introduzione alla filosofia

Vorrei essere cattivo ed accusare di avere abusato della parola filosofia per altri scopi, ma do il beneficio della buona fede e mi astengo dal giudizio.

Questa sera, dopo avere stampato i testi, me li sono letti con calma ed ho potuto così decifrare le filosofie nascoste che stanno alla base delle domande risposte.

L’inizio della discussione era la domanda: se la causa prima stava o non stava dentro la stessa dimensione.

Anche il modo di porre il problema, si capisce dal seguito, è retorica.

La domanda presupponeva già la risposta negativa. Al di la di questo, il concetto di causa stesso non è più ritenuto valido dalla filosofia (Hume) basandosi, credo, proprio sul concetto temporale del prima e dopo e della non possibile successione delle cause e che quindi dio era indimostrabile per questa via.

Naturale, di conseguenza, per chi ha fatto la domanda dirigere la discussione verso la dimensione esoterica già introdotta con la parola dimensione.

A questo punto, più che di filosofia, si sarebbe dovuto parlare di religioni ed io sostengo che la filosofia non è una religione.

Una volta escluso un principio esterno, per l’impossibilità di usare il concetto di causa, comporta la necessità che il principio causante sia interno, in parole diverse: se dio non è, perché non può essere causa, l’universo stesso è Dio. Ma quale universo è dio? 

A mio avviso ritengo che ritornare alla mitologia, alla logica primitiva alla ricerca d’altre dimensioni sconosciute alla ragione, sia un percorso all’indietro inutile.

Il momento storico della logica primitiva, di nominare ogni particolare senza conoscere l’insieme, è superato e per sempre.

La conoscenza nella sua evoluzione esige il concetto astratto.

Io posso parlare d’alberi senza mai averne visto uno, senza essere in errore. Dubito che nessuno abbia mai visto la singola identità di un albero, manifestatasi in ogni sua più piccola singola ed infinita parte.

Se un albero avesse i piedi per camminare nessuno di noi lo identificherebbe più in una foresta d’alberi.

L’io non può essere in due identità diverse, io non faccio parte di un io universale se lo fossi non sarei più io.

Non credo sia più possibile nessuna evoluzione senza che questa sia sottoposta alla critica del pensiero.

Non amo la distinzione tra sentimento, intuizione od altro del genere, come mezzi della conoscenza li posso anche accettare, ma i loro risultati devono in ogni caso essere sottoposti al vaglio della critica logica.

Che poi questa società attuale sia stupida nella sua evoluzione è un'altra cosa. Io ancor oggi mi sto chiedendo se non siamo nel più tetro medioevo: nonostante le conoscenze ed i mezzi abbiamo una società sempre più ingiusta e distruttiva.

Giri di parole prima o dopo sorgono all’errore.

La non dimostrazione di un affermazione non è la dimostrazione del contrario.

Se nessuno dei partecipanti di questo simposio accetta il principio che base di tutto è il pensiero e la logica che lo sostiene, mi chiedo come si possa discutere.

Certamente, la conoscenza per la conoscenza è inutile, ma è necessaria la verità, senza la quale davvero la conoscenza è inutile e comporta il rischio della pazzia e di quanto altro, prima di condurre il pensiero all’azione.

La filosofia nasce nell’istante in cui l’io astrae e lo fa come assoluto, immutabile ed eterno di fronte al divenire. La difficoltà conseguente è la riunificazione dell’essere al divenire.

Il problema, evidenziato da Kant in modo inconsapevole, è portato alle estreme conseguenze da Cartesio e dalle filosofie successive.

L’io, che si scopre pensiero e rifiuta come possibile dubbio o causa di dubbio i modi che gli permettono di essere come pensiero, non ha altra strada che essere lui stesso dio, come d’altra parte era già insito nel suo dichiararsi essere e non divenire.

La critica al pensiero ed alle sue origini non comporta un ritorno al mito, ma un ritorno critico sul possibile modo dell’io di pensare.

Chiedersi come pensa, perché pensa e il perché del perché pensa.

Alcuni filosofi si sono dati le risposte…nessuna finale.

Heghel trova la sua risposta nell’idealismo, Marx Enghels nel materialismo, Niezche nella potenza (derivata dal fatto che non è il pensare l’inizio, ma il volere pensare.) altri sono terminati nel solipsismo, altri nel soggettivismo, altri nell’epochè…

Il soggetto ha quindi perso l’oggetto e qualora non esista una causa esterna a garanzia della verità dell’oggetto, ogni conoscenza diviene impossibile.

Credo ci sia un errore proprio all’inizio. E’ un mio pensiero, quindi soggetto a verifica.

Il non io non può essere la contrapposizione dialettica dell’io ontologico (pensiero ed essere coesistono), perché non io significa non essere, non esistere e non inizia ad essere ciò che non esiste.

La finzione io e non io come inizio dialettico della conoscenza è viziata sin dall’inizio dal volere essere ontologico.

Io e non io, uno e meno uno si annullano, non danno inizio né alla conoscenza né all’io stesso: lo suicidano prima di nascere, è un aborto.

Continuando per questa strada di logica relativa assolutizzata acriticamente si ottiene la filosofia allo stato attuale. Che ora riassumo.

L’io, immobile solitario, perfetto, senza senso che non riusciamo neppure ad immaginarcelo come sia, è l’essere, il soggetto conoscitivo.

Sappiamo che c’è e niente altro. Addirittura dubitiamo della sua esistenza perché all’io in divenire serve un reale opposto per differenziarsi ed essere io; all’io in divenire serve una logica dialettica per conoscersi.

La necessità dell’altro non è una necessità per includere la scienza nella filosofia, ma è l’esigenza stessa della dialettica dell’io per dare inizio alla conoscenza di se stesso prima, della scienza poi.

Nell’astrazione successiva e portando alle estreme conseguenza la conoscenza acquisita, inizia quella che io chiamo la logica assoluta.

Questo porta alla definizione filosofica di Dio creatore e la netta separazione tra sostanza trascendente o divina (assoluto logico ontologico) e la sostanza immanente o materiale (o io relativo conoscente. Immanente e trascendente sono sempre riferiti al soggetto).

Dalla critica alle modalità di conoscenza scaturisce un'unica logica nei suoi meccanismi, ma inapplicabile nel loro uso indifferenziato alla sostanza divina e alla sostanza materiale.

Da qui la mia distinzione tra logica relativa e logica assoluta.

Le dimensioni della conoscenza sono soltanto due: conoscenza del divino che è trascendente e del quale si può, in filosofia, parlare solo mediante logica assoluta; e conoscenza della sostanza materiale (essenzialmente spazio-tempo) che è immanente all’uomo soggetto della conoscenza e che quindi conoscibile razionalmente nel momento che appare alla portata della conoscenza.

Che l’universo sia lui stesso un dio caotico in evoluzione, che con l’aiuto di tanti io arrivi alla sua completa auto-coscienza e conoscenza, sfruttando anche la possibilità di reincarnazioni…, per terminare poi in una implosione od esplosione finale e dare origine ad un nuovo caos, dopo avere annullato nell’io universale tutti gli io personali ed il loro valore, mi sembra molto meno logica e conseguente dell’accettare un dio creatore; allo stesso tempo è illogica perché contraria al concetto di dio scaturito dalla verità della logica assoluta stessa o astrazione purificata dai termini applicabili solo nella sostanza materiale.

Iniziare una domanda è come tenere già un discorso. Evoluzione è un termine troppo generico. Non da adito a risposte precise, ma ad un trattato di tutta la scienza e la conoscenza.

Tuttavia si può tutto riassumere in:

1-se siamo essere creati dal nulla

2-se siamo noi stessi di sostanza ed origine divina.

Data questa risposta è possibile ogni percorso.

Da parte mia io suddivido tutta la logica in due tronconi principali:

1-La logica relativa soggetta alle regole spazio-temporali

2-Logica assoluta.  

@clown