denunce: Repubblicano, ex consigliere di Nixon, un economista accusa il capitalismo di avere cancellato i valori che resero grandi gli USA.

"America, hai un dollaro al posto del cuore"

( Articolo del Corriere della Sera 19/07/2002 pagina 33...peccato non in prima pagina!)

Kevin Phillips si schiera dalla parte dei poveri e disperati. Ma lo fa da conservatore.

(Sostiene, in parte, le stesse tesi del "Manifesto per la Rivolta Globale".

Anche quanto sta accadendo nelle Borse mondiali, le "colpe di qualche dirigente"  ( possono essere accusati quando è lo stesso sistema ad essere così?) denunciato ed arrestato seguendo le regole del nuovo decalogo evangelico dato alla stampa da Bush...sono già stati descritti. Innumerevoli sono gli scritti, ma nessuno ancora vuole colpire nel segno. E se qualcuno l'ha fatto non sarà citato neppure nella 33-esima pagina, forse dopo l'ultima...)

testo dell'articolo

firmato da ennio carretto

Dal nostro corrispondente

Washington- Tra il 1980 e il 2000, il ventennio del "boom", il 10% più povero degli americani, 30milioni di persone, vide diminuire il suo reddito dell'8% in termini reali, e l'1% più ricco, 3milioni di persone, lo vide aumentare del 175%.

I 30 massimi patrimoni individuali e familiari si decuplicarono, e quello di Bill Gates, il nuovo Creso, divenne 1milione e 400mila volte superiore a quello medio.

Un secolo fa, la fortuna di John Rockefeller, il vecchio Creso, lo divenne 1milione e 250mila volte.

Neppure nell'"età dorata" pertanto, come Mark Twain chiamò la fine dell'800, quando le ferrovie ed il petrolio realizzarono il primo miracolo economico americano, la ricchezza si moltiplicò e concentrò in così poche mani.

I Rockefeller, i Vanderbilt, i Carnegie, gli Astor, i Morgan di ieri, i cosiddetti "robber barons" del secolo XIX, o baroni del latrocinio, scompaiono contro i Gates, i Buffett, i Dell, gli Ellison ed i Soros di oggi, i despoti della nuova economia.

Questi dati vengono citati, assieme a molti altri, non da un "liberal" o da un sindacalista, ma dal "guru" repubblicano Kevin Phillips, un ex consigliere del presidente Nixon, in un libro che sta spaccando in due l'America: Wealth and Democracy ( ricchezza e democrazia), edito dalla Broadway books. La tesi di Phillips è che la ricchezza, male o affatto ridistribuita, mette a rischio la democrazia, trasformando a poco a poco la Superpotenza in una plutocrazia: essa premia, dice, l'avanguardia del capitalismo, non quella del lavoro. "Restiamo la più polarizzata ed ineguale delle nazioni occidentali", scrive Phillps "ostaggio delle corporation, governata a vantaggio dei potenti.

(mia aggiunta: portiamo questa visione anche a livello internazionale...).

Il politologo è un maestro di provocazioni, ma ha una certa fama di profeta, avallata dagli eventi: nel 1969, quando la politica USA fu in mano alla sinistra, anticipò la rinascita della destra; e nel 1990, dopo il trionfo della "reaganomics", la spietata politica economica del presidente Reagan, ammonì che essa avrebbe demolito le conquiste sociali del rooseveltismo e kennedismo.

Per i conservatori, che lo accusano di fomentare la "psicosi dell'invidia" dell'uomo della strada, il, libro è un'eresia, ma i suoi dati sono impressionanti.

Le corporation ( le società) che mezzo secolo fa versavano allo Stato il 26,5% di tutte le tasse ed il 45% di tutte le imposte immobiliari ne versano adesso appena il 10% ed il 16% rispettivamente: è ciò che l'economista democratico Bob Reich, ex ministro del lavoro del presidente Clinton chiama "corporate welfare", stato assistenziale delle società anziché dei cittadini.

Nell'ultimo ventennio, il guadagno annuo dei 10 massimi manager americani è cresciuto da 3,5milioni di dollari a 159 milioni di dollari; quello del più pagato è cresciuto addirittura da 5 milioni a 290milioni ( il dipendente medio guadagna 29mila dollari).

Un altro economista, Paul Krugman, ha verificato se la loro performance giustificasse le vertiginose cifre, scoprendo che la metà dei manager aveva danneggiato la loro impresa.

Secondo Phillips è la smentita di due miti:

-Che l?america sia il paese delle eguali opportunità per tutti...

-e che la condizione dei suoi poveri sia molto migliorata.

Nel 1850, prima della guerra civile, riferisce Phillips, nelle metropoli il 95% della ricchezza apparteneva alle famiglie o agli individui più eminenti, e questa realtà non è stata corretta dalla successiva rivoluzione industriale né dall'attuale rivoluzione finanziaria.

Per il politologo il motivo è chiaro: da due secoli c'è un rapporto incestuoso, gestito dalle "lobbies" o gruppi di pressione, tra il denaro e la politica, tra le corporations e il Congresso ed il governo.

E' falso, afferma Phillips, che l'America sia un libero mercato: le ferrovie private, la spina dorsale del paese, ad esempio, furono finanziate con 100milioni di dollari dei contribuenti, somma allora enorme, e con donazioni di terreni sterminati; e oggi le commesse del Pentagono costituiscono il massimo carrozzone pubblico che sia mai esistito.

I ricorrenti scandali non hanno mai portato trasparenza.

Phillips è particolarmente critico di quella che definisce la finanzializzazione dell'economia americana, ( mia aggiunta: la globalizzazione vuole anche quella mondiale, sotto la guida delle stesse), che ha relegato in secondo piano le banche oltre che l'industria.

Nel 1970, rileva, i fondi di investimento totalizzavano 48miliardi di dollari, adesso totalizzano 7.800miliardi di dollari, più di 2/3 del prodotto interno lordo.

Si dice che la metà (50%) dei cittadini possiedano azioni, ma è una finzione: l'85% dei titoli è in mano al 10% dei ricchi ( il 42% è in mano all'1%).

L'ossessione dell'aumento del profitto trimestrale, sostiene il politologo, spinge le società alle speculazioni ed alle frodi di bilancio. E si scaglia contro il Partito: " Dalla Casa Bianca al Congresso, i repubblicani si comportano da sicofanti. La Commissione Finanze della Camera concede alle lobbies favori che farebbero arrossire una tenutaria di bordello.

Il Presidente e la sua famiglia sono coinvolti nell'ascesa della Enron, la società bancarottiera del Texas simbolo dei recenti eccessi di Wall Street".

Perché questo libro? Non per apostasia, proclama Phillips, ma per lealtà. I repubblicani devono cambiare, devono tornare alle origini, ad Abraham Lincoln "che anteponeva il lavoro al capitale" e a Theodore Roosvelt "che difese il pubblico interesse dalle corporations.

Phillips ricorda che nel 1900 i democratici, ciechi a scandali ed ingiustizie simili agli attuali, dopo una crisi sociale ed economica pagarono a caro prezzo la loro ignavia, perdendo il potere per dodici anni. A suo parere, i repubblicani sono oggi nella stessa situazione: " gli americani incominciano ad averne abbastanza. ( mia aggiunta: loro che sono ricchi...ed il resto del pianeta?) I democratici lo hanno capito ed indossano il manto populista.

Il politologo cita il successo ottenuto dal senatore repubblicano ribelle John McCain, dal verde Ralph Nader e da altri alle elezioni del 2000 "con gli attacchi all'asservimento del governo alla finanza e alla perversione del codice fiscale". Allora, conclude, riscossero gli applausi del 40% degli elettori. Domani, potrebbero riscuoterli dalla maggioranza.

Ennio Carretto.

Nb: Non è invece tutto il sistema economico basato sul potere della ricchezza derivato dal consumo effimero delle risorse del pianeta terra ad essere errato?

Non sono i principi stessi dell'economia, a questo punto, ad essere portatori di inumanità?

Non è che tutto il sistema sociale educato ed obbligato dall'informazione a senso unico sia errato?

Non è che sia errata la giustizia?

Davvero rimane solo il terrorismo per arrivare alla rivolta?

O la soluzione sarà rinviata sino a che l'inevitabile guerra o un cataclisma ci obbligherà a vivere da uomo?

@clown