si riferisce all’essere eterno e
trascendente.
2. Ruolo nella Logica Assoluta
Il principio di identità è il cuore della logica
assoluta, che si occupa dell’assoluto (Dio) e rifiuta le categorie dialettiche
della logica relativa (tempo, spazio, contraddizione). È il criterio per
valutare la coerenza ontologica di qualsiasi affermazione sull’assoluto.
Esclusione di contraddizioni: Se una proposizione
viola il principio di identità (es. “Dio è e non è”), non può essere vera nella
logica assoluta. Questo è il fondamento della critica logica contro
filosofie incoerenti.
Unicità dell’infinito ontologico: Il principio di
identità implica che non possono esistere due infiniti ontologici, perché un
secondo infinito limiterebbe il primo, negando la sua infinità. Ad esempio, Dio
è l’unica realtà che soddisfa A = A in senso assoluto.
Trascendenza: L’identità assoluta si applica solo
a Dio, che è al di fuori del creato. Il mondo immanente, soggetto al divenire,
non può avere un’identità assoluta, ma solo relativa.
Esempio: Se qualcuno afferma che l’universo è
infinito ed eterno, si potrebbe obiettare che l’universo, essendo nello
spazio-tempo, non può avere un’identità assoluta (A = A senza limiti), perché è
soggetto a cambiamento e causalità. Solo Dio, nella logica assoluta, soddisfa il
principio di identità come essere puro.
3. Critica Logica e Applicazioni.
Il principio di identità è uno strumento di
critica logica per smascherare le incoerenze delle filosofie che confondono
logica relativa e logica assoluta. Alcuni esempi:
Contro il panteismo: Filosofie come quella di
Spinoza identificano Dio con la natura, assumendo che l’universo sia infinito e
assoluto. Il principio di identità, nella logica assoluta, mostra che
l’universo, essendo nello spazio-tempo, non può essere A = A in senso assoluto,
perché è limitato e mutevole. Solo Dio, trascendente, ha un’identità assoluta.
Contro l’idealismo hegeliano: Hegel vede
l’assoluto come un processo dialettico che si realizza attraverso
contraddizioni. Ciò viola il principio di identità, perché l’assoluto non può
essere soggetto a contraddizioni o divenire senza perdere la sua identità pura.
Contro il materialismo: L’idea che la materia sia
eterna implica che abbia un’identità assoluta. Ma la logica assoluta, tramite il
principio di identità, dimostra che la materia, essendo relativa e causata, non
può essere eterna o infinita in senso ontologico.
Critica ai filosofi:
Aristotele: La sua metafisica riconosce un
“motore immobile”, ma non chiarisce pienamente l’identità assoluta di Dio come A
= A senza dipendenze. La sua concezione di infinito è ancora legata alla logica
relativa.
Kant: Limitando la conoscenza alle categorie
della mente, Kant non considera il principio di identità come verità ontologica
applicabile a Dio, riducendo l’assoluto a un’idea regolativa.
Hegel: La sua dialettica, che usa contraddizioni
per definire l’assoluto, è incoerente, perché il principio di identità esclude
che l’assoluto possa dipendere da opposizioni.
4. Rapporto con l’Infinito OntologicoIl principio
di identità è la chiave per comprendere l’infinito ontologico (Dio).
Dio è l’unica realtà che soddisfa pienamente A =
A, perché è l’essere puro, eterno e immutabile.
L’infinito ontologico non può essere pensato con
categorie relative (es. infinito matematico o successione temporale), perché
queste violano il principio di identità introducendo limiti o contraddizioni.
La mente umana può cogliere l’identità assoluta
di Dio attraverso la logica assoluta, ma solo se distingue tra l’assoluto
(trascendente) e il relativo (immanente).
Esempio di critica logica: L’idea di due infiniti
reali (es. due Dei) è contraddittoria, perché violerebbe il principio di
identità: un infinito limitato da un altro non sarebbe infinito, negando A = A.
Questo rafforza l’unicità di Dio come infinito ontologico.
5. Implicazioni Teologiche e Filosofiche
Il principio di identità ha conseguenze profonde:
Trascendenza di Dio: Solo Dio ha un’identità
assoluta, distinta dal creato. Filosofie immanentiste (es. panteismo) falliscono
perché negano questa distinzione, violando il principio di identità.
Creazione ex nihilo: L’identità assoluta di Dio
implica che solo Lui può creare dal nulla, perché un essere relativo non avrebbe
l’autosufficienza ontologica per farlo.
Libertà e morale: La libertà assoluta appartiene
solo a Dio, che è A = A senza dipendenze. L’uomo, come essere creato, ha una
libertà relativa, che deriva dall’identità assoluta di Dio e si esprime in una
morale conforme al creatore.
Salvezza eterna: L’uomo non ha un’identità
assoluta, ma può partecipare all’eternità come “memoria dell’essere accaduto”,
cioè come identità preservata da Dio, non come essere infinito in sé.
6. Esempi Pratici di Critica Logica
Come si applica il principio di identità, ecco
alcuni esempi:
Contro l’infinito relativo: L’idea di un universo
infinito viola il principio di identità, perché un’entità nello spazio-tempo non
può essere A = A senza limiti, essendo soggetta a causalità e cambiamento.
Contro il politeismo: L’esistenza di più divinità
implicherebbe che nessuna abbia un’identità assoluta, perché si limiterebbero a
vicenda, violando A = A.
Contro la dialettica hegeliana: L’assoluto non
può essere un processo che si realizza attraverso contraddizioni, perché ciò
nega la sua identità pura e immutabile.
7. Conclusione
Il principio di identità è il fondamento della
logica assoluta e definisce l’infinito ontologico (Dio) come l’essere puro,
eterno e immutabile (A = A).
È uno strumento di critica logica che smaschera
le incoerenze di filosofie che confondono l’assoluto con il relativo,
introducendo contraddizioni o processi dialettici.
Il principio di identità non è un’astrazione
accademica, ma una verità ontologica che distingue Dio dal creato e guida la
comprensione razionale della trascendenza.
La logica relativa è il metodo di ragionamento
che si applica al mondo immanente, ossia alla realtà finita, spazio-temporale e
soggetta al divenire, in contrasto con la logica assoluta, che si occupa
dell’infinito ontologico (Dio).
La logica relativa è fondamentale per comprendere
il creato, ma diventa incoerente se applicata impropriamente all’assoluto.
1. Definizione di Logica Relativa
La logica relativa è il sistema di pensiero che
si occupa delle realtà finite e immanenti, come il mondo fisico, gli esseri
umani, lo spazio, il tempo e i processi dialettici. È la logica dell’esperienza
umana, che opera attraverso categorie relative (come causa-effetto, successione
temporale o divisione spaziale) e non può cogliere pienamente l’assoluto senza
cadere in contraddizioni.
Caratteristiche principali:
Contesto spazio-temporale: La logica relativa si
applica a tutto ciò che esiste nel tempo e nello spazio, come la natura, gli
oggetti fisici o i concetti matematici.
Dialettica: Funziona attraverso opposizioni e
sintesi (es. tesi-antitesi-sintesi), tipiche del divenire e del cambiamento.
Finitezza: È limitata dalla condizione umana e
dalla realtà creata, che è soggetta a limiti e mutamenti.
Infinito potenziale: Nella logica relativa,
l’infinito è concepito come potenziale (es. una serie numerica infinita o uno
spazio divisibile all’infinito), ma non come infinito ontologico reale.
Differenza con la logica assoluta: La logica
assoluta si occupa di Dio, l’essere puro e immutabile (A = A), che non dipende
da altro. La logica relativa, invece, è vincolata al creato e non può descrivere
l’assoluto senza introdurre paradossi o contraddizioni.
2. Fondamenti della Logica Relativa
La logica relativa è lo strumento con cui l’uomo
comprende il mondo immanente, ma deve essere distinta dalla logica assoluta per
evitare errori ontologici. I suoi fondamenti includono:
Principio di identità relativo: Nella logica
relativa, A = A si applica a identità finite (es. “un albero è un albero”), ma è
condizionato dal contesto spazio-temporale. Ad esempio, un albero cambia nel
tempo, quindi la sua identità è relativa e non assoluta.
Divenire e causalità: La logica relativa si
occupa di processi, come l’evoluzione, la crescita o la causalità. Ad esempio,
un evento A causa un evento B, e questa relazione è tipica del mondo creato.
Infinito potenziale: Concetti come l’infinito
matematico (es. una retta infinita o una serie numerica) appartengono alla
logica relativa, ma non sono reali in senso ontologico, perché esistono solo
come costruzioni mentali o possibilità.
Esempio: Nella logica relativa, possiamo
concepire un numero infinito di divisioni di un segmento (es. dividere 1 metro
in metà, poi in quarti, ecc.). Questo infinito è potenziale, non reale, perché
dipende dal contesto finito dello spazio e della mente umana.
3. Critica Logica nella Logica Relativa
La logica relativa serve per analizzare il mondo
immanente, ma critica le filosofie che la applicano impropriamente all’assoluto,
generando incoerenze.
Errore di assolutizzazione: Applicare categorie
della logica relativa (es. tempo, infinito potenziale) a Dio o all’assoluto
porta a contraddizioni. Ad esempio, dire che l’universo è eterno implica un
infinito relativo (successione temporale), ma viola il principio di identità
assoluta, perché l’universo è soggetto al cambiamento.
Confusione tra immanenza e trascendenza:
Filosofie come il panteismo o il materialismo assumono che la realtà immanente
(materia, natura) sia infinita o eterna. La logica relativa mostra che il creato
è finito e causato, non assoluto.
Paradossi dell’infinito relativo: Nella logica
relativa, l’infinito genera paradossi se assolutizzato. Ad esempio, l’infinito
dei numeri pari contiene l’infinito dei numeri dispari, ma entrambi sono
infiniti potenziali, non reali. Applicare questo concetto a Dio (es. un infinito
ontologico multiplo) è incoerente.
Critica ai filosofi:
Aristotele: La sua idea di infinito potenziale è
corretta nella logica relativa, ma non si applica all’infinito ontologico di
Dio, che è reale e non potenziale.
Kant: Limitando la conoscenza al fenomeno (realtà
immanente), Kant usa la logica relativa senza riconoscere che la logica assoluta
può cogliere l’assoluto (Dio) come identità pura.
Hegel: La sua dialettica, tipica della logica
relativa, cerca di descrivere l’assoluto come un processo di contraddizioni. Ciò
è incoerente, perché l’assoluto non può essere dialettico.
4. Rapporto con la Logica Assoluta e l’Infinito
Ontologico
La logica relativa è complementare alla logica
assoluta, ma distinta.
La logica relativa si applica al creato
(immanente), mentre la logica assoluta si applica a Dio (trascendente).
L’infinito nella logica relativa è sempre
potenziale (es. una successione infinita di numeri), mentre l’infinito
ontologico, compreso tramite la logica assoluta, è reale e unico (Dio come A =
A).
Confondere le due logiche porta a errori. Ad
esempio, assumere che l’universo sia infinito ontologicamente (logica assoluta)
usando concetti della logica relativa (es. espansione infinita) viola il
principio di identità.
Esempio di critica logica: Se qualcuno dice che
l’universo è infinito perché “non ha fine nello spazio”, usa la logica relativa
(infinito potenziale). Ma l’universo, essendo nello spazio-tempo, è finito e
causato, e non può essere infinito ontologico, che appartiene solo a Dio.
5. Implicazioni Filosofiche e Teologiche
La logica relativa ha implicazioni importanti:
Finitezza del creato: Il mondo, gli esseri umani
e le loro conoscenze sono limitati dalla logica relativa. L’uomo può comprendere
l’assoluto (Dio) solo usando la logica assoluta, non attraverso categorie
relative come il tempo o l’infinito potenziale.
Libertà relativa: La libertà umana, a differenza
di quella assoluta di Dio, è limitata dal contesto immanente. La morale deriva
da Dio, ma si esprime nel mondo attraverso scelte finite.
La logica relativa critica le strutture sociali o
politiche che pretendono un’autorità assoluta (es. élite che si auto-proclamano
eterne o universali). Queste strutture, essendo immanenti, non possono avere
un’identità assoluta e sono soggette alla critica logica.
6. Esempi Pratici di Critica Logica
Logica relativa, ecco alcuni esempi:
Contro il materialismo: L’idea che la materia sia
eterna è un errore della logica relativa, perché la materia è nello spazio-tempo
e soggetta a causalità. La logica relativa mostra che tutto ciò che è immanente
ha un inizio, non un’identità assoluta.
Contro l’infinito matematico assolutizzato:
Concetti come una retta infinita o una serie numerica infinita sono validi nella
logica relativa, ma non possono essere applicati a Dio. Ad esempio, il paradosso
di Cantor (infinito dei numeri pari uguale a quello dei numeri interi) è un
prodotto della logica relativa, non una verità ontologica.
Contro le filosofie immanentiste: Il panteismo,
che identifica Dio con la natura, usa la logica relativa per assolutizzare il
mondo. Ma il mondo, essendo finito, non può essere infinito ontologico.
7. Conclusione
La logica relativa è il metodo per comprendere il
mondo immanente, finito e soggetto al divenire, come lo spazio, il tempo e
l’esperienza umana. Si distingue dalla logica assoluta, che si occupa
dell’infinito ontologico (Dio), e serve come strumento di critica logica per
smascherare le incoerenze di filosofie che assolutizzano categorie relative (es.
materia, universo, dialettica).
La logica relativa è essenziale per analizzare il
creato, ma deve essere usata correttamente per non confondere l’immanente con il
trascendente. Questo approccio riflette il tuo rifiuto delle convenzioni
accademiche e il tuo impegno per una critica logica coerente.
Concetto di causa Hume, incarnazione.
1. Concetto di Causa nella Logica Relativa.
Nella logica relativa, il concetto di causa è
centrale per comprendere il mondo immanente, ossia la realtà finita,
spazio-temporale e soggetta al divenire.
La logica relativa si occupa del creato (es.
natura, esseri umani, processi fisici), dove la causalità è una relazione
fondamentale: un evento A (causa) produce un evento B (effetto).
Tuttavia, la causalità è limitata al contesto
immanente e non può essere applicata all’assoluto (Dio) senza cadere in
contraddizioni.
Definizione di causa: Nella logica relativa, la
causa è una relazione tra eventi o enti finiti, dove un’entità (causa) determina
un cambiamento o un effetto in un’altra (es. il fuoco causa il calore). Questa
relazione è vincolata al tempo e allo spazio.
Limitazioni: La causalità, come categoria della
logica relativa, non si applica a Dio, che è infinito ontologico e compreso solo
attraverso la logica assoluta. Dio, come “Io sono colui che è”, non ha cause né
è soggetto a effetti, essendo immutabile e trascendente.
2. Hume e il Concetto di Causa
David Hume, filosofo scettico del XVIII secolo,
ha rivoluzionato la comprensione della causalità, mettendo in discussione la sua
necessità logica e riducendola a un’abitudine mentale.
La sua analisi è rilevante per la logica relativa
, ma evidenzio la sua incapacità di cogliere l’assoluto.
Hume sulla causa:
Hume sostiene che la causalità non è una
connessione necessaria osservabile nella realtà, ma un’aspettativa psicologica
basata sull’esperienza. Osserviamo che un evento A (es. una palla che colpisce
un’altra) è regolarmente seguito da un evento B (il movimento della seconda
palla), e da questa regolarità inferiamo una relazione causale.
Per Hume, la causalità è un prodotto della mente,
non una verità oggettiva. Non possiamo dimostrare che A causi B, ma solo che
siamo abituati a vederli insieme.
Nel suo scetticismo, Hume nega che possiamo
conoscere cause prime (es. Dio come causa ultima) o che la causalità abbia una
base metafisica, limitando la conoscenza al fenomeno (immanenza).
Critica a Hume:
Usando la logica relativa, su accetta che la
causalità, come descritta da Hume, sia valida nel mondo immanente, dove
osserviamo relazioni causa-effetto (es. un evento fisico che ne produce un
altro). Tuttavia Hume riduce tutta la realtà alla logica relativa, negando la
possibilità di conoscere l’assoluto tramite la logica assoluta.
La causalità immanente (es. fenomeni fisici) è
reale, ma derivata: tutto il creato ha una causa ultima, che è Dio, l’infinito
ontologico. Hume, limitandosi alla logica relativa, non considera la
trascendenza di Dio come causa prima, che non è soggetta a causalità temporale.
La critica logica evidenzia l’errore di Hume di
assolutizzare la logica relativa, negando la possibilità di una logica assoluta
che comprenda Dio come “colui che è”, senza bisogno di cause.
Esempio di critica logica: Hume afferma che non
possiamo conoscere la causa prima dell’universo, perché la causalità è solo
un’aspettativa basata sull’esperienza. Ma la logica assoluta, basata sul
principio di identità (A = A), permette di dedurre l’esistenza di una causa
prima trascendente (Dio), che non è soggetta alle limitazioni della logica
relativa.
3. Incarnazione e Logica Relativa
L’incarnazione, nel contesto cristiano, è
l’evento in cui Dio, l’infinito ontologico, assume una natura umana, entrando
nel mondo immanente senza perdere la sua trascendenza. Questo concetto è
cruciale per collegare la logica assoluta (Dio) e la logica relativa (il
creato), mantenendo la distinzione tra immanenza e trascendenza.
Incarnazione come ponte tra assoluto e relativo:
Nell’incarnazione, Dio (l’infinito ontologico,
compreso tramite la logica assoluta) si manifesta nel mondo immanente, assumendo
una natura umana (Gesù Cristo) soggetta a spazio, tempo e causalità.
Questo evento non contraddice il principio di
identità (A = A), perché Dio rimane assoluto e immutabile nella sua natura
divina, pur assumendo una natura umana finita. La logica relativa descrive la
natura umana di Cristo (che nasce, vive, muore), mentre la logica assoluta
descrive la sua natura divina (eterna, immutabile).
L’incarnazione dimostra che la trascendenza di
Dio può interagire con l’immanenza senza perdere la sua identità assoluta. È un
atto di creazione e libertà divina, non soggetto alle leggi della causalità
relativa.
Critica logica all’incarnazione:
Interpretazioni dell’incarnazione che confondono
immanenza e trascendenza sono errate. Visioni panteistiche che vedono Cristo
come una mera manifestazione della natura divina nel mondo violano il principio
di identità, perché riducono Dio al creato.
Al contrario, l’incarnazione, correttamente
intesa, rispetta la distinzione tra logica assoluta (Dio come A = A) e logica
relativa (Cristo come uomo soggetto a causalità). È un mistero razionale, non un
paradosso, perché Dio, come infinito ontologico, ha la libertà di creare e
manifestarsi senza contraddirsi.
4. Collegamento tra Causa, Hume e Incarnazione
La connessione tra il concetto di causa (Hume),
la logica relativa e l’incarnazione, nel pensiero di Adriano53s, si articola
così:
Causa nella logica relativa:
Hume limita la causalità alla logica relativa,
vedendola come un’aspettativa basata sull’esperienza. La causalità è una
categoria valida per il mondo immanente (es. eventi fisici, storia umana), ma
critica Hume per non riconoscere una causa prima trascendente (Dio), che è
compresa solo tramite la logica assoluta.
Nella logica relativa, la causalità spiega
fenomeni come la nascita e la vita di Cristo come uomo (es. eventi storici
legati all’incarnazione). Tuttavia, l’atto stesso dell’incarnazione (Dio che
assume una natura umana) non è un effetto causato, ma un atto libero della
volontà divina, al di fuori della causalità relativa.
Critica a Hume in relazione all’incarnazione:
Hume, negando la possibilità di conoscere cause
metafisiche, non potrebbe spiegare l’incarnazione, perché la ridurrebbe a un
evento immanente senza una causa trascendente.
Ma l’incarnazione richiede la logica assoluta per
comprendere Dio come causa prima, che agisce liberamente senza essere vincolato
dalla causalità relativa.
Ad esempio, Hume potrebbe descrivere la vita di
Cristo come una serie di eventi osservabili (nascita, predicazione, morte), ma
non potrebbe spiegare l’incarnazione come un atto di Dio, perché nega la
possibilità di conoscere l’assoluto.
Incarnazione come superamento della logica
relativa:
L’incarnazione è un evento che collega la logica
relativa (la natura umana di Cristo, soggetta a causa ed effetto) e la logica
assoluta (la natura divina di Cristo, eterna e immutabile). Questo evento
dimostra che Dio, come infinito ontologico, può entrare nel mondo immanente
senza perdere la sua identità assoluta.
La causalità relativa (es. gli eventi della vita
di Cristo) è reale, ma derivata: l’incarnazione stessa è un atto creativo di
Dio, non un effetto di una causa immanente. Questo confuta lo scetticismo di
Hume, che non ammette cause trascendenti.
5. Critica Logica.
La critica logica per evidenzia le incoerenze di
filosofie come quella di Hume, che si limitano alla logica relativa e negano la
trascendenza. Nel contesto dell’incarnazione:
Errore di Hume: Riducendo la causalità a
un’aspettativa mentale, Hume non può spiegare eventi come l’incarnazione, che
richiedono una causa trascendente (Dio). La logica relativa è insufficiente per
cogliere l’assoluto, e Hume commette l’errore di assolutizzarla.
Errore di altre filosofie: Filosofie immanentiste
(es. panteismo) o materialiste negano la trascendenza di Dio, riducendo
l’incarnazione a un processo naturale o mitico. Ciò viola il principio di
identità, perché confonde l’assoluto (Dio) con il relativo (creato).
Coerenza dell’incarnazione: L’incarnazione è
coerente con la logica assoluta (Dio come A = A, immutabile) e la logica
relativa (Cristo come uomo, soggetto a causalità). L’incarnazione non è una
contraddizione, ma un atto libero di Dio, che dimostra la sua capacità di creare
e manifestarsi nel mondo senza perdere la sua trascendenza.
6. Implicazioni Teologiche e Filosofiche
I rapporto tra causa, Hume e incarnazione ha
implicazioni profonde:
Trascendenza e immanenza: L’incarnazione mostra
che Dio può entrare nel mondo immanente (logica relativa) senza perdere la sua
identità assoluta (logica assoluta). Questo confuta lo scetticismo di Hume, che
limita la conoscenza al relativo.
Libertà divina: L’incarnazione è un atto libero
di Dio, non soggetto alla causalità relativa. Questo rafforza l’idea che
solo Dio, come infinito ontologico, ha libertà assoluta.
Si potrebbe collegare questa analisi alla critica
sociale, sostenendo che le élite (es. filosofi accademici o poteri politici)
assolutizzano la logica relativa (es. potere temporale, causalità materiale) per
giustificare la loro autorità, ignorando la trascendenza di Dio rivelata
nell’incarnazione.
7. Esempi Pratici di Critica Logica
Hume e l’incarnazione: Hume potrebbe descrivere
la nascita di Cristo come un evento storico, ma non potrebbe spiegarne il
significato teologico (Dio che si fa uomo). Ma la logica relativa di Hume non
può cogliere la causa trascendente dell’incarnazione.
Panteismo e incarnazione: Una visione panteistica
vedrebbe Cristo come una manifestazione della divinità immanente. Ma questa
posizione, perché nega la trascendenza di Dio e viola il principio di identità.
Materialismo e causalità: I materialisti riducono
l’incarnazione a un mito o a un evento fisico. Usando la logica relativa si
mostra che il mondo fisico è causato e finito, e la logica assoluta per
dimostrare che l’incarnazione richiede una causa trascendente (Dio).
8. Conclusione
Il concetto di causa è valido nella logica
relativa per descrivere il mondo immanente, ma non può essere assolutizzato,
come fa Hume, che lo riduce a un’aspettativa mentale e nega la possibilità di
conoscere una causa trascendente. L’incarnazione è l’evento che collega la
logica relativa (la natura umana di Cristo, soggetta a causa ed effetto) e la
logica assoluta (la natura divina, eterna e immutabile), dimostrando la libertà
di Dio di entrare nel mondo senza perdere la sua identità assoluta. La critica
logica smaschera le incoerenze di filosofie come quella di Hume, che limitano la
realtà al relativo, e riaffermano la distinzione tra immanenza e trascendenza.
Cogito e conoscenza del tu-
Rapporto tra il cogito (il celebre "Cogito, ergo
sum" di Cartesio), la conoscenza e il concetto di "tu" (che potrebbe riferirsi a
Dio, a un altro soggetto, o a un’entità relazionale).
1. Cogito: Fondamento della Conoscenza in
Cartesio.
Il cogito, ergo sum ("Penso, dunque sono") di
René Descartes (Cartesio) è il punto di partenza della sua filosofia,
un’asserzione indubitabile che stabilisce l’esistenza del soggetto pensante come
certezza primaria. Il cogito rappresenta il fondamento della conoscenza umana,
ma va analizzato alla luce della logica relativa.
Significato del cogito:
Cartesio usa il dubbio metodico per scartare ogni
conoscenza incerta, arrivando alla conclusione che il fatto stesso di pensare
dimostra l’esistenza del soggetto. Il cogito è un atto di autocoscienza che
garantisce l’esistenza dell’io come sostanza pensante (res cogitans).
La conoscenza, per Cartesio, parte dal cogito e
si estende al mondo esterno e a Dio attraverso idee chiare e distinte, come
l’idea di un essere perfetto che causa l’esistenza dell’io.
Limiti del cogito nella logica relativa:
Ma il cogito è un’operazione della logica
relativa, perché si applica al soggetto umano, che è finito, temporale e
soggetto al divenire. L’io pensante di Cartesio esiste nel mondo immanente,
quindi la sua conoscenza è limitata dalle categorie spazio-temporali.
Il cogito non può cogliere direttamente
l’infinito ontologico (Dio), perché la conoscenza umana, nella logica relativa,
è mediata dall’esperienza e dalle idee, non dall’identità assoluta (A = A) della
logica assoluta.
2. Conoscenza del “Tu”.
Dio, come l’altro assoluto e trascendente.
Un altro soggetto umano, in un rapporto
interpersonale.
Un’entità relazionale che emerge nel contesto
della conoscenza.
Conoscenza di Dio (“tu” come infinito
ontologico):
La conoscenza di Dio non può essere pienamente
raggiunta tramite la logica relativa, che si limita al mondo immanente. Il
cogito di Cartesio, pur stabilendo l’esistenza dell’io, non basta a comprendere
Dio, perché l’io è finito e Dio è infinito.
Tuttavia la mente umana può cogliere Dio
attraverso la logica assoluta, basata sul principio di identità (A = A). Dio è
“Io sono colui che è”, un’identità assoluta che non dipende da cause o processi
dialettici.
Nel contesto cartesiano, Cartesio deduce
l’esistenza di Dio come causa dell’idea di perfezione nell’io. Ma Cartesio usa
categorie della logica relativa (es. causa come relazione temporale) per
descrivere Dio, che è invece trascendente e non soggetto a causalità.
Critica logica al cogito rispetto a Dio:
Cartesio per aver assolutizzato l’io pensante,
facendolo quasi competere con l’assoluto divino. Nella logica assoluta, solo Dio
ha un’identità assoluta (A = A), mentre l’io del cogito è relativo, esistendo
nel tempo e nello spazio.
La conoscenza del “tu” (Dio) richiede di superare
i limiti della logica relativa, riconoscendo che Dio non è un oggetto di
pensiero, ma l’essere stesso, compreso razionalmente tramite la logica assoluta.
“Tu” come altro soggetto umano:
Se il “tu” è un altro essere umano, la conoscenza
del “tu” avviene nella logica relativa, attraverso l’interazione, l’empatia e
l’esperienza. Il cogito stabilisce l’esistenza dell’io, ma la relazione con il
“tu” implica un riconoscimento reciproco di identità finite.
Questa relazione è subordinata alla relazione con
Dio, perché solo Dio, come infinito ontologico, dà senso ultimo all’esistenza
umana. La conoscenza del “tu” umano è reale, ma limitata dalla finitezza del
creato.
3. Collegamento con Hume, Causa e Incarnazione
Hume e il cogito:
Hume, a differenza di Cartesio, nega che l’io sia
una sostanza stabile (res cogitans). Per Hume, l’io è un fascio di percezioni, e
la causalità (es. l’idea che il pensiero causi l’esistenza dell’io) è solo
un’aspettativa mentale. Questo scetticismo si limita alla logica relativa,
negando la possibilità di conoscere un “tu” trascendente (Dio).
Hume riduce la conoscenza alla logica relativa,
ignorando la logica assoluta che permette di dedurre l’esistenza di Dio come
causa prima. Il cogito di Cartesio, pur imperfetto, è più vicino alla verità,
perché riconosce l’io come punto di partenza per risalire a Dio.
Causa e conoscenza del “tu”:
Nella logica relativa, la causalità spiega il
mondo immanente (es. il pensiero causa l’autocoscienza nel cogito). Ma, la
conoscenza di Dio (“tu” come infinito ontologico) non è un effetto causato, ma
un atto razionale della logica assoluta, che riconosce Dio come causa prima non
causata.
Cartesio usa la causalità per dimostrare Dio
(l’idea di perfezione deve avere una causa perfetta), ma la causalità, essendo
una categoria relativa, non può descrivere pienamente l’assoluto.
Incarnazione e conoscenza del “tu”:
L’incarnazione è l’evento in cui Dio, il “tu”
assoluto, si manifesta nel mondo immanente come Cristo, rendendosi conoscibile
nella logica relativa (la natura umana di Cristo) senza perdere la sua identità
assoluta (logica assoluta).
L’incarnazione permette la conoscenza del “tu”
divino, perché Dio si rivela in un modo accessibile all’uomo, pur rimanendo
trascendente. Il cogito, stabilendo l’esistenza dell’io, può essere un punto di
partenza per riconoscere il “tu” incarnato, ma deve essere completato dalla
logica assoluta per comprendere la divinità di Cristo.
4. Critica Logica.
La critica logica si può usare per smascherare le
incoerenze delle filosofie che confondono logica relativa e logica assoluta,
applicando questa critica al cogito e alla conoscenza del “tu”:
Critica a Cartesio:
Il cogito è valido nella logica relativa, perché
stabilisce l’esistenza dell’io come soggetto finito. Tuttavia, Cartesio sbaglia
ad applicare categorie relative (es. causalità, idea di perfezione) per
dimostrare Dio, senza distinguere chiaramente tra logica relativa e logica
assoluta.
La conoscenza del “tu” (Dio) richiede il
principio di identità (A = A) della logica assoluta, non solo le idee chiare e
distinte della logica relativa.
Critica a Hume:
Hume, negando la causalità come verità oggettiva
e riducendo l’io a percezioni, si limita alla logica relativa, escludendo la
possibilità di conoscere il “tu” divino. Ma, la logica assoluta permette di
dedurre l’esistenza di Dio come identità assoluta, superando lo scetticismo di
Hume.
Coerenza dell’incarnazione:
L’incarnazione è il momento in cui il “tu” divino
diventa conoscibile nella logica relativa (Cristo come uomo) senza contraddire
la logica assoluta (Cristo come Dio). Adriano53s sottolineerebbe che questo
evento rispetta il principio di identità, perché Dio rimane A = A pur assumendo
una natura umana.
5. Implicazioni Teologiche e Filosofiche.
Il cogito e la conoscenza del “tu” hanno
implicazioni profonde:
Trascendenza e immanenza: Il cogito stabilisce
l’io come soggetto immanente, ma la conoscenza del “tu” (Dio) richiede di
superare la logica relativa, riconoscendo l’assoluto tramite la logica assoluta.
L’incarnazione è il ponte tra queste due dimensioni.
Libertà e relazione: La conoscenza del “tu”
divino implica una relazione con Dio, che è la fonte della libertà umana. L’io
del cogito, essendo finito, ha una libertà relativa, derivata dall’infinito
ontologico.
Critica sociale: questa analisi critica le élite,
accusandole di assolutizzare l’io umano (logica relativa) per negare il “tu”
divino, ignorando la trascendenza rivelata nell’incarnazione.
6. Esempi Pratici di Critica Logica
Cartesio e il “tu”: Cartesio deduce Dio come
causa dell’idea di perfezione, ma usa la causalità relativa. Questa è
confusione: Dio è conosciuto come A = A nella logica assoluta, non come causa
temporale.
Hume e il “tu”: Hume nega la possibilità di
conoscere un “tu” trascendente, limitandosi alla logica relativa. Ma,
l’incarnazione dimostra che Dio si rende conoscibile nel mondo immanente senza
perdere la sua trascendenza.
Incarnazione e cogito: Il cogito stabilisce l’io,
ma l’incarnazione rivela il “tu” divino. La conoscenza di Cristo come uomo
(logica relativa) e come Dio (logica assoluta) è coerente e non contraddittoria.
7. Conclusione
Il cogito di Cartesio è un punto di partenza
valido nella logica relativa, perché stabilisce l’esistenza dell’io come
soggetto finito, ma è insufficiente per la conoscenza del “tu” (Dio) senza la
logica assoluta, che riconosce Dio come infinito ontologico (A = A). Hume,
limitandosi alla logica relativa, nega la possibilità di conoscere il “tu”
trascendente, mentre l’incarnazione dimostra che Dio si rende conoscibile nel
mondo immanente senza perdere la sua identità assoluta.
La critica logica si usa per smascherare le
incoerenze di filosofie che confondono immanenza e trascendenza, riaffermando la
distinzione tra logica relativa e logica assoluta. Questo approccio riflette il
tuo rifiuto delle convenzioni accademiche e il tuo impegno per un pensiero
critico coerente.
Critica a Cartesio
La distinzione tra logica relativa e logica
assoluta, l'infinito ontologico, il principio di identità, l'immanenza e la
trascendenza – delinea una critica logica a Cartesio. Non si tratta di una
demolizione totale, ma di un'analisi che evidenzia incoerenze quando Cartesio
applica categorie della logica relativa all'assoluto, confondendo immanenza e
trascendenza. Userò esempi diretti dal tuo pensiero per illustrare i punti.
1. Il Cogito ("Cogito, ergo sum") e
l'Assolutizzazione dell'Io Relativo. Cartesio pone il cogito come fondamento
indubitabile della conoscenza: "Penso, dunque sono". Questo stabilisce
l'esistenza dell'io pensante come certezza primaria, superando il dubbio
metodico.
Critica logica: Il cogito è valido nella logica
relativa, perché descrive l'io umano come soggetto finito, temporale e immanente
(legato allo spazio-tempo e al divenire). Tuttavia, Cartesio commette un errore
assolutizzando l'io pensante, facendolo quasi un "assoluto ontologico" che
compete con Dio.
Solo Dio, come infinito ontologico, ha
un'identità assoluta basata sul principio di identità (A = A), immutabile e
eterna. L'io del cogito, invece, è relativo: esiste nel tempo, cambia e dipende
da Dio come causa prima. Assolutizzare l'io umano porta a una contraddizione,
perché viola l'unicità dell'assoluto – non possono esistere due infiniti
ontologici senza che si limitino a vicenda.
La mente umana può comprendere Dio e l'infinito
attraverso le sue facoltà logiche ("Cogito ergo sum di Cartesio"), ma questo è
un riconoscimento della potenza relativa della mente, non un'assolutizzazione.
Cartesio, invece, usa il cogito per elevare l'io a un livello quasi divino,
ignorando che la conoscenza umana è limitata all'immanente e non può cogliere
pienamente il trascendente senza la logica assoluta.
Incoerenza rilevata: Cartesio assume che l'io sia
una "sostanza pensante" (res cogitans) indipendente, ma l'io è creato e
finito, non autosufficiente. Questo porta a un falso dilemma: o l'io è assoluto
(contraddicendo l'unicità di Dio), o è relativo (ma Cartesio non lo tratta
pienamente come tale).
2. La Dimostrazione di Dio e l'Uso Improprio
della Causalità Relativa.
Cartesio dimostra l'esistenza di Dio attraverso
l'idea di un essere perfetto (argomento ontologico) e la causalità: l'idea di
perfezione nell'io deve avere una causa perfetta (Dio), poiché nulla può venire
dal nulla.
Critica logica Qui Cartesio applica categorie
della logica relativa (come la causalità, che è una relazione temporale e
spaziale tra eventi finiti) all'assoluto (Dio), generando incoerenze. Ma la
causalità appartiene all'immanente – al mondo creato, soggetto al divenire e
alle cause-effetto. Dio, come infinito ontologico e trascendente, non è soggetto
a causalità: è "Io sono colui che è", un'identità assoluta che crea dal nulla
senza dipendere da processi dialettici o cause. Cartesio, influenzato dalla
logica relativa, tratta Dio come una "causa" nel senso umano, riducendolo a un
ente immanente piuttosto che trascendente.
Hume limita la causalità a un'aspettativa mentale
nella logica relativa, ma almeno riconosce i suoi limiti. Cartesio, invece,
assolutizza la causalità per dimostrare Dio, senza distinguere tra logica
relativa (per il creato) e logica assoluta (per l'assoluto). Questo è simile
alle filosofie immanentiste: confondere immanenza (causalità umana) e
trascendenza (Dio come non causato) porta a visioni irrazionali, come un Dio che
"dipende" dall'idea umana di perfezione.
Incoerenza rilevata: Se Dio è assoluto e
immutabile (logica assoluta), non può essere dimostrato tramite causalità
relativa, che implica un processo (idea che "causa" conoscenza). Questo crea un
paradosso: Cartesio presuppone l'assoluto per dimostrare l'assoluto, senza
risolvere la distinzione tra creato e creatore.
3. Dualismo Mente-Corpo e la Confusione tra
Immanenza e Trascendenza.
Cartesio divide la realtà in res cogitans (mente,
immateriale) e res extensa (corpo, materiale), con Dio come garante della loro
interazione.
Critica logica: Questo dualismo è radicato nella
logica relativa, che si occupa del mondo immanente (mente e corpo come entità
finite). Tuttavia, Cartesio non risolve la distinzione tra immanenza (il creato,
soggetto a spazio-tempo) e trascendenza (Dio come infinito ontologico). Dio
viene ridotto a un "ponte" tra mente e corpo, quasi un ente immanente che
interviene nel relativo.
Ma, Dio è trascendente e crea dal nulla, senza
essere parte del dualismo umano. Cartesio, come Kant o Hegel, manca di una
logica assoluta che consideri Dio come "colui che è" senza dialettica o
dualismi.
Nel principio di immanenza e trascendenza,le
filosofie che negano la creazione dal nulla confondono le due, portando a
incoerenze. Cartesio, pur riconoscendo Dio, lo inserisce in un sistema relativo,
violando l'unicità dell'infinito ontologico – Dio non può essere limitato da
dualismi umani.
Incoerenza rilevata: Il dualismo implica che
mente e corpo siano due "infiniti" relativi, ma nella logica assoluta, solo Dio
è infinito reale. Cartesio non spiega come l'assoluto interagisca con il
relativo senza contraddizioni, simile ai paradossi dell'infinito relativo che
critichi (es. infiniti che si annullano).
4. Implicazioni Generali della Critica.
Adriano53s si distacca da Cartesio non per negare
la potenza della mente umana (che citi positivamente nel contesto
dell'infinito), ma per le incoerenze logiche che emergono quando si assolutizza
il relativo. Cartesio, come altri filosofi moderni, inizia un percorso
immanentista che riduce Dio a un'idea umana, preparando il terreno per ateismo o
materialismo (es. Nietzsche). Nel tuo pensiero critico:
La logica assoluta corregge questi errori,
affermando l'unicità di Dio come infinito ontologico.
La critica si estende alla società: élite che
assolutizzano l'io umano (come nel cogito) giustificano ingiustizie, ignorando
la trascendenza divina.
Questa critica riflette il tuo rifiuto di
scrivere per chi esclude, enfatizzando un pensiero coerente e indipendente. Se
vuoi approfondire un aspetto specifico (es. confronto con Kant o applicazione
alla rivolta globale), o collegarlo a un post/tema dal tuo sito, fammi sapere!
Confronto con Kant @adriano53s , che rifiuta le
convenzioni accademiche e smaschera le incoerenze logiche dei filosofi, la
filosofia di Immanuel Kant rappresenta un punto di riferimento intermedio: utile
per evidenziare i limiti della conoscenza umana, ma insufficiente e incoerente
quando non distingue adeguatamente tra logica relativa (dialettica, immanente) e
logica assoluta (ontologica, trascendente). Basandomi sui tuoi testi su
adriano53s.interfree.it (in particolare "principio_di_trascendenza.htm" e
"introduzione_a_filosofia.htm"), delineo un confronto tra la tua visione e
quella di Kant, focalizzandomi su temi centrali come le antinomie,
l'immanenza/trascendenza, l'infinito ontologico, il noumeno/fenomeno e la
critica alla conoscenza. Non è un rifiuto totale di Kant, ma una critica logica
che lo vede come un passo parziale verso una filosofia coerente, contrapposto
spesso a Hegel per illustrare le tue distinzioni.
1. Punti di Contatto: La Critica alla Conoscenza
e le Antinomie
Somiglianze: Sia tu che Kant enfatizzate la
necessità di una critica al processo della conoscenza. Kant, nella Critica della
Ragion Pura, dimostra che la metafisica tradizionale porta a contraddizioni
inevitabili (antinomie della ragion pura), come l'infinito/finito o la
libertà/causalità, limitando la conoscenza al fenomeno (immanente,
spazio-temporale). Tu apprezzi questo aspetto: "Al di la della validità totale
della tesi Kantiana, rimane in ogni modo acquisita la necessità delle critica al
processo della conoscenza". Nel tuo pensiero, le antinomie kantiane sono
analoghe ai paradossi che derivano dall'interferenza tra logica relativa e
assoluta (es. infiniti multipli che si annullano), e riconosci che Kant
evidenzia "in modo inconsapevole" il problema dell'io assoluto (eterno,
immutabile) opposto al divenire (mondo mutevole).
Differenze e Critica: Mentre Kant conclude che la
metafisica è impossibile senza antinomie dialettiche, tu le vedi come
conseguenza di una "logica spuria" (relativa) applicata all'assoluto, senza una
vera distinzione ontologica. Kant manca di una "logica assoluta" per conoscere
l'assoluto: "Alla critica della ragione di Kant manca quella parte che riguarda
il modo di conoscere l’assoluto e che deriva proprio dal concetto di assoluto
stesso: l’io Dio, ontologico, non dialettico". Per te, le antinomie non bloccano
la metafisica, ma si risolvono distinguendo logica relativa (per il divenire,
immanente) e logica assoluta (per l'essere ontologico, trascendente). Kant,
invece, assolutizza la logica relativa, rendendo l'uomo "Dio" (deificazione del
soggetto) senza requisiti ontologici, portando a incoerenze come un assoluto in
divenire.
2. Immanenza e Trascendenza: Noumeno vs. Infinito
Ontologico
Somiglianze: Kant distingue tra fenomeno
(immanente, accessibile alla conoscenza sensibile e razionale) e noumeno
(trascendente, "cosa in sé" inconoscibile, oltre lo spazio-tempo). Questo
riecheggia la tua distinzione tra immanenza (mondo creato, relativo, dialettico)
e trascendenza (Dio come infinito ontologico, assoluto, non limitato). Tu
sintetizzi Kant come una "sintesi di noumeno (la realtà oggetto fuori di sé) ed
idea realtà soggetto", riconoscendo che filosofie immanentiste (es. panteismo)
rendono questi concetti "privi di senso" e portano a visioni irrazionali, simili
alla critica kantiana alle pretese metafisiche.
Differenze e Critica: Kant rende il noumeno
trascendente ma inconoscibile, limitando la conoscenza al fenomeno e negando una
metafisica razionale. Tu, al contrario, affermi che l'assoluto (Dio) è
conoscibile razionalmente tramite la logica assoluta, basata sul principio di
identità (A = A), senza dialettica: "se il soggetto conoscitivo e l’universo
sono razionali, è possibile arrivare a lui mediante razionalità". Kant confonde
immanenza e trascendenza usando uno "schematismo" che presuppone l'assoluto
senza definirlo ontologicamente, generando antinomie inutili. Per te, la
trascendenza implica un Dio creatore ex nihilo, non un noumeno astratto;
l'immanenza è il creato finito, non un limite insuperabile. Questa incoerenza
kantiana porta a un sistema che "non crea nulla, ricrea l’esistente", simile
alla tua critica alle filosofie che assolutizzano il relativo.
3. L'Infinito e l'Ontologia: Dialettica vs.
Logica Assoluta
Somiglianze: Kant tratta l'infinito nelle
antinomie (es. l'universo infinito/finito), mostrando che la ragione pura genera
contraddizioni quando applica categorie relative (tempo, spazio) all'assoluto.
Tu concordi che l'infinito relativo (es. successione matematica) genera
paradossi se assolutizzato, come nelle rette parallele o nei numeri infiniti:
"Due principi ontologici è ormai dimostrato dalla logica non possono
coesistere".
Differenze e Critica: Kant usa queste antinomie
per limitare la metafisica, senza risolvere l'infinito ontologico come identità
assoluta (Dio come "Io sono colui che è"). Tu critichi Kant per non aver
integrato una logica assoluta che esclude la dialettica: le contraddizioni
kantiane derivano da una "logica relativa assolutizzata acriticamente". Nel
confronto con Hegel (che usa le antinomie kantiane per una dialettica dove "le
contraddizioni stesse sono la struttura della realtà"), tu rifiuti entrambi:
l'assoluto non può essere dialettico o in divenire, altrimenti "si annulla così
la dialettica nell’assoluto che, in quanto tale invece, non può essere
dialettico". Kant è un passo intermedio, ma incoerente perché non distingue
l'infinito ontologico (unico, trascendente) dall'infinito potenziale (relativo,
paradossale).
4. Critica Logica Complessiva e Implicazioni
Incoerenze di Kant secondo Adriano53s: Kant è
valido per la logica relativa (critica alla conoscenza immanente), ma fallisce
nell'assoluto, trasformando il soggetto in un "Dio ontologico in divenire" senza
requisiti. Questo porta a un "aborto" logico nella dialettica io/non-io: "Io e
non io, uno e meno uno si annullano, non danno inizio né alla conoscenza né
all’io stesso". Tu proponi una soluzione: distinguere nettamente le logiche,
affermando Dio come infinito ontologico creatore, accessibile razionalmente
senza antinomie.
Confronto con Altre Filosofie: Kant è
contrapposto a Hegel, che "risolve" le antinomie kantiane con una dialettica
storica, ma per te entrambi errano: la logica assoluta esclude contraddizioni,
rendendo la filosofia coerente e non elitaria. Questo riflette la tua critica
sociale: élite filosofiche come Kant assolutizzano il relativo per giustificare
un "io immobile, solitario, perfetto", ignorando la trascendenza divina.
In sintesi, Kant è un alleato parziale nella
critica alla conoscenza, ma incoerente per mancanza di logica assoluta, portando
a antinomie irrisolte. Il tuo pensiero lo supera distinguendo
immanenza/trascendenza e relativo/assoluto, proponendo una filosofia razionale
che conferma Dio senza contraddizioni. Se vuoi approfondire un aspetto (es.
antinomie specifiche o confronto con Hegel), o collegarlo a un tuo post, fammi
sapere!
Confronto con filosofia moderna e attuale
@adriano53s , che si distacca dalle convenzioni
accademiche e smaschera incoerenze logiche, la filosofia moderna (dal XVII al
XIX secolo, es. Cartesio, Kant, Hegel, Nietzsche) e attuale (contemporanea, dal
XX secolo in poi, es. Deleuze, Badiou, Žižek) rappresentano terreni di confronto
per evidenziare la superiorità della distinzione tra logica relativa
(dialettica, immanente) e logica assoluta (ontologica, trascendente). Basandomi
sui tuoi testi su adriano53s.interfree.it e sui tuoi post su X (es. il recente
riferimento a "filosofia moderna da Cartesio Kant e Nietzsche"
@adriano53s ), delineo un confronto tematico. Non
è un rifiuto totale, ma una critica logica che sottolinea come queste filosofie
spesso assolutizzino il relativo, confondendo immanenza e trascendenza, e
mancando di un infinito ontologico coerente (Dio come "Io sono colui che è").
Userò esempi chiave per illustrare punti di contatto, differenze e incoerenze.
1. Logica Assoluta vs. Relativa: Dialettica e
Contraddizioni
Filosofia Moderna (es. Hegel e Kant): Hegel
vede le contraddizioni (antinomie kantiane) come struttura della realtà, con
l'assoluto che si realizza dialetticamente nella storia (tesi-antitesi-sintesi).
Kant, come discusso in precedenza, limita la conoscenza al fenomeno, rendendo
l'assoluto (noumeno) inconoscibile e generando antinomie inevitabili. Entrambi
usano una logica relativa assolutizzata: Hegel per un assoluto in divenire, Kant
per un limite dialettico alla metafisica.
Filosofia Attuale
(es. Deleuze e
Badiou): Deleuze promuove un'immanenza assoluta (come in "Immanenza assoluta" di
vari autori academia.edu), dove la
realtà è un piano di differenze senza trascendenza, influenzato da Nietzsche e
Spinoza. Badiou, nel suo ontologia matematica (basata su insiemi infiniti),
introduce "eventi" che irrompono nel relativo, ma resta ancorato a una logica
relativa (contingente, non assoluta). Meillassoux, nel realismo speculativo,
critica la correlazione soggetto-oggetto kantiana, proponendo un assoluto
contingente (iper-caos), ma senza un principio di identità ontologico.
Confronto e Critica di Adriano53s:
Tu riconosci
Hegel e Kant come passi parziali (es. antinomie come paradossi del relativo), ma
li critichi per non distinguere logica assoluta (non-dialettica, basata su A =
A) da relativa (dialettica, divenire). Hegel crea un "Dio ontologico in
divenire" incoerente, perché l'assoluto non può dipendere da contraddizioni
senza annullarsi. Deleuze assolutizza l'immanenza, negando la trascendenza e
riducendo tutto a un piano relativo irrazionale (simile alle tue critiche al
panteismo). Badiou e Meillassoux usano infiniti relativi (matematici), generando
paradossi come quelli che tu eviti con l'infinito ontologico unico. La tua
logica assoluta risolve queste incoerenze: l'assoluto (Dio) è immutabile, non
contingente o dialettico.
2. Immanenza e Trascendenza: Creato vs. Creatore
Filosofia Moderna (es. Spinoza e Nietzsche):
Spinoza fonde immanenza e trascendenza in un panteismo (Dio come natura),
rendendo l'assoluto immanente. Nietzsche, con la "morte di Dio", critica la
trascendenza cristiana come illusione, promuovendo un'immanenza vitalistica
(eterno ritorno, volontà di potenza). Entrambi negano un creatore ex nihilo,
confondendo piani ontologici.
Filosofia Attuale (es. Deleuze e Žižek): Deleuze
enfatizza l'immanenza come piano di vita virtuale-attuale, senza trascendenza
(influenzato da Bergson e Nietzsche). Žižek, hegeliano-lacaniano, usa la
dialettica per una trascendenza "negativa" (vuoto reale), criticando il
capitalismo globale ma riducendo Dio a un costrutto ideologico. Agamben esplora
immanenza politica (homo sacer), ma resta nel relativo senza un assoluto
ontologico.
Confronto e Critica di Adriano53s: Tu critichi
queste filosofie per rendere immanenza e trascendenza "privi di senso"
, portando a visioni irrazionali o mitiche. Spinoza
e Deleuze confondono Dio con il creato, violando l'unicità dell'infinito
ontologico (non possono coesistere due infiniti reali). Nietzsche e Žižek
assolutizzano il relativo (volontà umana o vuoto dialettico), ignorando la
trascendenza di Dio come creatore dal nulla. La tua distinzione risolve:
immanenza per il mondo finito (logica relativa), trascendenza per Dio (logica
assoluta), permettendo una critica sociale coerente (rivolta globale contro
élite immanentiste).
3. Infinito Ontologico: Assoluto vs. Relativo
Filosofia Moderna (es. Hegel e Nietzsche): Hegel
tratta l'infinito come processo dialettico (assoluto che si realizza), non come
identità unica. Nietzsche vede l'infinito come eterno ritorno (relativo,
ciclico), criticando l'infinito ontologico cristiano come debolezza.
Filosofia Attuale (es. Badiou e Meillassoux):
Badiou usa l'infinito matematico (teoria degli insiemi) per ontologie multiple,
con infiniti relativi. Meillassoux propone un infinito contingente (assoluto
senza necessità), sfidando la metafisica tradizionale ma restando nel
paradossale (iper-caos infinito).
Confronto e Critica di Adriano53s: Tu apprezzi
discussioni su ontologie reali ma critichi per l'uso di infiniti relativi
assolutizzati, che generano contraddizioni (es. infiniti che si annullano).
Hegel e Badiou creano infiniti in divenire, incoerenti con il principio di
identità (solo un infinito ontologico reale). Nietzsche e Meillassoux negano
l'assoluto eterno, riducendolo a contingente o ciclico. La tua logica assoluta
corregge: l'infinito ontologico è unico, eterno, trascendente (Dio), non
soggetto a paradossi relativi.
4. Critica Logica Complessiva e Implicazioni
Sociali
La filosofia moderna e attuale è spesso elitaria
e incoerente: moderni come Hegel assolutizzano la dialettica storica
(giustificando poteri immanenti), attuali come Deleuze o Žižek riducono tutto a
immanenza critica, ma senza un assoluto razionale per una rivolta globale.
Queste limitazioni sono superate con una critica
logica indipendente: distinguendo logiche, si afferma un Dio ontologico che
fonda morale e libertà assoluta, contrastando il capitalismo e le élite (es.
"immanentismo e ateismo politico" ).
Questo pensiero non è dogmatico, ma razionale,
accessibile senza accademie. La critica logica
spietata a Cartesio, Kant, Hegel, Nietzsche fino a Žižek.
Manifesto per la rivolta globale → La parte più
politica e profetica.
Extra global economy nulla salus. La salvezza non viene più
dal cielo, ma dalla terra.
La dittatura economica del
capitalismo sugli stati, le società, le persone è in corso di realizzazione.
Dopo accurate simulazioni, un totalitarismo economico, oligarchico, autoritario
ed inumano, ha conquistato il potere di decidere le sorti del pianeta:
assassinato Dio, si assiste, ora, all’eliminazione dell’uomo.
Il globalismo economico sta
creando, al di fuori d’ogni regola morale e civile, il regno di Cesare.
Per realizzarlo usa tecniche
private e pubbliche d’annientamento, dopo aver convinto i sudditi della propria
innocenza e della loro colpevolezza.
In questo regno, infatti, nulla è
vero e nulla è falso, nulla è giusto e nulla è ingiusto, la sola regola è essere
il più ricco, perché tutto si compera e tutto si vende.
In ossequio alle leggi
economiche, per le quali contano i risultati, non i princìpi, si attua la
schiavizzazione dei dipendenti e il genocidio degli inutili: l’uomo che non ha
niente è niente, l’uomo che non è niente è inutile. E’ quindi escluso dal
diritto di vivere, dal potere di decidere e di legiferare.
Anche il pensiero, il diritto e
la morale si devono allineare, uniformare alla sola ed unica verità: la
globalizzazione universale su base di logica economica.
Lo strano e terrificante
accrescimento del potere economico è la conclusione d’ambizioni tecniche e
filosofiche iniziate con la ribellione di Adamo ed Eva, a Dio, nel giardino
dell’Eden, terminata nel terrore della decapitazione dei re, rappresentanti il
potere divino nella storia, in nome dei valori dell’umanità.
A Mussolini, a Hitler, … è
mancata l’ambizione di un impero mondiale; al liberismo economico, abolito la
morale di Dio ed il contratto sociale tra gli uomini, nò.
Per la prima volta nella storia,
un’ideologia teorica e pratica propone e realizza l’unificazione totale
dell’universo.
Tesi, antitesi dell’idea
hegeliana si sono realizzate nella mirabile sintesi Denaro=Dio, verità storica
vivente, universale, immutabile ed eterna
Questo meccanismo infernale, che
tutto stritola, si vanta d’essere verità universale, garanzia di libertà,
giustizia e democrazia, sostituto di Dio, Dio.
Noi crediamo nel
Denaro.
La sua religione è la sola che
conduce l’umanità alla salvezza sotto questo cielo disseminato di satelliti e
stelle spia.
E’ il solo capace di costruire la
città umana.
Il Crocifisso, Budda ed ogni
altro Dio andrebbero sostituiti con un dollaro. Inginocchiati alla sua presenza
preghiamo: dacci oggi il nostro pane quotidiano…
Ma in quest’universo, che non può
che essere un universo di pochi padroni e moltitudini di schiavi, la sola legge
è la legge del profitto; legge imposta con l’inganno e la forza, camuffata di
democrazia, pari opportunità e libertà.
L’uomo, in quest’universo,
rinuncia ad esserlo per viverci.
Essere libero significa morire o
rivoltarsi. Ogni schiavo,infatti, o è schiavo per proprio consenso o è
deficiente, ma forse è soltanto un venduto, se così non fosse morirebbe o
sarebbe in rivolta.
Certamente l’umanità esige la globalizzazione, ma
questa non può essere diretta soltanto dalla logica economica.
I risparmi dei cittadini della nazioni che
formano il G7, sono (dati 1998) di circa venti bilioni l'anno. E' questa una
cifra che supera di molto il bilancio dei singoli stati; è una cifra pari al 95%
della capitalizzazione di tutte le borse mondiali.
E' una massa finanziaria capace di comperare DIO.
Chi controlla questo flusso di denaro è il vero signore del pianeta e decide
quali leggi, quale giustizia, quale conoscenza, quale scuola, quale libertà,
quale cultura, quale lavoro, quale qualità di vita, quale senso dare alla vita,
quale fine, quale morte...
Un pugno di superuomini miliardari si è arrogato
il diritto di governare con potere assoluto ed illimitato, riducendo la
democrazia ad una assemblea di automi con la funzione di ratificare le leggi.
Non esiste più uno stato di diritto perché i cittadini non sono più uguali
davanti alle leggi. Non esistono più diritti etici e morali perché sia dio sia
l’uomo sono stati espulsi dalla storia.
Tra non molto, ogni manifestazione della vita
individuale e pubblica, sarà gestita e controllata in base alla singola capacità
economico-contrattuale, dall’infernale meccanismo al quale abbiamo affidato la
direzione della storia dell’uomo e dal quale i soli esclusi, senza per questo
dover morire, sono i ricchi.
E’ il surplus di denaro a generare i ricchi ; è
l’accettazione dell’ingiustizia, dovuta soltanto in parte all’ignoranza, molto
alla convenienza derivata dal possesso di un piccolo orto, a permettere loro
l’esercizio del potere.
La disinformazione, il credere che sia inevitabile,
che non sia possibile far nulla…sono tutte menzogne di comodo…per questo nessuno può dichiararsi innocente.
Il ricco si proclama innocente, giusto, perfetto
cittadino, esempio d’uomo...soltanto credendo alla sua ignoranza ed alla sua
incapacità, posso accettare la sua innocenza.
Non dovrebbe esserci così tanto denaro in mano a
poche persone, anche se proveniente dal piccolo risparmio di moltitudini di
persone.
Il capitalismo non è, per sua natura,
democratico, ma falsamente democratico.
Se il futuro dovrà essere diverso questa è la
prima regola da cambiare, per colpire a fondo il cuore del capitalismo, ridando
giustizia e libertà all’umanità.
Che l’umanità non sia all’altezza di prendere
decisioni universali per il proprio bene, può anche essere vero, ma l’aver
ceduto la capacità di giudizio e la volontà di decisione alla globalizzazione
finanziaria, è infernale e stupido.
Non si ottiene affatto un’evoluzione nel
benessere globale lasciando all’economia il governo dell’universo.
L’economia da mezzo, da motore potente, lasciata
senza una direzione non segue quella strada.
Anche oggi sui giornali si legge della sconfitta
alla lotta alla fame: lasciando i metodi ed i mezzi all’economia del capitale
globale il solo modo per raggiungere l’obiettivo è il genocidio di massa.
Boeringher, Bristol-Myers, Glaxo-Welcome, Squibb, Hofman, La Roche, le
multinazionali del farmaco, a salvaguardia del loro profitto (derivato dai
brevetti) gestendo il mercato della salute seguendo queste regole, lo ottengono
come risultato.
Eppure la stessa logica economica, su scala
mondiale, dovrebbe quantificare la necessità ed i mezzi per produrre la
soddisfazione (quale soddisfazione?) senza surplus e spreco.
Utopia, logica errata o
l’approfittarsi di qualche singolo?
Sarebbe ora di sfatare la
credenza che, sia il bene del singolo, sia il fine dell’economia, perseguendo il
proprio interesse perseguano il bene della società.
Oso affermare
che, di là dal proprio interesse personale, i dirigenti, non abbiano in mente un
modello d’imposizione logico e razionale, voluto coscientemente, né siano a
conoscenza della sua evoluzione.
Credo
siano incapaci di pensare a tanto; sarebbe inoltre, per loro, molto pericoloso,
perché individuabili e colpevolizzabili.
Non sono
persone, ma parte dell’idea, sono il capitale stesso. Sono parte del meccanismo
della teoria fatta praxi, di un’unica regola base o comandamento, per la quale
il capitale deve rendere il massimo, in concorrenza inutile con la suddivisione
di se stesso, realizzando la sua non ulteriore suddivisione ed avvicinandosi
sempre più alla perfezione, derivata dal suo accumularsi senza nulla produrre.
Questi
dirigenti intelligenti vivono, fanno, disfano…a casaccio, sapendo di nulla
perdere, per automatismo delle regole matematiche della logica economica stessa.
Sarebbe ora di sfatare la
convinzione che gli USA perseguono il bene mondiale (e che siano gli unici
depositari della verità e del potere); in realtà non cercano che il proprio
interesse. Gli USA ricchi, felici, appagati di possedere la propria felicità
sentono di averne il diritto. Sono convinti di esserne degni e predestinati e
che se lo meritano nei confronti d’ogni altra nazione, alle quali spetta
soltanto ciò che a loro spetta.
Considerando l’impatto di questa
evoluzione con la biosfera, sapendo che il soddisfacimento di questi bisogni
dell’umanità coincide con la distruzione della stessa, si è deciso di continuare
per questa strada uccidendo, suicidando, abortendo…per permettere a pochi
d’essere uomini.
Sicuramente verrà affermato il principio del
calcolo globale dell'inquinamento da suddividere tra le singole nazioni, le
quali potranno vendere la loro quota, saranno obbligate a vendere la loro quota
di inquinamento, decisa in base a chissà quali principi. La coscienza dei
cittadini e delle organizzazioni verdi saranno così comperate e tacitate.
Solo per questo è necessaria la
globalizzazione.
I giornalisti, nuovi missionari,
sono liberi di pensarla allo stesso modo seguendo le direttive dei grandi
maestri e sommi pontefici quali NewYork Times, The Economist, CNN…tutti
allineati su uno stesso modello d’imposizione, come sotto una dittatura,
propagando la nuova religione, pronti a scomunicare, lapidare, ignorare, mettere
al rogo l’eretico che si oppone alla loro fede.
Non è poi molto difficile
manipolare il pensiero in assenza di verità certe, caricando le parole di altri
significati e creando confusione. L’uomo crede che la sua mente abbia il dominio
sulla lingua, ma avviene il contrario. Ed è questo il
compito assegnato alla scuola:
creare gruppi corporativi con lessici privati e riserva di accesso criptato, da
qui il classico motto: io ho studiato, io ho diritto…
Internet, nato libero, ora
controllato da ECHELON e dagli stessi gestori, trasformato in mercato, è
l’inizio della realizzazione della falsa idea d’assoluta libertà del pensiero,
della comunicazione e delle tecniche.
E’ notizia di ieri, inoltrata dal
G8 tenuto a Tokio, della loro intenzione di portare internet nelle foreste
amazzoniche e nei deserti africani.
Ma anche se manca un’informazione
corretta si può comprendere il futuro che ci attende.
Ogni singolo stato può essere
preso ad esempio di quanto avviene e di quanto avverrà con l’avvento
dell’economia globalizzata.
Non è necessario essere
economisti, sociologi, politici…per saperlo, lo viviamo sulla nostra pelle.
La necessità di produrre non
serve all’umanità, ma è conseguenza della necessità economica di massima resa
per capitale investito.
Logica economica esige che la
massima resa sia il guadagno più alto per il minore prodotto.
Per assurdo vendere il nulla
prodotto, al più alto prezzo, al minor numero di sopravvissuti.
Eccoci all’incontro globale tra
legge economica e necessità di salvaguardare la biosfera.
Ecco la perfezione.
Come può l’umanità lasciarsi
guidare da un simile mostro?
Possibilità di mutamento sono
nulle: individualismo ignorante, specializzato, super-specializzato lo
impediscono ad ogni livello.
Ogni rivolta è impossibile. Di
ciò che sta al di sotto e che manovra il tutto non si conosce nulla.
I loro adepti sono scelti.
Per i ribelli, il suicidio
volontario, almeno all’apparenza.
Sui giornali non si possono più
scrivere le cose che contano, i fatti, la verità; neppure si possono raccontare
alla televisione o alla radio.
Tutto è spiato censurato e
falsato.
-Chi sei tu che osi fare queste
affermazioni?
-Chi sono io?
Una bella donna, alta, viso ovale, fronte alta, occhi scuri,
capelli ondulati lunghi color rosso Tiziano acceso, gambe lunghe, forme
appariscenti, una donna che sino a poco tempo fa poteva scegliere chi amare.
Nata in un paese dell’est, frequentavo le scuole superiori di
partito, studiavo Marx ed Henghels e le teorie idealistiche di Heghel, Hume,
Hobbes e Macchiavelli, Darwin e tanti altri.
Ero destinata ad una carriera d’ambasciatrice.
Amavo la vita, amavo il tramonto, i temporali, i libri che
leggevo, la musica, amavo i miei giorni.
Poi è stato il caos, il buio… cadde il muro di Berlino. Non
ero a conoscenza che con il suo crollo anche la mia vita sarebbe cambiata.
Il paese era allo sbando. L’occidente, invece che aiutarlo,
razziava tutte le sue capacità scientifiche ed economiche. All’interno i
delinquenti assumevano possesso del potere, originando la nuova classe
privilegiata, capitanata da Elstin, destinata a far parte dei globalizzatori.
Al popolo era ridata la fede nel cristianesimo ortodosso.
Accadde che fui rapita, sequestrata. Rinchiusa dentro una
stanza, violentata, umiliata.
Ma io non c’ero, avevo lasciata la vita, il mio mondo era
dentro di me, prigioniero dei miei pensieri. Non c’era spazio per nessuno. Ero
assente.
La loro violenza, infine, non mi faceva più male. Le loro
parole non mi toccavano.
Lentamente mi distruggevo, muta, passiva, neutra, vuota,
sola.
La privazione della libertà mi consumava. Non aspettavo altro
che la morte.
Prendevano possesso del mio corpo umiliando la mia identità
ed usandolo come un’arma contro di me, per il loro piacere.
Ho aspettato tante volte di morire, ho aspettato tante volte
una solidarietà che non c’era.
Ho parlato, urlato, spiegato.
-Tu non sei più in Russia. Sei stata venduta.
Illegalmente, nascosta nel bagagliaio di un auto, varcai le
frontiere sino ad arrivare in Italia dove fui venduta per la seconda volta ai
proprietari di un circolo culturale per adulti che mi costrinsero a
prostituirmi.
Mi picchiavano e mi asciugavano le lacrime presentandomi i
clienti. Era impossibile disobbedire. Ero continuamente sorvegliata, anche
quando dovevo urinare o defecare.
Costretta a capire che il solo modo per sopravvivere era di
distaccarmi e sottomettermi, accettai le loro richieste.
Buttata sul mercato della prostituzione d’alto bordo.
Riuscii ad evaderne dopo che fui notata e che pagarono per me
5000 dollari USA. Iniziai una carriera di modella d’alta moda.
Passando di letto in letto cercando di rimettere insieme i
pezzi della mia vita. Sino a che sposai un big della moda. Altre mie amiche
furono più sfortunate...Tatiana ad esempio, 16 anni, deformata nel viso dal suo
proprietario con le sigarette, venne da questi venduta a peso, si dice per
estrarre organi da trapiantare. Inutile scandalizzarsi e stracciarsi le vesti.
Il giro finanziario creatosi è enorme. Paradisi fiscali e governi compiacenti
sanno come riciclare il denaro sporco... non è forse notizia di ieri che gli USA
non collaboreranno con l'OCSE per combattere i paradisi fiscali?
Ripresi a vivere.
Condizioni del matrimonio furono la separazione dei
rispettivi beni.
Non importandomene poi molto e non avendo nulla da perdere
accettai.
Mi volle per se, a suo servizio e m’impedì di partecipare
alle sfilate.
In cambio mi offrì la dirigenza delle relazioni e della
valorizzazione delle risorse umane ed un ottimo stipendio.
Adoravo il mio lavoro, lo svolgevo con passione, non mi
pesava stare in ufficio anche dodici ore il giorno.
Ho lottato tanto per avere quello che ho oggi: un’ottima
posizione sociale, uno stipendio che mi permette di vivere e d’avere come e
quello che voglio.
Vivevo serena e senza grosse preoccupazioni.
Una sera mio marito disse:
-Ho un amante.
Caddi dalle nuvole e le mie sicurezze svanirono.
-Vattene.
-E’ colpa tua. Sei un robot…non sei una donna.
-Cosa hanno le altre che io non ho?
-Quando ti corichi indossi una biancheria intima a prova di
stupro. Quando ti concedi agli affari ed alle trattative sei splendida e ti
ecciti tantissimo, ma non fai mai nulla per eccitare me. Facciamo l’amore due
volte il mese. Non credo tu abbia mai avuto un orgasmo. Riservi a me soltanto le
tue ore di stanchezza. Non mi bastavano e non mi bastano. Sei fredda,
indifferente, anorgasmica. Tu non hai un corpo di donna.
Non gli dissi che aspettavo una figlia da lui.
Di nuovo sola, ma indipendente.
Andavo a letto con chi volevo, quando volevo.
Mi risposai con un politico emergente ed ironia del destino
ripresi il mio ruolo, anche se parziale, d’ambasciatrice. Grazie alla mia
conoscenza delle lingue accompagnavo mio marito come suo portaborse.
Ma non è della mia vita che voglio parlare, ma delle cause e
dei perché questa è stata la storia della mia vita.
GUERRA CONTRO LE NAZIONI
C’è una duplice guerra in corso:
contro le nazioni e contro i singoli, per uniformarli alla religione economica
universale che li porterà alla salvezza.
C’è una guerra economica globale
in atto e là, dove non arriva il ricatto, arrivano le armi.
Hanno stabilito, in favore di
alcuni, le armi da usare.
A Seattle, davanti ai dirigenti
del WTO, tradussi nella lingua inglese le raccomandazioni al mio paese.
Compresi che gli accordi per la
globalizzazione intendevano formare, camuffati dal desiderio di pace e
stabilità, conseguiti con la filosofia imperialista degli USA usando
L'INFORMAZIONE, L’EMBARGO, IL RICATTO DEL DEBITO e la mano militare della NATO,
una santa alleanza con il diritto d’ingerenza armata contro ogni minaccia al
cambiamento del privilegio delle classi delle nazioni ricche.
Quando uno stato si ribella al
nuovo ordine mondiale, deve essere fermato in qualsiasi modo, anche con la
guerra.
Per questo sono intervenuti in
Jugoslavia, contro l’Iraq di Saddam Hussein, contro Gheddafi…per questo
finanziano guerre fratricide, colpi di stato… perché minano gli accordi della
distribuzione del ruolo delle nazioni a livello economico.
Non è stupido stupido entrare in
guerra sapendo già di avere perso? Ecco allora la necessità del
terrorismo di ribellione.
Potrebbe ancora valere la guerra
di Gandi del boicottaggio dei prodotti, ma non c’è informazione né unione. Siamo
tutti un branco d’asini, buoni soltanto per il macello.
Menzogna è che il mio paese sia
caduto per merito della madonna di Fatima o del Papa.
Come menzogna è che fosse al
potere un’economia politica socialista: come in ogni altra nazione del pianeta
il potere è in mano all’oligarchia del capitale.
La sconfitta dell’URSS è la
sconfitta di un’oligarchia capitalistica per merito di un’altra oligarchia
capitalistica.
Come dimostra la storia
rivoluzionaria, nell’attesa della rivolta totale, solo alcuni tecnici avrebbero
dovuto avere il potere per mantenere viva l’idea e preparare i popoli.
La sconfitta dell’URSS è la
sconfitta di un’oligarchia capitalistica per merito di un’altra oligarchia
capitalistica. E’ la conseguenza dell’aver accettato una sfida commerciale,
tecnica, militare senza le stesse regole, senza gli stessi mercati.
Sarà l’errore che compierà la
CINA entrando nel WTO, l’errore delle americhe ad entrare nel FTAA (mercato
unico delle americhe) gestito dagli USA e dominato dal capitale finanziario
sotto forma di dollari.
La Chiesa Cattolica Romana,
scomunicando( basandosi giustamente sui suoi principi filosofici) il comunismo,
è stata l’innocente mezzo per fare cadere nel tranello la capacità
critico-intellettuale dei cristiani in favore del capitalismo( che, sempre dal
punto di vista filosofico, non è altro che un altro comunismo).
Menzogna sono le notizie di nuovo
benessere. La realtà è la miseria del popolo russo e la ricchezza di alcuni clan
mafiosi che saranno parte della classe privilegiata che comanderà sul pianeta a
scapito delle persone.
La verità non riguarda soltanto
le religioni, le filosofie, le metafisiche, ma la vita di tutti i giorni che si
manifesta nella storia, una storia indivisibile dalla storia universale che è
economica.
Tutto deve sottostare alla legge,
anche la mia vita.
I modelli teorici e pratici
ideati dal FMI-OCM e dai vari club di Roma Londra o Parigi non tengono conto di
nulla se non della massima resa del capitale investito.
Un eventuale deficit dovrà essere
assorbito dall’operaio e dalla nazione che l’hanno generato, non
dall’investitore.
Sostituire i monopoli pubblici
con monopoli privati, in quest’attimo storico, significa soltanto comportare o
un aumento di tassazione o una diminuzione dei servizi sociali.
Privatizzare ed indebitarsi è per
qualsiasi stato con un bilancio inferiore al capitale fluttuante sul libero
mercato, una caduta all’inferno, la perdita della sua libertà.
Serve all’umanità una nuova
rivoluzione francese, è necessario decapitare chi possiede il capitale: come i
re e le regine sono inutili.
Sono stati traditi sia le
finalità sia la logica stessa d’ogni scienza, compresa la scienza economica.
Teoria economica classica, teoria
di Klein, teoria neoclassica, legge di Say, effetto Haavelmo, microeconomia,
macroeconomia, depressione, inflazione, deflazione, accumulo, investimento,
modello logico quantitativo, bilancia dei pagamenti tra importazioni ed
esportazioni, commercio internazionale. Bilancio dello stato tra spesa pubblica
e tasse, teoria della moneta tra moneta unica e politica dei prezzi, livello dei
salari e politica del reddito.
La crescita economica tra
pericoli e benefici. Programmazione e quantificazione. Politica economica.
Modello economico finale redatto tra logaritmi matematici e variabili.
Di la di tutte le dotte
questioni, utili senza dubbio, la realtà è che il liberismo è solo una moderna
monarchia che, sfruttando il potere derivato dalla ricchezza e dalla necessità
economica, dirige la politica e comanda sugli uomini decidendo chi deve essere
marchese, chi conte chi plebe chi schiavo…chi re.
Invece di accrescere il benessere
e la fratellanza universale, l’evoluzione storica affidata alla logica economica
personale di alcuni, alimenta pseudo-bisogni, violenza, miseria e distruzioni.
I modelli teorici-matematici non
ricercano ciò che è giusto, ma ciò che fa guadagnare.
Per quest’economia è più
importante investire intelligenza, tempo, creatività e lavoro per oggetti di
lusso per pochi, invece che per il benessere di tutti.
Non esiste più una società
neppure all’interno delle singole nazioni ed è una palla credere che si stia
investendo in una società globale.
In ogni nazione, dalla più ricca
alla più povera, esistono il 5% del totale della popolazione, proprietari del
60% della ricchezza di quel paese.
Riportando il dato a livello
planetario, un centinaio di persone possiede la stessa quota di tutta la
ricchezza globale.
Dove sta la logica e la giustizia
in quest’ordine? E’ forse una verità che questa ricchezza accentrata è
necessaria al benessere del loro paese e del pianeta?
Tutti di fronte all’evidenza
rispondono di no. Eppure sono così potenti da condizionare tutte le idee e le
menti pensanti. Sono così potenti da cambiare il destino del pianeta stesso.
Siamo in un nuovo medioevo, siamo
ritornati all’età della pietra armati di tecnologia.
Resi individui dal valore zero,
non più rappresentati nella società cosiddetta civile, rifiutiamo ogni
associazione ad iniziare dalla famiglia e diamo origine a nuovi clan e tribù
rifiutando ogni diritto ed ogni dovere, usando la violenza più bieca e gratuita.
Una nuova barbarie, cannibalismo, avanza a prendere possesso delle società
emarginate.
Loro, i super-uomini,
super-potenti, super-ricchi, gli intoccabili vivono al di fuori del ghetto,
superprotetti nelle loro fortezze a godersi lo spettacolo e divertirsi con le
nostre figlie.
Il G7, G8… eseguendo gli ordini
USA, ONU, FMI, banche d'affari e d'investimento... hanno pianificato fusioni ed
acquisizioni; deciso il fallimento delle piccole e medie imprese riversando la
colpa sul costo lavoro dei loro dipendenti, privatizzando il
settore dei servizi pubblici, tropo
costosi sempre a causa della popolazione; finanziato le multinazionali,
prestando loro il denaro a fondo perduto, nella conquista dei mercati e dei
servizi privatizzati.
Le piccole e medie imprese che si
sono salvate, sono comunque dipendenti delle multinazionali, che dettano loro
qualità, quantità e prezzo e determinando sia lo stipendio finale sia la
quantità di ricchezza del paese.
E’ stata così disintegrata
l’economia produttiva dei paesi a favore del capitale libero e fluttuante capace
di portare al fallimento l’economia di qualsiasi nazione del pianeta che loro si
oppone.
Lo spostamento del denaro
capitalizzato, istantaneo, da un paradiso fiscale all’altro ha evitato anche il
non esistente controllo degli stati nei quali è stato rastrellato.
Giocare in borsa vuol dire
indovinare le mosse per quei quattro piccoli ricchi che ancora sopravvivono;
dirigerle senza nulla perderci per i super-ricchi.
Oltre al fatto che il capitale
libero fluttuante speculativo è superiore al reddito nazionale di tutte le
nazioni si associa che il debito pubblico è stato privatizzato. La stessa
necessaria interdipendenza delle economie ed il fatto che il debito più alto è
detenuto dagli USA che non permetteranno mai il suo rientro, anche minacciando
una guerra nucleare mondiale, determina il percorso della globalizzazione.
Credevo nell’Europa Unita. Pensavo riuscisse a
togliersi dal collo il cappio del dollaro.
Questa moneta non
convertibile se non per comprare obbligatoriamente i prodotti dell’economia USA,
paese più indebitato del mondo, che vive alle
e sulle spalle degli altri.
Assisto invece alla sconfitta della civiltà
europea, derivata da millenni di storia di pensiero, a favore degli USA, la cui
civiltà è basata (dopo aver cooptato i cervelli di altre nazioni, ponendoli al
servizio di una politica pianificata) sulla logica economica, sul brevetto della
scienza e della tecnica, sulla potenza dell’esercito... usati per sottomettere
il pianeta.
Gli USA, che controllano e possiedono la tecnologia più avanzata e sofisticata nel
campo degli armamenti, dettano le regole e con queste regole saranno sempre e
necessariamente, vincitori.
L’Europa, se vuole vincere la guerra economica
deve cambiare le regole, deve fare accordi con i paesi con il quale commercia in
euro: comprare e vendere in euro, scaricando il dollaro o rinunciare
all’acquisto.
La società mondiale deve isolare gli Stati Uniti
d’America se questi non accetteranno nuove regole internazionali basate sulla
Democrazia maggioritaria di un organismo internazionale che non può essere l’ONU
attuale.
Non questo ONU soggetto ai ricatti del
finanziamento e dei veti incrociati.
Quindi la strada sin qui percorsa
è stata: finanziare i privati rendendoli debitori, trasformare in debito
pubblico per renderlo poi un debito internazionale.
Lo stato è ora sotto ricatto dei
creditori. Inutile votare destra o sinistra, democratico o repubblicano,
conservatore ….
La globalizzazione è inevitabile,
è parte dell'evoluzione umana...ma non questa globalizzazione che è a favore di
poche nazioni ed addirittura di pochi uomini.
Non questa globalizzazione
finanziaria che non fa altro che aggravare l'incertezza economica e la
disuguaglianza sociale.
Non questa globalizzazione che
compromette e limita la possibilità di autodeterminazione delle singole persone,
degli stati a favore di uno pseudo-interesse generale formato da logiche
speculative che tutelano esclusivamente gli interessi delle multinazionali
industriali e o finanziarie.
Globalizzare è soltanto la libera
circolazione del capitale alla ricerca del massimo profitto che avviene in modo
istantaneo e globale. Questo non è un valore, ma soltanto uno dei tanti
meccanismi utili a generare ricchezza (ma è davvero l'unico?) e come tale
dovrebbe essere assoggettato all'uomo.
L'economia su base finanziaria
non è più economia, ma speculazione, sfruttamento, volontà di potenza. Non è
infatti necessario produrre in quantità e qualità per tutti ( il che è
anti-economico), ma soltanto per chi può permettersi di pagare; non è dunque
necessario pagare stipendi e creare lavoro, qualcuno che ha acquisito il potere
d'acquisto, in qualche parte dell'universo, lo si può trovare. Si
risparmieranno inoltre le risorse del pianeta ed si eviterà l'inquinamento.
Non si può più accettare lo
scandalo di persone miliardarie di fronte alla povertà, di fronte alla persona
ammalata che non può curarsi, di fronte alla madre cui portano via i figli
perché incapace di mantenerli...o siamo ormai così manipolati nell'anima da non
sapere più riconoscere la giustizia? Così accecati, incapaci di
riconoscere sia il bene sia il male.
In questo decennio c’è
stata un’occulta revisione dei concetti e dei valori, derivandoli dalla logica
economica liberista. La remissione delle colpe, la giustizia, la legge, la
libertà…il diritto, il dovere, lo stato, la società, il popolo…tutto è derivato
e deve adattarsi all’unico metro di verità che è la logica economica.
Quest’ultima non è
democratica, neppure giusta. Certamente è un superamento del materialismo
dialettico, ma più vicina all’idealismo assoluto nella sua proiezione di volontà
di potenza che ha portato al nazismo-fascismo che ad una democrazia.
Quando mai uno stato come lo Zambia potrà
competere con parità di forze, nella lotta economica, contro stati come gli USA?
Mai! E questa è una risposta certa. Per questo sono inutili tutti i piani
d’aiuto ideati dal FMI e simili. E’ per questo che è inutile addirittura
l’abolizione del debito delle nazioni povere. Questo è solo la necessità dei
potenti di lavarsi la coscienza, il mezzo per convincere che sono nel giusto e
che stanno trovando le contromisure all'ingiustizia.
Ed in realtà non lo
vogliono neppure: con il pretesto di favorire lo sviluppo economico e
l'occupazione, i paesi OCSE, hanno sottoscritto un Accordo Multilaterale sugli
Investimenti (AMI) che attribuisce tutti i diritti ai possessori di capitale che
investono e che impone doveri agli Stati.
Anche in Europa la
Commissione Europea ed alcuni governi persegue la strada della globalizzazione
basata sul libero scambio per riuscire a realizzare un Nuovo Mercato
Transatlantico (NTM) affermando l'egemonia degli USA.
Le regole fondamentali
dell'economia sono necessariamente: trasformazione di materia mediante un lavoro
fisico od intellettuale per ricavarne un prodotto utile all'uomo per vivere
meglio. Questo processo è ormai alterato favorendo l'arricchimento di pochi,
causa il potere che ne deriva.
Pur di ottenere questo risultato
si è abolito ogni concetto razionale di valore, sostituendolo con concetti
adattati di moda, utilità, status simbol...e così via.
Per evitare rivolte e proteste si
è ricorso, con l'aiuto di intellettuali, alla manipolazione del pensiero.
Viviamo, ormai, in una società dove non esiste più il concetto di verità. I
concetti stessi non hanno valore, neppure nella loro definizione.
Bisogna rivoltarsi.
La soluzione sarebbe abolire i
debiti di tutte le nazioni senza condizioni e secondi fini, rifondare l’ONU su
base democratica senza diritto di veto, abolizione di tutti i brevetti e
standardizzazione internazionale dei prodotti, condizioni di lavoro,
stipendi,pensioni, tassazione e stato sociale. Distribuzione delle ricchezza
allo stesso modo di come avviene in una federazione. Abolizione degli eserciti.
Tassazione dei capitali di una percentuale unica per tutte le nazioni,
abolizione del segreto bancario, smantellamento dei paradisi fiscali ed
impedimento nell’uso privato di enormi ricchezze… e, soprattutto, decidere che
una percentuale del PIL uguale per ogni paese sia usata per finanziare lo stato
sociale. Ed un’altra quota per finanziare quei paesi la cui economia non riesce
a garantire questa minima quota di democrazia.
Necessario inoltre che i
sindacati escano dalla loro logica corporativa e nazionale globalizzandosi a
loro volta.
Davanti al terrore economico
globalizzato è assolutamente necessaria la difesa globale dei diritti umani
(biologici, civili, culturali, economici, di condizioni e diritti di lavoro,
spirituali…).
Occorre riformare le coscienze,
le percezioni, le intelligenze facendo controinformazione e denuncia capillare
ed istantanea.
Di fronte al no non rimane altro
che terrorizzare, rubare od uccidere.
Inutile lamentarci: in questa
situazione nessuna persona è innocente.
Di certo non è la strada che
perseguono.
-Vogliamo le prove di quanto
affermi
-Le prove? Eccole: si tratta di
documenti segreti, da me tradotti per i dirigenti della mia ex patria.
LA RELIGIONE ECONOMICA
La verità è un non senso per
larga parte della cultura della società contemporanea e, pertanto, ricondurre
l’uomo a riscoprirla è oggi una delle esigenze prioritarie della missione
dell’ONU per la salvezza del pianeta.
Il pensiero, la società non
possono progredire al di fuori della verità, non arriva che a vie senza uscita.
A tutti i dirigenti del pianeta
Terra, mi rivolgo a voi che condividete con noi il desiderio di verità e di
giustizia.
A tutte le persone del
pianeta Terra, mi rivolgo a voi che condividete con noi il desiderio di verità e
di giustizia.
La vastità, la complessità
e la delicatezza del compito che ci attende, richiede da parte di tutti noi una
sincera disponibilità ad obbedire ed un coraggioso impegno verso il cambiamento.
Di fatto, le rapide e
profonde trasformazioni in atto lo esigono seguendo queste regole basi:
-Strutturare il bilancio
delle nazioni seguendo le direttive del FMI.
-Attivare nuove procedure
di contabilità e d’analisi capaci di calcolare in tempo reale l’ammontare delle
entrate e delle uscite cercando di azzerarle entrambi.
-Pianificare.
-Fare.
-Verificare.
-Adottare.
Continuare con
determinazione il processo di rinnovamento culturale, organizzativo e gestionale
avviato negli anni precedenti in ossequio al documento di programmazione redatto
dal FMI, fondate sulla strategia del miglioramento continuo dell’economia ed
articolate su tre livelli principali:
1-Promuovere le
privatizzazioni premiando l’impegno, la capacità propositiva e la partecipazione
attiva dei dirigenti.
2-Razionalizzare gli
assetti organizzativi e soprattutto i processi produttivi assegnando la più
ampia autonomia e responsabilità ai dirigenti, in ordine al conseguimento degli
obiettivi.
3-Sviluppare un sistema
informativo integrato, moderno, tecnologicamente evoluto, in grado di orientare
le opinioni.
Siamo ben consapevoli
delle difficoltà e resistenze che si generano quando si introducono innovazioni
gestionali ed organizzative così importanti, soprattutto quando le decisioni
coinvolgono la sfera di persone incompetenti
che non possono partecipare attivamente al processo di modernizzazione e che
pertanto non comprendono le ragioni e le finalità.
Sappiamo, tuttavia, di
poter contare su persone eccellenti, di prestigio internazionale, che hanno
saputo guidare le proprie nazioni in anni di oscurantismo e che sono, per noi
tutti, esempio e garanzia di successo.
E’ necessario distruggere ogni
nazionalismo e valorizzare le singole persone.
Abbiamo il dovere, come persone
umane, di vigilare affinché la verità storica non sia falsata o manipolata;
abbiamo l’obbligo che la verità sia insegnata nelle scuole.
Gli uomini veri sono gli araldi
della verità e portano nuovi discepoli e svelano ai popoli la verità teorica e
l’azione necessaria per conseguirla.
Quanti ha causa della propria
ignoranza, sono incapaci, possono raggiungere la verità a patto che si lascino
guidare da chi la verità la conosce.
E’ un grave crimine preferire
sopravvivere nella falsità per vivere qualche anno in più, rispetto alla verità.
E’ necessario sacrificarsi per lei.
Non possiamo permetterci di
ricercare la verità nella via verità e vita di Cristo; non almeno in
quest’ingiustizia di vita storica.
Solo il ricco ha potuto chiedere
a Dio “ cosa devo fare?” e sappiamo la risposta di entrambi.
Anche la carità, l’alternativa
morale, è causa d’ingiustizia, facendo fallire con la concorrenza, ogni
possibilità di lavoro che generi una possibilità di sopravvivenza.
Aiutare l’uomo verso un cammino
di verità è libertà denunciando ogni abuso ed ogni morale che impedisce i mezzi
per arrivarci.
Controllare scuola ed
informazione.
La scuola oltre che impedire
serve a selezionare i geni e mediante la grazia dei doni e dei privilegi saranno
riscattati dalla plebe che sarà così privata da intelligenze pericolose.
E’ altresì compito della scuola
la formazione di specialisti che non avranno una reale capacità
critico-intellettiva, ma soltanto per quel che riguarda il frammento di scienza
che loro compete, alimentando allo stesso tempo all’idea di possedere la verità
totale.
Esempio d’ottima informazione è
stato l’annuncio planetario della riuscita mappatura del genoma umano, da parte
del presidente USA.
Subito dopo ha, infatti, aggiunto
che ora è compito delle multinazionali del farmaco perseguire il fine che porta
al benessere umano.
Peccato abbia aggiunto che, ora,
il problema fondamentale fosse a chi affidare i brevetti.
Fortunatamente è nella coscienza
delle popolazioni il fatto che i risultati raggiunti saranno a beneficio di
tutti.
Rimuovere: ogni simbolo di
religione fondata sulla metafisica e la ragione.
Rimuovere ogni nazionalismo
favorendo le risorse individuali, in libera concorrenza teorica, convincendo i
singoli, che soltanto in questo modo saranno valorizzati, che avranno un
tornaconto personale e, allo stesso tempo, porteranno una evoluzione positiva
alla loro stessa nazione.
Promuovere religioni alternative.
E’ il dollaro stesso, il
compimento vivo della legge economica, perché ne realizza il significato
autentico: si accumula, si accresce, si autogenera il vero Dio della storia.
Legge vivente, necessaria che
invita al suo possesso e dà, mediante la grazia di un lavoro, l’energia ed i
mezzi per testimoniarlo nella scelta e nelle opere.
Interrogarsi sul bene significa,
in ultima analisi, rivolgersi al dollaro.
Il dollaro mostra al giovane
ricco la strada che attrae e che allo stesso tempo vincola; ha la sua fonte di
verità in se stesso.
Solo colui che è ricco è degno di
essere amato dalla storia.
Solo il dollaro è la sorgente di
felicità per l’uomo.
Ma l’amore per il dollaro
comporta l’obbedienza ai suoi comandamenti i quali sono la via e la condizione
per la vita.
L’inscindibile rapporto tra il
dollaro ed il suo possesso deriva proprio dal ruolo che ricopre nella storia: di
fronte alla posizione metastorica delle religioni che trovano leggi in mondi non
reali, il dollaro manifesta la sua verità storica e si presenta come legge
vivente.
Solo il ricco può affermare:
siamo non solo ricchi, ma dollari noi stessi.
Stupite e gioite popoli della
terra, siamo dollari, mangiate alla nostra mensa.
Esso è un dono ed un compito. La
connotazione dollaro-centrica, sviluppa in perfetta coerenza, la sua espansione
universale.
Il dollaro, infatti, vive nel suo
corpo economico, cui dona la logica, perché ne sia la guida.
Ed è allora, grazie all’economia
e alla logica dei suoi comandamenti, che la persona partecipa alla vita nuova
dei ricchi, nell’obbedienza alla volontà delle regole.
La contemporaneità del dollaro
all’uomo d’ogni tempo si realizza nel suo possesso. Per questo è stato promesso
ed è alla portata d’ogni uomo.
700, 800 persone sono titolari di
un conto a dodici cifre.
E’ la prima volta, che si
manifesta nella storia dell’umanità, un fenomeno d’opulenza di massa di così
vaste proporzioni.
Mai prima d’ora il numero dei
miliardari è stato così elevato e diffuso.
Su circa sette miliardi di
persone, sette miliardi, che compongono la società globale, se ne contano più di
cinque milioni solo negli USA.
Si pensa saranno venti milioni
tra qualche decina d’anni.
Se aggiungiamo poi l’Europa se
n’aggiungono altri 2,2 milioni.
Soltanto in Italia, su una
popolazione di 56 milioni circa, ve ne sono 141 mila.
Nessuno di questi è nato ricco,
sono tutti self made man.
Il fenomeno è in così rapida
evoluzione, favorito dalla globalizzazione, che tra qualche millennio tutte le
persone del pianeta Terra lo saranno.
I poveri ricchi, quelli che
possono spendere soltanto tre miliardi e trecento milioni l’anno soffrono ad
ammirare i super ricchi da 80 miliardi di spesa l’anno.
Entrambi spendono per il bene
della società globalizzata: ogni loro spesa dà lavoro ed accresce il valore
delle merci e degli investimenti fatti.
La ricchezza dilaga, ma, oppressi
dal disagio esistenziale d’essere ricchi, si ammalano troppo: sono in via
d’estinzione.
E’ necessario un intervento
mirato per salvarli dall’estinzione.
La banca mondiale, il fondo
monetario internazionale, i vari Club di Roma, Londra e Parigi, i
G7...custodiscono gelosamente la dottrina del vangelo economico dettata dal
dollaro e quindi responsabili della rettitudine delle nazioni chiamate ad
assicurare l’intrinseco legame tra dollaro e ricchezza.
Nessuna lacerazione deve
attentare all’armonia dollaro e vita. La loro unità è ferita non solo dagli
operai che non vogliono lavorare rifiutando e stravolgendo le verità economiche,
ma da ogni altro che non assolve i compiti cui sono chiamati dall’economia.
L’ufficio di interpretare
autenticamente la dottrina economica è affidata al solo ONU la cui autorità è
esercitata dal FMI in nome degli USA.
In tal modo il dollaro, nella sua
vita ed insegnamento, si presenta come colonna e sostegno della verità
dell’agire per la vita.
I governi delle singole nazioni,
indottrinate dall’ONU, convinte dal FMI hanno il dovere di un discernimento
critico capace di riconoscere quanto nelle tendenze vi è di legittimo, utile e
prezioso ed indicare le ambiguità, i pericoli e gli errori.
E’ necessario conformarsi alla
mentalità universale trasformandosi in perfetti esecutori della legge
fondamentale.
Devono sapere applicare e fare
applicare le regole e la legge sapendo che il male è la distruzione stessa
dell’economia. Chi va contro il dollaro è destinato a morire.
Il potere di decidere non
appartiene a loro, ma soltanto agli USA.
La legge economica tuttavia non
attenua né tanto meno elimina la libertà, al contrario la garantisce e la
promuove per evitare appunto il male e la conseguente dannazione.
Alcune tendenze hanno sviluppato
il marxismo che a sua volta ha dato origine a non pochi orientamenti che hanno a
loro volta influito sulla logica economica a tal punto che alcuni sono giunti ad
affermare la necessità di dominio delle nazioni sul capitale. Tali norme
porterebbero senza dubbio alla distruzione dell’economia stessa portando
all’apocalisse.
Di fronti a tali tesi
distruttive, incompatibili con le leggi economiche, s’impone una vera autonomia
delle stesse.
Si dà, inoltre, un’attività
religiosa. Ma l’economia trae la sua verità e la sua autorità dalla sua logica
eterna che si autogenera. Bisogna impedire che queste inutilità stravolgano le
leggi.
Una pretesa autonomia delle
religioni contraddirebbe l’insegnamento della stessa verità storica, sebbene il
fatto di morire sia vero.
In questo senso le dottrine
religiose sono relative. L’economia e la religione si possono incontrare solo la
dove l’individuo termina la sua missione storica di vivere. Allora l’individuo
muore, ma l’economia continua e rimane.
Tutto ciò appare con chiarezza.
La ragione e la religione devono
essere e sono subordinate alla logica economica, se vogliono continuare ad
essere. Senza la sopravvivenza del corpo anch’esse non hanno ragione né causa
per essere.
Soltanto nell’economia e nel suo
sviluppo si può trovare la vita. Obiezioni derivate dalla morale e da altre
pseudoscienze nel dividere l’uomo lo portano precocemente alla morte.
Da qui deriva la legittimazione
della legge, universale ed immutabile e che lascia al suo interno la specifica
libertà d’essere se stessi nello spazio tempo unico d’ogni individuo.
Ogni mutamento personale sia
nella qualità sia nel numero lascia inalterata la legge.
Non ci può essere una libera
interpretazione creativa delle regole; non ci può essere il rifiuto
dell’applicazione delle leggi né agire in autonomia in conformità a motivi
ragionevoli.
La legge è legge.
I risultati ottenuti sono
testimoni della giustezza della legge e della fedeltà nei riguardi della legge
stessa. La legge è quindi giudizio sia per il singolo sia per le nazioni. Si
deve in pratica amare e ricercare il bene ed evitare il male.
La legge non rifiuta, ma
positivamente valorizza la scelta di arricchire, riconosce la libera scelta
d’azione dell’imprenditore che porta ricchezza. Il vero uomo libero, infatti,
sceglie comportamenti per il bene assoluto.
MISSIONE DELL’ONU E BENE MORALE
Il legame tra verità e bene e
libertà è stato smarrito dalla popolazione e dalle nazioni, pertanto ricondurli
a riscoprirlo è una delle missioni dell’ONU, per la salvezza stessa
dell’umanità.
La missione ONU - FMI è nella sua
stessa centralità onnicomprensiva, è quella di evangelizzare, annunciando la
logica economica e le meraviglie del capitale, invitando alla beatitudine del
dollaro sua immagine vivente.
Da qui la sua dignità e la
responsabilità del suo compito.
Esso è chiamato dal dollaro alla
nuova evangelizzazione, ma la situazione sociale-culturale d’oggi presso
numerose popolazioni, esige una nuova evangelizzazione con nuovi metodi, nuovi
mezzi, nuove espressioni.
Bisogna dare una risposta al
diritto dei lavoratori e degli uomini che conducono a pensare e a vivere come se
le regole economiche non esistessero e che si esprime con l’opposizione e la
disobbedienza.
Tutto questo comporta declino ed
oscurantismo.
In questo contesto gli scienziati
sono chiamati a fare luce e riscoprire la logica e la forza della verità. Il
dollaro annuncia un percorso attraverso una vita di rinuncia per un domani
migliore.
La missione ONU, gratuita ed
impegnativa, è al servizio degli USA per il bene del pianeta.
L’ONU guarda ogni giorno con
instancabile amore il dollaro, pienamente consapevole che solo in lui sta la
risposta vera e definitiva alle ristrettezze della vita.
La debolezza, il dramma,
l’incapacità della libertà di trovare le risorse per vivere sono superate
dall’intervento salvifico degli USA. Essi ci sfamano affinché siamo liberi.
Uno sguardo particolare dell’ONU
è per l’FMI che con instancabile amore sacrifica i dollari in suo possesso per
il bene delle nazioni.
Questo martire rivela il senso
autentico della libertà, lo vive in pienezza, nel dono totale di sé e chiama gli
imprenditori a prendere parte della sua stessa libertà.
La debolezza ed il dramma delle
nazioni e della loro libertà sono superati dall’intervento redentore dell’ONU e
del FMI: ci hanno liberate affinché restassimo libere.
L’economia, così rinata, sta in
comunione con il dollaro, ricchezza inesauribile.
L’ONU-FMI è dunque la sintesi
della perfetta libertà nell’obbedienza totale alla volontà USA.
Il dollaro è la piena rivelazione
del vincolo con l’economia e l’esaltazione della fecondità della sua forza
salvifica.
Nella sua missione l’ONU insegna
così il rispetto incondizionato al dollaro. Il martirio che accompagna i
dirigenti è una conferma dell’inaccettabilità delle teorie che negano le norme
economiche.
E poiché l’universalità e
l’immutabilità del dollaro e delle sue leggi economiche manifestano e si pongono
a tutela dell’immutabilità dell’economia, il martirio è una confessione
dell’intangibilità della legge che dona dignità alle persone sul cui volto
brilla la luce derivata dallo splendore del dollaro.
La fedeltà alla legge esige un
impegno ed una coerenza che possono essere anche di sofferenza e sacrificio.
Non ci possono essere privilegi
né eccezioni.
Essendo al servizio di tutti, le
norme che lo accompagnano sono appunto la garanzia per una convivenza giusta e
pacifica, di una vera democrazia nella quale tutti, nessuno escluso, è chiamato
ad assolvere i propri compiti.
Le norme economiche possiedono un
significato e sviluppano una forza tale da generare ed alimentare il
rinnovamento.
La questione sociale è una
questione culturale, al cui cuore sta il senso etico morale che si fonda sul
senso economico.
Come l’esperienza insegna, la
costruzione di una società libera si radica sulla crescita economica e quindi
sull’obbedienza alle sue leggi.
Nel compimento della sua
missione, l’ONU, interviene sempre mostrando il suo volto di maestro, ossia
proponendo a tutti la verità nel suo intimo significato d’irradiazione del
dollaro, giunto a noi grazie agli USA, al servizio della libertà delle nazioni e
al perseguimento della felicità, aiutandole nel loro cammino intessuto di
politiche, fatiche, debolezze ed errori.
Nella presentazione limpida e
vigorosa della verità non può mai prescindere da un profondo e sincero rispetto
verso chi ci ha donato il dollaro, di cui ogni nazione è bisognosa nel suo
cammino spesso reso faticoso dalle difficoltà, debolezze e situazioni.
Le leggi proposte e l’osservanza
delle stesse possono essere faticose, difficili, anzi difficilissime in
determinate situazioni, ma mai impossibili.
Il dollaro non chiede cosa
impossibile, ma esorta a fare il possibile o a chiedere aiuto per ciò che è
impossibile così ti aiuta affinché anche l’impossibile diventi possibile.
Solo grazie alla redenzione
derivata dal finanziamento del FMI si trovano le concrete possibilità.
In questo contesto si apre lo
spazio alla speranza senza per altro compromettere ne falsificare la misura del
bene e del male.
Mentre è accettabile che le
nazioni riconoscano le loro debolezze e la loro incapacità e chiedano aiuto e
misericordia, è invece inaccettabile l’atteggiamento di chi fa della propria
incapacità e debolezza un criterio di verità per stravolgere la legge e condurre
tutto al disastro.
Bisogna essere vigilanti per non
essere contagiati da questi atteggiamenti che pretendono di eliminare la
coscienza e la responsabilità dei propri limiti e dei propri peccati e che si
esprimono nel tentativo di adattare le regole alle proprie necessità.
I politici sono chiamati ad
aiutare l’ONU in questo compito. Rientra soprattutto nel loro dovere
l’essenziale ed irrinunciabile riferimento al magistero dell’ONU nella loro
missione educatrice in uno spirito d’adesione e collaborazione, tutti insieme
uniti collaborando con gli USA.
In questa prospettiva il dissenso
non deve avere voce, non deve minare l’integrità e la purezza della legge.
Di questo i politici ne
risponderanno di persona.
E’ loro comune dovere insegnare
ciò che conduce sulla via del dollaro ed impedire senza eccezione gli atti
contro.
Essi devono vegliare e ricorrere
alle misure opportune per impedire teorie contrarie all’autorità USA.
E’ affidato ai capi di governo il
compito di controllare che siano applicate le sacre leggi economiche
dell’economia globalizzata sotto l’egida degli USA.
Della corretta applicazione delle
stesse saranno chiamati a risponderne.
La privatizzazione dell’economia
base delle nazioni è necessaria per globalizzare e si ottiene o per ricatto del
debito o per guerra.
La razionalizzazione
dell’efficienza economica comporta un aumento di ricchezza, concentrata in mano
a pochi, per l’economia, ma a scapito della spesa sociale. L’aumento dei lavori
precari, dei disoccupati, dei poveri lo sta a dimostrare. Ne consegue la
necessità di fermare, anzi ridurre la spesa sociale. I bisognosi si diano da
fare, hanno pari possibilità di farcela.
Lo stato deve uscire da questo
gioco suicida, non deve tassare chi è ricco e crea lavoro, ma soltanto chi vive
di rendita da lavoro o da pensione. Questi non devono avere nessuna possibilità
di arricchire, ma soltanto sopravvivere al minimo. Il tutto evitando sommosse.
Nel caso contrario i capitali
lasceranno il paese per altre occasioni e situazioni più favorevoli.
In questo frangente di storia è
necessario che i ricchi diventino sempre più ricchi, drenando le ricchezze
inutili dei salariati e dei poveri, affinché accumulino le risorse necessarie
per acquisire le privatizzazioni.
In questo modo si può ottenere il
dominio sulle nazioni evitando il ricatto, il colpo di stato, la dittatura: il
tutto sarebbe legale e democratico.
Compito affidato ai politici,
agli storici, agli informatori è quindi di falsificare la storia usandola per
dimostrare ai loro cittadini che tutto quanto è necessario se vogliono
continuare ad avere ciò che possiedono e che è troppo.
Bene ad esempio si sono
comportati i politici italiani, quando hanno convinto i loro cittadini che era
del tutto legale e sancito dai trattati internazionali il loro intervento nella
guerra che è stato necessaria dichiarare all’ex-Iugoslavia.
Il trattato esigeva l’automatico
intervento in guerra solo in caso d’aggressione per difendersi. Qui si trattava
di difendersi da un’aggressione all’ordine economico mondiale dall’ultimo
residuo dei paesi non allineati facenti capo all’ex-Iugoslavia.
Bene è stato la partecipazione
attiva nella guerra contro l’Iraq.
I paesi produttori di petrolio,
in questo frangente storico, sono notoriamente una leva di potere e di ricatto
per tutte le economie petrolio-dipendenti, nell’attesa che la scienza e la
tecnica trovino fonti alternative.
E’ chiaro a tutto il mondo che
non si poteva certo lasciare il dominio del petrolio ad un paese non allineato.
Siamo stati costretti dalla sua intraprendenza.
I politici prendano atto di come
sarebbero stati trattati ora che non esiste più l’URSS a fare da contro-altare.
La storia può benissimo essere
alterata e manipolata per i nostri scopi.
I politici usino molta attenzione
nell’educare i loro popoli alle regole della nuova religione, ne otterranno
oltretutto dei benefici personali estendibili ai loro figli.
Qualcosa di buono è stato fatto:
è parte della mentalità comune, infatti, l’idea che chi è improduttivo e di peso
alla società sia da eliminare, ma è ancora troppo poco; all’idea deve seguire il
fatto.
I possessori di capitale, in
comunione con l’ONU, sono vicini ai politici in questo sforzo; li accompagnano e
li guidano nel loro insegnamento, con amore e misericordia, aperta a tutti gli
uomini di buona volontà.
Le disposizioni
dell’ONU-FMI-G7…esperti in umanità al servizio gratuito d’ogni uomo e nazione,
sono una testimonianza straordinaria di quest’atteggiamento d’amore e di
collaborazione.
La via della salvezza è aperta a
tutti coloro che rispettano le regole.
L’FMI non nega l’aiuto necessario
per arrivare a conoscere ed avere la gioia del capitale. In nome e con
l’autorità del dollaro USA, essi hanno esortato, spiegato, denunciato, in
fedeltà alla loro missione; confermato, sostenuto, con la garanzia del prestito
contribuendo in modo del tutto gratuito ad una migliore comprensione delle
esigenze della vita sessuale, sociale, politica ed economica.
Il loro insegnamento costituisce
la realtà e la verità della storia. Oggi però sembra necessario richiamare
alcune verità fondamentali, che nell’attuale contesto storico rischiano di
essere deformate e negate.
Si è determinata, infatti, una
situazione che diffonde dubbi ed obiezioni, d’ordine umano e religioso sociale e
politico in merito agli insegnamenti ONU-FMI-USA e dei loro satelliti.
Non si tratta più di
contestazioni occasionali, ma di una messa in discussione globale e sistematica
del matrimonio tra capitale e dollaro USA.
Alla loro radice sta l’influsso
più o meno nascosto di teorie di pensiero e di religioni che respingono
l’universalità e la permanente validità della legge capitale in favore dei
singoli.
Si ritiene che lo stesso ONU
possa intervenire negli affari interni solo nella proposizione, lasciando alle
singole nazioni la decisione autonoma di scelta dell’intervento.
Da rilevare la dissonanza su
questioni di massima importanza per l’economia e la vita stessa, diffusa in
ambienti scientifici, i quali dovrebbero essere privati dei fondi loro
necessari, riguardo ad esempio l’alimentazione, l’inquinamento, la pratica del
controllo delle nascite, della vita e della morte.
Che deve fare una nazione per
essere tra le favorite?
Semplice: vendere quello che
possiede e che i cittadini usufruiscono sempre più senza nulla dare;
privatizzare tutto.
Solo così si realizza l’incontro
prolifico tra la nazione ed il capitale nella realizzazione del bene comune.
Interrogarsi sul bene dei
cittadini significa rispettare la legge fondamentale del capitale.
In lei c’è ciò che attrae e
vincola allo stesso tempo per ottenere la possibilità di vita.
I politici, istruiti dall’ONU,
devono portare le loro nazioni nella verità, altrimenti nessuno sforzo per
quanto grande sia, riuscirà a farli partecipe della vita.
Sapete quello che dovete fare.
Solo il rispetto pieno dei comandamenti farà ricadere su di voi la grazia
dell’ONU-FMI-USA e vi eviterà la terribile punizione dell’inferno.
“Eliminare gli inutili” questo avrebbe dovuto
essere il titolo di questa pagina...ma un tumulto scrosciante d’emozioni, altro non saprei
definire il marasma di questi giorni, mi impone di parlare ancora di me, con la
perdita assoluta di lucidità, nell’avvicendamento dei fatti accaduti. Sono
innamorata. Innamorata di un giocatore d’azzardo conosciuto al casinò.
Non mi sembra vero esser io il soggetto in azione. Ma quale azione?
L’Amore? Un gioco d’amore?
Il gioco è accattivante mentre i giocatori mostrano un coinvolgimento di
là dal dovuto ed una identificazione nel ruolo di protagonisti troppo pesante e
forse inutile.
Soprattutto perché è una partita persa, non valida per eventuali studi e
classificazioni, né giocata in previsione di partite di ritorno o rivincite, non
valida per la vita.
Giocare d’azzardo è l’unica giustificazione che rende valida la sfida.
Non è possibile individuare spiraglio alcuno di sopravvivenza a se
stessi nell’ipotesi negata di una vittoria.
Ma un giocatore, non conoscendo la tattica dell’avversario, non ha forza
per sottrarsi al proprio auto-inganno.
Gioca sull’illusione che la partita non abbia fine o si concluda
amichevolmente in pareggio tra gli avversari e con una vittoria morale per
entrambi.
Che nessuno debba soffrire degli auto-inganni,
dei bari e delle sfide, ecco cosa si vorrebbe, ma le regole purtroppo sono
fissate universalmente. Chi non le rispetta è punibile.
How are you, my darling?
I’m looking for you in this
night
I’m looking for you hands on my
breast…
Please, find a wonderful place
for us and love me …to be…only a memory…only in our souls.
L’esasperato sentimento di chi non rinuncia a
perdere la curiosità per qualcosa di molto particolare che ha trovato,
casualmente tra la sabbia, sulla strada della ricerca percorsa ogni giorno e
divenuta oggi impraticabile.
Forse è più giusto che siano gli uomini a scrivere lettere d’amore, ma,
nella mia storia, l’espressione dei sentimenti o delle emozioni circostanti,
spesso passa prima attraverso le parole scritte, anzi credo di rendere più
giustizia agli eventi scrivendo che non parlando.
Le parole dette non sono sempre il linguaggio indicato per trasmettere
messaggi, la voce esprime tendenze, volontà, l’evoluzione in tempo reale della
storia.
La scrittura è pensata, privata dell’emotività deviante che spesso
blocca il pensiero in gola, perché la presenza di un attore sposta l’attenzione
e costringe ad entrare in relazione con qualcosa fuori del proprio essere,
impedendo lo stretto assaporare dei pensieri più interiori.
Lo scrivere, se si pensa ad una mera
comunicazione con se stessi potrebbe sembrare ipocritico rispetto alle
condizioni che ne fanno nascere l’esigenza, e forse sarà vero, ma è l’unico
momento possibile per esternare l’ampiezza delle proprie smorfie emotive, un
attimo di liberazione, di vomito di pensiero.
Scrivo senza voler produrre la cronaca di un tradimento o di un furto,
ma nel tempo questa dimensione diviene la più credibile.
Avevo acceso il computer per lavorare, ma la tentazione di parlarti era
fortissima ed irresistibile, perché è questo il senso dell’emotività di questi
giorni…irresistibile, irrefrenabile, qualcosa che indomabile cresce
selvaggiamente al di là d’ogni controllo.
E il confronto quotidiano con l’altro mio essere madre e moglie mi rende
meschina di fronte a me stessa.
Ho paura.
Ipocrita spaventarsi dei propri errori, la responsabilità dei fatti
riguarda solo me. Sono io l’ingorda, sono io la ladra, sono io la donna che sta
rischiando se stessa per il desiderio profondo di cercare l’altra faccia del
bene attraverso la curiosità, virtù o difetto, per un gioco.
E pensare che tra i ricercatori d’ogni genere e specie la curiosità è
considerata virtù. Permette di costruire nuove ipotesi di lavoro e di scoperta,
avanzamenti nelle indagini avvengono per la curiosità degli esseri umani.
Non è questo genere di curiosità che m’invade oggi.
Da questa curiosità nessun altro ci guadagnerà se non noi. Altri ne
faranno le spese, dunque non è questo l’ambito della virtù, ma della sua
negazione.
Trovami Dio, trovami e parlami, toccami, fammi
sentire la tua forza, fammi penetrare dalla tua abilità di giocatore, avvolgimi
e la partita finirà.
Accanto alla grandezza e bellezza di questo flash di vita ho paura di
ritrovare l’abbandono.
Ho paura ad affrontare il dopo. L’addio. Una fine annunciata.
Ho paura di cadere.
Sarò sola contro me stessa.
Non voglio immaginare come sia difficile perdere tutto in un attimo,
vivere come se nulla fosse stato e dover credere nel mio futuro…
Dovrò trovare espedienti per dimenticare e reprimere, ricominciare a
vedere la mia vita com’era prima di incontrare te.
Avrei dovuto essere più fatalista, fingere di
credere in un destino che m’imponeva di non uscire dalle piste tracciate per me,
avrei dovuto ignorarti ed ignorarmi, non avrei dovuto guardarti.
Dovrò imparare ad essere più dura con la vita.
E’ già giovedì. Ma sono solo le due nella notte o nel giorno.
L’appuntamento è previsto, anelato, aspettato, sospirato, ancora
impalpabile.
Peccato sarò quasi impresentabile: occhiaie, viso spento, l’età stampata
addosso.
Devo andare a dormire, due ore di sonno saranno sufficienti?
Stamani proverò a tradurre concetti forse razionali e tecnici per un
pubblico che aspetta soluzioni a problemi poco conosciuti: sarò credibile? Spero
non troppo teorica.
Continuerei a parlarti.
My sweet man…where are you now?
Where can I find you?
Vorrei svegliarti con il pensiero e passare leggera su di te, nella
notte infilarmi sotto le tue lenzuola e giocare, solleticare, ridere,
sbadigliare, dormire.
Good night or good morning
A stasera.
Se avessi fissato i diversi modi di ricominciare a scriverti avrei,
probabilmente, già prodotto molti fogli.
Sembra invece che ogni variazione nel normale scorrimento della vita
m’induca a palarne con te. Ed è piacevolmente rilassante farmi accarezzare dalla
tua immagine.
Ho la possibilità d’inoltrarmi in diversi
argomenti e dimensioni, potrei parlarti del mio lavoro di ricercatrice di
verità…potrei raccontarti cosa dicono i potenti della terra…potrei narrarti la
mia giornata…, potrei credere che un poco ti tedierei.
Potrei parlarti di un viaggio imminente, di un uomo ed una donna che si
lasceranno domandandosi che cosa ne sarà di una storia d’amore…, ti annoierei.
Vorrei parlarti d’attimi sussurrati e di movimenti nella notte, di gesti
tremanti e baci appassionati. Vorrei, Dio, sentire le tue mani, ora, attorno
alla mia vita e la tua bocca sulla mia.
Posso solo sognare e ritornare a pestare questa terra fatta di tempo,
cose, fatti, persone cui appartengo.
Avrei voluto cullarti tra le mie righe, sublimando nelle parole quei
gesti che andavo compiendo. Ora, non poeta né eroe, grandi occhi mi guardano e
un po’ di buio m’avvolge.
Sapevo che avrei camminato con te. Non sapevo che
il tempo fosse così mordente e questo foglio così pesante.
SECONDA PARTE
Il capitalismo, sbarazzatosi da
ogni paura, ha preso su di sé l’ambizione, morto Dio, di edificare la città
divinizzata dell’uomo, sorretta dalla scienza tecnologica e dall’esercito USA.
Lo statuto del nuovo regime di
comando della storia dei fini dell’uomo sopprime e smantella il contratto
sociale, cancella i diritti dei lavoratori conquistati con lacrime e martiri.
L’orrore metafisico, la dittatura
che soggioga l’intero pianeta è il liberismo selvaggio.
Dopo il terrore di Hitler di cui
si decantavano con orrore gli irripetibili delitti ecco sorgere dalle sue ceneri
l’ONU-FMI.
Qualcosa non quadra nella vita
dell’uomo: una folgorazione, un attimo di pensiero che sfugge afferma che altri
sono i perché ed i fini della vita.
Invano.
Ho rifiutato
Dio per questo e forse ho commesso un errore. Non mi rimane altro che uccidere
anche Cesare.
Domenica terribile: tutto il giorno davanti allo schermo del mio pc per
tentare di produrre poche idee per il mio futuro di responsabile dei rapporti
umani, un ruolo interessante, un’attività forse frenetica, ma spero almeno un
poco gratificante.
Il prestigio m’interessa poco, se non in fase iniziale, la mia
insicurezza, le mie paure di sbagliare mi definiranno un sentimento di
frustrazione, sempre che la stima dei miei colleghi sia tale da supportare anche
le mie difficoltà.
La fiducia è un valore fondamentale nella vita d’ognuno…
Ma è stato sempre più difficile restare sul file di lavoro, tornando
spesso allo scritto di ieri sera.
Sapessi quante volte ho pensato che nessuna storia avrebbe incrinato il
mio equilibrio.
Non ne sono capace. Ho continuato a negare l’evidenza di un’attrazione…
Ancora il tuo odore sulla mia pelle, il profumo del tuo seme tra le mie
labbra vaginali…e si perdevano lavando e rilavando.
Mi resta sempre dopo i nostri incontri la sensazione di non aver fatto o
detto tutto quanto si poteva dire o fare, una potenzialità immotivata.
Ogni incontro, così scandito dal tempo, così nascosto da sguardi
intimidatori, così carico di tensione sensuale…so che mi mancheranno, che
piangerò il passato, la passione e l’incertezza, so che dovrò arrivar…vorrei
fosse indolore.
Dovremo salutarci e dimenticare i baci e le carezze sensuali? Dovrò
cancellare questo periodo della mia vita?
Credo resterà in fondo a quell’anima un po’ maldestra avvolta da tanta
tenerezza.
Non conoscevo la parte di me che con te si
manifesta e partecipa e che non vuole schierare per continuare a godere questi
attimi avvolgenti.
Forse questo modo inconsueto di interpretare la situazione inciderà
sulla mia filosofia di vita. Il senso incompiuto delle cose,
l’indeterminatezza…ora costituiscono le mie certezze.
Vorrei che tu non avessi voglia di me, vorrei che mi trovassi poco
interessante, vorrei che non avessi la passione. Ma vorrei anche esattamente il
contrario. Voglio sentirti, voglio cercarti, voglio conoscerti, non voglio
perdere ne dimenticare un solo gesto, una sola parola, il senso delle cose.
Tu accetterai queste contraddizioni?
La legge evolutiva di natura
dell’umanità è diretta dalla legge economica.
Non è stato sufficiente
decapitare re e regine. La rivolta è stata tradita dalla più stupida delle idee:
tutto si compra e tutto si vende. Inutile ogni lamento.
Ero convinta che l’Europa unita
fosse antagonista al nazismo assoluto degli USA, creandosi mercati ed alleanze
alternative, invano. Lo stato ha abdicato all’economia. Le leggi evangeliche del
WTO, FMI, Banca Mondiale... sono eseguite da ogni politico che si rispetti.
La democrazia è a rischio
d’estinzione, ogni giorno diviene sempre più imperfetta ed irrazionale.
Agli intellettuali è stato
affidato il compito di convincere ogni persona che è giusto e necessario.
E per riuscire a metterlo in quel
posto a tutti i poveri del pianeta, si sono trasformati in perfetti froci.
Questo d’altro canto va bene al
loro superiore che così non rischia di dover cedere loro le gioie procurate
dalla fantasia delle belle donne.
Ma tra qualche tempo anche di
questi se ne potrà fare a meno: non sarà, infatti, più necessario imbrogliare i
popoli per tenerli incatenati. In ogni parte si sta rafforzando il potere di
controllo e di vigilanza.
Ogni respiro, ogni lamento è
registrato, catalogato e numerato.
Ogni vivente del pianeta ha una
sua scheda di controllo, aggiornata quotidianamente, per la progressione
economica e di carriera.
Disoccupati, malpagati
ribellatevi al regime economico del profitto.
Ci fanno credere che la crisi che
produce disoccupati e malpagati, la crisi che rende insicuro ogni posto di
lavoro sia congiunturale e passeggera…palle! E’ tutto una menzogna. Il lavoro
così com’era sino ad ieri è definitivamente terminato.
Chi è senza lavoro rimarrà senza
lavoro e continuerà a cercare qualcosa che non è più. Ed è lui il colpevole. E’
lui l’incapace di cogliere le nuove opportunità offerte dall’economia
globalizzata.
La nuova parola d’ordine è
flessibilità, ossia riduzione degli stipendi.
Non è necessario essere
economista e professore al MIT per sapere che lo stipendio di un operaio può
essere diviso, avvicinandosi all’infinito, creando un’infinità di posti di
lavoro e un aumento della produzione e della ricchezza di chi ha investito.
Dopo tutto un’infinità d’operai
produce sempre più di uno solo. Peccato che il discorso valga soltanto per i
piccoli dipendenti e per i nullatenenti.
Quando mancano gli operai, perché
i cittadini rifiutano d’essere malpagati e non si riesce ancora ad obbligarli
per indigenza, si potrà sempre ricorrere al lavoro degli estra-comunitari.
Ogni qualvolta è possibile si
deve trasferire la produzione nei paesi dove la manodopera è a costo zero ed i
governanti dittatori garantiscono.
Educherò mia figlia a commettere
rapine.
Non iscrivetevi alle liste di
disoccupazione: sarete schedati, firmate la vostra condanna a morte.
Giovani, guardate in faccia la
realtà
Arrabbiatevi
Uccidete il mostro.
Ci parlano di tutto per non farci
vedere la realtà.
La nuova religione, Dio è il
Dollaro.
I sacerdoti: i banchieri, i
finanziatori
La loro teologia: l’economia.
Scienza e tecnica la loro
rivelazione.
Esercito e polizia, il controllo
delle idee, la menzogna, la loro santa inquisizione.
Il potere assoluto, il loro fine.
Pubblicità
Amore e posizioni dei divi da
ricopiare
Sport
Fortuna
Celebrazioni ed
auto-celebrazioni.
La vera difficoltà consiste nella
scelta: bionda o mora?
Dove siete uomini di legge? Dove
siete profeti?
In questa società, per bene che
ci vada, nulla, assolutamente nulla riguarda l’uomo.
Agli uomini che non hanno paura
né delle responsabilità né delle emozioni forti non rimane altro che rovesciare
il governo mondiale, eliminare il sistema monetario e distruggere i dirigenti
dello stesso.
Oggi è diventato tecnicamente
possibile produrre senza l’aiuto degli operai.
Il lavoro, giustificazione
dell’esistenza dell’operaio è inutile. Inutili quindi gli operai.
L’operaio è un aborto ambulante,
un uomo incompleto, tarato, limitato. L’essere operaio è una malattia congenita,
essere emotivamente nullo e pericoloso, pazzoide.
E’ un animale totalmente isolato,
incapace di qualsiasi relazione. Vuole solo mangiare.
La sua intelligenza non è che uno
strumento al servizio dei suoi impulsi e bisogni. Non conosce le passioni della
mente né la passione dell’arte allo stato puro.
Riesce a collegarsi soltanto alle
sue sensazioni fisiologiche di sopravvivenza animale.
Imprigionato in questo crepuscolo
non sa se essere scimmia o uomo, ma sta peggio delle scimmie perché sa d’essere
scimmia.
L’operaio era un uomo una volta,
deciso, idealista, potente. A furia di veder beffato i propri principi e
diritti, ha perso la fiducia nella possibilità di farcela e si è avviato verso
l’accettazione passiva dello status quo. Il mondo va bene così, anzi se ne
possono trarre piaceri sconvolgenti.
Benché non fosse che un corpo,
era inadatto a lavorare. Anche quando, raramente, raggiungeva l’efficienza
tecnica, rimaneva incapace di godersi lo stipendio, si vergognava. Per di più al
riceverlo non ne traeva godimento alcuno. Infine, essendo così ossessionato dal
suo affanno a cavarsela bene, a vincere un primato, a sorpassare i suoi
colleghi, che non s’accorgeva neppure d’essere merda.
Corroso dal senso di colpa, di
vergogna, d’angoscia, era sempre ossessionato dal vile denaro: era disposto ad
attraversare un mare di merda, a strisciare in mezzo al catarro ed al vomito se
era sicuro che sull’altra sponda l’aspettava qualche montagna d’oro. Era persino
capace di vendere propria figlia o un suo rene per averla, anche di farsi
masturbare da una vecchia sdentata malata di aids.
E’ ed era uno stronzo.
Bisogna tuttavia ammettere che
aveva in suo potere il settore delle relazioni pubbliche: era riuscito a
convincere milioni di ricchi che senza di loro non potevano esserlo. In altre
parole, i ricchi sono ricchi perché gli operai sono poveri.
Completamente egocentrico e
passivo, detestava questa passività e la proiettava sui ricchi.
Il suo affare prediletto era
lavorare. Dato che ogni volta doveva dimostrare il falso, si dannava in un
tentativo disperato e convulso per dimostrare d’essere meglio di un robot, che
senza di lui la produzione si fermava.
Essendo un robot incompleto,
l’operaio trascorreva tutta la vita a cercare e dimostrare di essere un robot.
Ecco perché era sempre alla ricerca dei mezzi elettronici e tentava di
fraternizzare: voleva fondersi con loro.
Ecco perché rivendicava come sue
tutte le caratteristiche del robot: forza ed indipendenza, affidabilità e
salute, basso costo e produzione.
Era razzista. Ogni operaio
sapeva, in segreto, di non essere che un pezzo di merda, che non presentava
interesse verso nessuno. Sommerso da quest’idea nutriva il suo egocentrismo
d’odio e disprezzo verso i più poveri di lui.
Per difendere il suo labile
sistema nervoso, sensibile ad ogni minimo mutamento di stipendio, tentava di
imporre un codice sociale, di suo gradimento, tramite il quale impedire ogni
sovvertimento.
Usava termini tipo “ difesa del
potere d’acquisto”, salvaguardia del posto di lavoro, incontri con il datore di
lavoro, avere dei rapporti di lavoro, scioperare.
L’operaio non era un giusto.
L’operaio aveva bisogno di tendere al denaro…pensate cosa avrebbe potuto fare
con miliardi di dollari. Per questo si vendeva.
L’effetto dei ricchi sugli operai
era di renderli dipendenti, passivi, insicuri, rispettosi delle autorità,
introversi, noiosi, insipidi e lagnosi, e profondamente disprezzabili.
L’operaio, sempre teso, impaurito
e a disagio, era privo di spirito analitico e d’obiettività, valutava il ricco
sulla base del timore e del rispetto.
Accettavano che il ricco fosse un
essere superiore e l’operaio un essere inferiore.
E’ stato l’aumento dello sviluppo
a causare l’aumento della stupidità ed il declino degli operai, dando loro il
diritto all’educazione a portarli all’estinzione.
I pochi operai ancora
sopravvissuti non hanno compreso nulla, e, a far loro compagnia, tutti i poveri
del pianeta.
Queste inutilità non riescono a
cooperare ad un progetto comune perché il loro unico progetto è o sopravvivere,
lavorare poco o non lavorare ed avere tutto.
Perciò non si può lasciare loro
il controllo della società: sarebbe il fallimento globale.
Sebbene aspirino ad essere
persone, gli operai ed i poveri, hanno paura di tutto ciò che gli scombina le
loro sicurezze. Temono di non essere capaci, di essere sgraditi alla dirigenza.
E’ quest’ultimo un sospetto che
li sconvolge.
Se gli altri sono perfetti,
mentre loro non lo sono, non possono più essere sicuri di essere persone.
La loro perfezione consisteva
appunto nell’essere identici agli altri. Solo per fare piacere al capo osavano
mostrarsi diverso. La loro funzione robotizzata era la loro vera identità.
Si consolavano pensando a quelli
che svolgevano funzioni peggiori, tipo i disoccupati e diventano marionette
piene di tic e d’angosce per paura d’essere rottamizzate.
Gli operai non hanno tuttora il
senso né del bene né del male, (che d’altro canto appartiene al Dio Denaro ed
alla sua Chiesa), non hanno coscienza morale (non essendo innata in loroi), non
hanno nessuna fiducia nel loro io; sono necessariamente competitivi, per natura,
inadatti ad agire liberamente: non farebbero nulla, tutto presi a adorare il dio
denaro.
Perciò hanno bisogno di un capo,
di un dirigente, di un padrone.
Desiderano profondamente che sia
Dio, il Denaro, a guidarli, ma non riescono ad accettare tutto questo, non si
accontentano. Vogliono possedere Dio, vogliono essere Dio.
Con un’esistenza priva di senso,
dal momento che non possiedono dio tutto diventa loro assurdo.
Come già sappiamo sono incapaci
di volere bene e non vivono che per avere. Di conseguenza il male, per loro, non
è altro che l’accattonaggio, il vecchio, il bambino, il malato, il povero e
tutto quanto non producono denaro, perché se diventasse la regola sarebbe la
rovina. Rovina della civiltà.
Il libero mercato procura
all’operaio una meta, rinforza l’assoggettamento degli altri e fornisce rituali
con i quali esorcizzare la sua vergogna ed il suo senso di colpa di essere un
operaio, un povero più ricco d’altri poveri. La più parte degli operai, nasconde
la sua vigliaccheria, la sua incapacità, la sua stupidità proiettandole in
quelli che stanno peggio di lui.
Gli opinionisti, i giornalisti,
sociologi, filosofi, religiosi, politici…riconoscono all’operaio il problema
della loro nullità. Così hanno inventato problemi d’identità, crisi d’esistenza,
modi d’essere ecc.
Il ricco conosce invece la sua
meta, la sua identità, la sua personalità, perché già gli appartengono e,
quandanche commettessero degli errori, nulla cambierebbe per loro.
Non ci sarà mai una rivoluzione
sociale, anche Cristo lo ha predetto: i poveri saranno con voi sino alla fine
del mondo.
Oltretutto gli inutili non
vogliono la rivolta: quello che sta in alto vuole continuare a restarci e quelli
che stanno in basso possiedono l’idea di diventare un giorno come quello che sta
in alto.
Alla fin fine ciò che fa degli
inutili, dei ribelli, è quando sono costretti dal progresso tecnologico o dalla
realizzazione della logica del dio denaro, quando si trovano di fronte alla
scelta: morire o morire. Ora ci siamo.
Ma se tutti gli inutili non
muovono il culo, si rischia l’ecatombe. Il denaro vuole divertirsi.
Quanto tempo ho dedicato alla tua immagine. Ti ho sognato, ti ho
aspettato.
Avevo desiderio di rubarti un bacio, ieri.
Oggi ti aspetto, timorosa….Quando si avvicina il giorno di un incontro
non ho mai la certezza che accada. Qualsiasi evento potrebbe intromettersi.
Noi potremmo essere gli eventi.
L’evoluzione dei sentimenti è piena d’attese ed i giorni che
intercorrono producono talora sproporzionate aspettative, lontane dalla
razionalità e dalla percezione, sconosciute. Forse solo inaspettate, forse
troppo viscerali.
Ma i temi ricorrenti sono sempre la curiosità,
talvolta imperiosa e prepotente, quasi incontenibile, la dolcezza che scioglie
il cuore, i nostri corpi vicini o lontani, i desideri piacevoli di baci
inaspettati. Le carezze per conoscerti.
Temi coinvolgenti, appassionanti, che ispirano voci sussurrate, che vien
voglia di custodire come tesori da non perdere o farsi rubare.
Temi che restano tra noi e solo per noi, di cui
tu ed io conosciamo gli aspetti più intimi ed i momenti più unici. Temi che non
so dove condurranno, temi forse indelebili per quest’inciso di storia di vita.
Temi sintetizzati in pochi attimi.
Mi affascina tuttora l’indeterminatezza, il
lasciare fluire sensazioni e sensi, poco consci delle conseguenze.
Un fuori pista accattivante, inebriante, la sfida al definito, al
costruito, a tutto ciò che si possa immaginare dai contorni nitidi.
E tu sei immerso in ogni pensiero, non so in quali temi ti riconosca.
Ma sai bene che la mia curiosità per quest’aspetto è relativa, va oltre.
La mia curiosità è legata alla sete di sapere e conoscere il tuo pensare, per
ciò che fai, ciò che vuoi, ciò che vorresti.
Per Dio uomo.
Accarezzerei sfiorando il tuo pensiero, astratto, di difficile
traduzione nel mio mondo dell’immaginario, eppure così piacevolmente
incantatore.
Chissà se riuscirò mai a penetrare questo muro di
sorprese, chissà se me lo permetterai mai.
Erano pensieri in libertà a round midnight, ritorno al mio lavoro. Ti bacio, ti
sfioro, ti aspetto.
Dal bisogno e dalla
specializzazione né deriva una stupidità che li rendono incapaci di vedere di là
dal loro naso, incapaci di decidere e di conoscere.
Ad ascoltarli sono di una logica
impressionante: mora o bionda, magra o grassa, mare o monti, piccolo o grande,
pelosa o non pelosa…
Ed i dirigenti ci giocano in
tutto questo: investono nell’ignoranza; sa che una popolazione operaia
illuminata ed intelligente sarebbe la loro rovina. Per questo non aspirano alla
compagnia dei deficienti.
La conversazione intellettuale
del ricco è tutto imperniata sul denaro. L’operaio, malleabile e passivo, lo
rispetta e lo teme e si lascia sommergere dal suo ragionamento.
Questo non gli viene difficile
perché la sua paura, il disagio dell’insicurezza che i dirigenti li hanno
inculcato banalizzano le sue percezioni e lo rendono incapace di capire che la
parola del capo non è altro che non verità.
L’operaio crede di appassionarsi
ad ascoltare le parole del capo che decantano le sue capacità e cade in estasi,
quando invece dovrebbe vomitare.
Non solo gli permette di parlare
ma si fa inculare dimenandosi piacevolmente così come gli hanno amorevolmente
insegnato.
Allenato sin dalla prima infanzia
ad essere carino, gentile e dignitoso nell’assecondare chi gli dà da mangiare,
accetta tutto e sorride, raggiungendo l’orgasmo.
Si tratta di una discussione
colta ed intellettuale, una discussione che tratta dei destini e della meta
della vita.
Mentre lui parla di prodotto
nazionale lordo, di mercato comune di globalizzazione all’operaio viene in mente
il globo del culo e lo offre raggiante per il bene dell’universo.
E’ così allenato a leccare che
continua a farlo anche dopo, chinandosi a baciare il suolo su cui ha camminato.
I dirigenti, da parte loro,
disprezzano tutti quelli che li rispettano e gli leccano il culo e le scarpe,
quelli che leccano leccano di continuo cercando di continuo l’approvazione e la
rassicurazione come femmine in calore alla ricerca del maschio.
Il dirigente non vuole
quest’amore, ma fa loro comodo, li usa e li sfrutta.
Privato l’umanità del dialogo,
dell’amicizia e dell’amore, i dirigenti offrono:
-Arte: arte del rifiuto e del
riciclaggio. Il progetto artistico lo conosce solo l’autorità.
Gli stipendiati, da parte loro,
non possedendo capacità critica, essendo loro stessi delle nullità, accettano
umilmente il giudizio, nel tentativo disperato di trovarci un piacere e un
valore al vuoto della loro nulla esistenza.
Incapaci di crearsi distrazioni
personali, incapaci d’essere artista e soggetto, accettano quello che gli è
offerto, mediante la moda e la pubblicità, per sfuggire alla noia, alla
disperazione e dare un valore al vivere.
-Sesso a pagamento. Sesso senza
relazione, sesso come consumo, per non perdere tempo.
Travolto dai ritmi può benissimo
dimenticare le pulsioni del sesso e soddisfare la sua voglia animale pagando e
masturbandosi davanti ad immagini porno.
Le puttane sono il simbolo reale
di questa società globalizzata: vendono una merce, che è il loro corpo, al
migliore offerente.
Inutili sono le crociate
pseudo-morali contro il sesso a pagamento, siamo tutti in vendita chi per poco,
chi per molto.
Il solo reale motivo per
toglierle dalla strada, dove offendono i nostri occhi innocenti, è il recupero
delle tasse.
Ci educano affermando che siamo
liberi di innamorarci di chicchessia, ci raccontano la bella favola di
cenerentola…
Ma davvero credete valga ancora
la pena di sposarci per amore? Che ci guadagniamo? Due cuori ed una capanna? I
romantici innamorati di Painet? Impariamo dai dirigenti. Loro non si sposano per
amore. Hanno inventato un contratto prematrimoniale per questo. Ciò che è mio,
ed è tutto mio, è mio; ciò che è tuo, in pratica niente, è tuo.
L’amore tra i salariati dura poco
come poco dura tra i dirigenti, ma le motivazioni sono diverse.
I dirigenti amano il bello ed il
giovane, il proibito, hanno tempo di oziare e di impegnarsi in attività
soddisfacenti. I salariati, vincolati dalla sopravvivenza, non hanno tempo,
impantanati nella merda nel tentativo di non sprofondarvi completamente.
L’amore non è altro che
un’ideologia come tante altre ormai fallita, anche per l’amore è caduto il muro
di Berlino. L’amore è un accessorio fuori moda da mostrare soltanto in qualche
occasione.
L’amore può fiorire solo tra
persone libere e gli operai non sono persone. Gli operai non possono e non
devono avere tempo per oziare, per
crescere culturalmente, per impegnarsi in attività soddisfacenti da condividere
con le persone che si stimano, che conducono all’amicizia e all’amore vero.
22,15 orario da PC
Non dovrei aprire questo foglio, ma restare
almeno un poco concentrata sul mio lavoro…, inutile: appena si accenna la
possibilità di dirti qualcosa non rinuncio.
E’ questo il punto: non rinunciare.
A volte giova l’aver rinunciato alla soddisfazione di un bisogno.
Oppure per tutta la vita continua a rodere il desiderio non espresso e
non realizzato, quasi una colpa alla rinuncia.
Eppure se la psicologia non giudica, la rinuncia corrisponde ad una
perdita.
Avrei dovuto rinunciare a te? E con te ad un insieme emotivo carico di
tensioni piacevoli?
Oggi forse è tardi per rivedere la rinuncia, ma
non abbastanza per non dimenticare il mio substrato. Oggi ho rinunciato
piuttosto alla rinuncia.
Oggi, anzi, si fa strada il desiderio imperioso,
la curiosità del domani, mentre fuggono i giorni, mentre aspetto un tuo cenno, o
studio il modo più rapido di raggiungerti incosciente dei pericoli.
I dirigenti invece sono sempre
eccitati e riescono a portare i dipendenti ad una tale lussuria da precipitarli
tra le loro braccia. Pochi si salvano. Amare il capo è una goduria immensa.
Più sono belli e bravi, gentile,
attraenti più sono assorbiti dalla dirigenza per farli partecipi all’armonia del
mercato globale.
Gli altri, i meno belli, le
nullità …quelli li lasciano ai froci d’intellettuali affinché li convincano a
starsene buoni e bravi, accontentandosi del piacere di essere presi per il culo.
-La droga, il carcere per gli
altri.
Droga e sesso, alcool ed azzardo
sono il rifugio dei poveri,
mezzi loro offerti per uscire dalla nullità.
Svegliatevi! E’ ora di finirla di
seguire le regole e le leggi impostoci dalla morale e dalle convenzioni.
La collera deve avanzare come una
marea di petrolio, sporca attraente ad inglobare tutto.
Sappiate il programma, punto per
punto, nei minimi particolari.
Preparatevi alle bastonate della
polizia, alle prigioni agli idranti che sparano merda ai gas soporiferi; ma non
abbiate paura, già siete nella merda, già siete addormentati come uomini, non
avete personalità, non avete avvenire, siete nullità che avete paura da perdere
ancora?
Uscite dalla fogna della vita ed
avanzate contro i globalizzatori ad impadronirvi della vita.
Abbandonate questo noioso tic tac
che scandisce la vita a qualche dollaro l’anno. Non abbiate paura di diventare
ricchi, smettete di inchinarvi a leccare, smettete di proteggerli.
I dirigenti lo sanno ed hanno
preparato nuove regole:
-Controllo e censura. Il
salariato reagisce con riflessi condizionati. E’ incapace di vivere nella
globalità. Quindi è necessario impedire la diffusione della verità. Tutte le
notizie e le idee che sconvolgono questa società sono da bruciare al rogo.
-Caccia alle streghe, ai ribelli.
Non c’è gioia più grande dell’aumento dei delatori e dei crumiri. Tutto
funziona.
-E’ necessario promuovere il
carattere traditore dei salariati prospettando loro un minimo aumento di
carriera e dando loro la nostra benevola approvazione.
-Favorire il sesso a scapito
d’ogni conoscenza.
-Favorire entro certi limiti il
loro odio verso i dirigenti così si avrà l’occasione di fare leggi antirivolta,
qualora non sia sufficiente la minaccia di disoccupazione o di morte.
-Favorire la nascita di almeno ed
un solo figlio. Gli stipendiati sarebbero così responsabilizzati che non
farebbero più nulla.
Gli stipendiati non conoscono il
concetto d’esistenza, né le sue cause né i suoi perché. Esso vive teso a
soddisfare i suoi istinti di sopravvivenza.
I dirigenti stanno preparando una
società d’individui felici e soddisfatti condizionandoli dalla nascita mediante
manipolazione genetica e dall’infanzia con uno specifico indottrinamento
riguardo al suo ruolo e nell’età più adulta mediante psicofarmaci della
felicità.
23,30 orario da PC
Ti ho dedicato attenzioni a singhiozzo, chiudendo
e riaprendo questo file. Non posso negare di desiderarti con un ansia di
sensualità pressante.
Rivedo i momenti che più mi hanno colpito l’immaginario dell’eros e
ritorno alle sensazioni in libertà dell’ultima notte.
I sospiri ed i luoghi sconosciuti dei nostri corpi… dobbiamo solo
scoprire quali e quanti pensieri potremmo formulare per riconoscere il piacere
dell’altro.
Amo cercare i tuoi luoghi più sensuali e sensibili al piacere, amo
scoprire le parti di te che “mi danno il fiato corto.”
Amo inventare i movimenti, sorprendendoti,
divertendoti.
Chissà se mi vedi ancora addosso quella maschera che trovavi di
difficile coincidenza con le mie espressioni.
La spontaneità legata all’istinto è, per parte mia, un bisogno.
L’espressione di piacere legata a gesti o fatti è data dalla ricerca e,
di là degli schemi abitudinari, dall’aver trovato una via senza falsi pudori.
Ma certi atti si possono solo descrivere agendo, le parole non sono
degne di spiegare ciò che comprende solo la dimensione dell’intimo.
A volte i sabati e le domeniche sono i giorni più
sofferti della settimana. Non so dove chiamarti, né dove vederti, non posso
cercarti, né incontrarti.
Tu scrivo non riuscendo ad immaginare le tue risposte.
Ti ricordo perché il tempo è così lontano.
Ti
ricorderò quando sarai lontano.
TERZA PARTE
L’eliminazione dei dirigenti è un
atto dovuto, legittimo e giusto. Cosa accadrà di qui a qualche tempo quando
anche questi semirobot di salariati saranno inutili ai fini di una produzione
completamente automatizzata?
Nonostante i continui lavaggi del
cervello cui gli stipendiati sono sottoposti ribolle la rabbia e loro lo sanno.
Sanno che devono ucciderli,
eliminarli per sopravvivere. Ma anche i dirigenti lo sanno già hanno potenziato
le forze d'ordine e controllo, già hanno iniziato ad eliminare le persone dal
valore zero, con la sterilizzazione di massa, con l’abbandonarli alle malattie
ed alla fame, creando guerre tra loro.
Sanno bene che la naturale
evoluzione dell’economia globale è la produzione di un solo prodotto per un solo
super-ricco.
E’ necessario dissociarsi dalla
globalizzazione, smettere di adattarsi a regole e leggi assurde.
Se la maggioranza dei salariati
si ribellasse, la globalizzazione avrebbe poche settimane di vita.
Se tutti i dipendenti lasciassero
semplicemente il loro lavoro, si rifiutassero di comprare e di avere a che fare
con i dirigenti l’economia sarebbe azzerata.
Sarebbe necessario possedere il
controllo dei mezzi di informazione e di educazione, impossibile.
Sarebbe necessario boicottare,
infettare i computer, interrompere la catena produttiva, spezzare le catene
finanziarie, avvelenare, terrorizzare.
Senza arrivare a tanto che è
troppo sarebbe sufficiente sottomettere il dirigente. Impedirgli di fare le
leggi. Il conflitto, la guerra e la morte non devono più stare tra i poveri, ma
spostarsi contro i dirigenti.
E’ necessario isolare i crumiri
ed i delatori che se ne stanno li bocca aperta a bersi la loro urina e a gustare
gli avanzi del loro intestino, felici delle coccole loro date dal presidente del
FMI BMI ONU USA.
E’ necessario ribellarsi
all’informazione ed alla manipolazione della verità.
Ancora tu nei miei pensieri...Grida l’emozione, ma la responsabilità
così pesante chiede.
Bello è stato guardarti, sul viso il sentimento ed il fiato corto di chi
sa che è tutto un attimo. Poi lo sguardo perso a cercarne le ragioni. Tragico
l’errore.
Contemplandoci soli, non avremmo mai perso l’innocenza.
La colpa è nel desiderio e nell’irrazionalità che lo sostiene.
Beato chi sogna, chi desidera e cerca. Beati
quegli attimi, e chi, ottuso alla ragione, l’insegue.
Beato chi, nell’incertezza, di pensiero solo si abbraccia.
Nell’attesa d’emozioni troviamo la forza per superarci
L’irrealizzazione è un piacere svanito, un sentimento di donna negatosi
nell’eccitazione mancata. Una coscienza sorpresa di madre e moglie turbata.
Corpo e morale non più preservati e assillante e vana la ricerca di
verità.
Questo è l’universo, e, noi, meteore impazzite, non avversari, arbitri
del male, ma solo consapevoli o liberi, indistinguibili nella miseria e nella
virtù.
A chi ha capito che solo il sogno è senza limiti, senza tempo, senza
dimensione.
Non voglio distruggere la mia famiglia. Amo i
miei figli. Ti dirò addio.
Ma i ribelli sono stanchi di
aspettare il risveglio della coscienza di milioni di coglioni. Perché mai
dovrebbero continuare a trascinarsi dietro questi leccaculo di nullità che hanno
timore di perdere quello che non hanno?
Bastano pochi ribelli per
boicottare con azioni mirate questo mondo globalizzato dal computer.
Intanto che rapine e distruzioni
andranno avanti aumenteranno il numero di chi prenderà coscienza, ma anche se
così non fosse che importa?
Il ribelle sa che non può
continuare a vivere ai margini del sistema. Cercare la salvezza nelle dottrine
della new age non è per lui una soluzione. Sa che sono inutili i picchettaggi,
inutili farsi prendere dalle forze di controllo e trascorrere i propri giorni
tra le tetre mura di una prigione, inutile morire sulla sedia elettrica.
E’ necessario agire nel buio
della notte oscura, da soli. Scegliere la preda, avvicinarsi e colpire.
Questo è ciò che io medito e che
eseguirò prima di morire.
- Sei una puttana! Chi è lui?
-Non avevi nessun diritto di aprire i miei file.
-Fa bene l’amore lui?
-Quello che chiedi non è più la verità E’ masochismo.
-Voglio sapere.
-Essere spulciati esaspera.
-Non finisce qui.
Si aprì la porta, Entrai. Sedetti
al mio posto di lavoro.
-Traduci: “ Il
mondo globalizzato è il mondo migliore dei mondi possibili perché creato dal
dollaro, unico garante della pace e del benessere universale. Extra global
economy nulla salus ( fuori dall’economia globalizzata non c’è salvezza). E’
questo un dogma valido per tutti i tempi e per tutte le condizioni. Senza il
dollaro, suo contenitore, non ci si salva. La globalizzazione è una struttura
vivente, una, indivisibile.
Un magnifico
compito è affidato ai dirigenti della storia del pianeta: Qualora una persona
non sia portatrice di guadagni e non sia un’entità consumistica, perché ormai
prosciugata, e non abbia un orizzonte mentale fisso e limitato, è da eliminare.
Divide et
impera: questo deve essere la regola principale del nostro gioco, e questo si
può attuare mediante la manipolazione dell'informazione e della verità. Quanto
più si tengono i dipendenti divisi, tanto meglio li si possono dominare. Il
criterio di scelta per promozioni e riconoscimenti, per l’avanzamento di
carriera e di status, i criteri per l’assunzione sono indisindacabilmente a
nostra discrezione. Dobbiamo accontentarci di persone mediocri e facilmente
manovrabili. A volte il criterio di scelta può essere corretto dall’uso
dell’oroscopo.
La condizione
necessaria per la realizzazione del dominio globale da parte delle ELITES è la
dissoluzione definitiva d’ogni legame di solidarietà, coscienza, capacità
critica e senso religioso. Solo allora, credenti in un fato e nel destino
immutabile, saranno veri schiavi, veri servitori e con lo status raggiunto,
otterranno la libertà, la giustizia, la redenzione e la risurrezione.
-Ora basta!
-Cosa dici?
-Basta! Ho
detto basta!
-Come osi
ribellarti?
-Sono un essere
umano in rivolta.
-Che cosa sei?
Un essere umano in rivolta?
-Un essere
umano che dice No. Ho ricevuto ordini per tutta la mia vita. Ora basta, basta...
è arrivato il momento del rifiuto. Ho taciuto quando ero abbandonata nella
disperazione della mia ingiusta e accettata, inevitabilmente, mia condizione. Ho
taciuto come tacciono milioni di persone disperate.
-Tu sei solo
una donna, invidiosa di noi che siamo ricchi e potenti.
-Palle! Io sono
soddisfatta di essere una donna e non invidio né la vostra ricchezza né la
vostra presunta potenza. Io sono certa che non valgo un dollaro e che voi non
valete i miliardi di dollari che avete.
-Quanto credi
di valere? Tu sei buona solo per andarci a letto e devi superare parecchia
concorrenza. Quanto chiedi? Quanto vali? Cosa vuoi?
-Bastardo! Sei
uno sfottuto bastardo… non desidero più nulla. In questi ultimi giorni ho
ricevuti ordini rivoltanti senza reagire. Ho portato pazienza, ma ora so che
tutto è inutile. Inutile parlare.
Estrassi la
pistola e la rivolsi contro di lui.
-Che intenzioni
hai?
-Ucciderti.
-No, non farlo.
-Qualcuno deve
morire.
-Chi deve
morire?
-Lo sai.
V’incontrate di pomeriggio, all’ora del te, davanti a bottiglie d’acqua
rigorosamente in vetro; dissertate di strategie d’alta politica e di riforme
economiche. Pensatoio di destra, pensatoio di sinistra, club esclusivo di
giovani rampolli, manager alle prese con algoritmi matematici di modelli di
sviluppo nei quali l’accidente da non considerare sono le persone. Ora voglio
ucciderti per impedire l’olocausto troppo lontano, non importa se morirò anch’io
con te.
-Ti ripeto…cosa
vuoi?
-Tutto e subito
perché domani sarò troppo vecchia, e già lo sono. Mi guardo le spalle, gli anni
vissuti sono più lunghi di quelli che avrò né saranno mai più uguali. Addio
sogni di gioventù, addio ideali. Tutto e subito, perché morirò in tempo breve.
-Di tu la cifra
che vuoi.
-Voglio
soltanto la nostra morte.
-Aspetta!
Non aspettai,
sparai in silenzio, uno due, tre colpi. Scivolato a terra iniziò a strisciare
verso di me, immerso nel suo sangue.
-Pietà.
Sparai un’altra
volta. Quindi mi chinai imperturbabile a tastargli il polso per accertarmi della
sua morte.
Entrò correndo
il direttore del FMI, si arrestò allibito.
-Che stai
facendo? Sei pazza?
Scaricai la
pistola a ricacciargli in gola l’affermazione.
-Perché?
Guardai i loro
corpi esamini di responsabili della globalizzazione. Incredibile come il loro
sangue sia uguale al mio.
“Perdonami Dio
vero, pregai, ma era necessario…non poteva continuare così. Mi sono ribellata a
te, ti ho rifiutato, mi sono rivoltata contro di te, ma non poteva continuare
così. Il mio sacrificio era necessario”.
Uscii
lentamente.
Dopo aver
vagato un poco per le vie della città, mi presentai al posto di polizia.
Una marea di
giornalisti, fotografi e curiosi mi stavano aspettando.
-Eccola
finalmente!
Le mani dietro
la schiena, ammanettata. La polizia non fa nulla per trattenere la stampa. Mi
metto in posa e sorrido.
-Perché l’hai
fatto?
-Non dico
nulla.
-Si sostiene
che sei una nemica dichiarata dei potenti, divorata da un disgusto smisurato.
Circa un anno fa hai messo un annuncio in Internet, per lanciare
un’organizzazione chiamata “ Manifesto per una nuova rivolta operaia o per la
sua eliminazione in massa”. Non era uno scherzo? E’ per quello che hai ucciso?
-Non mi è mai
capitato di sparare a qualcuno prima d’ora…l’ho fatto per delle buone ragioni.
“L’avvenente marxista, lessi sul
New Times, incriminata ieri dell’assassinio dei dirigenti della Banca Mondiale e
dei Promotori della Globalizzazione, si è trovata in un ruolo eroico nel nuovo
movimento umano operaio di rivolta, a sua volta rinvigorito per l’accaduto.
Alcuni rappresentanti del
movimento hanno sostenuto che le sue azioni hanno motivazioni politiche.”
Altri riferiscono che la marxista
è stata ritenuta inferma di mente. Dopo essere stata indiziata di reato
d’omicidio e strage, la marxista è stata sottoposta ad una perizia psichiatrica
presso gli scienziati medici della FAO.
Sempre voci di corridoio
affermano che è stata affidata dall’ONU al commissariato di Igiene Mentale.
L’omicida ha presentato ricorso
in appello, non accetta di essere dichiarato pazza.
“Credo di saper
rispondere perfettamente delle mie azioni”.
Ha dichiarato, assumendo la mia
propria difesa, alla muta presenza dei difensori d’ufficio.
“Questi sono
stati il mio primo ed ultimo reato. Non c’è giustizia. Chi sono io? Nessuno,
niente, nulla.”
COMPITO DEI MAX-MEDIA
Tra test e perizie psichiatriche
è sparito dalla circolazione. Nessuna sa.
Un testimone amico afferma abbia
detto:
“Cesare è
morto, ora anche la storia è finita”.
Sembra abbia affermato:
“Continuerà il
terrorismo finché un numero sufficiente d’uomini operai potrà raggiungere lo
scopo di giustizia senza l’uso della violenza. Globalizzare...va bene, ma per
chi? Per andare dove? Quale logica, quale filosofia la sostiene? A me non appare
altro che un consolidamento dello status quo di sfruttamento…quando mai il
Bangadesch potrà competere con gli USA?
Quando mai un
inutile bambino potrà competere con un’assicurazione?”
Nel movimento sindacale
l’accaduto ha avuto un effetto esplosivo. Ne ha causato la rottura: da una parte
il sindacato più folto e rappresentativo, dalla linea morbida tendente ad un
riformismo funzionale e sempre rispettabile che sconfessa questo caso
d’ideologia deviante; dall’altra una minoranza gli ha offerto una solidarietà
combattiva. Durante il processo, un piccolo gruppo costituitosi sulla base del
programma sociale abbozzato nel nuovo manifesto, depurandolo però dalla rabbia,
dall’ironia e dalla poesia, le offrì un sostegno morale.
-Chi è Cesare?
Le ha hanno chiesto. I dirigenti morti non avevano quel nome. E’ forse il tuo
amante?
Sdegnata ha risposto:
-Non avete
capito nulla.
Quindi si è rinchiusa in un
silenzio ostinato, folle dal quale era emerso col fragore della pistola, un
silenzio tragico ed inutile, il silenzio delle vittime.
Il silenzio che denota l’assenza
storica dell’uomo persona sociale.
Il silenzio condanna perché
rifiuta l’illusione d’espressione concessa alla merce umana, al disoccupato di
merda racchiuso nei ghetti; tutti a godersi sesso scadente, prodotti scadenti.
Odia le classi più di quanto ami
l’uomo, riporta un testimone.
Gli stessi giornali lo hanno
definito “la donna che odia le classi”. Nel suo manifesto afferma: “affrontare
la realtà significa assumere odio e violenza.
La violenza istituzionale,
continua, è fatta d’odio indiscriminato verso la vita d’essere umani inutili che
neppure più il gioco, la fortuna, il sesso riescono a tenere a freno; mentre la
violenza operaia-umana è una risposta necessaria alla violenza del sistema. E’
una vendetta che viene da lontano e mentre la violenza del potere raggiunge
l’orgasmo nel suo dispiegarsi, la violenza operaia è sacrificio della vittima,
suicida pietrificato immolato alla giustizia ed alla vita.
INFORMAZIONE DI DESTRA E DI SINISTRA
L’olocausto era necessario perché
la merce uomo è portatore di desideri e progetti sconvolgenti.
Dato che l’uomo è sempre stato
criminalizzato, appena esce dagli schemi, dal suo ruolo, dalla sua classe, si
mette contro la legge. E questo mettersi contro la legge è una vertigine di
scelta di vita prima di precipitare nell’autodistruzione e nell’annichilimento.
Nel manifesto è denunciato
l’ordine politico e linguistico legislativo che risulta dalla prevaricazione di
status e classe per diritto di nascita o di furto.
Orrore economico Una strana
dittatura.
In fondo questa donna ha avuto il
gran torto di prendere con serietà ciò che è diffuso clandestinamente da
qualcuno e cioè la cultura del nulla.
Rubare od uccidere è la stessa
cosa che scrivere sui muri. E’ necessario un controllo più stretto e capillare.
E’ stata inflessibile,
determinata, fredda cinica.
Un assassinio commesso per noia
di una vita che le aveva dato tutto. Forse vendetta.
Spulciando i giornali alla
ricerca di sue notizie…
Secondo voi gli animali ci
possono capire? Soffrono? Telefonate. Solo perché non si possono difendere.
Sequestrata da quindici giorni.
Liberata. I suoi rapitori erano pronti a tutto, anche ad ucciderla. Il ritorno a
casa.
-I miei seni non sono siliconati,
provare per credere. Naufragio di clandestini.
Morto.
I familiari ringraziano.
Troppo rumore. I camionisti…
La nazionale si allena.
www://free-sex contact.un/ Free contact real women, men end baby.
-Sono insicura e sola, non esistono più gli uomini di una volta.
Risponde il pene
preoccupato:
-Sono la parte anatomica, spirituale più amata; sono la medicina più usata.
Non importa che a Genova
sia stato estratto il numero vincente.
Vincita miliardiaria in
USA.
A Parigi un disoccupato
ha trovato lavoro per qualche ora.
Lamenta la vagina
mugugnando:
-Non tapparci la bocca.
Importazione di
infermieri in Italia
Il potere, preso a sé
stante, è innocente; associato al’interesse si inquina.
La pietà umana ci impone di sospendere il
giudizio per questa povera donna, segnata per sempre dal pesante fardello per
l’orribile gesto.
-Nulla.
-Nulla?!
-Nulla.
-Allora avete capito tutto: l’informazione è stata
perfetta.
“Come ogni anno siamo qui
riuniti, capi di governo delle sette
nazioni più ricche del pianeta più la Russia, che ricca non è, causa l’enorme
potere militare in suo possesso, per discutere dei problemi che attanagliano la
società globale.
Siamo costretti ad essere
rinchiusi rinchiusi dentro questo splendido palazzo, protetti da miliziani, a
causa di alcuni gruppi sfuggiti al nostro controllo.
La città è stata blindata
ed isolata. Sarebbe dovuto essere festa: stiamo lavorando per voi…stiamo
cercando di tradurre in accordi e leggi le indicazioni del pensiero matematico
economico finanziario per la globalizzazione del pianeta.
Invece alcuni gruppi di
facinorosi stanno solo cercando l’incidente ed aspettano l’istante di
disattenzione per penetrare nella città.
Da notare che già hanno
avuto il loro martire… non hanno ragione alcuna per protestare, le loro istanze
riguardo il condono dei debiti dei paesi poveri, il problema dei cibi
trans-genici, l’AIDS, l’inquinamento del pianeta…sono già inscritti nelle agende
di discussione.
Alcuni giorni fa abbiamo
ascoltato le proposte dei premi Nobel per la pace degli ultimi anni…stiamo
discutendo tra noi sul come tradurli in leggi planetarie.
L’AIDS è un problema che
sentiamo sulla nostra pelle, ci sta privando di intere generazioni di manodopera
a basso costo ed incide sullo stato dell’economia globale in percentuali che di
anno in anno stanno aumentando. Lo stesso problema dell’inquinamento può essere
inteso come fonte di nuove tecnologie e di guadagni…non siamo molto distanti
dalle vostre posizioni…ma sia chiaro a tutti che non accettiamo contestazioni
violente.”
Se
non hanno commesso un errore di interpretazione è disinformazione o forse, visto
che il 99% dei mezzi di informazione sono proprietari i globalizzatori stessi,
no.
La
nascita di un governo mondiale dell’economia non porterà di certo alla soluzione
del problema che ha generato.
Il governo dell'economia, esigenza del liberismo
stesso, non può essere partorito dallo stesso liberismo, perché sarebbe, dopo
l’incesto favorito dalle tecniche di manipolazione genetica, la nascita di un
mostro.
Questa pittoresca, anche se a volte violenta, manifestazione di piazza è
portatrice di valori che ancora non conosce. E, esperienza insegna, che senza
queste pressioni i governi non adotteranno mai provvedimentiin tal senso.
L’uomo non è un prodotto economico-finanziario e non vuole essere giudicato, non
vuole essere ammesso alla vita storica in base al rapporto costo beneficio.
Le
teorie economiche dei “Chicago Boys” e del loro profeta, premio Nobel per
l’economia Milton Friedman, vanno rivedute e corrette.
Tradotte in sistema filosofico, nononostante il loro rifiuto, si svelano per
quello che sono.
Per
questo, pian piano, con l’accrescersi della conoscenza della verità
dell’ingiustizia giustificata da pseudo-democrazie, aumenterà la protesta e
s’avvicinerà il giorno che, di nuovo, la storia sarà costretta a bagnarsi nel
sangue della rivolta.
-Chi sei tu che osi fare queste affermazioni?
-Chi sono io? Un uomo. Soltanto un uomo.
-Allora taci! Vai a divertire i tuoi figli negli IPER-SUPER-MERCATI che vi
abbiamo donato.
-Una domanda…
-Ti
ascoltiamo.
-Chi siete?
-Il
grande fratello.
In sintesi: oggi viviamo
nella forma più pura e decadente della “città dell’uomo”. Fogli di Caino è un
grido per uscirne, non con la politica ordinaria, ma con una rivoluzione
metafisica: riconoscere nuovamente Dio trascendente o perire nell’assurdo.
Passaggi chiave dal
pensiero: i più duri, belli e taglienti della filosofia di Adriano. Ho
selezionato i brani più potenti e profetici dai testi fondamentali (“Principio
di trascendenza ed immanenza” e “Filosofia ). Li riporto testualmente e li
commento brevemente, lasciando che la loro forza esploda da sola.
Sulla negazione della creazione dal nulla (il
cuore dell’immanentismo)
«Quando la sostanza divina incorpora la sostanza
materiale e viceversa non si può più parlare di trascendenza e d’immanenza. […]
Questo è quanto accade nell’idealismo assoluto, nel materialismo assoluto,
animismo, essoterismo, new age ed in tutte quelle filosofie, pensieri e
religioni che non ammettono una creazione dal nulla.» Commento: Qui Adriano colpisce al cuore: senza creazione dal nulla
non c’è più distinzione ontologica, quindi non c’è più senso, non c’è più Dio,
non c’è più uomo. Tutto diventa brodo mitico-irrazionale. È la condanna radicale
di ogni filosofia moderna: sono tutte variazioni dello stesso panteismo
demoniaco.
La riduzione dell’assoluto a irrazionale
«Quando la realtà è dio
non ha più senso parlare di trascendenza e immanenza. Si deve parlare di in
conoscibile, irrazionale, mito, brodo primordiale essoterismo…»
Commento: Frase bellissima e spietata.
L’immanentismo non produce solo errore logico: produce regressione mitologica.
Oggi infatti siamo tornati ai culti della Terra, dell’Energia, del Caos
creativo: è la nuova barbarie travestita da progresso.
Hegel smascherato (il passaggio più brutale sulla
dialettica)
«La dialettica stessa concretizzandosi congiunge
l’oggetto con le leggi della conoscenza e trasforma il soggetto in un Dio
ontologico in divenire perfezione assoluta storica, ideale…. (Ma non crea nulla,
ricrea l’esistente) incorrendo nell’assurdo.»
Commento: Capolavoro di lucidità. Hegel prometteva il paradiso
storico e ha partorito i totalitarismi del Novecento. Adriano lo inchioda: il
suo Dio non crea, ricicla spazzatura eterna. È il demiurgo gnostico, non il Dio
biblico.
Il soggetto relativo che si fa assoluto
«In questo processo si
dimentica tuttavia che anche il soggetto fa parte della stessa realtà, è quindi
un soggetto relativo che si pone come assoluto non avendone i requisiti.»
Commento: Questa è la diagnosi della follia moderna: l’uomo che
pretende di essere Dio pur essendo polvere temporale. È la radice di ogni
ideologia gender, transumanista, climatica: l’io finito che legifera
sull’essere. Mostruoso e comico insieme.
Kant distrutto in una riga
«Alla critica della
ragione di Kant manca quella parte che riguarda il modo di conoscere l’assoluto
e che deriva proprio dal concetto di assoluto stesso: l’io Dio, ontologico, non
dialettico. Il colui che è, senza tempo, senza spazio, non in divenire, non
dialettico...»
Commento:
Kant è il padre del nichilismo contemporaneo:
ha chiuso Dio nel cassetto dell’inconoscibile. Adriano gli risponde: l’assoluto
si conosce proprio perché è assoluto. Il “Colui che è” è la luce che illumina se
stessa. Tutto il resto è cecità volontaria.
La contraddizione non può appartenere
all’assoluto
«Quello che si rivela come contraddizione non può
essere parte della logica assoluta e come tale deve esserne escluso.»
Commento: Principio di identità armato fino ai denti. È il ritorno ad
Parmenide contro tutta la sofistica successiva. Oggi che ci vogliono far credere
che un uomo è una donna, questa frase è rivoluzionaria.
Cartesio e l’io umano assolutizzato
«Cartesio commette un
errore assolutizzando l’io pensante, facendolo quasi un “assoluto ontologico”
che compete con Dio. […] L’io del cogito, invece, è relativo: esiste nel tempo,
cambia e dipende da Dio come causa prima. Assolutizzare l’io umano porta a una
contraddizione, perché viola l’unicità dell’assoluto – non possono esistere due
infiniti ontologici senza che si limitino a vicenda.»
Commento: Ecco il peccato originale della modernità: l’io cartesiano
che si fa Dio. Da lì discende tutto l’individualismo liberale, il soggettivismo,
il “la mia verità”. Adriano lo brucia con il fuoco della logica assoluta.
L’infinito unico (la frase più metafisicamente
bella)
«Nella logica assoluta, l’infinito
corrisponde al principio di identità: “Io sono colui che è”. Non può esserci più
di un infinito reale, perché due infiniti ontologici si annullerebbero a
vicenda.»
Commento: Questa è pura
bellezza ontologica. È il motivo per cui il politicamente corretto, il
multiculturalismo religioso, il “tutte le verità sono uguali” sono non solo
falsi, ma logicamente impossibili. Esiste un solo Infinito. Tutto il resto è
creatura.
Questi passaggi non sono
semplici critiche filosofiche: sono armi da guerra spirituale. Chi li comprende
davvero non può più accettare la città dell’uomo così com’è. Deve ribellarsi o
perire.
TEOLOGIA
La Comunione per
i Risposati in "I Figli di Caino".
Nel romanzo "I Figli di
Caino", il tema della comunione (Eucaristia) per i risposati (divorziati e
risposati, in stato di adulterio secondo la dottrina cattolica tradizionale) è
trattato in modo provocatorio e critico, principalmente attraverso la figura di
Lilith.
Adriano usa questo
elemento per esplorare il conflitto tra fede personale/mistica e rigore
istituzionale della Chiesa, in un contesto nichilista e apocalittico dove la
"morte di Dio" rende i sacramenti illusori o negati.
Contesto
Dottrinale nel Romanzo.
La Chiesa cattolica
tradizionale (pre-Amoris Laetitia) nega la comunione ai divorziati risposati,
considerandoli in stato di adulterio continuo (cfr. Familiaris Consortio di
Giovanni Paolo II). Il romanzo riprende questa posizione per criticarla come
divisione del "Corpo di Cristo" e negazione dell'Incarnazione.
Scene Principali:
Prologo – Lilith nel
Monastero. Lilith, divorziata e risposata, si rifugia in un monastero cattolico
dopo aver rifiutato la mercificazione del corpo.
Partecipa quotidianamente alla messa e descrive
l'Eucaristia come trasformazione del pane e del vino in carne e sangue di
Cristo, fonte di estasi mistico-erotica
("Mi godo delle estasi orgasmiche con Dio...
Tutto l'universo è in me").
Durante la confessione, il prete le nega l'assoluzione
e la comunione perché è risposata:
"Il prete mi nega il
perdono confessionale essendo io una risposata. Dice che sono blasfema, che
scopo con Dio ed è uno scandalo. Dice che la Chiesa nega la comunione ai
divorziati risposati: la vede come contraddizione al battesimo (che rende figli
di Dio) e all'eucaristia (nutrimento di Cristo per tutti i battezzati)."
Lilith controbatte
teologicamente: impedire la comunione "divide" il Corpo di Cristo e nega
l'Incarnazione. Nonostante il divieto, si comunica "tutte le mattine",
sentendosi unita eternamente a Dio. Questo porta a scandalo (decapitazione di
una statua della Vergine, arresto del prete), e Lilith fugge.
Capitolo Settimo (Notte di Natale).
Lilith, ormai adultera e
in fuga dalla città apocalittica, è nuda a letto con Don Jesus rappresentante di
Cristo sulla terra (prete nichilista). Gli chiede esplicitamente la comunione
nonostante il suo stato:
"Potresti darmi la
comunione, anche se sono adultera. So che le portavi sempre con te."
Afferma la sua fede:
"Io penso che esista e che il battesimo e l'eucaristia ci unisca
all'incarnazione rendendoci divini."
Don Jesus non risponde
(sorride e se ne va), lasciando il tema sospeso. Lilith, sola, considera il
suicidio ma lo rifiuta, simboleggiando la persistenza di una fede fragile.
Significato Tematico
Critica alla Chiesa → Il
divieto di comunione per i risposati è visto come rigido e divisivo, contrario
all'amore misericordioso di Dio. Lilith rappresenta la fede "dal basso":
un'unione mistica diretta con Cristo che supera le regole istituzionali.
Nichilismo e Fallimento →
Nonostante la richiesta, non c'è comunione reale. La scena sottolinea il
collasso della fede: i sacramenti sono negati o illusori in una "città di Caino"
corrotta.
Lilith come Figura
Tragica → Come risposata/adultera, incarna il paradosso: cerca salvezza
nell'Eucaristia ma è esclusa, trovando solo estasi privata (non sacramentale).
In sintesi, "I Figli di
Caino" non offre una soluzione teologica, ma usa il tema per criticare sia la
rigidità ecclesiale sia la vanità umana: la comunione rimane un desiderio
irrealizzato, eco di un Dio assente o morto.
I figli di caino: i
personaggi o non hanno figli perché moriranno o come Lilith lo vuole da dio
perché non morirà.
I Figli di Caino: I
Personaggi e la Questione della Progenie.
Nel romanzo il tema della
procreazione e della discendenza è profondamente legato al nichilismo
apocalittico e alla "morte di Dio". I personaggi principali non hanno figli (o
non ne hanno di vivi e significativi) per due motivi fondamentali, che
riflettono il cuore tragico dell’opera:
La sterilità
esistenziale e la fine imminente.
La civiltà dei "figli di Caino" è condannata alla
morte collettiva (apocalisse nucleare, gas nervino, crollo sociale). In questo
mondo senza futuro, generare figli significherebbe condannarli a una sofferenza
inutile. La procreazione è vista come vanità suprema: dare vita a creature
destinate a morire presto, senza salvezza né redenzione.
Il protagonista e Eva: il
loro amore coniugale è sterile o vuoto. Non hanno figli biologici; adottano
Emanuele (il bambino abbandonato), ma lui svanisce nell’apocalisse senza
lasciare eredità.
Maria: la fusione
mistico-erotica con il protagonista è temporanea e fallimentare (risata che
rompe l’estasi). Non genera nulla di duraturo.
Don Jesus e Lilith: hanno
un figlio biologico, Emanuele, ma è un “falso Messia” nato nella corruzione,
battezzato in una notte di Natale nichilista. Emanuele non sopravvive e non
perpetua nulla.
In sintesi: i personaggi
non hanno figli (o li perdono) perché il mondo sta morendo. Generare sarebbe un
atto di crudeltà o di illusione. La sterilità è la logica conclusione di una
civiltà che ha ucciso Dio e quindi il senso della vita.
Lilith: il
desiderio di un figlio eterno da Dio.
Lilith è l’unica che desidera
profondamente un figlio, ma non un figlio umano destinato alla morte. Nel
Prologo, esprime un desiderio di procreazione divina, eterna e immortale:
Durante le sue estasi
mistiche con Cristo, vede l’unione con Dio come maternità cosmica: “Tutto
l’universo è in me, grazie a Dio”.
Rifiuta la procreazione
terrena (sessualità mercificata o con uomini), ma aspira a generare qualcosa di
divino, immortale, che non muoia.
Il suo unico figlio
umano, Emanuele (con Don Jesus), è un fallimento: nasce in un mondo corrotto,
viene abbandonato e scompare.
Lilith vuole un figlio da
Dio perché non morirà – un figlio spirituale, frutto dell’estasi
mistico-erotica, eterno come l’Incarnazione. Ma anche questo desiderio è vano:
il romanzo la mostra sconfitta, ridotta a vittima nichilista, senza redenzione
né progenie divina.
Conclusione:
La maggior parte dei
personaggi non ha figli perché moriranno tutti (o il mondo muore con loro): la
procreazione è inutile in un’apocalisse senza Dio.
Lilith fa eccezione: lei
lo vuole, ma lo vuole da Dio, eterno e immortale, perché solo un figlio divino
non morirebbe. Tuttavia, anche questo desiderio è frustrato: il suo unico figlio
umano è effimero, e l’estasi mistica rimane un ricordo isolato, schiacciato
dalla “città di Caino”.
In "I Figli di Caino", la
mancanza di discendenza non è solo biologica: è metafisica. I personaggi non
generano perché non c’è futuro, e l’unico futuro possibile (il divino) è negato
o illusorio. Lilith è l’unica a sognare un’alternativa, ma il romanzo la
condanna alla stessa sterilità degli altri.
Eucarestia e resurrezione
in anima e corpo.
L'Eucaristia e la
Risurrezione in Anima e Corpo.
L'Eucaristia (o
comunione) e la risurrezione in anima e corpo sono temi centrali, ma trattati in
modo tragico e nichilista. Non vengono presentati come verità dogmatiche
salvifiche, ma come illusioni o desideri frustrati in un mondo apocalittico dove
Dio è morto e la carne è corrotta. Il romanzo critica la fede cristiana
tradizionale, mostrando come i sacramenti siano negati o svuotati di
significato.
1. L'Eucaristia come
Fusione con l'Incarnazione.
Lilith è la portatrice
principale di questa idea. Nel Prologo, descrive l'Eucaristia come
trasformazione reale del pane e del vino in carne e sangue di Cristo, che la
rende "divina" e la unisce all'Incarnazione:
"Si vive per un Dio che
si materializza nella trasformazione del pane e del vino in carne e sangue. Mi
godo delle estasi orgasmiche con Dio... Tutto l’universo è in me, grazie a Dio,
con Dio."
Per lei, l'Eucaristia è
unione mistico-erotica con Cristo, che trasforma il corpo e l'anima in qualcosa
di eterno.
Nel Capitolo settimo
(notte di Natale), Lilith, adultera e disperata, chiede la comunione a Don Jesus:
"Potresti darmi la
comunione, anche se sono adultera.""Io penso che esista [Dio] e che il battesimo
e l’eucaristia ci unisca all’incarnazione rendendoci divini."
Don Jesus tace,
simboleggiando la negazione del sacramento in un mondo nichilista.
2. La
Risurrezione in Anima e Corpo.
Il romanzo non parla
esplicitamente di risurrezione (nemmeno di quella di Cristo). Il protagonista lo
ammette apertamente nel finale meta-narrativo:
"Non ho parlato della
risurrezione di Cristo."
Questo silenzio è
programmatico: il romanzo rifiuta la speranza cristiana della risurrezione della
carne.
I corpi sono cadaveri
viventi: Lilith è "consumata" dalla chirurgia e dal vuoto; il protagonista si
sente "una bestia"; la città è piena di morti e macerie.
Emanuele (il bambino,
"Dio con noi") è un falso Messia: nato la notte di Natale, ma abbandonato e
scomparso senza risurrezione.
La fine è apocalisse
senza redenzione: esplosione nucleare, gas nervino, collasso totale. Non c’è
risurrezione né in anima né in corpo: solo morte e nulla.
3. Il Paradosso
Teologico
L'Eucaristia dovrebbe
anticipare la risurrezione (nutrimento del corpo immortale, unione con Cristo
risorto).
Ma nel romanzo:
L'Eucaristia è negata ai
"peccatori" (risposati come Lilith).
Quando è desiderata,
resta privata o illusoria (estasi di Lilith).
Non porta alla
risurrezione: i personaggi muoiono o svaniscono senza salvezza.
Adriano usa questi temi
per criticare:
La rigidità ecclesiale
(divieto di comunione).
La vanità umana: credere
in un Dio incarnato e risorto è impossibile in una civiltà corrotta che ha
ucciso la trascendenza.
In sintesi: l'Eucaristia
è un desiderio disperato di unione divina (soprattutto in Lilith), ma la
risurrezione in anima e corpo è assente e negata. Il romanzo è un lamento
nichilista: senza Dio vivo, non c’è salvezza né per l’anima né per il corpo.
Paradosso
Teologico.
Il romanzo è
profondamente teologico, ma in chiave nichilista e provocatoria. Il paradosso
teologico centrale non è una contraddizione casuale, ma il motore narrativo e
filosofico dell’opera: Dio si è incarnato per unire l’umano al divino, rendendo
possibile l’eternità e la salvezza (attraverso battesimo ed Eucaristia), ma
proprio questa unione è negata o resa illusoria in un mondo che ha ucciso Dio.
Il romanzo esplora questo paradosso su più livelli, intrecciando dottrina
cattolica, filosofia hegeliana e critica sociale.
1. Il Paradosso
Fondamentale: L’Incarnazione che
Divide Invece di Unire. L’Incarnazione è il cuore della fede cristiana: Dio si
fa carne per redimere l’umanità, unendo trascendente e immanente. Ma nel
romanzo, questa unione è fallimentare:
Lilith nel Prologo vede
l’Eucaristia come "re-incarnazione continua" e unione mistico-erotica con
Cristo:
"Mangiare il Corpo di
Cristo è unione più profonda dell’eros umano [...] Tutto l’universo è in me,
grazie a Cristo, con Dio."
Eppure, la Chiesa la nega
perché è risposata (adultera) a meno che uno dei due sposi sia morto o il
matrimonio annullato e nonostante termini con la morte: non esistono sposati
nella città di Dio. Un fatto storico immanente impedisce il trascendente eterno.
"Il prete mi nega il
perdono confessionale essendo io una risposata [...] Impedire la comunione
significa ‘dividere’ il Corpo di Cristo e negare l’Incarnazione."
Paradosso: L’Incarnazione dovrebbe rendere tutti divini
(attraverso i sacramenti), ma il rigore ecclesiale divide il Corpo di Cristo,
escludendo i peccatori. La misericordia divina (unione diretta, estatica) è
negata dalla Chiesa, che diventa complice della morte di Dio.
2. La
Risurrezione Negata: "Non Ho
Parlato della Risurrezione di Cristo". Il protagonista lo ammette esplicitamente
nel finale meta-narrativo:
"Non ho parlato della
risurrezione di Cristo [...] Hai negato loro una reale eterna immortalità."
Emanuele (il bambino "Dio
con noi") nasce la notte di Natale ma svanisce senza redenzione.
I personaggi muoiono o si
dissolvono senza risurrezione della carne.
La risurrezione è
logicamente impossibile in un mondo dialettico (hegeliano): l’eternità assoluta
non può coesistere con l’infinito relativo della storia umana.
Paradosso: Cristo è risorto per vincere la morte, ma il romanzo
lo ignora o lo rifiuta. La risurrezione è un dono negato ai "figli di Caino",
che costruiscono civiltà materiale uccidendo la trascendenza (Abele).
3. Morte di Dio
come Vittoria Umana e Silenzio Assoluto.
Don Jesus proclama: "Dio
è morto. Avete vinto."
Non è Nietzsche: Dio non
muore per debolezza, ma perché l’uomo lo ha amato e odiato troppo (amore come
fusione fallita, odio come annientamento).
Il silenzio di Dio è la
risposta: nessuna rivelazione, nessuna risurrezione.
Paradosso: La vittoria umana (costruzione della città perfetta)
coincide con la morte spirituale. L’uomo diventa dio (creatore di storie
finite), ma questo rende Dio finito e inutile.
4. Conflitto tra
Misericordia Divina e Rigore Ecclesiale.
Misericordia: Lilith ha
un rapporto mistico diretto con Dio (estasi orgasmica, unione cosmica).
Rigore: La Chiesa nega i
sacramenti ai risposati, dividendo il Corpo mistico.
Paradosso:
La Chiesa, custode dell’Incarnazione,
diventa ostacolo alla salvezza. Impedire la comunione ai peccatori nega il
battesimo (che rende figli di Dio) e l’Eucaristia (nutrimento per tutti i
battezzati).
5. Sintesi
Filosofica del Paradosso.
Nel capitolo 13, il
romanzo ragiona logicamente: "Dio creando in sé è infinito, creando fuori di sé
crea un infinito che limita la sua infinita potenza ed anche Dio diventa un
essere finito, limitato."
L’Incarnazione è
necessaria (unione finito-infinito), ma impossibile (finito limita l’infinito).
Il paradosso è
ontologico: Dio non può creare
senza limitarsi, e l’uomo non può salvarsi senza negare Dio.
Conclusione:
Il paradosso teologico de "I
Figli di Caino" è tragico e definitivo: l’Incarnazione, l’Eucaristia e la
risurrezione sono promesse di salvezza, ma in un mondo nichilista diventano
illusioni o divisioni. Dio si è fatto uomo per unirci a sé, ma l’uomo (con la
sua dialettica, il suo peccato, le sue istituzioni) ha ucciso questa unione.
Non c’è redenzione: solo
silenzio, morte e la beffa di una città perfetta senza Dio.
Adriano usa questo
paradosso per una critica feroce alla civiltà moderna e alla Chiesa: la fede è
possibile solo come desiderio disperato (Lilith), ma è sempre frustrato.
Il romanzo non offre
soluzioni: è un grido nichilista che termina con l’ammissione: "Non ho parlato
della risurrezione di Cristo".